martedì 16 novembre 2010

“Avatar” di partito e dittatura del proletariato

Abbiamo scritto della nostra partecipazione alla lotta politica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/lelettore-ha-votato] ultratrentennale, discreta, generosa, mai – consapevolmente – leaderistica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/manifesto-per-3punto0 - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/inventare-informazione-creare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/il-dire-e-il-fare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sapere-potere-e-semiosfera]; abbiamo fornito contributi d'analisi e “presenza”, nell'ultima, troppo lunga, stagione caratterizzata dalla regressione autoritaria e dall'instaurata egemonia politico-culturale delle “destre”, per certi versi alimentata da sofisticate tumorali modalità, letali per la “democrazia italiana” [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/facebook-e-soluzione-cilena-1]; abbiamo anche – quantomeno dal '77, cioè dal significativo pronunciamento dell'autonomia politico-organizzativa del variegato movimento antagonista – preso le distanze, anzi, non abbiamo mai avuto a che fare con le prassi della sinistra parlamentare e con la storia delle organizzazioni sindacali e partitiche del movimento operaio, con quel mutageno andamento del PCI che diviene PD, secondo la logica della “democrazia progressiva”. Ebbene, forti esclusivamente della “coerenza pensiero-azione” e del conseguente rigore etico e culturale, forti d'una formazione e militanza individuale e/o collettiva che fanno riferimento al marxismo-leninismo, abbiamo – mai verticisticamente, bensì insieme ad altre donne ed altri uomini condividendo con essi entusiasmi e preoccupazioni – pazientato, parlato, scritto, collaborato a tante ipotesi programmatiche e ad azioni politico-rivendicative interne a un'opposizione sociale di massa al dominio capitalistico-borghese; abbiamo ricercato, quando necessario, oneste “alleanze e neutralità” sul piano politico-organizzativo … Ebbene, siamo ancora indubitabilmente convinti che è nel conflitto che va ricercata ed individuata un'identità autenticamente alternativa ai profili di “sinistra” di alcune proposte politico-mediatiche – perché pare che non ci possa essere più comunicazione sociale su contenuti politici che non sia obbligatoriamente banalizzata inserendola nel frullatore televisivo, nello spettacolare palinsesto dell'acquario elettrico-elettronico, nella vetrina che scompone enfatizzandone l'impatto, come un prisma la luce, l'immagine, l'attoriale performance ed addirittura i toni audio dai contenuti da trattate pubblicamente non più così “importanti” - che, in questo scorcio d'epoca [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/cognizione-politica-bottomup - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/io-narrante-e-coscienza - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/a-bologna-come-altrove-in] sembrano affascinare, ipnotizzare e, purtroppo, convincere lavoratori e cittadini appartenenti alle “classi subalterne” [Confrontare “Proletari senza rivoluzione : storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950”, Renzo Del Carria, Roma, Savelli, 1979 - Contents: 1860-1892, dalle insurrezioni in Sicilia alla crisi del partito operaio - 1892-1914, dalla fondazione del PSI alla Settimana rossa - 1914-1922, dalla prima guerra imperialista alle giornate di Parma - 1922-1948, dalla marcia su Roma all'attentato a Togliatti - 1950-1975, dal "miracolo economico" al "compromesso storico" (2. ed.)]. Non possiamo assistere passivamente all'omologante deriva in corso, del resto ispirata ad una reciproca legittimazione tra “partiti” espressione del potere economico-politico e culturale, establishment mai messo in discussione dentro una continuità/stabilità strutturale del dominio e gerarchia sociale imposta dal capitale e sapientemente declinata, dal 1945 ad oggi, dalle “sinistre” come “interclassismo”. Perché non ribellarsi – ora, al tramonto d'una intera “classe dirigente” velleitariamente “riformista”, “democraticista”, autoreferenziale, non più utile al lavoro sporco di “mediazione sociale per il consenso” (elettorale), considerato che è l'Impresa a farsi Stato [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fabbrica-italiana-di-profitti - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/governo-impresa-conflitto - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sergio-marchionne-gli] - ed entusiasticamente resistere e combattere per edificare ex-novo una società libera [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/dopo-il-16-ottobre-uscire] ? Non è poi impossibile inventarsi soluzioni praticabili per liberarsi dalle pastoie della “politica delle deleghe e del voto” o, più semplicemente, attualizzare l'unica “variabile” che la storia ha prodotto e consegnato alle generazioni a venire, soppressiva del sistema capitalista di produzione e riproduzione sociale: la sperimentazione comunista, nella concreta, breve esperienza degli anni intercorsi dal 1917 al 1924, in Russia. La voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune è manifesta.Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale vigente. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole – discussione non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo [http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e?xg_source=activity]. Pensiamo, senza curarci della disperata ironia di chi è impegnato nei retrobottega dei partiti in agonia ad organizzar “primarie” o a sermonar per accreditarsi un 7-8% del “buon” elettorato, che sia la dittatura del proletariato e nessuna politica “progressista”, “riformista”, “democraticista” a poter emancipare i popoli dal loro inferno in terra. Il “sistema dei partiti”, sedicente democratico, fuoriuscito dalla lotta armata partigiana, non ha prodotto condizioni di vita favorevoli all'uguaglianza ed alla libertà costitutive d'ogni organizzazione sociale non oppressiva. C'è da assumersi la responsabilità d'un cambio di passo, di un mutamento di linguaggio, di un intento antagonista che disegni, progetti ed attivi una rottura del quadro politico strutturale, del putrescente sistema sociale e delinei l'orizzonte di un'effettiva ed agibile rete di contropotere. L'unica azione politicamente utile per le masse popolari non può che essere antisistema, per spezzare l'irritante riproposizione di avatar politici privi di dignità che inutilmente tentano ancora di oscurare la grandezza morale degli uomini sulle gru. Tutte le nostre risorse, intellettuali e fisiche, tutti i nostri modesti sforzi saranno dedicati a questa impresa di rottura sociale e politica. La base delle “democrazia” non è la “libertà d'espressione” - prevalentemente di élite contrapposte -; è la realizzazione “in terra” d'una società ove "l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!".
Giovanni Dursi, Novembre 2010"Quest'ultimo boccone di vita è stato per me finora il più duro da masticare ed è pur sempre possibile che io ne rimanga soffocato [ . . . . . ] Se non riesco ad inventare l'espediente alchimistco di trasformare anche questo fango in oro, sono perduto" - Lettera di Nietzsche a Overbeck, relativa alla rottura con Lou Salomè e con Paul Rèe

sabato 6 novembre 2010

Sapere, potere e semiosfera

Sussiste un'analogia di struttura tra l'accumulazione della ricchezza, socialmente prodotta ed appropriata privatamente, e l'elaborazione monadica dei “materiali informativi” sulla realtà; l'incremento indefinito di conoscenze – soggettivisticamente prodotte – rende plausibile e socialmente operativo il nesso sapere-potere. Al di fuori di un”interlocuzione sociale” stabile e d'una condivisa costruzione delle “verità” sulle contraddittorie forme di vita, al di fuori d'una autentica “conoscenza collettiva”, non sono mai attendibili cognizioni proposte nella e dalla forma gerarchica del “lavoro intellettuale” realmente sussunto nell'organizzazione sociale capitalista. Ciò accade anche quando, individualmente e nelle sembianze di “falsa coscienza”, ci si propone come artefici di pensiero antagonista, alternativo alle diffuse conoscenze compatibili con l'assetto di potere; anzi, in questa guisa, si esprime proprio l'oggettiva separazione tra “chi sa o presume di sapere” e il referente sociale per il quale immagina di rappresentarne e, nel contempo, configurarne l'“esterna coscienza”. Le conoscenze – anche quelle autoprodotte e detenute da un singolo individuo – sono immerse “in un continuum semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione”: è proprio questo continuum che rende possibile la vita sociale, di relazione e comunicazione, ed è chiamato da Jurij Michajlovič Lotman (1922 -1993) semiosfera. “La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi” (passo tratto dal saggio intitolato appunto La semiosfera, 1984, in Lotman 1985, Venezia, Marsilio p. 58). Altro è identificare nel proprio operato e praticare quella schizofrenica separazione tra la possibile acquisizione ed il possesso di conoscenze e nozioni fatte proprie attraverso lo studio, l'informazione, l'applicazione e l'apprendimento, da un lato, e l'esperienza sociale, quell'insieme di pratiche – piuttosto che un apparato concettuale fabbricato teoricamente – che scaturiscono dall'aver visto, provato, esperimentato insieme ad altri e che generano il patrimonio culturale della collettività, dall'altro. A proposito, va ricordato che nella teologia cristiana, la “sapienza” è un attributo divino che si identifica con il Verbo o Figlio; tale concezione revisiona l'idea del tardo giudaismo, secondo la quale la “sapienza” è manifestazione di Dio (che “sa”) come creatore ed ordinatore provvidenziale del mondo (che “non sa”), confluendo nelle teologia cattolica che l'annovera tra i sette doni dello Spirito Santo in grado di conferire (a coloro che “non sanno”) la grazia del discernimento delle “realtà soprannaturali”.

lunedì 1 novembre 2010

Facebook e "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali

Da un lato, "la cultura come ecosistema, dove tutto è in relazione, territorio d'incontro, luogo senza confini geografici per una lettura trasversale delle informazioni, per l'approfondimento e la conoscenza", dall'altro, stanno predisponendo la "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali con interventi straordinari di contrasto alla logica open source e del social networking;giusto per conoscenza ... visto che moltissimi utilizzatori di Facebook (e affini) continuano ingenuamente a credere che i loro dati su Facebook non siano pubblici e non "perseguibili"... Da L'Espresso - "Una bomba sui cittadini della rete" di Alessandro Gilioli - "Il patto tra Facebook e il Viminale è un attentato ai diritti dei cittadini digitali. E la prova che gli utenti non possono essere spettatori passivi in un rapporto diretto tra le corporation di Internet e i governi locali. Nel nostro Paese abbiamo assistito negli ultimi anni a un'escalation di norme e di proposte di legge per rendere l'accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato. Proprio in questi giorni, ad esempio, l'Agcom sta valutando come rendere operativa l'odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo Romani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv». Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta 'caccia all'internauta' che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l'aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l'effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l'altro giorno Maroni ha promesso di "superare" il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell'identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera). Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo (RIPORTATO DI SEGUITO) è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei "netizen", i cittadini della Rete. Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l'internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte. Aspettiamo quindi urgenti chiarimenti dalla Polizia Postale e dal ministero degli Interni, da cui dipende. E non basta certamente una smentita rituale, perché le notizie pubblicate nell'articolo di Florian provengono da fonti certe e affidabili. Da un punto di vista politico, inoltre, la cosa è davvero grottesca: mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste dai magistrati, contemporaneamente il ministero degli Interni si arroga il diritto di intercettare i nostri contenuti e i nostri dialoghi su Facebook senza alcun mandato della magistratura. Viene il sospetto che questa differenza di trattamento sia dovuta al fatto che i politici, i potenti e i mafiosi non comunicano tra loro sui social network, e quindi il loro diritto alla privacy venga considerato molto più intoccabile rispetto a quello dei normali cittadini che invece abitano la Rete. Allo stesso modo, aspettiamo chiarimenti urgenti sul secondo socio del 'patto cinese' firmato a Palo Alto: Facebook, che da un po' di tempo ha aperto uffici in Italia con tanto di responsabili e dirigenti. Per prima cosa, Facebook ha l'obbligo di rendere pubblico l'accordo firmato con il nostro Ministero degli Interni, perché riguarda tutti noi, cittadini italiani e al contempo cittadini di Facebook. A cui quindi i vertici del social network devono non solo immediate scuse, ma garanzie precise che questo patto diventi al più presto carta straccia e che i diritti degli utenti vengano concretamente ripristinati e garantiti. Il social network fondato da Zuckerberg, si sa, è uno straordinario strumento di socializzazione, di promozione di cause sociali e potenzialmente di crescita e confronto di tutta una società. Ma si va manifestando ultimamente anche come una dittatura in cui le pagine e i gruppi vengono bannati in modo in modo arbitrario e insindacabile: e adesso come un informatore di polizia di cui non ci si può più in alcun modo fidare. Più in generale, quanto accaduto dimostra che i mondi virtuali di cui oggi siamo cittadini (inclusi YouTube, Google, Second Life etc) devono iniziare a rispondere in modo trasparente ai loro utenti. E gli accordi privati con i governi sono esattamente all'opposto di questa trasparenza."
"La polizia ci spia su Facebook" di Giorgio Florian - "Un patto segreto con il social network. Che consente alle forze dell'ordine di entrare arbitrariamente e senza mandato della magistratura in tutti i profili degli utenti italiani. Lo hanno appena firmato in California (28 ottobre 2010). Negli Stati Uniti, tra mille polemiche, è allo studio un disegno di legge che, se sarà approvato dal Congresso, permetterà alle agenzie investigative federali di irrompere senza mandato nelle piattaforme tecnologiche tipo Facebook e acquisire tutti i loro dati riservati. In Italia, senza clamore, lo hanno già fatto. I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale. Questo perché, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo rea le. Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa. Intenti forse condivisibili, ma che di fatto consegnano alle forze dell'ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l'autorizzazione di un pubblico ministero. In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook. Ma siamo certi che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy? In realtà, ormai da un paio d'anni, gli sceriffi italiani cavalcano sulle praterie di bit. Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati. Sempre più persone conducono in Rete una vita parallela e questo spiega perché alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali. Con la differenza che proprio per l'enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui è molto facile finire nel mirino dei cybercop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l'amicizia a qualcuno che graviti in ambienti "interessanti" per le forze dell'ordine. A Milano, per esempio, una sezione della Polizia locale voluta dal vicesindaco Riccardo De Corato sguinzaglia i suoi "ghisa" nei gruppi di twriter, allo scopo di infiltrarsi nelle loro community e individuare le firme dei graffiti metropolitani per risalire agli autori e denunciarli per imbrattamento. Le bande di adolescenti cinesi che, tra Lombardia e Piemonte, terrorizzano i connazionali con le estorsioni, sono continuamente monitorate dagli interpreti della polizia che si insinuano in Qq, la più diffusa chat della comunità. Anche le gang sudamericane, protagoniste in passato di regolamenti di conti a Genova e Milano, vengono sorvegliate dalle forze dell'ordine. E le lavagne degli uffici delle Squadre mobili sono ricoperte di foto scaricate da Facebook, dove i capi delle pandillas che si fanno chiamare Latin King, Forever o Ms18 sono stati taggati insieme ad altri ragazzi sudamericani, permettendo così agli agenti di conoscere il loro orga nigramma. Veri esperti nel monitoraggio del Web sono ormai gli investigatori delle Digos, che hanno smesso di farsi crescere la barba per gironzolare intorno ai centri sociali o di rasarsi i capelli per frequentare le curve degli stadi. Molto più semplice penetrare nei gruppi considerati a rischio con un clic del mouse. Quanto ai Carabinieri, ogni reparto operativo autorizza i propri militari, dal grado di maresciallo in su, ad accedere a qualunque sito Internet per indagini sotto copertura, soprattutto nel mondo dello spaccio tra giovanissimi che utilizzano le chat per fissare gli scambi di droga o ordinare le dosi da ricevere negli istituti scolastici. Mentre, per prevenire eventuali problemi durante i rave, alle compagnie dei Carabinieri di provincia è stato chiesto di iscriversi al sito di social networking Netlog, dove gli appassionati di musica tecno si danno appuntamento per i raduni convocando fans da tutta Europa. A caccia di raver ci sono anche i v enti compartimenti della Polizia postale e delle comunicazioni, localizzati in tutti i capoluoghi di regione e 76 sezioni dislocate in provincia."