Sui tempi malsani, contaminati dalle attese
«Gli
esseri umani sono unici. Come e perché lo siano ha stimolato
per
secoli la curiosità di scienziati, filosofi e persino avvocati.
Quando
cerchiamo di stabilire una distinzione tra animali ed esseri umani,
nascono
controversie e ci si azzuffa sulle idee e sul significato dei dati,
e
quando il polverone si placa, ciò che resta è una quantità
maggiore
di
dati su cui costruire teorie più forti e stringenti.
Stranamente,
in questo ambito di ricerca,
idee
opposte sembrano essere almeno parzialmente corrette»
Human.
Quel che ci rende unici (pag. 9)
Michael
S. Gazzaniga,
Raffaello
Cortina Editore, 2009
Al
termine del secondo decennio del XXI secolo, l'umanità è dentro una
bolla
asociale di silenzio,
di coatta “inattività”, di attese imperscrutabili. L'esperienza
laica del silenzio, di fronte alla disperazione delle presenti
vicende del quotidiano, comporta il passaggio
dall'assolutizzazione dell'Ego
alla presa di coscienza dell'“identità
relativa”.
L'improvvisa e fragorosa fenomenologia
del silenzio,
come la si può cogliere all’interno della manifestamente precaria
dimensione dell'esistenza umana, costringe ad esplorazioni
intime
le quali, se ben condotte allontanandosi dal risvolto mitico e
archetipico di tali investigazioni, aprono alla scoperta o alla presa
d'atto della pregnanza “salvifica” del desiderio
della ragione,
preludio di ineludibili conoscenze. È il cammino che conduce al
non-Sé.
Una speleologica tendenza psicosociale alla decostruzione,
con lo scopo di esplicitare le infinite possibilità di significato
e di interpretazione dell'esistenza collettiva méntre
la bolla esploderà.
Certo,
non si vuole disconoscere
lo stato di necessità, le indispensabili precauzioni e la
prevenzione possibile, bensì interpretare
l'evolversi della situazione epidemiologica ed il carattere
peculiare, aggressivo e letale, del contagio virale (ovviamente
preoccupati dall'incremento quotidiano, in scala globale, dei casi
conclamati da sintomi inesorabili, indubbi, evidenti), in un quadro
di riferimento generale che –
sensatamente – comprenda anche i plurimi versanti
dell'habitat
organizzativo della vita collettiva storicamente data, dai quali
contemplare la morte
(G. D'Annunzio, Aprile 1912),
ancor prima che fisica, culturale, insita negli stessi processi
tecnici che guidano il funzionamento e le relazioni all’interno
del sistema economico egemone, efficacemente pervasivo.
Questa
impostazione nella disamina non permette di eludere, preliminarmente,
la reale differenza che persiste, non tanto nella percezione
del dilagante fenomeno definito “emergenza sanitaria”, ma nel
rischio reale di vita che l'alta onda del contagio immette
nelle biografie personali.
Sono i lavoratori dipendenti, ancora una
volta, ad avere – più vicino di ogni altro - sulle proprie spalle
la falce affilatissima che distende la lama indiscriminatamente,
essendo ancora considerati un inesorabile sacrificio umano
sull'altare della produttività da non interrompere e del profitto da
garantire, ad ogni costo.
Inoltre,
intorno a questa perversa gestione di un fabbisogno universale
di tutele e delle misure di contenimento, fanno capolino becere
velleità eugenetiche nelle diverse versioni, da un lato, di
evitare le cure necessarie agli anziani colpiti, considerati
condannati per età e malattie pregresse e, dall'altro, della
“soluzione” messa in campo dall'attuale Governo inglese e dagli
epigoni che ritengono di poter accettare un numero certo di decessi
oltre il quale si svilupperà “magicamente” la cosiddetta
“immunità di gregge”, dando per scontato e indispensabile, tra
l'altro in assenza di un vaccino, che si ammalino migliaia di persone
per immunizzarne la maggioranza sopravvissuta al contagio.
Altro
paradossale aspetto, dell'attuale tempo
di vita sociale sospeso,
riguarda la comunicazione sociale. Nella società statualizzata
contemporanea ove le modalità
individuali e gruppali di interazione e comunicazione
si moltiplicano – indotte dall'innovazione tecnico-scientifica e da
abili strategie di marketing
e commercializzazione dei prodotti (obsolescenza programmata 1)
- e le telecomunicazioni trovano ulteriore potenziamento e transitano
decisamente verso procedure di “inclusione digitale” favorendo
l’accesso ai benefici dell’Information
and Communicatio Technology da
parte di tutte le persone al suo linguaggio alfabetizzate (certo, non
è affatto superata la questione del digital
divide),
oggi sono negate,
drasticamente
inibite,
da provvedimenti normativi ispirati alla tutela della salute pubblica
ed all'emergenza sanitaria che obbligano
tutti ad estirparle,
le primordiali
forme di comunicazione
– quelle interpersonali vis-à-vis
- tipiche delle società senza Stato.
L'interdizione
dell'intera gamma dei contatti che solitamente hanno luogo o si
svolgono fra persone – empiricamente, l'intensa sollecitazione
d'una norma di prossimità
- ha un immediato riscontro sulla fenomenologia
del controllo sociale
e su entrambi i livelli sui quali tradizionalmente si manifesta: il
livello della persuasione
alla conformità
e quello della repressione
delle devianze;
proprio quest'ultimo – come concepito (2)
nella commistione tra emergenza epidemiologica, ordine pubblico e
tranquillità pubblica (3)
– fornisce la cartina al tornasole di questi tempi
malsani, contaminati dalle attese,
la prova irrefutabile del passaggio dalla cosiddetta “società
disciplinare” a quella dell'introiezione (ideologica) del
controllo, dove non è più solo il “potere costituito” ad
esercitare la sorveglianza (e punire; rif. a Michel Foucault,
Surveiller
et punir: Naissance de la prison,
1975), bensì sono le stesse soggettività
sociali, portatrici di spavento, unilateralmente informate,
frammentate nelle appartate fruizioni e dei social
network
e delle piattaforme d'intermediazione, ad essere sospinte
all'autocensura, all'autocontrollo anche vicendevole, all'incessante
omologazione
dei comportamenti alle direttive governative emanate.
Pertanto,
sembra che l'accentuata plurisecolare civilizzazione
(statualizzazione) dell'umano,
abbia reciso
i legami
con gli aspetti, peraltro insopprimibili, biologico-naturali
dell'esistenza, sembra che abbia ridefinito la condizione
extragenetica, artificiale, “culturale” della riproduzione della
vita, proiettandola in una dimensione
totalmente asèttica
rispondente solo alle regole sopravvivenziali dell’asepsi, come se,
di fronte al dramma, la regressione
comune
al sistema esigenziale primario (rif. a A. H. Maslow 4),
agisca inevitabilmente da “modificatore
sociale”,
con buona pace dell'antica convinzione, non solo aristotelica,
secondo la quale l'uomo è un «politikòn
zôon»
(rif. Aristotele, Τὰ
πολιτιϰά,
IV secolo a. C.).
Non
paia banale ricordare che l'umano
ἐγκέφαλος,
dotato di una corteccia sempre più vasta e più complessa rispetto
agli altri primati, quella porzione anteriore del sistema nervoso
centrale, contenuta all’interno della scatola cranica e costituita
da cervello, cervelletto e tronco dell’encefalo, che con i
1.300-1.500 grammi di tessuto gelatinoso, composto da 100 miliardi di
cellule neurali ognuna delle quali sviluppa in media 10 mila
connessioni (l'esistenza di queste connessioni, o sinapsi, fu
scoperta alla fine del XIX secolo dal fisiologo inglese Charles Scott
Sherrington) con le cellule vicine, non attiva solo l'arcaico
romboencefalo.
Come, nel XX secolo, L. S. Vygotskij ha dimostrato, sono le funzioni
intellettuali superiori ad emergere dalle esperienze sociali, grazie
alla efficacia della “zona di sviluppo prossimale”, concetto
unificatore dello sviluppo sociocognitivo umano (rif. a Pensiero
e linguaggio,
1934).
Per
dire che l'essere umano è da tempo immemorabile un ùnikum
– fenomeno eccezionale e irripetibile – tale da non poter essere
“trattato” in ogni evenienza solo come corpo;
è differente inoltre da tutte le altre specie animali per la
complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta
capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra
via che non sia l’ereditarietà biologica, è cosciente e
responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo
organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e, come
tale, soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che
regolano il restante mondo fisico.
L'essere
umano non
è
un tubo digerente, le strutture del cervello rispecchiano la sua
filogenesi nella “onnipresente lateralizzazione delle funzioni
cerebrali” (op. cit., Michael S. Gazzaniga Human.
Quel che ci rende unici, pag 34).
Nel
λόγος,
inteso come unità
di pensiero e linguaggio,
di discorso e ragione, risiede la peculiare autonomia
del suo essere, nella disponibilità dell’uomo a seguito
dell’evoluzione naturale, e diventa effettivamente utilizzabile da
parte di ciascuno degli individui come risultato dell’apprendimento
sociale.
Dietro al λόγος
c’è, sempre, ovviamente, la presenza del cervello, un piccolo
grumo di cellule gelatinose, con sede nel cranio e che è capace di
produrre una quantità di stati mentali superiore al numero di
particelle elementari dell’universo conosciuto.
Questo
organismo/uomo
unitario
ora è costretto a ridimensionarsi,
colpa della pandemia che corre veloce attraverso i vastissimi
territori nazionali e continentali, scindendosi in un essere
biologico che non è più e non può più essere, tralasciando la sua
“seconda natura culturale”, come analogamente analizzato anni fa
da Naomi Klein in Shock
economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri
(BUR Rizzoli, 2007) che “stabiliva una convincente correlazione fra
i disastri climatici, gli “eventi estremi” e le restrizioni della
vita democratica, a partire naturalmente dagli Stai uniti” (5).
L'ipotizzato
caratteristico agire
sociale dell'uomo
è qualificato, oltre che dalle attività cooperative volte alla
sopravvivenza delle comunità, anche da quelle volte alla
riproduzione solidale dell'arco vitale individuale; in altri termini,
le risorse antropologiche lavorative e l'ingegno che le esprime
sarebbero orientate alla sopravvivenza non solo in quanto individuo,
ma anche in quanto specie. L’uomo «politikòn
zôon»
essendo ontologicamente
preprogrammato
ad essere depositario
di un'identità relativa sociale,
definirebbe la produzione e la riproduzione della vita sia secondo il
loro contenuto di materialità che in termini di progresso culturale.
Coesisterebbero, conseguentemente, sia una produzione sia una
riproduzione, al contempo, materiali e sovrastrutturali.
Va
constatato che le inibizioni
comportamentali
(ad esempio le proibizioni di cui alla precedente nota 3 del presente
testo) e l'astensione
dai contatti fisici
nello spazio-tempo sociale (urbano, lavorativo, domestico, affettivo)
in atto, sono, insieme, in apparente e reale contrasto con il comune
modo di pensare o con le più elementari norme del buon senso, e
quindi sono inaccettabili sul piano logico, pratico, morale, ancor
più per quanto riguarda i cosiddetti millennials
(tra
14 e 18 anni) e i “nativi digitali” spuri (tra 18 e 25 anni) che
trovano occasione di sviluppo cognitivo, relazionale, emotivo, etico,
proprio nell'integrazione
dell'esperienza “virtuale”, del processo di virtualizzazione
della socialità (6),
con la dimensione biologica dell'esistenza (dalla percezione
sensoriale all'ἔρως, dalla fatica all'autoriflessività
attuabile grazie alla possibilità di distanziarsi, autosservare e
riflettere sui propri modi di essere e sui propri stati mentali “in
situazione” pubblica).
La
parvenza germinale di un diverso modo di essere del reale
– ad alto impatto tecnico elettronico ed immateriale - che, come
tale, non sempre costituisce una fuga dalla realtà, ma un
potenziamento di forme tangibili di intervento su di essa, pare
causare
– in questo frangente
di autoisolamento, relazionalità coartata e
ritiro
sociale,
all'interno di una evidente riproposizione del “condizionamento
operante” (rif. a B.
F. Skinner,
The
Behavior of Organisms: an Experimental Analysis,
New York: Appleton-Century-Crofts,
1931;
Science
and human behavior,
New York, The MacMillan Co., 1953; Holland
J., Skinner B. F., The
analysis of behaviour,
New York: Mc Graw Hill, 1961), come strumento strategico del
controllo sociale tendente
a formare una moltitudine di “personalità
evitanti”
(7)
-, simultaneamente e contraddittoriamente, una deriva
verso un troncamento
di ogni qualsivoglia riconoscibile comunicazione con il mondo
degli altri,
non riuscendo ad emergere così alla pienezza ed autenticità dei
rapporti sociali, bensì rendendola inessenziale, quasi effimera, ed
enfatizzando al contrario l'esclusiva soddisfazione dei
bisogni
individuali per la sopravvivenza
fisica, le necessità “fisiologiche”, fame, sete, sonno,
termoregolazione, i primi a dover essere soddisfatti a causa
dell'istinto di autoconservazione e, parzialmente, dei bisogni
di sicurezza
- che aprono oggettivamente alla relazione sociale - quali le
occorrenze connesse a protezione, tranquillità, prevedibilità,
limitazione/soppressione di preoccupazioni e ansie.
La
stessa lettura
darwiniana
dell'evoluzione umana si contraddistingue nella messa in valore della
capacità cosciente, cumulabile e variabile storicamente, di rendersi
nella maggior misura possibile indipendente
dalla natura, tanto che si potrebbe sostenere paradossalmente che
ormai siano
nella natura intrinseca dell’uomo la sua volontà,
possibilità
e capacità
di rendersi in parte indipendente dallo stesso ambiente naturale.
I
processi attraverso i quali si è arrivati a un tale divenire
sono materia per gli antropologi; ciò che qui ci interessa è capire
come le due fondamentali attività dell’uomo, la trasformazione
della natura e
la
relazione con gli altri uomini,
siano due aspetti
inscindibili
della definizione stessa di umanità: ciò vuol dire che non è
corretto analizzarli separatamente o, meglio, vuol dire che si deve
tenere sempre conto della loro
interconnessione,
della natura
costituzionalmente (fondativa)
ibrida dell'essere umano.
Tanto la forza fisica e i variegati strumenti di
trasformazione/valorizzazione della natura e di se stesso, quanto le
esperienze, conoscenze e relazioni organizzate tra simili, hanno
fatto dell'uomo un soggetto
– agente consapevole - di storia,
emancipandosi definitivamente dalla mera configurazione biologica e
da quell'orizzonte chiuso, limitato, che lo ha rinserrato per
millenni, dei bisogni fisiologici, riconducendo in via esclusiva e
subordinando al Sé biologico ogni sorta di istanze ulteriori,
prescindendo dall'immanenza di altri modi di estrinsecazione
dell'umano e di riferimenti extragenetici.
Da
questo punto di vista, oltremodo significativa è l'attualissima e
accurata riflessione contenuta nel recente volume di Giulio Gioriello
e Pino Donghi, “Errore” (il Mulino, 2019)
«Al
tempo della società controllata dagli algoritmi, se cadiamo in una
situazione imprevista dalla procedura – ciò che legittimamente
potrebbe configurarsi come un errore o un'imprecisione che la serie
di stringhe non aveva anticipato – in ogni caso l'unica soluzione
proposta è “reset e riparti”: siamo capitati in uno stato non
programmato e da cui è impossibile (con il programma in essere)
ritornare dentro una qualche configurazione gestita, da cui
procedere in modo controllato. Nei fatti siamo guidati all'interno di
una dimensione da cui l'errore è stato escluso, bandito, non più
ammesso. Cercheremo di argomentare che ci siamo abituati,
evidentemente male. Ed è anche in virtù (diciamo così!) di questa
nuova configurazione dell'esistenza, dove l'errore è inconcepibile –
specialmente come vedremo nell'interazione con i medici e la medicina
– che tendiamo a considerarlo troppo spesso inaccettabile e
scandaloso. L'errore ci sgomenta e ci sconcerta; non può
riguardarci. È contro tempo, appunto.
Semmai
ci fosse, è bene che se ne occupi il dio-architetto-progettista. Per
quanto ci riguarda è meglio iniziare una nuova partita,
possibilmente con un gadget nuovo di zecca» (op. cit. p. 13-14).
Dedicato
alla “condizione del progresso” il pamphlet
sostiene che la la nostra storia genetica ci ricorda come le specie
sopravvivano adattandosi all'ambiente a partire da errori “casuali”
, talvolta fatali, ma spesso utili e risolutivi.
Inoltre, nel
mondo dall'I. A., l'anomalia dell'imperfezione è ancora necessaria
per avanzare nel cammino della conoscenza.
Ne consegue che, come in tutte le attività umane, periodici errori
sono inevitabili,
di regola non causati dalle azioni di un singolo e tantomeno
intenzionali; in secondo luogo, che la meravigliosa macchina
biologica della quale siamo dotati come esseri viventi non è più da
tempo considerabile distintamente
dalla parte extragenetica, “artificiale”, culturale intimamente
ed irreversibilmente associata al nostro corpo.
Gli
errori umani che procurano danni alla componente anatomo-fisiologica,
per questo motivo, in medicina, rari, non augurabili e spesso
prevenibili, ma mai inconcepibili, non possono essere affrontati
deliberatamente come materia
di esclusiva pertinenza sanitaria e normativa.
L'azione politica del concentrare
i cittadini negli antri devoniani domestici e, nello stesso tempo, enfatizzare il “distanziamento
sociale”
come pubblica terapia, svela il tentativo di nascondere un'irresponsabilità
(incolpevolezza) basata sull’elemento della scelta di ridurre
l'uomo al suo corpo
suscettibile di precoce decadimento. Proprio l'inadeguata
riflessione
sulle circostanze (talora eccessivamente e sbrigativamente valutate,
talvolta sottovalutate) degli errori nell’esercizio della relazione
sociale, biologico-culturale tout
court,
finisce per costituire un’insostituibile occasione per il
miglioramento delle procedure di riproduzione
generazionale della vita,
oltre che per la corretta valutazione dell’innegabile originalità
della risposta a trattamenti e cure ed eventualmente per risarcire le
vittime non occasionali.
A
tal proposito, va disapprovato con fermezza il rito
puerilmente esorcizzante
dell'affacciarsi dai pertugi di casa ascoltando o interpretando il Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d'Italia (!!!),
Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d'Italia, un canto
risorgimentale (!!!) scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro
nel 1847 (!!!); una
liturgia nazional-popolare o populista che evolve (!!!) nella forma dei flash-mob
("dal sapore di nazionalismo più becereo"; "rubo" la frase a Nicole Della Rocca, eccellente studentessa di Scienze umane) con persone affacciate ai balconi
o
alle finestre di casa, ispirate anche alle modalità di contestazione
adottate dal pubblico su sollecitazione del guru televisivo (tal Howard Beale che minaccia di uccidersi in diretta, incrementando notevolmente gli ascolti ... !!!), come accade in una scena del
film Quinto
potere
(regia di Sidney Lumet, 1976), in un tenersi collettivo per mano che
non può essere “vero”. Tutto questo "protagonismo popolare" si
palesa nella rimozione sostanziale di quanto accade nel frattempo: il
completamento della torsione antidemocratica dello Stato ormai pronto a
fare da "cassa di risonanza" di "invocazioni d'azioni di repressione-controllo da parte dell'Esercito e delle forze dell'ordine", ad agire come moltiplicatore di "ansia
generalizzata senza alcune mediazione razionale che ha dei risvolti
apparentemente schizofrenici (tra intolleranza, diffidenza dell'altro e
senso di apparteneza comunitaria)"; cito ancora le puntuali parole di Della Rocca.
Tali diuturne celebrazioni evocano la narrativa
deleddiana, basate su forti vicende d'amore, di dolore e di morte
sulle quali aleggia
il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile
fatalità (come
si evince in Grazia Deledda. La
vigna sul mare,
Treves-Treccani-Tumminelli, 1932), si avvalgono d'una banale
sceneggiatura spingendo a recitare con fervore salmi
preconfezionati, #stiamotuttiacasa,
#insiemecelafaremo, #andràtuttobene ignorando cinicamente i duemila morti circa accertati che, ad oggi,
non ce l'hanno fatta e non potranno più – neanche volontariamente
- “farcela a stare in casa”.
Il
vincolo
sociale
non può essere ricondotto a relazioni
terapeutiche
e, prioritariamente, alla segregazione
e alla esclusione
come sta avvenendo e come sollecitamente si è indotti a pensare e ad
agire disciplinatamente. Tale dispositivo
panottico
di contrasto e di cura – nell'immediato e ciò è innegabile –
comporta la trasformazione degli individui
da “soggetti di una comunicazione” a prigionieri
ovvero “oggetti d’informazione”, la rarefazione
sociale,
la morte
culturale dentro la camicia di forza di Narcisi ammalati,
ed una prevista irrefrenabile infantilizzazione
dell'umanità (la sindrome
neotenica
della contemporaneità rigorosamente tematizzata da Paolo Virno in
Scienze
sociali e «natura umana». Facoltà di linguaggio, invariante
biologico, rapporti di produzione,
Rubbettino, 2003) che genera senso collettivo di perenne
incompletezza
e reiterata insoddisfazione.
Come
opportunamente è stato affermato “La
relazione con gli altri è … l’unica fonte della propria
autostima, la cui perdita, reale o minacciata, è intollerabile e
porta all’aumento della distanza tra l’immagine del Sé e
l’ideale del Sé […] il Sé ideale … ha bisogno degli altri”.
A. Adler docet
(rif.
a studi 1907-1936).
Prof. Giovanni
Dursi © Marzo 2020
Docente M.P.I. di Filosofia e Scienze umane
Docente M.P.I. di Filosofia e Scienze umane
1
Espressione con cui si fa riferimento al processo mediante il quale,
nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei
consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici
o appartenenti ad altre tipologie. Tale processo viene attivato
dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di
funzionalità, e si realizza mediante opportuni accorgimenti
introdotti in fase di produzione (utilizzo di materiali di scarsa
qualità, pianificazione di costi di riparazione superiori rispetto
a quelli di acquisto, ecc.), nonché mediante la diffusione e
pubblicizzazione di nuovi modelli ai quali sono apportate modifiche
irrilevanti sul piano funzionale, ma sostanziali su quello formale.
Il fenomeno era stato rilevato già nel 1957 da Vance Packard in The
hidden persuaders (1957, trad. it. 1958).
2
Il riferimento è al DPCM 11 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni
attuative del Decreto-legge
23 Febbraio 2020, n. 6,
recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero
territorio nazionale. (20A01605) (GU
Serie Generale n.64 del 11-03-2020)
recante ulteriori misure in materia di contenimento e gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sull'intero territorio
nazionale.
3
Con
particolare riguardo allo spostamento delle persone fisiche
all’interno di tutto il territorio nazionale, nonché alle
sanzioni previste dall’art. 4, comma1, del Decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri dell’ 8 Marzo 2020, in caso di
inottemperanza (art. 650 C.P. salvo che il fatto non costituisca più
grave reato). Il Dispositivo dell'art. 650 Codice penale così
recita: “Chiunque non osserva un provvedimento
legalmente dato dall'Autorità
(1)
per ragione
di giustizia
o di sicurezza
pubblica,
o d'ordine
pubblico
o d'igiene (2),
è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato
[337,
338,
389,
509]
(3),
con l'arresto
fino a tre mesi o con l'ammenda
fino a duecentosei euro (4)”.
4
A Theory of Human Motivation, 1943; Motivazione e personalità,
1954-1970, Verso una psicologia dell'essere, 1971.
5
A questo proposito, vedere l'articolo di Angelo
d’Orsi
Lo
shock (anti)democratico del virus, MicroMega, 14.03.2020.
6
Rif. a Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
7
Rif. a “[ … ] l’evitante
ha una rappresentazione di diversità e/o di inadeguatezza personale
che vive come uno stato di fatto, più o meno doloroso, una realtà
con cui confrontarsi nella vita; ha la percezione stabile
dell’impossibilità a condividere e/o appartenere al mondo
relazionale e sociale”, Popolo,
R., Dimaggio, G., Marsigli, N. & Procacci, M., Difficoltà nella
percezione del senso di appartenenza: un confronto tra fobia sociale
e disturbo evitante di personalità, Psicoterapia Cognitiva e
Comportamentale, 13 (3), 2007, 301-322. Vedere anche: Borgna, E. La
solitudine dell’anima, Feltrinelli, 2011).
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