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venerdì 24 febbraio 2012
25 Febbraio 2012: Prima Conferenza annuale della Rete dei Comunisti
Dando seguito alle decisioni della terza assemblea nazionale della Rete dei Comunisti, sabato 25 febbraio a Roma si terrà la prima Conferenza annuale che introduce un passaggio nella discussione e nell’elaborazione del percorso politico dell’organizzazione. Alcuni passaggi del documento politico di convocazione della Conferenza nazionale. La Conferenza annuale dei militanti e degli attivisti della Rete dei Comunisti ha l’obiettivo di mettere a bilancio critico il lavoro svolto da aprile dello scorso anno ad oggi e di impostare gli assi strategici del lavoro dei prossimi mesi fino al nuovo appuntamento annuale. “Alla nostra organizzazione serve ormai una discussione profonda e capillare che consenta a tutti i militanti e gli attivisti di avere il quadro generale del funzionamento dell’organizzazione e di come questa agisce concretamente nel conflitto di classe sul piano politico, sindacale, sociale, comunicativo, culturale nella ricostruzione di una soggettività comunista organizzata e attiva” recita il documento politico di convocazione della Conferenza. “Non possiamo nasconderci che il nodo della soggettività, del come una organizzazione comunista agisce effettivamente nella realtà, di come intende far crescere la propria influenza politica e teorica, di come aggrega nuovi militanti e attivisti, di come svolge un ruolo dinamico nel conflitto sociale e nella vita politica del paese (per quanto esso possa essere limitato), rimane il punto da cui far derivare il confronto e la crescita dei compagni e delle compagne che hanno costruito in questi anni la Rete dei Comunisti”. Relativamente al nodo della soggettività, viene annunciato il secondo Forum su “Partito e Organizzazione” in cantiere per primavera, che – secondo la Rete dei Comunisti - consentirà di riprendere e approfondire l’elaborazione politica e teorica avviata e di mettere a confronto con altre tesi la concezione della “funzione di massa” a cui dovrebbe aspirare una organizzazione di quadri comunisti che agisce nella realtà italiana ed europea del XXI Secolo”. Nel documento si riafferma la concezione di un progetto politico che, come è noto, è stato delineato sulla base di tre fronti distinti: strategico, politico e sociale e che “sembra ancora reggere alla verifica della realtà, ma, spesso, non possiamo negare che le accelerazioni della realtà stessa e la accentuata politicizzazione di tutti i processi sociali in corso, costringono a mettere a verifica" "In questo stretta connessione tra teoria e prassi, sta ancora il punto di forza di una esperienza, originale ed inedita anche se confrontata alle stesse modalità classiche del movimento comunista internazionale, come la Rete dei Comunisti”. La prima Conferenza nazionale del 25 febbraio si appresta dunque a discutere molto dell’organizzazione, di come si è strutturata, di come funzionano politicamente le varie strutture e di come hanno agito nei vari settori di lavoro: Il ruolo dei compagni della RdC nel lavoro di massa sociale, sindacale e politico, gli strumenti di comunicazione (giornale, rivista, radio), l’attività internazionalista, la formazione teorica, l’ambiente, l’intervento nel settore giovanile e studentesco ovvero i settori di lavoro decisi alla terza assemblea nazionale della Rete dei Comunisti svoltasi nell'aprile dello scorso anno. Sulla fase politica la Rete dei Comunisti, centra la attenzione soprattutto sulla dimensione europea dei processi incorso ritenendo che sia ormai evidente come “le classi dominanti in Europa stiano utilizzando la crisi in corso per rafforzare tutti gli apparati economici, finanziari, politici e militari per affrontare l’accentuarsi della competizione globale con le altre aree monetarie ed economiche intorno alle quali si vanno ri/definendo i vari poli imperialisti in competizione. L’accelerazione dei processi di concentrazione e centralizzazione politica e finanziaria nell’Unione Europea sono funzionali a questo obiettivo. E’ indubbio che in tale processo un ruolo di punta venga svolto dal grande capitale tedesco che fa convergere intorno a sé i maggiori gruppi capitalisti francesi, italiani e di altri paesi minori, assumendo tendenzialmente le caratteristiche di un capitalismo europeo integrato all’interno e quindi adeguato per “internazionalizzarsi”, anche in forme più aggressive, sul piano globale”. La vicenda greca, secondo la RdC, è indicativa della relazione che il rafforzamento del “centro” imperialista europeo intende stabilire verso i paesi più deboli dell'area. “Come tutti i processi anche questo non avviene linearmente ma attraverso scontri e contraddizioni che dislocano, comunque, in avanti gli obiettivi da raggiungere. L’unica certezza è che persistono aree economicamente più deboli dell’Europa che verranno sacrificate a tutto tondo da questo processo di gerarchizzazione e verticalizzazione dell’Unione Europea. I paesi dell’area dei Piigs sono destinati a diventare una periferia interna con un sistema di salari, condizioni lavorative, welfare state e prezzi ridotti con le liberalizzazioni e la concorrenza selvaggia funzionale alla competizione globale. L’innalzamento relativo degli standard sociali nei paesi dell’Europa dell’Est (anche qui oggi rimesso in discussione dalla crisi) e l’abbassamento di quelli dei Piigs, devono trovare un loro punto di equilibrio al ribasso che consenta al “nucleo duro” europeo di poter disporre di tutti gli strumenti per cercare di ricostruire i margini di accumulazione necessari alla tenuta dell’assetto imperialistico. La destrutturazione delle economie dei Piigs, dei residui della presenza dello Stato nell’economia, ha la necessità di procedere sulla strada delle privatizzazioni e della rottura di ogni rigidità salariale o contrattuale del lavoro”. Netto è il giudizio sul governo Monti, al quale le classi dominante hanno affidato il lavoro sporco. “Occorre segnalare – sostiene il documento politico della RdC - come Monti disponga di un margine di manovra migliore di quello della Merkel e di Sarkozy che devono fare i conti con le elezioni alle porte, mentre Monti – al momento – non ha di questi problemi e non deve rendere conto, almeno immediatamente, a nessun elettorato. Tale “punto di forza” di Monti, è stato sottolineato di recente dal Financial Times ed è alla base della “speciale attenzione” che la stessa amministrazione Usa riserva al primo ministro italiano, il che spiega anche la speciale relazione tra Monti e la Gran Bretagna dentro le storiche e crescenti divaricazioni che questa sta accentuando nel suo rapporto con Francia e Germania sui nuovi Trattati Europei. Se queste osservazioni sono realistiche, significa che lo scenario politico più probabile con cui dovremo fare i conti in Italia nei prossimi mesi, sarà quello di un governo che andrà avanti fino alla fine della legislatura (2013) e che utilizzerà questa condizione di sospensione della democrazia rappresentativa (pienamente legittimata da Napolitano) per avanzare nel “lavoro sporco” sul piano economico e sociale. Il segnale inviato ai sindacati Cgil Cisl Uil sul versante attinente il metodo della concertazione la quale non sarà più interpretata come un passaggio obbligato per i governi, è indicativo”. Una attenzione particolare viene rivolta ai conflitti sociali esplosi di recente in settori diversi da quelli tradizionali del lavoro salariato o organizzati contrattualmente, conflitti che sono la risultante del “processo di destrutturazione delle classi medie, una parte delle quali vengono proiettate verso una condizione di “proletarizzazione” dalle misure fiscali e dalle liberalizzazioni imposte dal governo (taxisti, autotrasportatori, coltivatori diretti, piccoli imprenditori etc.) ma anche dalla brusca restrizione delle politiche del credito da parte del sistema bancario”. Il documento sottolinea anche delle preoccupazioni, perchè “in questi settori investiti dalla crisi e dalle misure imposte dall’Unione Europea, può radicalizzarsi un movimento reazionario di massa che fino a ieri agiva solo sul piano ideologico ed elettorale (questi soggetti erano infatti gran parte del blocco sociale berlusconiano e sono da sempre bacino elettorale della destra), ma che oggi può diventare anche “movimento” nel senso delle piazze, delle strade, del territorio e del “territorio politico e sociale” in cui siamo chiamati ad agire” ragione per cui “senza una analisi chiara e una azione conseguente sul piano politico, sociale e sindacale, tale situazione non può che peggiorare. I ceti medi sono stati “proletarizzati” loro malgrado e sul piano ideologico si rifiuteranno fino all’ultimo minuto di percepirsi come tali e di guardare quindi a possibili alleanze sociali con i lavoratori salariati o con istanze collettive non corporative” soprattutto se a questa “identità spuria e bastarda”, anche sul piano ideologico, non si palesano alternative forti sul profilo identitario, ideologico, organizzato e conflittuale. Secondo la Rete dei Comunisti “La ricostruzione, , un blocco sociale anticapitalista dopo una infernale spirale di competizione al ribasso, dovrà fare i conti con un passato recente di scontri e divaricazioni di interessi, il quale potrà essere superato in avanti solo attraverso una nuova connessione politica e sociale contro i comuni avversari ben oltre ogni nicchia corporativa e/o territoriale”. Sui movimenti come i Forconi la RdC ritiene che “è stato un errore, come ha fatto gran parte della sinistra, esorcizzare i movimenti sociali “spuri” messi in campo in Sicilia o in altre aree dai ceti medi proletarizzati dentro i quali è forte una ideologia reazionaria e individualista. Negli anni ’70 si poteva giocare e si è giocata la carta del movimento operaio organizzato e della sua egemonia nella società. Ma nel XXI Secolo, dopo i decenni delle grandi ristrutturazioni a scala globale, questa carta – e soprattutto la sua egemonia – è stata profondamente destrutturata dalla frammentazione di classe e dal disarmo ideologico introdotto dai partiti della sinistra e da Cgil Cisl Uil”. Nel percorso sul quale la prima Conferenza nazionale della Rete dei Comunisti è chiamata a discutere per delineare l'azione politica dei prossimi mesi, viene ribadito che “non dovremmo discostarci dalla linea di condotta seguita in questi anni e cioè l’eventuale sostegno solo a candidati o liste chiaramente alternative e indipendenti da ogni forma di alleanza e di subalternità con il Pd. La funzione della RdC non può che essere quella di favorire la polarizzazione politica piuttosto che la sua ricomposizione dentro alleanze che hanno corrotto politicamente e culturalmente le esperienze della sinistra alternativa spezzando in più punti la relazione con il blocco sociale anticapitalista”. Sul piano strategico riteniamo che sia ancora del tutto inadeguato il dibattito e il confronto sulla riunificazione delle forze comuniste nel nostro paese. Da un lato si consolida la frammentazione dentro e fuori Prc e PdCI, sia tra correnti sia tra le nuove formazioni che sono nate. Dall’altro questa discussione continua a prescindere da qualsiasi confronto di merito sui nodi strategici, sulle novità intervenute e prescinde da qualsiasi bilancio autocritico. Il fronte della rappresentanza politica continua a offrire spazi reali, accentuati dalla crisi e da come questa scompone, distrugge e ricompone la rappresentanza politica dei settori sociali in lotta per sopravvivere o per affermarsi come egemoni. Da un lato serve accumulare le forze in alleanza con altre soggettività; dall’altro non possiamo che agire affinché un pezzo della sinistra e dei movimenti rompano con il politicismo e sintonizzino la loro azione con i settori popolari sulla base dell’autonomia e dell’indipendenza. Il documento entra poi nel merito delle proposte di lavoro a tutto campo – da quello sindacale a quello metropolitano, dall'attività internazionalista all'informazione. Ma questo attiene al dibattito interno al quale tutti i militanti e gli attivisti vengono chiamati a dare un contributo concreto nella Conferenza nazionale del 25 febbraio.
sabato 24 dicembre 2011
PER EVITARE LA CATASTROFE SOCIALE LA VIA MAESTRA E' IL SOCIALISMO

*(Bozza di manifesto del MPL) *Il capitalismo è come una trottola, può tenersi in equilibrio solo se gira vorticosamente attorno al proprio asse. Per ruotare ha bisogno di due fattori: una spinta che gli imprima movimento e una superficie perfettamente piana. Se viene a mancare anche solo uno di questi due
fattori essa smette di ruotare, si accascia al suolo e si arresta.
La trottola del capitalismo occidentale sta schiantando perché la sua forza
di spinta è venuta a mancare proprio mentre avrebbe dovuto accrescere a
causa della superficie diventata accidentata, essendo la spinta il profitto
e la superficie il mercato mondiale.
*Il gioco vale la candela?
La forza motrice che muove lo sviluppo capitalistico non è il bene comune
ma il profitto, il bene privato di chi detiene il capitale. Quando non può
accrescere il profitto il capitale arresta la sua corsa, smette di
investire, blocca la produzione, smantella impianti e dunque licenzia, crea
disoccupazione, getta nella miseria anzitutto chi non ha altre risorse se
non quella di vendere al miglior offerente la propria capacità lavorativa.
Queste recessioni cicliche, connaturate al capitalismo, vengono chiamate
“crisi”. Ogni fase di espansione è seguita da una inevitabile contrazione.
Alcune di queste crisi sono però più profonde, sono sistemiche, investono
la gran parte dei settori economici e possono sfociare in depressioni di
lungo periodo. Le conseguenze sociali e geopolitiche possono essere
devastanti: pauperismo di massa, inasprimento dei conflitti sociali, caduta
di governi e regimi, guerra aperta tra gli stati.
Con simili sconquassi vanno al tappeto i due dogmi che sorreggono
l’ideologia dominante: quello per cui il capitale, facendo i propri
interessi, realizza quelli di tutti, e quello per cui il “libero” mercato è
il luogo che meglio assicura e distribuisce il benessere. La società è
quindi costretta, quando il capitalismo mette in luce i suoi limiti
congeniti, a considerare il rapporto tra i costi e i benefici del sistema,
e ove decidesse che il gioco non vale la candela, a cercare una via
d’uscita e a sperimentare nuovi modelli sociali e di vita.
*Il boomerang
Di portata epocale fu la crisi che il capitalismo occidentale conobbe negli
anni ’70 del secolo scorso. La tenace resistenza proletaria all’interno,
l’avanzata delle lotte di liberazione dei popoli oppressi e l’esistenza del
“blocco socialista” non consentirono al capitalismo di ricorrere alle
vecchie terapie. La risposta alla crisi fu la globalizzazione.
All’interno: smantellamento delle protezioni sociali, privatizzazioni delle
aziende e dei servizi pubblici, frantumazione delle grandi roccaforti
industriali, precarizzazione del lavoro, agevolazione dei flussi migratori,
lento abbassamento dei salari e dei redditi, boom del credito per
sorreggere il consumismo di massa. All’esterno, in classico stile coloniale, rapina sistematica delle risorse dei paesi poveri (non solo di materie prime, appunto, ma pure di forza-lavoro, manuale e intellettuale) e, grazie al ruolo guida imperiale
degli Stati Uniti, aggressioni, guerre e pressioni di ogni tipo per
soggiogare interi paesi e spazzare via i regimi considerati ostili.
L’imperialismo, al prezzo di prosciugare le sue casse, ha vinto la “guerra
fredda” e rovesciato regimi nazionali considerati “canaglia”, ma ciò ha
prodotto nuovi esplosivi squilibri regionali e mondiali.
Il tutto nel quadro di una deregolamentazione sistematica dei mercati,
dell’abbattimento di ogni barriera ai movimenti di capitale, della
competizione selvaggia tra multinazionali e aziende, paesi e aree
economiche. Questa globalizzazione dei mercati, che le potenze occidentali
hanno tenacemente perseguito fino a spazzare via ogni ostacolo, si è
rivelato un boomerang. L’ampia superficie piana per far girare la trottola
si è trasformata in un terreno minato.

disperato tentativo di evitare un inesorabile declino - cerca di difendere
in ogni modo, anche a rischio di nuove gravissime tensioni geopolitiche.
Al contempo la globalizzazione ha sprofondato nella recessione una serie di
paesi poveri privi di materie prime, portando centinaia di milioni di
persone alla fame, di qui grandi rivolte sociali, come quelle che hanno
portato alla caduta di regimi totalitari nei paesi arabi.
Ma una delle conseguenze è che anche l’Occidente si è impoverito. I
capitali occidentali, privi di freni, sono fuggiti via per fare razzie nei
nuovi territori di caccia. In virtù dei bassi salari, dei regimi
neoschiavistici di sfruttamento e repressione, dei sistemi fiscali di
vantaggio dei paesi presi di mira, le imprese occidentali hanno accumulato
enormi guadagni.
Questi tornavano sì in Occidente ma per finire nella grande bisca del
capitalismo casinò, per essere gettati nel gioco d’azzardo di una
speculazione finanziaria fondata sul debito. Somme colossali venivano
offerte in prestito ai cittadini per sorreggere domanda interna e consumi
in calo a causa della caduta del potere d’acquisto dei salari, e agli stati
per puntellare i loro bilanci falcidiati da scellerate politiche
privatizzatrici. In questo tritacarne sono quindi finiti gli Stati e le
banche centrali. I primi accettando di gettare i debiti sovrani nei mercati
finanziari internazionali, le seconde o stampando a tutto spiano carta
moneta per sorreggere banche fallite o in procinto di fallire. Questo
sollazzo non poteva durare all’infinito: moneta, obbligazioni e titoli per
quanto simboli astratti sono pur sempre espressione di valori reali, sempre
tenendo conto che il lavoro e la natura sono le due sole fonti da cui
sgorga la ricchezza di una società.
*Mutamenti epocali
La finanziarizzazione liberista dell’economia ha agito come una droga. Per
sopravvivere il capitale aveva bisogno di dosi sempre più massicce di
liquidità, acquistando dalle banche centrali denaro a basso costo per poi
lucrare rivendendolo a tassi usurai. Ma nella bisca, il gioco è sempre a
somma zero: a fronte di chi vince, c’è sempre qualcun altro che perde. Chi
ci ha rimesso le penne è stato anzitutto il lavoro salariato, che in tre
decenni si è visto scippato di buona parte delle sue conquiste ed ha subito
una drastica riduzione della quota di reddito sociale a sua disposizione;
scippo compensato dall’elargizione di crediti che hanno trasformato buona
parte dei lavoratori in debitori permanentemente sotto ricatto.
La globalizzazione ha quindi indotto profonde trasformazioni nel corpo
stesso delle società occidentali, sia in alto che in basso.
In alto: la rendita, ovvero il capitale finanziario speculativo (denaro che
si accresce senza passare per il ciclo produttivo di merci) ha preso il
sopravvento su quello industriale; e in esso il vero *dominus *è diventato
il settore bancario predatorio (banche d’affari); in seno alla classe
capitalista sono diventati prevalenti i ceti parassitari che vivono di
rendita; gli stati nazionali sono stati privati della loro sovranità
politica; parlamenti e governi, espropriati delle loro prerogative, sono
diventati passacarte; i partiti si sono trasformati in meri comitati
d’affari, selettori dei funzionari al servizio dell’oligarchia.
In basso i mutamenti non sono stati meno profondi. Il dato fondamentale è
che al crollo del lavoro produttivo è corrisposta la crescita di quello
improduttivo o direttamente parassitario. Il processo di
deindustrializzazione e di smantellamento dei settori statali ha causato un
vero e proprio sfaldamento del tessuto sociale. Scomparsi o quasi i grandi
poli industriali, gran parte del lavoro è stato appaltato a piccole e medie
aziende, dove i salari sono più bassi ed è molto più difficile per i
lavoratori tutelare i propri interessi. Allo smembramento della vecchia
classe operaia industriale è corrisposta la crescita dei settori
impiegatizi, di mestieri del tutto nuovi, di lavori socialmente necessari
ma spesso improduttivi. Il posto fisso ormai è stato in gran parte
rimpiazzato dal lavoro precario e flessibile. Le conseguenze sono state
devastanti: un disgregazione sociale senza precedenti causa prima
dell’implosione dei tradizionali vincoli comunitari e dei tessuti
aggregativi, e il sopravvento di un’ideologia individualistica pervasiva,
refrattaria ad ogni istanza solidale e collettiva.
*La crisi italiana
Nella crisi globale dell’Occidente imperialistico c’è la specifica crisi
dell’Unione europea e dentro quest’ultima la crisi italiana. Essa si
presenta come un processo che vede coinvolti simultaneamente l’economia, le
istituzioni repubblicane, la società civile. All’evidente incapacità della
classe dominante di governare il paese (il cui sfascio è emblematico), fa
da contraltare la totale inadeguatezza delle classi subalterne a conformare
un’alternativa. L’ingresso nell’Unione europea e l’adozione dell’euro, che
le classi dominanti avevano pervicacemente perorato come la maniera per
porre fine alle strutturali distorsioni italiane, si sono rivelati invece
un fiasco totale. La sostanziale cessione di sovranità, monetaria, politica
e istituzionale —accettata fideisticamente dalla classe dirigente italiana
ma non da quelle tedesche e francesi, né tanto meno dai paesi che come il
Regno Unito hanno rifiutato di accettare l’euro— ha finito per aggravare
tutti gli squilibri, all’esterno come all'interno.

L’alternativa secca è tra il subire questa catastrofe sociale —che non è un
singolo evento fatidico, ma un processo già in atto— o sollevarsi per un
vero e proprio cambio di sistema. Se questo rivolgimento non ci sarà
presto, il paese sarà ridotto in macerie, col rischio che la miseria
generale possa causare un devastante conflitto tra poveri ed infine
lasciare spazio ad avventure populiste e reazionarie, animate da una
borghesia che tiene sempre in serbo primigenie pulsioni reazionarie, senza
nemmeno escludere l’eventualità di uno sgretolamento dello Stato-nazione.
Conflitti aspri saranno inevitabili, così come una polarizzazione di forze
contrapposte.
Di sicuro la crisi sprigionerà grandi energie sociali, energie che questo
sistema politico marcio sarà incapace di ammansire e rappresentare. Queste
forze sono la sola leva su cui si possa fare affidamento per cambiare
radicalmente questo paese. Vanno quindi alimentate, aiutate ad emergere.
Bisogna dare loro una consistenza politica, uno sbocco, una prospettiva.
Per farlo non è sufficiente affermare dei no, occorre anche indicare quale
possa essere l’alternativa, il nuovo modello sociale.
Questo è esattamente il compito che ci proponiamo come Movimento Popolare
di Liberazione (MPL). Esso non consiste anzitutto nell’accendere fuochi di
conflitto sociale, poiché essi già esistono come risultato di una
resistenza diffusa che scaturisce da condizioni oggettive. Il compito
nostro è quello di risvegliare le coscienze sopite, di chiamare a raccolta
le migliori intelligenze, di raggruppare e dunque di far scendere in campo
centinaia e migliaia di cittadini che di fronte alla miseria sociale e
politica generale, sono decisi a prendersi ognuno la propria
responsabilità, fino a quella di battersi per rovesciare lo stato di cose
esistenti.
*Fronte ampio e governo popolare**
Parallelamente alla fondazione di una nuova forza politica, il *MPL*, noi
ci battiamo per unire tutte le forze che avvertono la minaccia incombente e
che non solo si limitano ad opporre dei no, ma che vogliono sfidare le
classi dominanti avanzando soluzioni efficaci e realistiche per portare il
paese fuori dal marasma. Si tratta quindi di attivare un Fronte ampio che
sappia candidarsi alla guida del paese per dar vita a un governo popolare
di emergenza. Tanti sono i problemi, numerose le trasformazioni sociali
necessarie, ma esse fanno capo a poche misure sostanziali.
*- Abbandonare l’euro per riprenderci la sovranità monetaria.
*L’euro ci fu presentato come una panacea per curare i mali strutturali
dell’economia italiana (tra cui l’alto debito pubblico e una competitività
fondata solo sui bassi salari) e risolvere gli squilibri tra gli Stati
comunitari. A dieci anni di distanza non solo il debito pubblico è
aumentato, ma l’economia è in stagnazione e la competitività è diminuita.
Le politiche antipopolari di austerità perseguite da tutti i governi,
presentate come necessarie per restare nell’Unione e difendere l’euro si
sono dimostrate del tutto inutili, se non nel fare dell’Italia un paese più
povero. L’euro e i principi di Maastricht hanno accresciuto gli squilibri
in seno all’Unione europea, determinando uno spostamento di risorse
dall’Italia verso i paesi più “virtuosi”, la Germania anzitutto, che non
hai mai messo i suoi propri interessi nazionali dietro a quelli comunitari.
La ricchezza di un paese non dipende certo dalla moneta, ma dal lavoro che
la crea, e poi da come essa viene distribuita. La moneta è tuttavia una
leva per agire sul ciclo economico, un mezzo per decidere come viene
distribuita la ricchezza sociale. Un paese che non disponga della sovranità
monetaria, tanto più se alle prese con la speculazione finanziaria
globalizzata, è come una città assediata priva di mura di cinta. Occorre
ritornare alla lira, ponendo la Banca d’Italia sotto stretto controllo
pubblico, affinché l’emissione di moneta sia funzionale all’economia e al
benessere collettivo e non alle speculazioni dei biscazzieri dell’alta
finanza.

*Agli inizi degli anni ’80 venne permesso alle banche italiane, in ossequio
ai dettami neoliberisti, di diventare banche d’affari, di utilizzare i
risparmi dei cittadini per investirli e scommetterli nella bisca del
capitalismo-casinò. Prese avvio una politica di privatizzazione delle
banche e di concentrazione, che ha coinvolto anche gli enti assicurativi,
gettatisi voraci sul malloppo dei fondi pensione. Banche e assicurazioni
sono oggi le casseforti che custodiscono gran parte della ricchezza
nazionale. Esse debbono essere nazionalizzate, affinché questa ricchezza,
invece di partecipare al gioco d’azzardo finanziario, sia utilizzata per il
bene del paese. Debbono poi ritornare in mano pubblica le aziende di
rilevanza strategica, sottraendole agli artigli dei mercati finanziari e
borsistici come dalla logica perversa del profitto d’impresa.
Contestualmente andrà rafforzata la gestione pubblica dei beni comuni come
l’ambiente, l’acqua, l’energia, l’istruzione, la salute.
*- Per una moratoria sul debito pubblico e la cancellazione di quello estero
*Il debito pubblico accumulato dallo Stato è usato da un decennio come
la *Spada di Damocle* per tagliare le spese sociali, giustificare le misure
d’austerità ed una tra le più alte imposizioni fiscali del mondo. Esso è
diventato fattore distruttivo da quando, agli inizi degli anni ’90, i
governi hanno immesso i titoli di debito nella giostra delle borse e dei
mercati finanziari internazionali. Da allora i creditori divennero i fondi
speculativi, le grandi banche d’affari estere e italiane. Il debito
pubblico, gravato di interessi crescenti, non è niente altro che un
drenaggio di risorse dall’Italia verso la finanza speculativa, banche
italiane comprese.
Per questo riteniamo ingiusto, antipopolare e suicida per il futuro del
paese fare del pagamento del debito un dogma. La rinascita dell’Italia
richiede la protezione dell’economia nazionale dal saccheggio dei predoni
della finanza imperialista. Ciò implica impedire ogni fuga di capitali
verso l’estero, incluso il pagamento del debito estero perché esso non è
altro che una forma di espatrio legalizzato, di rapina autoinflitta. Non
rimborsare gli strozzini della finanza globale non è una opzione, ma una
necessità.
Non solo è ingiusto, ma in base al rapporto costi/benefici è economicamente
irrazionale tentare di rispettare la clausola del Trattato di Maastricht
che impone un rapporto debito/Pil non superiore al 60%. Ciò implica
ripetere per ben 25 anni, e non è detto che sia sufficiente a causa della
depressione economica, manovre d’austerità da 30 miliardi all’anno.
Sbaglia dunque chi si fa spaventare dagli strozzini che evocano lo
spauracchio del “default”. Il male minore per l’Italia è un default
programmato e pianificato, una moratoria e dunque una rinegoziazione del
debito, che i creditori dovranno accettare, pena il ripudio vero e proprio.
Per quanto riguarda il debito con le banche e le assicurazioni italiane,
dal momento che saranno nazionalizzate, esso sarà *de facto* cancellato. Il
solo debito pubblico che lo Stato rimborserà, a tassi e scadenze
compatibili con le esigenze della rinascita economica e sociale del paese,
sarà quello posseduto dalle famiglie italiane.
*- Debellare la disoccupazione con un piano nazionale per il lavoro
*La natura e il lavoro sono le sole fonti da cui sgorgano il benessere e la
ricchezza sociale. Proteggere l’ambiente e assicurare a tutti i cittadini
un lavoro sono le due priorità di un governo popolare. Ciò implica che
esso, liberatosi dal feticcio della cosiddetta “crescita economica”
misurata in Pil, dovrà sottomettere l’economia, pubblica e privata, alla
politica, ovvero ad una visione coerente della società, in cui al centro ci
siano l’uomo e la sua qualità della vita. Non si vive per lavorare ma si
deve lavorare per vivere. Si produrrà il giusto per consumare il
necessario. Solo così si potrà uscire dalla trappola produzione-consumo per
affermare un nuovo paradigma produzione-benessere.
*- Uscire dalla NATO e dall’Unione europea, scegliere la neutralità.
*Attraverso la NATO l’Italia è incatenata ad un patto strategico che oltre
a farla vassalla dell’Impero americano, la obbliga a seguire una politica
estera aggressiva, neocolonialista e guerrafondaia. Uscire dalla NATO e
chiudere le basi e i centri strategici militari americani in Italia è
necessario per riacquisire la piena sovranità nazionale, scegliere una
posizione di neutralità attiva e una politica di pace. L’uscita dall’Unione
europea, inevitabile se si ripudiano, come occorre fare, i Trattati di
Maastricht e di Lisbona, non vuol dire chiudere l’Italia in un guscio
autarchico, al contrario, vuol dire puntare a diversi orizzonti
geopolitici, aprendosi alla cooperazione più stretta con l’area
Mediterranea, stringendo rapporti di collaborazione con l’America latina,
l’Africa e l’Asia.
*- Rafforzare la Costituzione repubblicana per un’effettiva sovranità
popolare
*La cosiddetta “Seconda repubblica” si è fatta avanti calpestando i dettami
della carta costituzionale. L’abolizione delle legge elettorale
proporzionale, il bipolarismo coatto, i poteri crescenti dell’Esecutivo, la
trasformazione del Parlamento in un parlatoio per replicanti spesso
corrotti, erano misure necessarie per assecondare i torbidi affari di
banchieri e pescecani del grande capitale, nonché per sottomettere il paese
e la politica ai *diktat* e agli interessi della finanza globale. La
Costituzione va difesa contro i suoi rottamatori, se necessario dando vita
ad una Assemblea costituente incaricata di rafforzarne i dispositivi
democratici a tutela della piena ed effettiva sovranità popolare.
*Sovranità nazionale e socialismo

disposte a battersi sul serio per uscire dall’Unione europea, sganciare
l’Italia dalla morsa della globalizzazione liberista per ricollocarla
dentro nuovi scenari geopolitici. Ove domani si manifestassero il popolo
lavoratore non dovrebbe esitare a costituire un’alleanza comune.
Compito pressante dell’oggi è costruire un fronte ampio del popolo
lavoratore, un'alleanza solida tra il proletariato e parti consistenti
delle classi medie. Dentro questa alleanza il proletariato non dovrà stare
a rimorchio ma agire da forza motrice. E per questo serve un soggetto
politico rivoluzionario, che aiuti la classe degli sfruttati a diventare
classe dirigente nazionale. Solo un fronte popolare con al centro i
lavoratori può avere la forza e la determinazione per un cambio di sistema
capace di portare l’Italia fuori dal marasma. E' da questo contesto che
discendono i compiti, le funzioni e il profilo del Movimento Popolare di
Liberazione.
Ma essi dipendono anche dalla nostre finalità, dai nostri scopi ultimi.
Vi è ancora chi considera l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono
dell’euro come idee velleitarie ed estremistiche. E’ vero esattamente il
contrario. Il disfacimento dell’Unione europea e la fine dell’euro sono
processi oggettivi, oramai irreversibili. Velleitari sono coloro che si
illudono di fermare queste tendenze facendo gli esorcismi, mettendo toppe
che sono peggiori del buco. Estremisti psicotici sono gli oligarchi di
Francoforte e Bruxelles, disposti a dissanguare intere nazioni pur di
tenere in vita una moneta moribonda e ingrassare la rendita parassitaria.
Il problema non è se abbandonare l’euro o meno, il problema è chi guiderà
questo processo. Se al potere resteranno i servi politici del capitalismo
finanziario ne faranno pagare le salate conseguenze alle masse lavoratrici.
Se sarà un governo popolare a pilotare l’uscita, i sacrifici, certo
inevitabili, saranno anzitutto addossati ai parassiti, e i frutti di questi
sacrifici saranno utilizzati per il bene comune della maggioranza e la
rinascita del paese.
E’ in questo quadro che il MPL considera la riconquista della sovranità
nazionale una stella polare. Senza sovranità nazionale non c’è quella
popolare, non c’è democrazia. Solo riconquistando questa sovranità
politica, economica e monetaria il paese può risorgere su nuove basi,
sgangiandosi dalla soffocante morsa dei mercati finanziari internazionali
per proiettarsi verso altri orizzonti regionali e mondiali. Se Un’Europa
dei popoli vedrà un giorno luce essa nascerà sulle macerie di quella di
Maastricht.
Siccome è sotto gli occhi di tutti che non siamo alle prese con una
recessione ciclica ma con una crisi storico-sistemica di un modello di
produzione e di vita, dovere di chi guarda al futuro è immaginare
un’alternativa di società e agire per realizzarla. Sarebbe assurdo fare
grandi sacrifici per poi ritrovarci alle prese con una società esposta a
crisi cicliche devastanti, incapace di assicurare un reale benessere
collettivo, generatrice di diseguaglianze e squilibri, lacerata dai
conflitti sociali.
Il *MPL* scende in campo per contrastare questa crisi e soprattutto per
uscire dal sistema neoliberista globalizzato che ha fatto del capitalismo
un dogma. Per liberare il paese dalla corruzione, dalle ingiustizie, dalla
dittatura delle banche e della finanza internazionale. Per liberarci dalla
dittatura del mercato. Scende in campo per non accettare supinamente la
distruzione sistematica della natura, della nostra vita e del futuro delle
nuove generazioni; per affermare che l'alternativa è una società socialista
che metta l'economia al servizio della collettività e della difesa di tutti
i beni comuni.

Fino ad allora coesisteranno forme diverse di proprietà, quelle
capitalistiche e quelle statali, quelle pubbliche e quelle autogestite.
Fermo restando che il governo popolare dovrà aiutare il nuovo a crescere e
il vecchio a perire.
L’alternativa di oggi è lottare o soccombere. Quella di domani sarà la
liberazione o il ritorno a forme più brutali di oppressione.
mercoledì 26 ottobre 2011
99%: La rivolta non ha bisogno di guru
Si è manifestato in 82 Paesi, marciando contro i luoghi fisici del potere. Sono state occupate strade e sedi, si è avviata l'impresa dell'insurrezione popolare mondiale. La logica e le manifestazioni del conflitto archiviano definitivamente, dopo il 15 Ottobre, le prassi economiciste delle rivendicazioni materiali e normative e portano ad organizzare in modo neoistituzionale (il contropotere comunitario che conquista spazi e tempi sociali) il potenziale politico eversivo antisistema delle stesse soggettività antagoniste. Le mediazioni politico-sindacali “tradizionali” sopravvissute fino ad oggi nella loro versione degenerata del trade-unionismo "storico" vengono definitivamente meno con il protagonismo sociale del 99% delle classi subalterne - mobilitatesi fin dal 1999 quando a Seattle si pronunciarono contro il WTO - che consolidano successivamente, nelle lotte contro il precariato e la flessibilità globali, la coscienza rivoluzionaria. Un problema di fondo che ha ora il movimento antagonista nel reinterpretare la “global revolution” con lotte unitarie antisistema è la repressione.
Il capitale globale ha deciso che l'insurrezione deve essere stroncata sul nascere e paventa punizioni esemplari per i “criminali” che si oppongono alla “modernizzazione del sistema dello sfruttamento”. Perquisizioni, denunce, arresti, licenziamenti, cariche della polizia, attentati di “squadracce” paramilitari sono tutti momenti del piano repressivo degli Stati sotto l'egida del capitalismo multinazionale. La “soluzione cilena” degli aguzzini è giustificata dai milioni d'euro di danni subiti da banche, amministrazioni pubbliche, privati proprietari di beni che ne condividono la responsabilità essendo mandanti privilegiati della repressione. Il potere economico e politico si è dato il compito di schedare chiunque svolga attività politica antisistema di massa perché qualcuno dovrà pagare. Il sistema dei media, compreso il circuito radio-televisivo pubblico, collabora entusiasticamente alla “caccia alle streghe”, prepara l'opinione pubblica con allusioni all'uso delle pallottole, da parte di chi detiene per conto dello Stato il monopolio della forza armata, negli scontri di piazza contro i “violenti”. La partita tra le moltitudini che ritrovano dignità nella radicalità del conflitto sociale e la repressione militare a difesa degli interessi dei pochi potentati non va affatto chiusa e non si chiuderà. La sfida è accettata. La formazione di un'organizzazione politica che incorpori il conflitto nella sua elaborazione programmatica è all'ordine del giorno ed in grado, quindi, di superare l'orizzonte d'una guerriglia metropolitana che sembra “necessitata” ed autoreferenziale. Separare l'elaborazione politica dalla mobilitazione organizzata conflittuale – che alcuni (la cosiddetta “sinistra”) arrivano a demonizzare considerandola qualcosa di “schifoso” - è un errore grave. Certo è che ogni forma di antagonismo duale va ispirato al principio in base al quale deve essere l'elaborazione politica delle contraddizioni sociali a guidare il conflitto; questa sana dialettica va intesa e praticata in un senso preciso e cioè sollecitando in ogni antagonista ed in ogni nucleo organizzato un approfondito chiarimento politico a guida, fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all'occorrenza anche mobilitativo di potenziale contundente, come è accaduto a Roma. Le modalità di lotta rivoluzionaria non si scelgono arbitrariamente o teoricamente, ma assumono spesso la forma dell'azione diretta organizzata conflittualmente poiché lo scontro sociale - nei suoi esiti - è un fatto che non dipende tanto solo dall'azione soggettiva degli antagonisti, quanto dall'organizzazione repressiva dello Stato delle multinazionali che, in qualche modo, impone ed introduce nel conflitto “logiche militari” all'interno dello stesso scontro sociale.
Che l'offensiva antagonista si esprima anche sul piano dell'azione diretta organizzata conflittualmente è una necessità dell'attuale livello dello scontro di classe che non può essere diluito o negato. È legittimo pensare - questo sì - che l'offensiva antagonista - nella sua irreversibile autonomia contro il massacro sociale e la “crisi” - sia oggi estremamente ricca di opzioni praticabili e che tra le molte forme della sua radicale espressione vi sia anche quella dell'azione diretta organizzata sul piano politico e veicolata dal conflitto. Ciò comporta il ripudio programmatico di ogni mediazione. Senza bandiere, che non sia quella rossa del comunismo, nella convinzione di perdere solo le catene e di non avere bisogno di guru. Vanno legate insieme tutte le iniziative che mirano a formare, innovare e potenziare le attività di rinnovamento dei rapporti sociali attraverso percorsi di autonoma ed inventiva ricerca di ulteriori fronti del conflitto, attraverso confronto internazionale e condivisione di esperienze di rivolta, saldando l'analisi teorica e financo le suggestioni dell'immaginazione e della progettazione esistenziale ad una inevitabile comune prassi di contropotere nella quale, solo in essa, incarnare il futuro.
http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/beni-fisici-collettivi-e-cultura-globale
http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/emergenza-e-guerra-scelta-politica-della-babele-post-moderna

Che l'offensiva antagonista si esprima anche sul piano dell'azione diretta organizzata conflittualmente è una necessità dell'attuale livello dello scontro di classe che non può essere diluito o negato. È legittimo pensare - questo sì - che l'offensiva antagonista - nella sua irreversibile autonomia contro il massacro sociale e la “crisi” - sia oggi estremamente ricca di opzioni praticabili e che tra le molte forme della sua radicale espressione vi sia anche quella dell'azione diretta organizzata sul piano politico e veicolata dal conflitto. Ciò comporta il ripudio programmatico di ogni mediazione. Senza bandiere, che non sia quella rossa del comunismo, nella convinzione di perdere solo le catene e di non avere bisogno di guru. Vanno legate insieme tutte le iniziative che mirano a formare, innovare e potenziare le attività di rinnovamento dei rapporti sociali attraverso percorsi di autonoma ed inventiva ricerca di ulteriori fronti del conflitto, attraverso confronto internazionale e condivisione di esperienze di rivolta, saldando l'analisi teorica e financo le suggestioni dell'immaginazione e della progettazione esistenziale ad una inevitabile comune prassi di contropotere nella quale, solo in essa, incarnare il futuro.
http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/beni-fisici-collettivi-e-cultura-globale
http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/emergenza-e-guerra-scelta-politica-della-babele-post-moderna
lunedì 4 luglio 2011
Attacco al cuore del Welfare
L'annunciata cosiddetta “manovra” di 47 mld è spalmata su quattro anni, quando la responsabilità governativa della “macelleria sociale” sarà, nel 2012 o 2013, d'incerta attribuzione all'attuale centro-destra inventato e danarosamente tenuto in vita da Berlusconi. Nel frattempo, l'esito dell'accordo contrattuale raggiunto tra ConfIndustria ed i Sindacati confederali ripropone la strada del “conflitto” quale unico orizzonte di resistenza all'omologazione neo-mercantile delle cosiddette “relazioni industriali”. I “mantra”, megafoni servili del degenerato potere berlusconiano, diffondono la suggestione d'una assicurazione da stipulare individualmente contro ogni evenienza previdenziale, sociale e di accesso ai “servizi” alla persona ed alla comunità erogati dal vigente Welfare, come se fosse possibile permettersela, unitamente ad una costellazione di nuovi “sacrifici” da sostenere necessariamente, in esclusiva riservati ai lavoratori dipendenti, che vanno dall'inaudito aumento dei biglietti per il trasporto (bus, treni) alle polizze auto fuori controllo, dai costi impazziti dei carburanti ai prezzi dei prodotti alimentari, dall'esponenziale indebitamento dei nuclei familiari con le banche alle insostenibili tariffe del gas, elettricità, telefono.
Contestualmente – con i bavagli ai giudici e ad alcuni media – l'apparato governativo cerca di non far conoscere le trame reali che riguardano l'affossamento definitivo del residuale assetto “democratico” del sistema politico-istituzionale italiano contaminato, da decenni ed oggi aggiornato, dal progetto eversivo piduista attualizzato con nuovo “personale” dedicato.
Il Presidente Napolitano, assorto e titubante come sempre, incoraggia la “manovra” condividendone la “strategia tremontiana”d'attendere l'effetto che farà sul PIL, nonostante il peso oggettivamente devastante che eserciterà sul corpo sociale, laddove le tasse sul reddito restano e, nel contempo, si smantella il sistema di protezione sociale aumentando ulteriormente a dismisura prestazioni socio-sanitarie (tickets di 46 euro), come si strumentalizza l'incremento di “speranza di vita” condannando donne ed uomini ad un più lungo periodo di lavoro. La “manutenzione” dell'esistenza è ridotta ad una variabile affatto significativa da parte dei farabutti che occupano il loro tempo ad elaborare piani di tagli indiscriminati della spesa sociale mentre cercano di irretire l'opinione pubblica con la paventata tassa sui SUV, certamente sostenibile da chi i SUV gli acquista. È lo stesso inganno della presunta abolizione degli stipendi dei Ministri che – in ogni caso – conservano l'eccessivo introito di 15 mila euro in qualità di parlamentari. I cittadini massacrati da tale “manovra” - ricordiamolo – sono già stati truffati al tempo dell'adozione della moneta unica europea quando, conservando i livelli di tassazione in “lire”, hanno ottenuto un potere d'acquisto dimezzato. Con le banche europee ed internazionali che, di fatto, decidono la stessa sopravvivenza degli Stati europei (Grecia), l'anestesia indotta dall'impero televisivo e mediale alle menti, da oggi, anche nella metropoli italiana, avrà un minor effetto allucinogeno e le piazze vedranno il popolo infiammarsi lacerando ogni conformismo democraticista di massa promosso dal “sistema dei partiti” in declino.
Diversamente antagonisti (rispetto alle forme di maniera del passato), come “nuovi barbari” che invadono e distruggono le “consuetudini del potere” con un'unica meta da perseguire: fuoriuscire dal capitalismo, realizzare il comunismo.

Il Presidente Napolitano, assorto e titubante come sempre, incoraggia la “manovra” condividendone la “strategia tremontiana”d'attendere l'effetto che farà sul PIL, nonostante il peso oggettivamente devastante che eserciterà sul corpo sociale, laddove le tasse sul reddito restano e, nel contempo, si smantella il sistema di protezione sociale aumentando ulteriormente a dismisura prestazioni socio-sanitarie (tickets di 46 euro), come si strumentalizza l'incremento di “speranza di vita” condannando donne ed uomini ad un più lungo periodo di lavoro. La “manutenzione” dell'esistenza è ridotta ad una variabile affatto significativa da parte dei farabutti che occupano il loro tempo ad elaborare piani di tagli indiscriminati della spesa sociale mentre cercano di irretire l'opinione pubblica con la paventata tassa sui SUV, certamente sostenibile da chi i SUV gli acquista. È lo stesso inganno della presunta abolizione degli stipendi dei Ministri che – in ogni caso – conservano l'eccessivo introito di 15 mila euro in qualità di parlamentari. I cittadini massacrati da tale “manovra” - ricordiamolo – sono già stati truffati al tempo dell'adozione della moneta unica europea quando, conservando i livelli di tassazione in “lire”, hanno ottenuto un potere d'acquisto dimezzato. Con le banche europee ed internazionali che, di fatto, decidono la stessa sopravvivenza degli Stati europei (Grecia), l'anestesia indotta dall'impero televisivo e mediale alle menti, da oggi, anche nella metropoli italiana, avrà un minor effetto allucinogeno e le piazze vedranno il popolo infiammarsi lacerando ogni conformismo democraticista di massa promosso dal “sistema dei partiti” in declino.
Diversamente antagonisti (rispetto alle forme di maniera del passato), come “nuovi barbari” che invadono e distruggono le “consuetudini del potere” con un'unica meta da perseguire: fuoriuscire dal capitalismo, realizzare il comunismo.
mercoledì 8 giugno 2011
Quello che conta
Quello che conta - di Francesco Marchianò
Il successo della sinistra nelle recenti elezioni amministrative è stato accompagnato, come spesso accade, da numerosi commenti di politici, giornalisti e osservatori. Uno dei refrain più gettonati è stato che la sinistra ha vinto grazie alle primarie e ai leader. Ma è stato davvero così? Dire che sono le primarie a far vincere un sindaco, un presidente di regione o, addirittura, un un presidente del consiglio è di per sé un’affermazione indimostrabile. In diversi Paesi si stanno diffondendo, o sono utilizzate da anni, le primarie e, com’è ovvio che sia, il candidato da essi selezionato può vincere o perdere. Per esempio, lo sfidante di Obama, McCain ha vinto le primarie del Partito Repubblicano, eppure è stato sconfitto. In Europa, sia Walter Veltroni che Ségoléne Royal hanno vinto le primarie, eppure sono stati sconfitti. Pertanto non c’è un nesso che lega le selezione per mezzo delle primarie con la vittoria, anzi, come nel caso delle amministrative di Napoli, esse possono essere la causa di una prematura e mortificante sconfitta. L’elogio delle primarie è accompagnato da un corollario, anch’esso discutibile, quello dell’effetto leader. La vittoria nelle amministrative da molti è stata spiegata con l’apporto del leader. Anche qui però non tutto è lineare. Se nelle recenti amministrative vi è stato effetto leader, questo è avvenuto prevalentemente nella città di Napoli, dove il voto per De Magistris al primo turno ha di gran lunga superato, quasi doppiandolo, quello delle liste che lo appoggiavano. Nel secondo turno vi è stato, sì, un vero e proprio plebiscito, ma senza l’apporto dell’altra coalizione di sinistra e del Terzo polo, questo risultato non si sarebbe raggiunto. Al primo turno, infatti, De Magistris, aveva raccolto 128.303 voti; l’altro sfidante di centrosinistra Morcone, 89.280, e il candidato del Terzo Polo Pasquino, 45.449.
Sommando questi tre candidati si arriva a 263.032 voti, ossia qualche centinaio in meno dei 264.730 che De Magitris ha conquistato al ballottaggio. Senza i voti della coalizione sarebbe dura anche per Masaniello. Se, invece, guardiamo al Nord, più che effetto leader, dovremmo parlare di effetto partito. A Torino e Milano, infatti, ciò che ha contribuito alla vittoria è stato l’esito del Partito Democratico che ha conquistato ovunque dei risultati ben più grandi delle previsioni. Si pensi che i sondaggi davano il Pd a Torino al 28%, e invece ha raccolto il 34,5%, e a Milano tra il 21% e il 23%, e invece ha conquistato il 28,6%. I due candidati sindaci, che comunque hanno avuto i loro meriti, hanno raccolto certamente dei voti in più delle liste che li appoggiavano (com’è naturale che sia in elezioni dirette) ma non in maniera rilevante. Pisapia e Fassino presentano entrambi indici di personalizzazione positivi ma contenuti, anzi, stando ai dati, Piero Fassino ha un effetto leader (indice di personalizzazione: 0,128) maggiore di quello di Pisapia (indice di personalizzazione: 0,122). Un vittoria è sempre il frutto di più fattori, ma, in questo caso, il successo del Pd non può passare inosservato, anche perché è la prima volta, da quando è nato, che riesce a vincere. I leader hanno il loro peso e la loro influenza, ma da soli non bastano. Per questo occorre guardare con più realismo all’apporto sostanziale che partiti e coalizioni riescono a dare. Francesco Marchianò - 8 Giugno 2011
http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article249
Il successo della sinistra nelle recenti elezioni amministrative è stato accompagnato, come spesso accade, da numerosi commenti di politici, giornalisti e osservatori. Uno dei refrain più gettonati è stato che la sinistra ha vinto grazie alle primarie e ai leader. Ma è stato davvero così? Dire che sono le primarie a far vincere un sindaco, un presidente di regione o, addirittura, un un presidente del consiglio è di per sé un’affermazione indimostrabile. In diversi Paesi si stanno diffondendo, o sono utilizzate da anni, le primarie e, com’è ovvio che sia, il candidato da essi selezionato può vincere o perdere. Per esempio, lo sfidante di Obama, McCain ha vinto le primarie del Partito Repubblicano, eppure è stato sconfitto. In Europa, sia Walter Veltroni che Ségoléne Royal hanno vinto le primarie, eppure sono stati sconfitti. Pertanto non c’è un nesso che lega le selezione per mezzo delle primarie con la vittoria, anzi, come nel caso delle amministrative di Napoli, esse possono essere la causa di una prematura e mortificante sconfitta. L’elogio delle primarie è accompagnato da un corollario, anch’esso discutibile, quello dell’effetto leader. La vittoria nelle amministrative da molti è stata spiegata con l’apporto del leader. Anche qui però non tutto è lineare. Se nelle recenti amministrative vi è stato effetto leader, questo è avvenuto prevalentemente nella città di Napoli, dove il voto per De Magistris al primo turno ha di gran lunga superato, quasi doppiandolo, quello delle liste che lo appoggiavano. Nel secondo turno vi è stato, sì, un vero e proprio plebiscito, ma senza l’apporto dell’altra coalizione di sinistra e del Terzo polo, questo risultato non si sarebbe raggiunto. Al primo turno, infatti, De Magistris, aveva raccolto 128.303 voti; l’altro sfidante di centrosinistra Morcone, 89.280, e il candidato del Terzo Polo Pasquino, 45.449.

http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article249
venerdì 3 giugno 2011
QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - ASSEMBLEA PUBBLICA NAZIONALE
Si invita a partecipare all'Assemblea pubblica "QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE" per ricordare Oscar Marchisio.
Più di un anno fa, Oscar Marchisio se ne andava per sempre. In viaggio lo è sempre stato, quasi per abituarci alla sua assenza e ad imparare a far da soli. Ora sono cambiate le capacità / volontà permanenti del suo ricordo da parte di ciascuno di noi, orgogliosi di averlo conosciuto, frequentato, "usato" intellettualmente e politicamente, capacità / volontà collettive di conservare e far fruttificare i frammenti del suo agire come lasciti individuali da ricomporre. Ricordarlo, dunque, come se dovesse tornare a donarci ancora i "prodotti" della sua mente, gli stimoli "a fare" del suo prezioso operare teorico-politico e culturale. Dal punto di vista politico-programmatico - refrattario alla deriva "commerciale" del sistema dei partiti, sempre più assortito [http://www.socialmente.name/
] - Oscar Marchisio, anche in occasione delle elezioni amministrative '09, ha guardato con sincero interesse ed "occhio critico" all'esperienza di Bologna Città Libera, constatando la reale "logica concorrenziale" sussistente tra il "mercato mainstream" e post-neo organizzativo delle "sinistre" contrapposto ad "etichette" più o meno "indipendenti" (ad esempio, la tendenza neocivica insita in B.C.L.) e di leadership eterno-emergenti. In mezzo, una marea di "soggetti" che o muoiono dopo le prime "battaglie" pubbliche - avvezzi solo alla virtualità reticolare - o emigrano verso "mercati" che meglio remunerano (sottobosco del mondo sindacale, politico, culturale, mediale). La "TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO" è - a contrario - una sincera espressione di rifiuto di tali melmosi andazzi. E' una raccolta di energie (donne e uomini liberi che si incontrano nelle autentiche relazioni territoriali e sociali antagonisticamente orientate contro la "società del capitale" e si autodeterminano) che hanno il polso della "situazione" e manifestano la coraggiosa volontà di industriarsi nel costruire un'alternativa forma di vita popolare - umile e forte - dal respiro strategico ed efficace nel risultato, inaridendo definitivamente le visioni e le prassi dei mesterianti ed aspiranti stregoni.
Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in giuoco è la libertà d'esistere.
DATA IPOTIZZATA: 31 Ottobre 2011, tutto il giorno
Luogo: Città nell'area metropolitana bolognese
Via: Ubicazione in corso di individuazione
Sito web: http://cprca2010.blogspot.com/ - http://cprca2010.ning.com/ -
Telefono: 3393314808 (per primi contatti, preferibili sms di presentazione)
Tipo di evento: Assemblea pubblica
Organizzato da: Giovanni Dursi (costituendo Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva - CPRCA)


Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in giuoco è la libertà d'esistere.
DATA IPOTIZZATA: 31 Ottobre 2011, tutto il giorno
Luogo: Città nell'area metropolitana bolognese
Via: Ubicazione in corso di individuazione
Sito web: http://cprca2010.blogspot.com/ - http://cprca2010.ning.com/ -
Telefono: 3393314808 (per primi contatti, preferibili sms di presentazione)
Tipo di evento: Assemblea pubblica
Organizzato da: Giovanni Dursi (costituendo Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva - CPRCA)
lunedì 7 marzo 2011
"Nuova Panda schiavi in mano"

Il libro contiene i primi risultati di un lavoro di conricerca che ha coinvolto lavoratori e rappresentati sindacali dello stabilimento Fiat Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. Tale progetto è nato nell’ambito di un gruppo di studio (Gruppo Lavoro) costituitosi presso il Centro per la riforma dello Stato (Crs), composto da studiosi con provenienza disciplinare e professionale diversa, precari della ricerca impegnati nel selvaggio mercato delle collaborazioni all’interno dell’economia della conoscenza. All’attività di ricerca del gruppo hanno contribuito a vario titolo figure importanti tra cui il filosofo Mario Tronti (Presidente del Crs) e l’economista Alfredo Saad Fhilo, professore di economia politica dello sviluppo presso la «School of Oriental and African Studies» (Soas) dell’Università di Londra.

MERCOLEDì 9 MARZO ORE 17 SALA MERCEDE, Via della Mercede 55 R O M A
Presiede MARIO TRONTI Introduzione MICHELA CERIMELE
Intervengono MAURIZIO LANDINI ALFREDO REICHLIN NICHI VENDOLA
http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article223
http://www.centroriformastato.org/crs2/IMG/pdf/la-catena-spezzata-2.pdf
Date: di lotte e di memorie - Facciamo sul serio uno sciopero generale che pesi nella vita sociale e politica dell’Italia


Per il momento ci fermiamo qui, e lasciamo spazio ad un comunicato di Giorgio Cremaschi sempre relativo al 6 Maggio, che qui di seguito riproduciamo. Naturalmente ritorneremo sull'argomento, ma fin da ora poniamo qui un interrogativo: cosa c'entrano UIL e CISL col prossimo Primo Maggio? Anche su questa data intendiamo parlare... Da Proletaria Vox
A seguire: Dalla lettura di Gramsci, un importante contributo per l'azione sindacale dei comunisti. Da leggere assolutamente!
I comunisti e il Sindacato di Classe. Di Comunisti Uniti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955544.html

http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955479.html
8 Marzo di lotta a Trento. Di Lavoratrici ORVEA.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955508.html
8 Marzo, giornata internazionale di lotta. Di UdB/CUB.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962147.html

http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962085.html
La memoria di Bologna...
11 Marzo, Bologna, Francesco Lorusso. Di Proletaria Vox.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962042.html
Continua la deriva neoconcertativa di questa sigla...
La firma meschina di USB in CAI. Di CUB Trasporti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962066.html
Affari internazionali, letture „di classe“.
Dal Wisconsin al Nord Africa...Di Valerio Evangelisti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962514.html
Uno sciopero generale chiaro e forte contro Governo e Confindustria
di Giorgio Cremaschi, 03.03.2011
La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ha annunciato che lo sciopero generale è convocato per il 6 maggio. E’ la peggiore delle decisioni migliori.

I fatti parlano chiaro. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha riaperto lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, rivendicando per le imprese la “flessibilità in uscita”, visto che quella in entrata è anche troppa. C’è del metodo in tutta questa follia. La rivendicazione della libertà di licenziamento mette il suggello finale a un’aggressione al contratto, ai diritti, allo Statuto dei lavoratori, alla stessa Costituzione, che ha avuto un’accelerazione con l’aggressione di Marchionne ai diritti dei lavoratori Fiat.
D’altra parte è evidente che se si vuol far pagare tutti i costi della crisi ai lavoratori e se la crisi continua, al di là delle chiacchiere, l’attacco ai diritti del lavoro, al salario, alle libertà, assieme a una nuova offensiva sulle privatizzazioni e contro lo stato sociale, sono l’unica strada per fare soldi.
Il punto è che questa linea reazionaria del padronato italiano è oggi il cemento di un blocco di potere politico e sindacale che governa il paese. Spesso si dice che non c’è più la concertazione, non è vero, semplicemente il blocco concertativo è oggi formato dal governo, da una serie di poteri forti, dalla Confindustria, dalla Cisl e dalla Uil. Da esso è esclusa l’opposizione politica, che non se ne è ancora accorta, e la Cgil, che spera ancora che non sia così.
Eppure l’ultimo contratto del commercio nel quale le aziende hanno volutamente inserito norme come il recepimento del collegato lavoro, che sembrano fatte apposta per impedire in ogni caso anche alla più moderata delle Cgil la firma, quest’ultimo accordo separato dovrebbe dimostrare che il blocco politico, economico e sindacale che governa oggi l’Italia è intenzionato a continuare nell’emarginazione della Cgil e di tutto ciò che in qualche modo non rientra nei suoi disegni. Pare, a questo punto, che la segreteria della Cgil abbia finalmente superato le riserve e gli indugi e si appresti ad annunciare la fatidica data dello sciopero generale. Se così sarà, sarà un fatto positivo, che prende atto della realtà. Il più grande sindacato italiano, proclamando lo sciopero generale, si trova però di fronte a due scelte di fondo. La prima è che è evidente che questo sciopero non potrà essere indirizzato solo contro Berlusconi, ma anche contro la Confindustria e inevitabilmente contro il blocco di potere di cui Cisl e Uil fanno parte. Sarà quindi uno sciopero che dovrà costruire uno schieramento alternativo a quello che oggi costruisce gli accordi separati, il collegato lavoro, le deroghe contrattuali, la negazione delle libertà sindacali e dei diritti individuali delle lavoratrici e dei lavoratori. Sarà uno sciopero sindacale ma anche politico, nel senso che è anche politico il blocco di potere contro cui si scende in lotta. Dovrà anche però essere uno sciopero in grado di mostrare la forza di tutto quel mondo del lavoro, di tutto quel paese, che oggi si oppone ai disegni autoritari di Berlusconi, Marchionne e del loro blocco di potere. Dovrà quindi essere uno sciopero fatto per fermare il paese, chiaro nelle controparti e altrettanto nelle intenzioni di riuscita. Non quindi uno sciopero di 4 ore o simili, per qualche manifestazione, ma uno sciopero completo, di tutta la giornata lavorativa, di tutte le categorie, che ci provi davvero a far sentire il peso del lavoro che non ci sta nella vita politica italiana. Se questa sarà la scelta lo sciopero generale si incontrerà inevitabilmente con tutti i movimenti di lotta, che in questi mesi hanno risposto all’attacco ai diritti. Dagli studenti, ai movimenti sociali, a quelli civili e democratici. Parlerà necessariamente alla mobilitazione eccezionale delle donne contro l’attacco alla dignità della persona. Dovrà quindi essere uno sciopero generale forte e aperto, in grado di proporre un blocco sociale e civile alternativo al blocco politico ed economico che governa il disastro attuale dell’Italia. Su questo bisogna insistere ora, anche di fronte a incertezze, ambiguità e minimizzazioni con cui si vuol già derubricare un’eventuale decisione della Cgil. Facciamo sul serio uno sciopero generale che pesi nella vita sociale e politica dell’Italia.
domenica 23 gennaio 2011
Venerdì 28 Gennaio: Sciopero generale dell'antagonismo antisistema

giovedì 6 gennaio 2011
Lettera aperta al Segretario generale della FIOM

Come docente MIUR, vedo perniciose attitudini, anche nella riorganizzazione in atto della pubblica amministrazione, in generale, e delle “attività lavorative della conoscenza” (istruzione, formazione, ricerca, cultura), a ridefinire i rapporti di lavoro su input proveniente da ragioni di bilancio e conseguente gestione autoritaria della gerarchia di comando, spesso anche in assenza di reali competenze gestionali. In particolare, i provvedimenti dei Ministri Tremonti, Brunetta e Gelmini, sono tendenzialmente lesivi non solo della condizione materiale di chi percepisce uno stipendio già da tempo inadeguato, ma anche della stessa possibilità di occupazione stabile e di eventuale fuoriuscita “garantita” dal lavoro, avendo reso “evanescente” perfino il trattamento di quiescenza. Inoltre, minando le basi del Welfare universalistico a solo vantaggio della rendita e del profitto, l'attuale Governo provvede alla desertificazione delle forme di vita orientate alla coesione sociale e si accanisce contro i cittadini che esprimono bisogni sociali non negoziabili essendo essi ormai privi di credibili tutele politiche e/o sindacali. La convergenza di intenti tra Impresa e Stato sta modificando ulteriormente i fragili assetti della “democrazia incompiuta” italiana, mettendone a rischio la stessa precaria stabilità, laddove il dissenso verso le politiche economico-sociali governative manifestato generosamente dalla società civile e dai lavoratori, è immediatamente represso in coerente sintonia con il desiderio di ConfIndustria di “contrastare l'opposizione all'ammodernamento del Paese” (dal discorso d'insediamento della Presidente Marcegaglia). A mio parere, i casi dei contratti / capestro di Pomigliano e Mirafiori, presto flessibilmente replicabili in altri stabilimenti del FIAT GROUP (ad esempio, alla SEVEL della Val di Sangro), sono il sintomo più evidente di un degrado non solo delle relazioni sindacali, bensì di relazioni sociali rese “perverse” e “polimorfe” dall'egoismo del capitale industriale e finanziario.
Il conseguente terremoto politico-sociale per i lavoratori dipendenti non “si risolve” con una militanza nella “sinistra” (PdRC, PdCI, SEL, FdS) con evidenti segnali di continuità con il fallimentare recente passato; tali “sigle” sono restate sul mercato della politica a contendersi elettori, ponendosi come obiettivo massimo rieleggere deputati, senatori o consiglieri, negoziare presenze nelle Giunte comunali, provinciali o regionali, collocare “amministratori” negli enti subordinati, confondendo il consenso elettorale con un improbabile riequilibrio dell'assetto di potere e pretendendo di ridare attualità politica ai tipici valori della “sinistra” togliattiana-divittoriana della “democrazia progressiva”.
In realtà, archiviate queste arcaiche manovre, è fondamentale insistere sulla linea dell'edificazione di nuove istituzionalità popolari, distanti / diverse da quelle articolazioni statali ove la “rappresentanza” perpetua subalternità, soggioga le masse popolari, crea devastanti distorsioni nella “democrazia costituzionale”; l'autonomia politica deve – viceversa – conquistare e difendere spazi per esercitare i “diritti” dei giovani, donne, precari, disoccupati, cassaintegrati, operai, artigiani, autoimprenditori delle conoscenze, lavoratori autonomi che oggi mal sopportano la storica iniquità dell'ennesima crisi del modello capitalista di sviluppo.
Le lotte di resistenza e di attacco alla “tenaglia” confindustriale-sindacale che impone l'agenda politica al Paese, manifestano una consapevolezza “altra” della crisi che chiede a tutti i suoi protagonisti una rinnovata determinazione nella capacità popolare di dare autorevole voce – senza mediazione partitica – ai “bisogni sociali” (reddito, Welfare, cultura, ambiente, multiculturalità, …) e del “lavoro” che sono nel suo DNA. Questa sollecitazione non può non essere colta dalle donne e dagli uomini liberi con l'entusiasmo che deriva dal riappropriarsi della propria esistenza. Per chi ha vissuto e vive la difficile battaglia della libertà individuale e collettiva dal gioco del capitale – non distinguendo, in modo miope ed asfittico, il “locale” dal “globale”, come purtroppo in alcune componenti dell'area “neocivica” si è ottusamente evidenziato, causando ulteriori “sconfitte” e dispersione di energie trasformative -, questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte. Lo scenario è necessariamente più ampio di quello delle pseudostrategie di partito.
I transfughi dei partiti di “sinistra”, compresi i pdessini in libera uscita per una breve, “eccitante” stagione, che hanno frequentato modalità autonome ed alternative d'organizzazione e produzione di eventi politico-sociali, constatando il “blocco mortale” e l'evanescenza dell'opposizione – non solo PD - alla presenza berlusconiana, oggi, percependo il sentore d'una repressione (annunciata da tempo dalla ConIndustria, come prima adetto, per bocca della Presidente Marcegaglia) di tipo cileno, tornano sui loro passi, ad una “casa madre”, ad un'autoreferenzialità ed un interclassismo incapaci di “scegliere” la parte del popolo (ad esempio, sull'acqua: il PD si è forse schierato raccogliendo le firme per la difesa di quel bene pubblico essenziale ? E sul petrolio e il nucleare ? E per il lavoro ?), immaginando di occupare posti ed apparire seriosi e compìti in TV.
L'urto del 16 Ottobre, dunque, è stato prodotto ed ha provocato un'iniziativa unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, in queste ore, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. La FIOM ed il sindacalismo di base possono fare molto in questa prospettiva. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema dellosfruttamento sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo. Concludo, rendendo pubblico il personale auspicio d'una mia militanza politico-culturale che sia partigiana della lotta FIOM e per lo sciopero generale di solidarietà del 28 Gennaio. Ringrazio per l'eventuale considerazione.
Bologna, 6 Gennaio 2011
Giovanni Dursi, docente MIUR di Filosofia e Scienze sociali
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Una proposta per agire insieme
1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale. In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2. Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel o al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, contropotere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3. La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità politico-amministrativa nuove ad ambiti istituzionali socio-territorialialmente “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. È il territorio è lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni ambito territoriale provinciale può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio d'appartenenza . . . . .
Tutti sono invitati ad avviare un discorso pubblico su questi temi.
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman
lunedì 1 novembre 2010
Facebook e "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali

"La polizia ci spia su Facebook" di Giorgio Florian - "Un patto segreto con il social network. Che consente alle forze dell'ordine di entrare arbitrariamente e senza mandato della magistratura in tutti i profili degli utenti italiani. Lo hanno appena firmato in California (28 ottobre 2010). Negli Stati Uniti, tra mille polemiche, è allo studio un disegno di legge che, se sarà approvato dal Congresso, permetterà alle agenzie investigative federali di irrompere senza mandato nelle piattaforme tecnologiche tipo Facebook e acquisire tutti i loro dati riservati. In Italia, senza clamore, lo hanno già fatto. I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale. Questo perché, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo rea le. Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa. Intenti forse condivisibili, ma che di fatto consegnano alle forze dell'ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l'autorizzazione di un pubblico ministero. In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook. Ma siamo certi che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy? In realtà, ormai da un paio d'anni, gli sceriffi italiani cavalcano sulle praterie di bit. Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati. Sempre più persone conducono in Rete una vita parallela e questo spiega perché alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali. Con la differenza che proprio per l'enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui è molto facile finire nel mirino dei cybercop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l'amicizia a qualcuno che graviti in ambienti "interessanti" per le forze dell'ordine. A Milano, per esempio, una sezione della Polizia locale voluta dal vicesindaco Riccardo De Corato sguinzaglia i suoi "ghisa" nei gruppi di twriter, allo scopo di infiltrarsi nelle loro community e individuare le firme dei graffiti metropolitani per risalire agli autori e denunciarli per imbrattamento. Le bande di adolescenti cinesi che, tra Lombardia e Piemonte, terrorizzano i connazionali con le estorsioni, sono continuamente monitorate dagli interpreti della polizia che si insinuano in Qq, la più diffusa chat della comunità. Anche le gang sudamericane, protagoniste in passato di regolamenti di conti a Genova e Milano, vengono sorvegliate dalle forze dell'ordine. E le lavagne degli uffici delle Squadre mobili sono ricoperte di foto scaricate da Facebook, dove i capi delle pandillas che si fanno chiamare Latin King, Forever o Ms18 sono stati taggati insieme ad altri ragazzi sudamericani, permettendo così agli agenti di conoscere il loro orga nigramma. Veri esperti nel monitoraggio del Web sono ormai gli investigatori delle Digos, che hanno smesso di farsi crescere la barba per gironzolare intorno ai centri sociali o di rasarsi i capelli per frequentare le curve degli stadi. Molto più semplice penetrare nei gruppi considerati a rischio con un clic del mouse. Quanto ai Carabinieri, ogni reparto operativo autorizza i propri militari, dal grado di maresciallo in su, ad accedere a qualunque sito Internet per indagini sotto copertura, soprattutto nel mondo dello spaccio tra giovanissimi che utilizzano le chat per fissare gli scambi di droga o ordinare le dosi da ricevere negli istituti scolastici. Mentre, per prevenire eventuali problemi durante i rave, alle compagnie dei Carabinieri di provincia è stato chiesto di iscriversi al sito di social networking Netlog, dove gli appassionati di musica tecno si danno appuntamento per i raduni convocando fans da tutta Europa. A caccia di raver ci sono anche i v enti compartimenti della Polizia postale e delle comunicazioni, localizzati in tutti i capoluoghi di regione e 76 sezioni dislocate in provincia."
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