sabato 3 agosto 2024

- Angela Carini e Imane Khelif nel tritacarne ideologico-mediatico -

La durata temporale delle riprese degli sport da combattimento varia in base al contesto agonistico: nel pugilato amatoriale limite è individuato in 1'30" per la categoria femminile e in 2' per la maschile, mentre negli incontri professionistici ciascun round occupa 3'.


46 secondi è durato l'incontro di pugilato femminile tra l'azzurra Angela Carini e l'algerina Imane Khelif, alle Olimpiadi di Parigi. La pugile napoletana ha abbandonato il ring, dopo aver ricevuto un paio di pugni, sostenendo facesse troppo male.
Il reperto visivo di quei secondi di combattimento, non depongono a favore della tesi sostenuta dall'atleta italiana. È sembrato, piuttosto, di vedere un'insofferenza, una incontenibile smania di agire non in modo tecnico-sportivo. É sembrata l'assunzione di responsabilità d'una protesta.
Non si è assistito a nessun colpo particolarmente violento, a nessuna evidente traccia di superiorità. Quindi è necessario ben interpretare l'accaduto.
Qualcos'altro ha interferito, non tra le combattenti, ma tra i livelli di vertice dello sport mondiale, nella fattispecie il Comitato olimpico internazionale (CIO), l'International Boxing Federation, l'International Boxing Association, la Federazione Pugilistica Italiana (FP), il CONI, incapaci tutti di analizzare la realtà dei fatti, il contraddiottorio andamento delle forme di vita sociali, di ripettare l'emersione ed il continuo esprimersi di diversità biologiche e socio-culturali in tutte le dimensioni antropoliogiche.
Organismi di rilevanza mondiale evidentemente “disattenti”, pregiudizialmente indifferenti alla questione di fondo: l'intersessualità, la cui fenomenologia è accertata nell'ambito degli studi di biologia umana.
La metafisica che si configura come ontologia o «scienza dell'essere» – ciò a cui si allude riferendosi ai sistemi di pensiero oggettivistici o realistici (come quello aristotelico) che individuano il fondamento ultimo delle cose in una realtà che esiste di per sé e che è precedente al pensiero, questa in buona sostanza è la metafisica - non può aver spazio nelle riflessioni sul caso.
Lo sforzo di razionalizzazione umanamente possibile è sancito con chiarezza e definitivamente da I. Kant sostenendo che «[...] ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto, per finire nella ragione, al di sopra della quale non si riscontra nulla di più alto che intervenga a elaborare la materia dell’intuizione e a ricondurla sotto la suprema unità del pensiero [...]” (Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET 1967, pag. 304).
Certo, il rischio di “scacco” [1] al tentativo umano di comprendere come stanno le cose del mondo è ricorrente.
È indubitabile, altresì, che l'epistemologia, studiando i limiti della conoscenza scientifica, consegna un ricco repertorio di ipotesi ed incertezze. Nonostante ciò, la metodicità del “dubbio” non è necessariamente “apertura” all'investigazione, bensì può inclinare verso l'inefficace “soggettivismo” e il dannoso “dogmatismo”, perché prevede d'accettare come vero solamente ciò che è assolutamente evidente, privo di ogni forma di perplessità.
Queste posizioni predispongono a bruciare secoli di rapporti proficui tra Filosofia - «sistematica aperta del sapere» (Antonio Banfi [2]) che genera “domande” - e la Scienza - l'insieme di «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni» (Galileo Galilei [3]) che genera le “risposte”.
Il ricercare autentico della Filosofia è un'indeterminata propensione alla conoscenza – mai del tutto appagata -, tuttavia, ci sono tappe e traguardi che la orientano verso “verità” corroborate dalle indagini scientifiche.
Mettere in discussione tutto oppure «sospendere il giudizio» - epochè, traslitterazione del greco ἐποχή - grazie al quale ci si astiene dall'affermare o dal negare, evitando di assumere come date realtà la cui conoscenza è ritenuta inattingibile, nell'errata convinzione che qualcosa si sottrarrà inevitabilmente al dubbio e si definirà come necessariamente evidente, traccia un cammino metafisico la cui meta è una convivenza con l'inconoscibile, un dare per scontato che l'uomo deficita, quindi sbagla, e nulla può mai affermare di vero.
Ciò vuol dire camuffare le “domande” - essenziali al procedere filosofico e civile dell'umanità – in oziosi orpelli intellettuali, deviare le ricerche verso “datità”, quanto può oggettivamente costituire il supporto dell'attività conoscitiva, considerate preesistenti, forse eterne, sovrumane congetture che sembrano avverarsi, come in una procedura di stampo schopenhaueriano che presume di lacerare in modo salvifico il “velo di Maya”.
Con inclinazioni di questo tipo si torna a dare credito alla metafisica, così come è stato proclamato vero il sistema aristotelico-tolemaico, come ancora oggi si definisce la concezione dell’universo geocentrico (la Terra al centro dell’universo) di Aristotele e Claudio Tolomeo, che fu per molti secoli il sistema cosmologico di riferimento, comunemente accettato per quasi due millenni, incluso il Medioevo e fino al Rinascimento.
Tornando all'intersessualità, la biologia ha constatato che non sempre si manifesta con la coesistenza in uno stesso individuo (intersessuale) di caratteri maschili e femminili più o meno intermedi fra i due.
Secondo la definizione proposta dal genetista tedesco R. Goldschmidt (nel 1915 coniò il termine intersexualität), l’ntersessualità è ben distinta dal ginandromorfismo: in questo (che si verifica specialmente negli insetti) l’individuo è formato da un mosaico di parti aventi corredo cromosomico maschile e, rispettivamente, femminile. Nella intersessualità, invece, tutte le cellule del corpo hanno il corredo cromosomico di un sesso, ma durante lo sviluppo avviene un’inversione per cui l’individuo, che aveva incominciato a svilupparsi come maschio, continua il suo sviluppo nel sesso femminile e viceversa. L’intersessualità è determinata da cause genetiche o fisiologiche (fenotipiche). Le cause genetiche sono dovute a squilibrio fra i geni determinatori della mascolinità e della femminilità.
Pertanto, il tema dibattuto con ansie eccessive, inopportune partigianerie e approcci ponziopilateschi va ricondotto al più ampio contesto delle controverse problematiche dell'identità, delle espressioni di genere e degli orientamenti sessuali, sapendo scientificamente che la persona intersessuale è nata con caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie del corpo maschile o femminile. Inoltre, in realtà esistono diverse forme di intersessualità che possono comprendere variazioni fisiche rispetto ai genitali, alle gonadi, ai marker genetici, agli ormoni, ai cromosomi, agli organi riproduttivi e a tutto l'aspetto somatico del genere sessuale di una persona.

Questo a conferma che il “genere” è un modello di componenti comportamentali, espressive, di ruolo, e di aspettative di natura sociale a cui si può sentire di appartenere e che, conseguentemente, l'identità di genere corrisponde al senso di appartenenza di una persona a uno o più generi, indipendentemente dal suo modo di esprimerlo o esprimerli.
In questo contesto non c'è alcun dubbio che possa susssistere.
Altro aspetto è la gestione “politico-culturale” – non solo in campo sportivo – delle “diversità” che non vuol significare “ambiguità”.
È in questa palese inadeguatezza che bisogna investire capacità d'analisi e di comunicazione culturale per aprire spazi di consapevolezza, evitando di “spettacolarizzare” ciò che è già noto attivando, inopportunamente, il consueto tritacarne mediatico.
02/08/2024                                                         Prof. Giovanni Dursi
 
 
 
Note:
1 - Adolfo Levi, Verità ed errore. Il Problema dell’errore nella storia della filosofia. Dai Presocratici ai contemporanei, Edizioni Victrix, 2016. Giulio Gioriello e Pino Donghi, Errore, il Mulino, 2019.
2 - Antonio Banfi (Vimercate 30 settembre 1886 – Milano 20 luglio 1957), laureatosi a Milano in Lettere (1908, con Francesco Novati) e in Filosofia (1910, con Piero Martinetti), dopo un breve soggiorno in Germania, insegna nei Licei fino al 1931, poi nelle Università di Firenze, Genova e Milano. Tramite un fecondo dialogo con il trascendentalismo kantiano e con la fenomenologia husserliana, elabora un innovativo razionalismo critico, in grado di storicizzare Kant senza hegelianizzarlo, utilizzando anche il relativismo simmeliano, onde indagare l’infinita ricchezza della vita e della cultura. Considerato il «Cassirer italiano», negli anni Trenta formò la “scuola di Milano”, entro la quale la sua lezione, nutrita del dibattito europeo, avviò i suoi allievi a perseguire le inquietudini dei loro propri dèmoni, come emerge anche dalla sua rivista «Studi filosofici» (1940-1944 e 1946-1949). Tra le sue opere principali: Principi di una teoria della ragione (1926), Pestalozzi (1929), Socrate (1943), Galileo Galilei (1949), L’uomo copernicano (1950), La ricerca della realtà (1959, 2 voll., postumo), Esegesi e letture kantiane (1969, 2 voll., postumo) e il fondamentale saggio Sui principi di una filosofia della morale (1934).
3 - G. Galilei, Lettera a madama Cristina di Lorena, in Opere, a cura di F. Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, pagine 1013-1015.

mercoledì 12 giugno 2024

Elezioni 8 e 9 Giugno 2024 - Offida, case study

 Cos'è questo golpe ? Io so

«Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. [. . . ]
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [. . .]».

Pier Paolo Pasolini

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Come è noto, l'8 e il 9 Giugno 2024 si sono tenute le Elezioni amministrative parziali per l’elezione di diversi Sindaci e dei Consigli comunali in scadenza di mandato, nei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, programmate in concomitanza con le le decime Elezioni del Parlamento europeo con “suffragio universale” che ha consentito di partecipare a complessivi 51.198.828 elettori, molti dei quali, però, hanno diserato le urne.

Si stima, infatti, che meno di un italiano su 2 ha votato. Un evento di rilevanza storica, visto che per la prima volta in una Elezione di interesse nazionale la soglia del 50% è stata sfiorata, ma non raggiunta. L'astensionismo è la caratteristica prevalente della contemporaneità.


Come spesso è accaduto in passato, per le Amministrazioni comunali, cioé quell'insieme dei cosiddetti Organi di governo dei Comuni che prevedono un vertice monocratico (il Sindaco), un organo collegiale esecutivo (la Giunta) e un organo collegiale assembleare (il Consiglio), essendo “enti di prossimità”, Amministrazioni locali e/o istituzioni rappresentative che i cittadini percepiscono come immediatamente vicine alle loro necessità, il dato dell'affluenza è, in alcuni contesti, relativamente confortante.

In particolare, ad Offida, alle ore 23:00 di Domenica 9 Giugno, ha votato il 69,38% degli aventi diritto, in calo, in verità, rispetto al 2019, anno della precedente analoga Elezione, che ha visto esprimersi il 72,40% del “corpo elettorale”.

La Sezione che ha registrato il maggiore afflusso di elettrici ed elettori è la N. 2 (81,72%), mentre quella con minor numero di votanti è stata la N. 5 (39,30%), decentrata in località Santa Maria Goretti.

Lo scrutinio presenta 3.013 votanti, su 4.343 iscritti nelle Liste elettorali, che hanno deposto nell'urna, insieme ai voti validi, anche 51 schede nulle e 36 schede bianche.

Offida Solidarietà e democrazia” ha ottenuto 1.790 voti, corrispondente al 61,18%, e, conseguentemente 8 seggi in Consiglio comunale e la rielezione di Luigi Massa alla carica di Sindaco.

Obiettivi comuni per Offida”, la lista competitrice, ha ottenuto 1.136 voti, corrispondente al 38,82%, e, conseguentemente 4 seggi in Consiglio comunale.

La stampa locale, legittimamente, parla di “trionfo” per il Sindaco uscente che conquista il secondo mandato superando la soglia del 56,13% della precedente vittoriosa consultazione del 2019, e di débâcle della Lista competitrice la quale, cambiando il candidato Sindaco del 2019, D'angelo Eliano, con Adalberto Massicci, scende nella scelta dei cittadini dal 43,87% all'attuale percentuale.

Che sia chiaro, però, che il decremento di consensi non è dovuto alla “personalità” del candidato Sindaco o alla “qualità” della “squadra” che ha annoverato giovani talentuosi. Tutt'altro. La contrazione di voti rispetto alla precedente tornata elettorale, a nostro giudizio, è in parte considerevole dovuta alla tristemente reiterata pratica del “trasformismo”.

Tale prassi che affligge il sistema politico italiano, è stata inaugurata da A. Depretis (1813–1887). Essa consisteva nel formare di volta in volta maggioranze parlamentari intorno a singole personalità e su programmi contingenti, superando le tradizionali distinzioni tra “destra” e “sinistra”. Di tipo trasformistico fu considerata anche la concessione di favori alle consorterie locali in cambio del sostegno parlamentare praticata da F. Crispi e G. Giolitti.

Anche nel microcosmo contemporaneo di Offida, seguendo le mosse di alcune figure di ex oppositori al Sindaco in carica, nel precedente quinquennio, si nota che essi prima creano un monogruppo, distaccandosi dalla Lista d'opposizione nella quale si è stati eletti per poi proporsi come portatori d'acqua alla ricandidatura del “primo cittadino”, aderendo al programma dell'ex maggioranza contrastata fino ad un certo punto.

Una tradizione, quella del “trasformismo”, che andrebbe definitivamente superata. È lecito porsi la domanda: in cambio di cosa la camaleontica abilità viene messa in campo ? Staremo a vedere.

La “lettura” suindicata dell'esito del voto per il rinnovo degli organi politico-amministrativi comunali è, evidentemente, limitata ai dati meramenti numerici – e non ci si appelli allo stereotipo secondo il quale in “democrazia” i numeri son tutto; sono certamente decisivi, ma non chiarificatori di per sé della dinamica sociale sottostante che genera flussi altalenanti, disaffezione, aggregazioni estemporanee di volontà, differente disponibilità di mezzi e difforme capacità comunicative.

Inoltre, la “lettura numerica” risulta essere non obiettiva, poiché, in realtà, i 1.330 elettori “dispersi” che non si sono recati alle urne, unitamente agli 87 “contestatori” (schede nulle e bianche sono, ufficialmente “voti non espressi”), non sono fantasmi, ma cittadini portatori di diritti ed interessi da considerare.

In buona sostanza, quest'ultimi costituiscono numericamente – allo stato attuale - la “seconda forza politica” della cittadina.

In secondo luogo, questa è l'argomentazione cruciale a mio parere, comparando i risultati offidani delle Elezioni europee con quelle comunali, s'inizia a comprendere davvero la dinamica sociale, la “struttura” che genera e distribuisce “consensi”.

Ciò, probabilmente, può consentire d'aprire l'analisi del voto a prospettive di radicale cambiamento migliorativo del “civismo”, quell'alto senso dei proprî doveri di concittadino che deve detenere chi ricopre incarichi istituzionali di rango rilevante (Sindaco, Assessori, quest'ultimi non necessariamente eletti, Consiglieri comunali, membri dei Consigli d'Amministrazione di Aziende pubbliche) che spinge a trascurare o sacrificare il benessere proprîo o della proprîa “parte” per l’utilità comune.

Pertanto, facendo coincidere, come ipotesi, “Offida Solidarietà e democrazia” con la prevalente “area politica” del PD, i voti ottenuti in Offida sono 888 (32,52%); il Partito democratico, alle elezioni europee è tallonato da Fratelli d'Italia che ha ottenuto 841 voti (30,79%). Il Movimento 5Stelle ottiene 367 voti. Considerando, inoltre, i voti (168) di Forza Italia, (128) Lega e (111) Aleanza Verdi e Sinistra, limitandoci alle maggiori forze politiche, si può evincere un congruo numero di voti “in libera uscita” che gratificano – transitando verso le Elezioni comunali - la Lista del Sindaco rieletto.

Dalla configurazione di quanto ottenuto, alle europee, dai singoli Partiti, si coglie nettamente un dato: che il Sindaco rieletto di Offida è stato prescelto da cittadini ben al di fuori della subcultura politica d'appartenenza.

La “quaestio” può essere interpretata in modo palindromo.

In senso inverso, infatti, ma l'operazione posta in essere mantiene immutato il significato: Il Partito del Sindaco è sostenuto da chi nazionalmente e per l'elezione dei rappresentanti italiani in Europa vota le “destre”, anche le più retrive, quali la Lega che ha candidato a Bruxelles un esponente del revanscismo neofascista. Il bacino dei voti ove il Sindaco “pesca” è costituito da un “campo”, forse indigesto sul piano etico-pilitico, ma senz'altro redditizio.

Se l'ipotesi ha un suo ancoraggio alla realtà dei fatti, si devono porre pubblicamente alcune domande: Perché accade che un votante offidano di Fratelli d'Italia, ad esempio, vota un Sindaco di “sinistra” ? Perchè ciò avviene, peraltro, quando il vento di “destra” - in Europa, con l'attuale Governo, con la Giunta regionale delle Marche - soffia forte ? Che reciproche “convenienze” ci sono in ballo ? Il “mercato” elettorale sta facendo coincidere l'offerta politica di chi gestisce la dimensione territoriale politico-amministrativa con le domande e richieste dei cittadini dipendendo da come essi la “pensano” ? In che modo le odierne difficoltà di bilancio dell'Amministrazione comunale sono correlate alla pressione di infimi o estesi condizionamenti ?

Ancora: L'andazzo ipotizzato costituisce una strategia per stabilizzare il potere locale da parte di un coagulo di interessi che vanno tutelati perpetuando il dominio sulla macchina amministrativa e le sue articolazioni funzionali sul territorio ed impedendo in questa guisa alla cittadina un definitivo slancio civile ?

L’élite economico-politica e culturale locale, mutatis mutandi, ha, fino ai nostri giorni, replicato la gerarchia di comando tipica dell’organizzazione medievale delle vite - un “assolutismo” che prevede privilegi ed esclusione sociale – mai tramontata ?

Una conferma, presumibilmente, è data, ad esempio, dal “personale tecnico-politico” che “nelle parole” si è posto come innovatore, peraltro sempre lo stesso. Domandarsi è lecito se gli “uomini” che hanno inteso rappresentare l'Amministrazione, di fatto, sono stati espressione della “cultura” paternalista, clientelare e concessiva, a volte anche autoritaria in grado di “parlare” di diritti, ma mai di fuoriuscire dalla dimensione retorica top down di chi pretende un mandato dal popolo, ma che per estrazione e formazione, non appartiene al mondo del lavoro in senso stretto (dal latino “fatica”, opera di mano e poi anche d’ingegno, cose fatte o da farsi operando), bensì a quello delle “libere professioni” che è predisposto a “fare cartello” politico-affaristico.

La città è in fase drammaticamente implosiva (aspetto demografico, in primis) perché si è identificata per molto, troppo tempo con l’autoreferenziale “ceto” partitico dirigente la “cosa pubblica”; quest’ultimo ha legato – soggiogandola in modo quasi indolore – la sua comunità di riferimento a vincoli “storici” o consuetudinari rendendo la residenza abitudinale di migliaia di persone nel territorio ed anche la presenza estemporanea dei cosiddetti variegati “city users”, occasione ghiotta per perpetuare lo status quo, per manipolare l’identità dell'Amministrazione e l'erogazione dei servizi pubblici difendendo solo gli interessi di pochi ?

Sappiamo però che una città oligarchica, per definizione, non è una città libera.

Gli “interessi territorialmente e socialmente vasti” coincisero allora e coincidono ancora oggi con “interessi politicamente ristretti” ?

Il “caso” Offida per i trascorsi e per un'auspicabile soluzione di continuità merita attenzione. Si deve evitare una deriva familistico-amorale che ricorda i fasti, da un lato, del modello abruzzese (il riferimento è a Remo Gasperi), dall'altro, del blocco economico-sociale “cooperative-banche e assicurazioni-sindacati-poteri pubblici-Partito” (il “modello emiliano-romagnolo) che ha sposato da decenni l'aziendalismo soffocando le radici egualitarie e solidaristiche della subcultura del movimento operaio.

Nella trasparaenza ricercata, ciascuno faccia la sua parte.

Prof. Giovanni Dursi


giovedì 25 aprile 2024

Quale 25 Aprile ? Il Governo censura il 25 Aprile, come fosse una fiction

In Italia, gli scioperi del marzo 1943, il bombardamento di Roma del luglio e la caduta, nello stesso mese (25.7.1943), del fascismo promuovono il cambiamento.

Crollato il regime, Mussolini fu trasferito in stato di fermo prima a Ponza, poi alla Maddalena, quindi al Gran Sasso; di qui venne liberato dai tedeschi con un colpo di mano e portato in volo in Germania all'indomani dell'8 settembre. Tornò in Italia per raccogliere quel che restava dello sfacelo fascista nella Repubblica sociale italiana, nella quale esercitò le funzioni di capo dello Stato e capo del governo. Installato a Gargnano (sul Lago di Garda), seguì le vicende belliche apparendo raramente in pubblico. Dichiarò come obiettivo la riconciliazione degli italiani e la socializzazione, ma la crisi militare dell'Asse, gli scioperi operai del 1943-44 e il movimento di Resistenza ne evidenziarono la funzione di puntello dell'occupazione tedesca. Al crollo della "linea gotica" si trasferì a Milano (17 aprile 1945) e tentò di contrattare la propria incolumità con il Comitato di liberazione nazionale. In fuga verso Como, in divisa da soldato tedesco, fu arrestato dai partigiani e passato per le armi per ordine del CLN il 28 aprile 1945. Il suo cadavere (insieme a quelli di Claretta Petacci, la donna cui era legato dal 1936, e di altri gerarchi fucilati) fu esposto dai partigiani a Milano in piazzale Loreto, a simbolo della fine del Fascismo.

In effetti, la fine delle ostilità in Italia e quindi la totale liberazione del territorio nazionale sono arrivate il 3 maggio 1945. Si preferì invece orientarsi verso il giorno in cui il (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) chiamò il popolo italiano all’insurrezione nei territori ancora occupati dai tedeschi e al tempo stesso si affermò come un’unica autorità nazionale legittima. Scegliere il 25 aprile significava quindi celebrare non soltanto la fine della guerra e dell’oppressione nazifascista, ma anche riconoscere il valore e l’importanza del movimento partigiano.

La differenza non è da poco: un conto è auspicare la fine della guerra e il ritorno alla normalità, un altro è aderire ai valori e all’iniziativa della Resistenza. In questo senso, l’istituzionalizzazione del 25 aprile, la sua accettazione da parte di tutti gli italiani, si è presentata più ardua rispetto ad altre memorie civili.

Anche a causa d'una idea - la cosiddetta "pacificazione nazionale" - che sterilizzò la lotta di classe.

Il 22 giugno 1946, infatti, entra in vigore il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell'occupazione nazifascista. La legge è stata proposta e varata dal ministro di Grazia e Giustizia del primo governo De Gasperi, Palmiro Togliatti, segretario del PCI.

Egli presentò il provvedimento di clemenza come giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale”.

Ad 80 anni di distanza, l'Italia ha un Governo ed alte cariche istituzionali comprensivi di neofascisti.

Gli italiani, da circa due anni, sono catapultati in una simulazione bellica, in una sorta di Civil War [1], talora ispirata alla ricostruzione di battaglie del passato, eseguita nelle paludate forme del journalism mainstream media.

I cittadini, obtorto collo, sono trattati da spettatori di un'esercitazione strategica che allude sempre più con evidenza a forme repressive, avendo constatato – gli attuali detentori del potere politico - il fallimento del primo livello di controllo sociale costituito da forme di persuasione alla conformità ed alla passività.

Con l’ausilio di mappe politiche simili a liste di proscrizione e strumenti elettronici, l'attuale Governo sta mettendo sul terreno provocazioni politico-giudiziarie consistenti nella ricostruzione di azioni di violenta lotta politica del passato, o nell’invenzione di battaglie di fantasia, usando plastici o tavolieri, nel qual caso si parla di board war game «gioco di simulazione strategica da tavolo», lasciando andare in malora la cura statuale del Paese.

Esponenti del Governo, diuturnamente, in primis Giorgia Meloni, riproducono scenarî reali e sui quali si muovono pedine di cartone o riproduzioni in miniatura di soldati, armi e mezzi bellici per avviare e mantenere alto il livello di “distrazione di massa” le cui caratteristiche corrispondono, nella finzione del gioco, a quelle reali.

Abbiamo già riferito sulle “[...] recenti, presunte, epurazioni RAI, così interpretate, ad imperituro “dileggio” di chi del canone si serve per perpetuare il sistema di potere anche mediatico, quindi di rango costituzionale (ai sensi dell'art. 43 della Costituzione) trattandosi di “servizio pubblico” televisivo, ad esclusivo vantaggio di parte.
Poca dignità in chi pratica – attualmente, la destra di Governo che arriva a detenere, di fatto, sei reti televisive nazionali, il monopolio RAI-Mediaset – lo
spoils system […]” [2].

Così come abbiamo già denunciato la via giudiziaria contro il dissenso, praticata come “[...] una modalità di rapporto che si sta consolidando tra Esecutivo ed intelligencija, quella “giudiziaria” […]” con espliciti intenti intimidatori e di censura, con riferimento particolare, ma non esclusivo, alle querele onerose per diffamazione avanzate da Giorgia Meloni a Roberto Saviano e al Prof. Luciano Canfora [3]. Questo andazzo si sta allargando: sta avvenendo, senza essere esposti ai riflettori, in tanti casi di revanscismo giudiziario contro liberi pensatori, anche a livelli più bassi delle gerarchie sociali.

Dai “giochi di simulazione”, si sta passando a vie di fatto, ad una rivincita negazionista, si sta mettendo a rischio il racconto pubblico delle verità storiche, impedendo di parlare a chi s'azzarda a rievocare i fatti originari della Repubblica democratica italiana.

Antonio Scurati [4] non ci potrà essere in studio a “CheSarà”, programma di Rai3 bloccato da vertici della Rai a 24 ore dalla messa in onda, con il monologo sulla memoria del 25 Aprile, la più importante di altre ricorrenze laiche paradossalmente proprio per il suo carattere al tempo stesso unitario e divisivo: è una celebrazione per la riconquistata democrazia, per la libertà e l'indipendenza nazionale, ma è anche una giornata solenne contro il fascismo, contro la dittatura, contro la guerra.

Il testo del monologo è stato condiviso da Giorgia Meloni sul suo profilo Facebook, 'perché chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno', dichiara tronfia e prosegue: “in un'Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso. Stavolta è per una presunta censura”.

Proprio le sue parole sono allarmanti: in primo luogo, esse evidenziano un atteggiamento di relativizzazione storiografica inaccettabile, alzando a piacimento un polverone ideologico per comparare avvenimenti rilevanti – il presunto ostracismo subito da forze neofasciste, costituzionalmente impedite nell'azione politica - e fatti – quali quelli ascrivibili al periodo resistenziale - che invece riguardano 58 milioni 990mila italiani ai quali l'attuale Governo ha deciso di non rendere conto, preferendo loro i committenti interni ed internazionali.

In secondo luogo, Meloni ignora volutamente il dato che il messaggio televisivo – a fronte di 120 milioni di schermi digitali, di cui oltre 97 milioni connessi - è d'impatto ben superiore alla veicolazione di contenuti tramite i social network, che caratterizza la fruizione in modo marcatamente individuale, personalizzata, e, tipicamente, in mobilità di non tutto il potenziale target di cittadini-elettori. Proprio la moltiplicazione degli schermi ha segnato, negli anni, la riconferma del mezzo televisivo quale medium più utilizzato per essere informati.

Se ne può concludere, che la censura da parte del potere politico ha due risvolti: uno eclatantemente epurativo, soppressivo, eversivo, l'altro subdolamente manipolatotorio, da gioco di simulazione “delle tre carte”.

La grande cavalcata della maggioranza partitica al Governo del Paese verso il cosiddetto “premierato” [5], passa anche da queste sgrammaticature costituzionali.

Il Presidente della Repubblica sarà ridotto a un notaio che esegue gli ordini del Capo del Governo. La maggioranza parlamentare, assicurata non come rappresentanza reale del voto degli elettori, ma dal meccanismo maggioritario, potrà di fatto dominare ogni nomina parlamentare nella Corte Costituzionale, nel Consiglio Superiore della Magistratura e nella stessa elezione del Presidente della Repubblica, che quindi non rappresenterà più l’unità nazionale. Anche il venire meno della rappresentatività più larga possibile di questi organi di garanzia, costituisce un rischio per la stabilità dell'assetto democratico. Stabilità del governo, stabilità del Paese, stabilità della democrazia non coincidono, né sono assicurate dalla elezione diretta del “premier”.

L’unica cosa che viene assicurata è il suo potere personale. L’esasperata personalizzazione della politica è la malattia non la cura: una democrazia è più forte se è più partecipata. Come si fa a non essere d'accordo con l'A.N.P.I. ?

Il 25 Aprile va ricordato, ogni anno. Ricordato in tutti i suoi aspetti a valenza storica: nei 20 mesi in cui si sviluppa la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – i quali non esitano, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell'esercizio della brutalità –, infieriscono nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane. Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l'analisi dettagliata che ha prodotto l'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – sono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell'arco cronologico che va dal Luglio 1943 al Maggio 1945.

Si è certi che la Meloni, rintanata nel suo protettivo polverone ideologico, ha sottoposto ad oblio questi fatti. Di questo oltraggio ne dovrà rispondere.

25/04/2024 Giovanni Dursi

________________________________________

1 Intenzionale citazione del film di Alex Garland, in questi giorni nelle sale, che descrive come gli U.S.A. siano devastati da un conflitto interno visto da due fotoreporter.

2 G. Dursi, Spoils system RAI e legge del contrappasso, mentinfuga.com, 23 Maggio 2023.

3 G. Dursi, Governo Meloni: la via giudiziaria contro il dissenso, mentinfuga.com, 15 Febbraio 2024.

4 Scrittore italiano (1969). Ricercatore presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM), ha affiancato all’attività accademica la scrittura letteraria.

5 P. Esposito, Quer pasticciaccio brutto del premierato, mentinfuga.com, 4 Aprile 2024; S. Bonfiglio, Il “premierato elettivo” e la clausola “anti-ribaltone”, mentinfuga.com 9 Febbraio 2024.

giovedì 19 ottobre 2023

Seguendo un razzo, di “ignota” provenienza, che semina morte ...

Alle ore 16:01 del 18 Ottobre, l'ANSA informa di scontri a Beirut, nei pressi dell'ambasciata degli Stati Uniti in una manifestazione di sostegno al popolo palestinese e di protesta per i bombardamenti israeliani su Gaza.


Ulteriori brutalità sono in corso anche nella città capitale dell'omonimo Stato che si sommano alle inenarrabili violenze iniziate all'alba del 7 Ottobre 2023 con l'attacco strategico in territorio israeliano, mirato a incidere profondamente nello scenario mediorientale e mondiale, da parte del Ḥaraka al-muqāwama al-islāmiyya, il «Movimento della resistenza islamica», Ḥamas.

L'odierno è un ultimo capitolo – certo non il più cruento, l'esercito pare abbia, secondo quanto appurato in queste ore, rapidamente caricato i manifestanti – di una tragica sequenza di morti e distruzioni che ha subito Ghazza (in arabo قطاع غزة‎, in ebraico ‛Azzāh) negli ultimi decenni, la città palestinese di quasi seicentomila (rif. al censimento del 2017), situata nella penisola del Sinai, dalla quale si dirama la Striscia costiera mediterranea di Gaza su circa 45 km² che vede detenere oggi in cattività oltre due milioni di cittadini.

Accostandosi in modo pragmàtico [1] al rinvigorito conflitto bellico arabo-israeliano, arginando quanto più possibile i sentimenti, peraltro alquanto sollecitati, e soffermandosi sull'episodio dell'Ospedale “Al-Ahli” di Gaza colpito da un devastante razzo ieri, Martedì 17, provocando centinaia di vittime,, sembra corretto astenersi da ogni velleitaria e ipocrita propensione a prendere posizione, a schierarsi ideologicamente.

Questa affermazione, lungi dal desiderio tipicamente piccolo-borghese di equidistanza o di deleteria indifferenza, scaturisce da un tentativo di ripristinare in modo determinato l'onestà intellettuale, proprio in ragione di una contagiosa tendenza, da contrastare, che incombe sui fatti anticipando conclusioni approssimative, acritiche, superficiali, tendenziose, frutto di pregiudizi.

Allo storico serio interessano i fatti. A questo criterio, pur non essendo esperti di ricerca storiografica, intendiamo attenerci.

Iniziando proprio da uno degli ultimi fatti, quello del razzo che ha colpito l'Ospedale di Gaza. La cronaca ci pone di fronte ad un classico “fattoide” di ultima generazione. Apprendiamo con angoscia che i morti riconducibili alla deflagrazione dell'ordigno sul nosocomio, a ventiquattrore dall'evento, non si riesce a capire a chi attribuirli, non si è in grado di addossare le responsabilità dell'ennesimo eccidio.

Le “agenzie” addestrate alle mistificazioni di fatti di guerra si sono appropriate dell'accaduto e, senza risparmiare colpi altrettanto efferati quanto le schegge assassine del missile scoppiato, mirano e colpiscono i nemici con gran quantità di munizioni-parole.

La notizia, pur nella sua crudele gravità, è quasi del tutto resa priva di fondamento, in quanto in un'area vigilata da satelliti e sistemi di sorveglianza, in un teatro di guerra circoscritto, infestato da droni e sotto osservazione permanente, diventa davvero improbabile non avere la prova della traiettoria e, conseguentemente, della postazione del sito di lancio.

Le conoscenze divulgate sull'accaduto sono diffuse all'interno di narrazioni contrapposte e amplificate dai mezzi di comunicazione di massa che promuovono o l'una o l'altra descrizione al punto da essere percepite entrambe come vere o, al contrario, ambedue come false. Dunque, le versioni si elidono.

C'è da chiedersi: si ha davvero necessità di capire chi sono i “cattivi” o i “buoni” di questa tragedia, perché, ribadiamolo ancora, non si assiste ad un film dell'orrore. Dobbiamo fare la macabra conta di quante gole in queste ultime settimane sono state squarciate da parte dei contendenti ? Oppure, se si preferisce, calcolare il totale in modo arbitrario ? Siamo in presenza di una stramba belligeranza tra angeli e demoni ?

Il portavoce delle Forze di Difesa israeliane, Daniel Hagari ha ribadito durante una conferenza stampa “che non c'è stato alcun fuoco dell'IDF da terra, dal mare o dall'aria che ha colpito l'ospedale", aggiungendo che le immagini dimostrano l’assenza di danni strutturali agli edifici intorno all'ospedale e nessun cratere compatibile con un attacco aereo. Fonti della “Jihad islamica” smentiscono che sia stato possibile un “fuoco amico” e che l'unico obiettivo politico-militare è di liberare la Palestina dalla presenza israeliana e costruirvi uno Stato islamico.

Ciò che, invece, è possibile appurare con certezza è che non c'è sincera intenzione di cessare il fuoco e i massacri, non si registra alcuna volontà di negoziare la pace, da parte, rispettivamente, dei belligeranti e degli occulti registi, attualmente fuori scena.

In effetti, l'agenda politica internazionale prevede altre azioni.

La prima è quella di mero maquillage politico. Ricordare retoricamente – come fa, tra tanti, Ursula Gertrud von der Leyen, la Presidente, in scadenza di mandato, della Commissione europea - la storica opzione di convivenza tra lo Stato ebraico d'Israele ed il popolo di Palestina; tale rievocazione è motivata dall’avvicinamento tra Russia e Repubblica islamica dopo la guerra con l’Ucraina.

La domanda è legittima: perché si torna solo ora – dopo ben 76 anni - al piano adottato dall’Assemblea generale delle NU, il 29 Novembre 1947, per la spartizione della Palestina mandataria in due Stati: uno ebraico, comprendente il 56% del territorio, l’altro arabo, sulla parte restante, mentre Gerusalemme sarebbe stata corpus separatum sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite ? L'inerente Risoluzione ONU n° 181 fu approvata a larga maggioranza dopo lunghi negoziati preliminari, fu accettata dalla comunità ebraica e respinta dalla comunità araba, pertanto non fu mai attuata.

La seconda azione che caratterizza le relazioni internazionali consiste nel disfacimento politico e manu militari di un inedito complesso ordine mondiale che faticosamente si fa strada nella storia, effettivamente multipolare, funzionale al ridimensionamento, alla relativizzazione delle tradizionali potenze globali che hanno governato gli affari internazionali, tutelando, tuttavia, esclusivamente gli interessi nazionali (gli esempi più calzanti sono le guerre in Iraq e Afghanistan, quest’ultima con il suo corollario in Pakistan), fino all'altro ieri vigenti e sopravviventi.

In conclusione, si vuole rammentare che la Striscia di Gaza, è densamente popolata con un’età media dei residenti di 17,7 anni, soprattutto in conseguenza del massiccio afflusso di profughi palestinesi dopo la costituzione dello Stato di Israele nel 1948. Rimase sotto il controllo egiziano fino al 1967, salvo un breve periodo di occupazione israeliana dal novembre 1956 al marzo 1957, quando fu invasa dalle forze israeliane durante la “guerra dei Sei giorni” e poi sottoposta ad amministrazione militare [2].

Rivendicata dall’OLP come parte di uno Stato palestinese indipendente, veniva posta dagli accordi di Oslo del 1993 sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese in base al principio della restituzione dei territori occupati in cambio della pace. Proprio la città di Gaza, il 14 Dicembre 1998, fu teatro di una storica visita del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton: l’abrogazione dallo Statuto dell’Olp dei riferimenti alla distruzione di Israele, proclamata solennemente in quell’occasione dalla dirigenza palestinese, sembrava spianare la strada alla creazione imminente di uno Stato palestinese e al reciproco riconoscimento fra i due popoli. Ma al contrario, i ritardi israeliani nell’implementazione degli accordi, l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gaza, il crescente ricorso, da un lato ad atti di terrorismo e, dall'altro, all'autodifesa con l'intifada palestinese azzerarono di fatto i progressi compiuti nei negoziati tra le parti e inauguravano una lunga stagione di violenze di cui faceva le spese soprattutto la sempre più impoverita popolazione palestinese.

Tra il 2000 e il 2005 lo stato di crisi economica incombente a Gaza appariva sempre più preoccupante, aggravato dalle continue ‘chiusure’ militari israeliane della Striscia che impedivano il regolare funzionamento della vita lavorativa dei numerosi palestinesi che si recavano in Israele. Aumentava la disoccupazione, crollavano gli scambi commerciali, peggioravano i servizi sociali. Nell’agosto 2005 il primo ministro israeliano Ariel Sharon decise di procedere unilateralmente allo smantellamento delle basi militari e delle numerose colonie ebraiche costituitesi nella Striscia nel corso dei decenni successivi all’occupazione (21 colonie con circa 8200 abitanti), mettendo fine all’amministrazione militare.

Tutto il territorio di Gaza passava così in mano palestinese.

Dopo il ritiro Israele si riservò comunque il controllo dello spazio aereo e delle acque territoriali, il diritto di vietare l’ingresso nella Striscia a coloro che non vi risultavano residenti, il controllo totale dei movimenti di persone e merci tra Gaza e la Cisgiordania e di tutte le merci in entrata nella Striscia, con conseguente facoltà di chiudere i relativi varchi.

Per queste ragioni, le elezioni politiche del Gennaio 2006 in Cisgiordania e a Gaza facevano registrare il successo elettorale di Ḥamas, capace di penetrare in profondità nella società palestinese raccogliendo adesioni sia tra le fasce più disagiate della popolazione, sia tra gli studenti universitari e i ceti emergenti. Il rifiuto di al-Fatàh, fino ad allora la più forte organizzazione politica palestinese, di formare un governo di unità nazionale con Ḥamas, non disposta a rinunciare ai suoi proclami sulla distruzione dello Stato ebraico, lasciava presagire uno scontro imminente tra le due organizzazioni, che fu rinviato solo a causa della violenta offensiva lanciata da Ḥamas contro Israele (fine Giugno 2006), cui quest’ultimo rispose con un’incursione del suo esercito nella Striscia, incursione che portò allo stremo la popolazione già fortemente colpita.

Tra l’autunno del 2006 e il Giugno del 2007 nonostante un illusorio accordo di governo tra i due partiti palestinesi, s’intensificavano gli scontri nelle strade tra i militanti delle due opposte fazioni, culminati in una vera e propria battaglia militare provocata da Ḥamas che vedeva sconfitta ed espulsa al-Fatàh dal territorio di tutta la Striscia, mentre la stessa Ḥamas s’impossessava di tutti i centri di potere. Si determinava di fatto una divisione tra Cisgiordania e Gaza; quest’ultima, infatti, non riconosceva più l’autorità del presidente palestinese Abū Māzen,che rappresentava l’anima moderata dell’universo palestinese.

Tra il 2006 e il 2007 si intensificavano le operazioni militari israeliane a Gaza con l’obiettivo dichiarato di smantellare le basi di lancio dei missili Qassam, che minacciavano Sderot, il deserto del Negev, Ashkelon e la città costiera di Ashod. L’alleanza tra Ḥamas, gli Hezbollah libanesi e l’Iran del presidente Ahmadinejad potenziava la forza militare di Ḥamas, ma non risparmiava alla popolazione della Striscia un’ennesima prova di resistenza.

Il 18 Gennaio 2008 Israele chiudeva ancora una volta Gaza in una morsa tagliando tutti i rifornimenti: cibo, combustile, aiuti umanitari. Il 23 Gennaio alcune centinaia di migliaia di palestinesi forzavano il valico di Rafah al confine con l’Egitto in cerca di cibo e assistenza. Pronta ad approfittare della tragedia della popolazione, Ḥamas alzava i toni della sua propaganda anti-israeliana per guadagnare attenzione e appoggi nella comunità internazionale, ma alla fine dell’anno, il 27 dicembre, Israele scatenava una nuova guerra a Gaza. Obiettivo dichiarato dell’attacco era porre fine al lancio di razzi sul territorio israeliano, che dal 2000 aveva provocato 28 vittime.

Con il cessate il fuoco del 18 Gennaio 2009 e il ritiro delle truppe israeliane dopo l’operazione Piombo Fuso, Gaza appariva un campo di rovine: tra 1166 e 1417 morti il bilancio delle vittime tra i palestinesi, e moltissime le perdite registrate tra i civili; 13 gli israeliani morti, 10 militari e tre civili.

L’impressione suscitata nel mondo dalla situazione a Gaza spinse il Consiglio per i diritti umani delle NU a istituire una Commissione d’indagine i cui risultati furono resi noti nel settembre 2009: si leggeva nella dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non dagli altri membri della Commissione, che Israele aveva reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese e forse commesso anche crimini contro l’umanità.

Il 2009, intanto, aveva fatto registrare numerosi ma sterili tentativi di giungere a una riconciliazione tra Ḥamas e al-Fatàh con la mediazione dell’Egitto, mentre una trattativa segreta era stata avviata alla fine dell’anno tra Israele e i vertici di Ḥamas per il rilascio del giovane soldato israeliano Gilad Shalit rapito il 25 Giugno 2006 da un commando palestinese dell'organizzazione penetrato in territorio israeliano dalla Striscia attraverso un tunnel sotterraneo.

Nel Maggio 2010 l’attenzione della comunità internazionale fu richiamata dall’incursione armata della marina israeliana sulla nave turca Mavi Marmara che navigava in acque internazionali alla testa di una flottiglia di navi dirette a Gaza e intenzionate a forzare il blocco navale israeliano intorno alla Striscia per consegnare aiuti umanitari e beni di prima necessità. Nove attivisti turchi a bordo della Mavi Marmara furono uccisi e molti vennero feriti dopo il tentativo di resistenza violenta da parte dell’equipaggio all’incursione israeliana. L’episodio determinò un brusco deterioramento dei rapporti tra Israele e la Turchia, importante alleato strategico dello Stato ebraico nella regione.

Nel corso del 2011, malgrado i tentativi di riannodare i rapporti tra i due paesi, permaneva uno stato di tensione, alimentato anche dal rapporto della Commissione istituita dalle NU che pur accusando Israele di aver ecceduto nell’uso spropositato della forza non considerava illegittimo, come auspicato dal governo turco, il blocco israeliano intorno a Gaza.

Nel maggio 2011, dopo i numerosi tentativi andati a vuoto e una recrudescenza delle violenze tra i militanti delle due organizzazioni, i leader di Ḥamas e al-Fatàh firmavano al Cairo un accordo di riconciliazione, prontamente criticato dalle autorità israeliane, che fissava al 2012 le nuove consultazioni parlamentari e presidenziali. Ma la posizione di forza di Ḥamas veniva ribadita ancora una volta nell’Ottobre del 2011, quando l’11 del mese, dopo cinque anni di delicati negoziati condotti con la mediazione egiziana, i vertici dell’organizzazione e le autorità israeliane annunciavano l’accordo sul rilascio di Gilad Shalit in cambio della liberazione di oltre mille palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane. Il 18 Ottobre Shalit tornava a casa e contemporaneamente i primi 477 detenuti palestinesi venivano liberati.

Nel Novembre 2012 si è verificata una nuova ripresa delle ostilità israelo-palestinesi: una nuova offensiva di Israele, nel corso dell’operazione denominata “Colonna di nuvola”, ha provocato la morte di A. al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio militare di Ḥamas, seguita da numerose incursioni aeree nella Striscia di Gaza che hanno colpito un totale di circa 1300 obiettivi e prodotto 160 morti, mentre concomitanti lanci di razzi a opera delle forze di resistenza palestinesi interessavano Tel Aviv e altre città israeliane. Dopo otto giorni di violenti scontri, un accordo bilaterale per il cessate il fuoco è stato raggiunto grazie alla mediazione del nuovo governo islamista dell'Egitto e sostenuto dagli Usa, sebbene la tregua appaia agli osservatori internazionali ancora molto fragile e l'OLP abbia presentato una protesta al Consiglio di sicurezza dell'ONU per la sua violazione da parte di Israele, dove si sarebbero inoltre registrati ancora sporadici lanci di razzi sparati dalla Striscia di Gaza.

Nel maggio 2014, dopo il raggiungimento di un’intesa tra al-Fatàh e Ḥamas, le due fazioni si sono accordate sulla nomina di R. Hamdullah a primo ministro del governo transitorio di unità nazionale, ufficialmente insediatosi il mese successivo; le dimissioni di Hamdullah, rassegnate nel giugno 2015 per l’impossibilità di rendere operativo l’esecutivo all’interno della Striscia di Gaza, e i continui dissidi interni hanno portato al rinvio delle elezioni, mentre la Cisgiordania e Gerusalemme hanno visto un drammatico aumento della tensione, sfociato nel settembre 2015 in una nuova ondata di violenza, poi rientrata anche grazie al mancato appoggio delle principali organizzazioni politiche palestinesi. Un passo decisivo verso la riconciliazione è stato compiuto nel Settembre 2017 con lo scioglimento dell’esecutivo di Ḥamas a Gaza e con l’accettazione da parte del movimento islamista delle condizioni poste dall'ANP, tra cui l’indizione di elezioni generali che comprendano anche Gaza e Palestina.

Nel Maggio 2021 violenti scontri scoppiati a seguito dell’allontanamento di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme hanno provocato una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, nel corso della quale le due parti si sono affrontate con scontri di artiglieria e attacchi aerei che hanno provocato la morte di circa 200 individui.

La tregua tra Hamas e Israele è stata raggiunta alla fine di Maggio, quando esse hanno concordato il cessate il fuoco, reclamando entrambe la vittoria, ma negli anni successivi si sono registrate varie fasi di ripresa delle ostilità alternate a labili tregue, come nell'Agosto 2022 e nel Maggio 2023, mentre nell'Ottobre 2023 Hamas decide di rompere gli indugi e lancia da Gaza una nuova offensiva contro diverse città israeliane attraverso incursioni via terra e raid aerei, cui Israele ha risposto assediando l'area della Striscia e bloccando le forniture di cibo, elettricità, carburante e acqua. L’escalation militare ha aperto uno scenario di guerra che ha generato nella comunità internazionale grande apprensione per il rischio di una estensione del conflitto ben oltre il contesto regionale.

18/10/2023 Giovanni Dursi

1 Nel significato di «attinente ai fatti», derivato di πρᾶγμα -ατος «cosa, fatto», che riguarda prevalentemente l’attività pratica, l’azione; caratterizzato dal prevalere degli interessi pratici su quelli teoretici e sui valori ideali.

2 Per la dettagliata ricostruzione qui riportata, l'autore dell'articolo si è valso di fonti storiografiche offerte dall'Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Società per azioni, che tra gli scopi annovera la produzione di opere che possono comunque derivarne, o si richiamino a quella esperienza; l'esercizio delle iniziative e attività editoriali e di quelle culturali in ogni forma e modalità, in specie per gli sviluppi della cultura umanistica e scientifica, per la tutela, la valorizzazione e la diffusione della cultura italiana, nonché per esigenze e attività educative, di ricerca, di formazione e di servizio sociale (Art. 2 Oggetto, Statuto, Allegato "A" all'Atto rep. n. 64340 racc. n. 21028.

 

 

 

martedì 3 gennaio 2023

A proposito di “Peace & Love” - “Linguaggi” post-moderni di pace, trasformazione sociale e “sinistra” frustratamente extraparlamentare

La simbologia che ha storicamente accompagnato l'universale rivendicazione di pace – a partire dal 21 Febbraio del 1958 quando, con notevole rilievo sociale, un mobilitazione di massa sostenne iniziative per il disarmo nucleare - trova oggi nello sloganPeace & Love” un punto d'approdo di certa leadership della cosiddetta “sinistra” frustratamente extraparlamentare.


Alcuni esponenti di vertice di tale “sinistra” dimenticano il fatto - o si mostrano sprezzantemente non curanti dello stesso - che l'iconografia ed i “messaggi” del pacifismo (ad esempio, “fate l’amore, non la guerra”) sono stati del tutto riassorbiti dalla logica mercantile del capitalismo maturo che dell'epopea degli hippie e delle aspirazioni insurrezionali del Sessantotto novecentesco ne hanno fatto prodotti di consumo, dal brand Moschino alla Disney Pixar, per limitarci ad alcune aziende che operano globalmente.

A nostro giudizio si è giunti al parossistico approdo concettuale e pratico di parte di tale “sinistra” che prima distorce, poi confonde, infine riutilizza un'accozzaglia di teorie, di linguaggi, di atteggiamenti anche storicamente rilevanti, in modo indubitabilmente vanaglorioso, eclettico (nel senso di incoerente orientamento cognitivo che non segue un determinato sistema o indirizzo di indagine, ma che preferisce scegliere ed armonizzare arbitrariamente principî e congetture che ritiene migliori tra diverse narrazioni teoriche), tendendo nella sostanza a sostituire un percorso d'alternativa politica al capitalismo (teorico-politico ed organizzativo) con un lavoro pseudoculturale d'enfatizzazione di idee e pratiche che possono essere eventualmente considerate un'alternativa di costume all'interno del sistema capitalistico di produzione e riproduzione della vita, quindi assolutamente compatibile con la stratificazione classista della società e con il suo portato d'estrazione costante di plusvalore, “l’eccedenza del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione”.

I dirigenti di siffatta “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, sono vanagloriosi, infatti, quando esprimono un sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui ambiscono al consenso immediato – si potrebbe dire irriflessivo - per meriti inesistenti o inadeguati circa le sorti del mondo e delle classi subalterne. “Peace & Lovead abundantiam sui social network come richiamo per le allodole, come spudorata espressione di un eclettismo che niente di buono prevede per le classi subalterne. La vanagloria immanente a simili scellerate mediatiche posizioni finisce con il produrre un vero e proprio cortocircuito di natura quasi teologico-morale a matrice cattolica, impedendo d'affrontare con coraggio un attuale e cogente ripensamento critico-politico della trasformazione sociale. Conseguentemente, l'eclettica leadership che confonde l'alternativa di costume con quella politica non affida al marxismo ed al leninismo il compito di interpretare teoricamente e strategicamente le contraddizioni economico-sociali in essere, attardandosi, in modo incongruo, in un immoderato desiderio di manifestare la propria bontà umana (rivendicando un indistinto afflato di pace e amore) e in tal guisa ottenere il rispetto delle umane genti, di quegli homines dei quali si trascura la reale e tragica sussistente condizione di classe.


La coscienza della suindicata “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, che incarna una aspetto d'ell'idealismo post-moderno (una sorta di variabile politico-ideologica del cosiddetto «pensiero debole») esemplificato dalla comunicazione sociale della sua leadership, si palesa, dunque, alla maniera di un pan-pacifismo che, come la coltre bianca della neve, tutto copre occultando i diversi profili del variegato territorio sottostante rendendolo suggestivamente e morfologicamente equivalente.

Come è possibile definirsi di “sinistra” o, addirittura, comunista non condividendo la seguente apertura d'analisi della questione: “Il capitalismo prepara, come sempre, le condizioni della guerra. Si può dire di più: il capitalismo è di per se stesso la guerra e, siccome tutto il mondo è capitalistico, la guerra è oggi la condizione permanente dell'umanità. Dal primo decennio del secolo lo sviluppo del capitalismo ha finito d'essere relativamente pacifico perché è stato questo sviluppo stesso a produrre l'imperialismo e a far sì che i paesi capitalistici più sviluppati avessero la forza economica, e quindi militare, di imporre le loro necessità di espansione e i loro interessi ai paesi capitalistici meno sviluppati e quindi più deboli o a paesi coloniali i quali subivano un processo di diffusione del capitalismo nel loro interno” (rif. L'imperialismo unitario, Capitolo XII, "Il nemico è in casa nostra" 1965-1968, Arrigo Cervetto, 1950-1980) ?


In secondo luogo, la deriva evangelico-pacifista sembra spazzare via, sottoporre ad oblio tutto quello sforzo di ricerca etico-politica, nell'ambito del materialismo storico, di Ernst Bloch secondo il quale “il futuro si caratterizza non tanto per essere ciò che supera uno stadio precedente in una scansione dialettico-evolutiva e progressiva; si caratterizza cioè non come ciò che annuncia un regno dei fini sia di segno religioso che politico-ideologico. Il futuro, nella prospettiva blochiana, è ciò che non è ancora. Anzi, grazie alla straordinaria intuizione della Ungleichzeitigkeit (la non contemporaneità dei tempi storici) il futuro può essere anche ciò che non è stato e che poteva essere, il futuro di un passato che non si è manifestato nella sua positività e che può ancora infuturarsi” (cit. Giuseppe Cacciatore, “Bloch e l’utopia della Menschenwürde”, b@beleonline, in Rivista online di Filosofia, n° 5, 2019, pagine 111-122). Per opporsi a questa potente critica al pan-pacifismo, a nulla può valere ricordare che Bloch, dopo i fatti di Ungheria del 1956, si trasferì nella Repubblica Federale di Germania, perché la questione etico-politica - esattamente come da Bloch posta - resta intonsa, affatto logorata.

Inoltre, seguire il trend dell'opposizione retorica e, quindi, inefficace della “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, al sistema vigente di cose, vuol dire macchiarsi di un grave torto d'ingratitudine nei riguardi di chi ha avviato, passando per Hegel, un percorso significativo di innervamento del marxismo (Mein Weg zu Marx la definì il filosofo ungherese al quale si fa riferimento) nella contemporaneità, così come analogamente operò Antonio Gramsci, collocando la ricerca della verità dal punto di vista storico-politico proletario.

Ci si riferisce a György Lukács (rif. Tattica e etica, 1919 e La distruzione della ragione, 1954), ad un antropocentrismo da lui proposto che può sfociare, distante dalla filosofia morale di Kant (che promuove l'intenzionalità esplicantesi come prescrittiva), e lo orienta, senza titubanza, nel centro della concezione storico-dialettica di Marx, quella del sovvertimento antagonistico-duale necessario dei rapporti sociali, perseguendo l'ineguagliabile scopo di riferirsi al soggetto subalterno socialmente in grado di sollevare le sorti dell'intero genere umano, aspirando così a compiere un tangibile percorso storico realmente garante di pace e di solidarietà (cfr. “La lezione radicale di Lukács”, Lelio La Porta, il manifesto, 3 Giugno 2021).

Prof. G. Dursi