Per
movimento sociale impegnato nel rinnovamento della “politica” e
della “rappresentanza” si può intendere l'insieme dei soggetti –
singole persone o associate, gruppi organizzati o spontanei –
attraverso cui la “società civile”, a partire dagli ultimi
decenni (anni '80) del Novecento, dal momento della crisi
irreversibile del sistema dei partiti di massa reduci dell'esperienza
politico-istituzionale democratica post-bellica, viene esprimendo
frustrazioni, capacità critica, volontà militanti emergenti e un
protagonismo comunicativo-sociale (narrazione contrapposta a quella
del “potere” costituito) nonché politico competente (allusioni
esplicite alla “democrazia diretta”), strutturando la propria
azione cosciente, sia a fini di difesa (rivendicazionismo
economico-normativo), sia a fini di costruzione identitaria e
d'organizzazione politico-culturale.
La
storia recente dei movimenti sociali che interpretano diffuse e
variegate esigenze di rinnovamento politico è dunque l'evoluzione
del continuo processo di ricomposizione politica delle masse, sin
dalla radicale espressione di tornare a contare nei riguardi della
autoreferenzialità del ceto politico, per giungere – sempre
partendo da questa aurorale determinante coscienza -, in alcuni casi
efficacemente (le esperienze che datano dal '68 al '77), ad un
antagonismo duale, ad una risoluta dialettica con il governo
capitalistico dello sviluppo industriale del modo di produzione e
della riproduzione delle correlate forme di vita.
Pertanto,
due sembrano essere i limiti intrinseci alle insorgenze attuali della
società civile nella porzione di mondo occidentale che si riferisce
all'Europa.
In
Francia una protesta contro il caro carburante, vede la galassia dei
gilet
gialli continuare dal 17 Novembre 2018 la lotta e guerriglia
cittadina,
unificando lentamente i soggetti frammentati dello scontento sociale;
pur essendosi presentati alle ultime Elezioni europee di fine maggio
ottenendo percentuali deludenti, non hanno intenzione di fermarsi
neanche dopo i ripensamenti governativi, senza però evolvere
positivamente dal “situazionismo” e dalla logica intrinseca alle
“rivolte da stakeholders”,
privi, come sembrano essere, di una pianificazione
politico-organizzativa che agisca da piattaforma necessaria a
costruire alleanze e “neutralità” utili ad autentico progetto di
irreversibile mutamento sociale, cioè ad una trasformazione prodotta
in un dato periodo storico (capitalismo globale) nella struttura
della società. A dimostrazione di ciò, infatti, non è per nulla
chiara la direzione di tali lotte e guerriglie cittadine oltre il
condivisibile discorso trade-unionistico
che
alimenta.
In questo caso, il lessico è incerto.
In questo caso, il lessico è incerto.
Tensioni
e processi sociali conflittuali indotti da una cecità strategica –
pur avendo caratteristiche tali da poter diventare un'estesa
'rivolta' popolare -,
nel lungo periodo, implodono ed autorizzano il potere ad esercitare
violente azioni repressive e di controllo conformistico delle nuove
leve di “les
révolutionnaires, les qualifiant de casseurs
et de fauteurs de troubles peu recommandables”,
come ebbe a definire i membri di tale movimento francese l'ex
Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Per
quanto riguarda le manifestazioni
delle “sardine”
in giro per l’Italia, il movimento nato a Bologna con l’ormai
celebre flash
mob
di 15mila persone in spasmodica replica ed in attesa dell'esito delle
Elezioni regionali dell'Emilia Romagna previste a Gennaio 2020, buone
quest'ultime per verificarne l'impatto politico-elettorale a sostegno
dell'establishment
in crisi di fronte alle spallate della destra, il limite principale è
di affermare la complessità sociale foriera di alienazione popolare
riconducendo però ad un orizzonte intrasistemico il potenziale
eversivo delle disuguaglianze sociali.
Il
“soggettivismo” delle “sardine”
esemplificato dalle pratiche di piazza e dall'ispirazione ecumenica
dei promotori autoconfina, purtroppo, il movimento negli angusti
ambiti “generazionali” 1
e nella gretta considerazione della «democrazia reale» come luogo
esclusivo di retoriche politiche a confronto dal quale potrebbe
scaturire un'agognato cambiamento nelle urne.
Ecco,
pensare di sconfiggere il liberismo contemporaneo e/o contrastare la
pericolosità e le gravi conseguenze, a dir poco apocalittiche, della
cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”, in altre parole,
della disintegrazione dell’economia reale, anche limitatamante alla
metropoli italiana, con il ripristino della corretta ritualità
partecipativo-elettorale e con l'enfasi narrativa della
“rappresentanza”, dalla quale, con l'immissione di forze fresche
(le stesse migliori “sardine”
?),
spontaneamente si genererebbe una democrazia sostenibile sorretta dal
modo d'espressione della volontà popolare, vuol dire illudersi e non
aver capito la lezione di storia che scaturisce dai 74 anni
intercorrenti dal risultati del
Referendum
istituzionale
di
domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma
di
Stato
da dare all'Italia dopo la fine del regime fascista e della seconda
guerra mondiale.
In quest'altro caso, il lessico è ambiguo.
In quest'altro caso, il lessico è ambiguo.
Altra
è la prospettiva della rottura degli ordinamenti statuali e
giuridici, sociali ed economici di una società e la riconfigurazione
radicale degli stessi attraverso un nuovo potere, strutturatosi nel
corso di manifestazioni che inducono – queste si – uno squilibrio
fra strutture fondamentali del consenso e del potere.
Giovanni Dursi
Docente M.I.U.R. di Filosofia e Scienze umane
1
A questo proposito, va ricordato che la Resistenza al Fascismo
nacque in Italia vent’anni prima che negli altri paesi democratici
dell’Europa occidentale; lo studio della Resistenza italiana,
propriamente detta, e cioè dei venti mesi dell’occupazione
tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non può quindi
prescindere dall’opposizione al Fascismo nei vent’anni
precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi
storici precedenti. Ciò evidenzia, inequivocabilmente, che non
furono solo i giovani ad opporsi con le armi ai nazi-fascisti, bensì
che molti partigiani, sopravvissuti ai conflitti a fuoco, giunsero
all'età della maturità con le armi in pugno dedicando
l'adolescenza alla Resistenza.
Nessun commento:
Posta un commento