Esaminato, da parte dello staff redazionale di una rivista on line con la quale ho collaborato e che “si pone come obiettivo primario la promozione, il sostegno, l’organizzazione e la gestione di iniziative, eventi e manifestazioni culturali e sociali nel pieno rispetto dei diritti umani, del diritto a pari opportunità senza distinzioni di razza, sesso, cultura, religione e salvaguardando l’ambiente” e ritiene di “esserci anche quando il pubblico è una minoranza”, l'articolo che pubblico è stato censurato.
Agendo come una sorta d'ibrida “autorità pubblica” (sul versante della censura politica) e come una “autorità ecclesiastica” (sul versante della censura ideologica), lo scritto non ha trovato spazio nel palinsesto, precludendo il prosieguo della collaborazione, poiché ritenuto eversivo. In questa sede, non intendo replicare; mi limito, per ora, a presentare il testo, al quale ho dato un titolo, minimamente modificato in alcuni passaggi per rendere la lettura più chiara ed arricchito da alcune utili citazioni, ovviamente, senza alterarne i significati teorico-politici, lasciando ad altri il "lavoro sporco" dei sofismi propri dei benpensanti che del capitalismo e dei suoi involucri politici sanno parlarne, ma non osano immaginare come poterlo adeguatamente "criticare" e superare. Sarò grato per ogni eventuale parere. G D
Da dentro il marxismo - Sulla crisi e superamento della "democrazia" e sulla sollecitazione all'organizzazione politica rivoluzionaria per il comunismo
Premesso che l'alleanza
sovranista è un ossimoro
– non si può dare una solidarietà politica internazionale tra
competitor
statuali pur in una evidente configurazione globale (empiricamente,
non si possono negare affinità “operative” tra Putin, Trump,
Erdogan, Orban, Xi Jinping e, via degradando, Bolsonaro e Salvini) e,
nel contempo, interpretare in modo esaltato i programmi dei diversi
interessi nazionali che rappresentano -, non si può, tuttavia,
misconoscere che l'onda
nera liberista post-novecentesca,
caratterizzata dal sistema
post-fordista multinazionale
di produzione (organizzato nella forma della serializzazione
digitale) e da un'economia
biopolitica in grado di
manipolare tutte le dimensioni d'espressione dei rapporti sociali
(rif. M. Hardt, A. Negri, “Impero – Il nuovo ordine mondiale”,
BUR, 2003, con particolare riguardo al Capitolo VI, “La sovranità
imperiale”, pagine 175-193), procede indisturbata nel suo
consolidamento del potere mondiale e nella sistematica
depauperizzazione umana delle classi subalterne.
La “democrazia reale”,
svigorita e irreversibilmente logorata, cede
la guida della storia a figure
marginali, ritenute a torto estinte, altrimenti concrete ed efficaci
che scandiscono il passo dell'oca intorno al capezzale del cigno
democratico (rif. al balletto di M. Fokine su una composizione di C.
Saint-Saens, 1901-1905), agli autoritarismi
post-fascisti in grado di
vincere gli antichi nemici valorizzando la povertà materialistica e
post-materialistica e la massa critica dell'ignoranza, ingredienti
indispensabili per le forme legali ed elettorali quanto per le forme
illiberali politico-militari d'affermazione e di conquista del potere
istituzionale e/o governativo. Il mix
delle “forme”, non del tutto storicamente originale, è sotto gli
occhi dei popoli assuefatti ad esse e quindi docilmente inclini al
“consenso” elettorale ed inesorabilmente piegati alla complicità
mistificatoria e violenta: unica alternativa, sul terreno
democraticista, si configura l'estraneità e/o ostilità verso il
sistema dei partiti. Niente di più.
Considerando
la “storia”, frutto di un “disegno razionale”, gli uomini,
dopo millenni di adattamento alle forme di vita del capitalismo
(ancor prima dell'affermarsi del sistema di produzione industriale
del XVIII secolo, prodromi sono le attività dei centri finanziari
del Medioevo e del Rinascimento europeo, che lo portarono
all’emergere come sistema dominante a partire dal XVI secolo) sono
diventati, per dirla con le parole di Umberto Galimberti (rif. a
“Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica”, Feltrinelli,
1999; “Il
nichilismo e i giovani”, Feltrinelli,
2007),
funzionari di apparati tecnici o burocratici, i cui valori sono la
funzionalità e l'efficienza con cui si devono compiere le azioni
descritte e prescritte dall'apparato di appartenenza nella tempistica
prevista, in altri termini, dal sistema di produzione e riproduzione
della vita.
Un compito
immenso, né regionale né continentale, bensì planetario,
considerate le vicende storiche alle spalle, irto di difficoltà, di
pericoli, di ostacoli e di incognite, eppure portato al successo,
quasi senza colpo ferire. Alla “democrazia reale” il sacrifico
umano resistenziale ed emancipatorio ha consegnato un'occasione
unica, per plasmare la “storia” e servire le popolazioni, che è
stata data a poche generazioni di uomini, dopo un itinerario di
millenni, eppure ha fallito.
Lo scarno
realismo dell'argomentazione porta a concludere che ciascuna
generazione ha il
suo problema particolare,
concludere una guerra, estirpare le discriminazioni, migliorare
progressivamente ed irreversibilmente le condizioni di vita,
consolidare la dignità umana, esigendo limiti “dell'umane genti le
magnifiche sorti e progressive” pretese senza innescare cambiamenti
radicali, considerate oggettive, liberarsi dalle forme di vita
dominanti similmente gestite come se fossero ipermercati.
Esigere un sistema
politico che conservi il senso
della comunità tra gli uomini
è oggi fuori dalla portata dal
discorso democratico
pronunciato dopo i due massacri bellici, fisici e culturali, del
Novecento,
subito smentito in latitudini non europee. Quel discorso non ha più
pregnanza, è un anacronistico, inutile lamento profetico per la
generazione attuale che
non sa più ascoltare. Lo
storytelling
della democrazia, non incanta più. La retorica democraticista e la
narratologia che ne scaturisce appaiono come obsolescenza
dell'organizzazione civile ed istituzionale dei popoli.
Chi ha costruito la
caducità della democrazia in Occidente – un albero con
radici ammalate - venuta a patti con il capitalismo indefessamente
selvaggio, praticato nonostante la legislazione sociale, i diritti
civili ed il benessere dinamicizzato (e, proprio per la sua natura
negoziabile, cristallizzato in sostanziali diseguaglianze) dalle
effimere conquiste salariali, rinculando rispetto all'apertura
necessaria di prospettive altre che la storia ha fatto germogliare
dal 1917 al 1924 senza repliche universalmente significative, si
è assunto la responsabilità di cedere il passo, di deflettere, di
cancellare memorie.
È necessario essere
capaci di uno sguardo in grado di catturare la vulnerabilità
dell'animo umano, in
balia di sovrastrutture alienanti, piuttosto che
stringerci
a coorte, pronti alla morte,
è
inevitabile considerare l'esperienza democratica un fatto politico
“minimo”, “procedurale” (rif. a Norberto Bobbio, “Il Futuro
della Democrazia”,
Einaudi,
2005 p.4, il quale ammette che “l’unico
modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto
contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di
considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o
fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le
decisioni collettive e con quali procedure”).
Pertanto,
si tratta d'assumere (potremmo dire: costruire),
abbracciare
totalmente il marxismo,
potremmo dire da
dentro il marxismo,
un'autentica prospettiva totalizzante d'adesione sincera ed
incondizionata all'obiettivo
del comunismo
contro un mondo le
cui rivoluzioni industriali ed il saggio
di profitto hanno fatto
intenzionalmente smarrire per sempre la sua essenza umanistica.
Per comprendere la
realtà contemporanea ci si deve dotare di un metodo
conoscitivo, certo, ma soprattutto di un'articolazione
di pensiero risolutivo della crisi
di civiltà maturata agli inizi del XXI secolo, di una prassi che sa
svincolarsi dai rivoli di sofismi che impediscono ai comportamenti
di avere la meglio sulla declamazione di principi morali.
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