mercoledì 25 luglio 2012

Frammenti di testi di Oscar Marchisio

Comunicazione dei familiari di Oscar Marchisio che hanno il piacere di invitare tutte e tutti ad una serata che si terrà il 12 Agosto a Carpasio per ricordare Oscar.
Dal ricordo alla proposta: < UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE - CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO - Giornata dedicata ad Oscar Marchisio
(entro 31 Ottobre 2012) iniziativa di “respiro” nazionale
Titolo provvisorio: < UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
. . . . . Ottobre 2012, Ore . . . . . [Luogo . . . . . ] Bologna …..

DOCUMENTO / PROPOSTA
Piattaforma per la costruzione dei CPRCA
1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale .
In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2. Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire.
Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”.
Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, potere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3. La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali.
“Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione.
La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema istituzionale che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità amministrativa nuove al Comune “partecipato”, alla Provincia, alla Regione, imponendo socialmente l'agenda politica.
I territori regionali, da provincia a provincia, sono lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni provincia può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio.
Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio regionale . . . . .
SIETE TUTTI INVITATI AD AVVIARE UN DISCORSO PUBBLICO SU QUESTI TEMI
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman
NB: Il testo può essere arricchito, emendato, integrato, sviluppato ...
Primi firmatari:
Giovanni Dursi, Oscar Marchisio, Marco Barone, Matteo Mazzetti, ..... acquisire quante più possibili adesioni
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO
(entro Ottobre 2012) iniziativa di “respiro” nazionale dedicata ad Oscar Marchisio - Titolo provvisorio: < UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >

sabato 14 luglio 2012

Agenzie di rating: specchietti per le allodole e sodomizzazione di massa

Il nodo politico dell’organizzazione politica di classe non è più rinviabile. Tanto più in una fase in cui il capitalismo mostra i caratteri di una crisi strutturale e le risposte dei vari schieramenti partitico-sindacali novecenteschi tendono ad uniformarsi. La vicenda del cosiddetto “declassamento” decretato dagli emissari della confraternita del dollaro costituita da società (i cui proprietari sono gli stessi investitori che acquistano i titoli analizzati) che valutano il rischio di insolvenza di aziende, e Stati, ha, tra l'altro, messo in luce l'omologazione politica in atto. È questo, quel che in molti “leggono” in questa lunga fase di cambiamenti strutturali avviati alla fine del primo decennio del XXI secolo con l'Impresa multinazionale che si fa Stato. Restando il conflitto sociale sul piano tradeunionistico, rivendicativo, economico-normativo, senza che sia in grado d'evolvere strategicamente, l'importante partita giocata dal capitalismo finanziario contro l'economia “reale” e, quindi, contro il lavoro rischia di essere persa dall'antagonismo globale. Se da una parte è vero che il capitalismo finanziario ha stravolto decenni di conquiste del movimento proletario andandone ad intaccare lo status nel suo rapporto strutturale con l’azienda, dall’altra ormai è evidente che si pone il problema di nuovi modelli di organizzazione politica di classe. Ovviamente, come agli inizi del Novecento, quando nacquero le prime camere del lavoro, non c’è nulla che si costruisce ex novo. Molto dipende dalla capacità di rintracciare nella memoria e nelle prassi proletarie quegli strumenti utili a dar vita a una rete di solidarietà e di lotte che sappia nuovamente incidere sulla condizione di vita del proletariato contemporaneo instaurando innovative istituzionalità popolari, sancendo l'estraneità e l'ostilità verso la “democrazia rappresentativa e della delega” e le forme parlamentaristiche di “mediazione” politico-sociale.
"C’è poca politica e molto saper fare in questa sfida". Tutto dipende dalla capacità di costruire programmi d'azione realmente unificanti ed autenticamente radicali. Va comunque registrato un dato importante: il capitalismo globale in questa sua ricerca forsennata, e disperata, di valorizzazione, non segue un disegno definito ma procede a tentoni. Questo, chiaramente, lo espone a un alto grado di debolezza. In più, le contraddizioni interne sono altissime. A dimostrarlo sono le numerose guerre in corso e un quadro internazionale che dal punto di vista dei flussi di capitale e delle aree di influenza mostra tensioni senza precedenti. La natura della crisi, infatti, non permette una facile ricomposizione politica degli interessi e, da un punto di vista strutturale, le spinte alla valorizzazione, soprattutto quelle di natura finanziaria, appaiono sempre più senza regole definite. Quello che sta accadendo in FIAT, da un lato, e il mantra dello spread, dall'altro, lo dimostrano ampiamente. Prezzi sociali altissimi si stanno già pagando e, dando ulteriore credito all'ideologia della ripresa delle disastrate economie occidentali e della loro “crescita”, devastante sarà il dominio assoluto del denaro sull'esistenza di massa, come se il “mercato” - entità concettualmente astratta, ma concretamente operativa – sodomizzasse violentemente e permanentemente i salariati e cittadini.

giovedì 12 luglio 2012

Brano in premessa del nuovo pamphlet di Giovanni Dursi

"La prima idea da dimenticare, quando si comincia ad occuparsi della “trasformazione sociale” ed a viverla quotidianamente, è che la “politica” possa essere un quieto mestiere con cui si costruiscono perfetti edifici di parole.
Le passioni che animano l'attività trasformatrice della presente realtà sociale non sono alimentate dalla “necessità di pensiero”; semmai, alcune fantasie e visioni corroborano, come “gioco di pensiero”, il concreto percorso antagonistico-duale di fuoriuscita dall'atrocità d'una condizione materiale che codetermina forme individuali di vita da negare e formazioni economico-sociali da mutare radicalmente ed irreversibilmente.
L'antagonismo sociale post-novecentesco si caratterizza con tipiche operazioni multidimensionali – dal tradeunionismo rivendicativo di natura ecnomico-normativa alla lotta armata antisistema – la cui meta è originare una “crisi del quadro politico strutturale” all'interno d'una generale “crisi di situazione e coscienza”, altrimenti è un fallimento.
Il surrealismo del sedicente antagonismo “simbolico”, veicolato per lo più da “eventi flashmob”, non si addice bene alla “trasformazione sociale”. La pianificazione trasformativa, viceversa, riesce ad organizzare, scuotendo energie proletarie di massa, un interesse pubblico crescente verso la ribellione materiale-coscienziale scoprendone criticamente la sua finalità – il potere politico – per troppi decenni assurdamente emarginato dal vivo della lotta di classe, non a caso anche dalle più alte personalità culturali contemporanee che al surrealismo del sedicente antagonismo “simbolico” si richiamano legittimandone la dispersione di energie eversive.
Da Atene, a Parigi, a Roma, Madrid e altrove in Europa le lotte sociali e le pratiche eversive, solo quando si amalgamano all'ingegno multiforme d'una organizzazione politica rivoluzionaria, rendono la “trasformazione sociale” il terreno privilegiato d'una straordinaria avventura dell'intelligenza umana, liberata dalle retoriche manipolatrici del “riformismo” e dello “spontaneismo”, dalla banalità anastetizzante delle “compatibilità”, dalle consuetudini di certa intelligencija ribellistica ed estetizzante che mal interpreta il concetto marxiano di general intellect che nei Grundrisse è definito come sapere sociale diffuso che il “capitale” valorizza per i suoi scopi, in particolare ai fini dello sviluppo tecnico-tecnologico quale fattore cruciale nella produzione (combinazione di competenze tecnologiche e dell'intelletto sociale, o sapere sociale generale che determina la crescente importanza delle macchine nell'organizzazione sociale) (1).
Consuetudini, queste ultime, mortificanti e, a volta, addirittura annichilenti, quando ancora oggi, tutti i giorni, c'è chi si reca negli altiforni e chi presso le postazioni informatico-telematiche a scrivere desiderando “dare forma all'informe e coscienza all'incosciente”.
La “trasformazione sociale” non prevede romanticismo, né “naturale” evoluzione del sistema produttivo-sociale vigente immaginandone un'imminente implosione.
La “trasformazione sociale” è una complessa costruzione umana, che smonta l'ovvia apparenza della realtà percepita come immodificabile ed insuperabile, stabilisce nessi innovativi tra struttura e sovrastrutture, coglie riferimenti ed analogie tra accumulazione indefinita di ricchezze (economia) e incremento delle conoscenze (cultura), che un'esigua parte del “corpo sociale” realizza, mentre, dall'altra la parte più consistente subisce sfruttamento intensivo e continuo ed alienazione, individua codici nei quali esprimere prassi che sfuggono alla colonizzazione della ragione capitalistica che aprioristicamente incede nel delimitare la sfera dell'esistenza delle moltitudini sottoponendole al dispotismo della sua logica e del suo “sistema valoriale”.
L'antagonismo si spinge nelle zone ignote o volutamente ignorate e proibite delle contraddizioni sociali che le convenzioni politico-partitiche e sindacali esorcizzano come “mistero delle cose”, in modo da imporre all'immaginario di massa ed allo stesso “indefinito interiore” un'immagine riflessa, da parata, da rappresentazione essitenziale alla Truman Show della condizione umana dentro cui soffocare, rimuovere, negare, celare tutta la “realtà altra”, quella del conflitto e della librazione possibile.
..."
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(1) È a tal proposito che Paolo Virno scrive (in "General Intellect" in Lessico Postfordista- Dizionario di idee della mutazione, Milano, Feltrinelli, 2001), adattando il concetto all’attuale epoca post-fordista, del lavoro immateriale: “Il lavoro vivo incarna, dunque, il general intellect o “cervello sociale” di cui ha parlato Marx come del “principale pilastro della produzione e della ricchezza”. Il general intellect non coincide più, oggi, con il capitale fisso, ossia con il sapere rappreso nel sistema di macchine, ma fa tutt’uno con la cooperazione linguistica di una moltitudine di soggetti viventi”.

domenica 8 luglio 2012

Contro l'“Auschwitz diffusa” - “Finchè la violenza dello Stato sarà chiamata giustizia ...”

11 anni per “accertare” che lo Stato italiano, nei suoi reparti di polizia il cui compito è di reprimere le illegalità, nel Luglio 2001 a Genova durante il G8 ha sospeso la cosiddetta “democrazia” per un lasso di tempo necessario ad uccidere (Carlo Giuliani) ed a sperimentare la “soluzione cilena” (alla scuola “Diaz”, è ormai verificato anche sul piano processuale che sono avvenuti tentati omici, torture, violenze fisiche) contro le espressioni dell'antagonismo e dell'opposizione al “regime” dell' “Impresa globale” (63 i feriti, molti in maniera grave e permanente come il giornalista inglese Mark Covell, 93 gli arrestati in modo illegale rimasti in carcere tre giorni senza poter comunicare con nessuno).
In una fase di crisi profonda e prolungata del capitalismo globale – i cui prodromi si rintracciano alla fine degli anni '90 – la caratteristica fondamentale del controllo sociale non è tanto quella d'essere dedito al contenimento delle proteste e delle ribellioni proletarie dirottandole verso logiche trade-unionistiche rivendicative con sindacati e partiti compiacenti, quanto quella di sedare, “dominare” ed estirpare le insorgenze antagoniste ed insubordinazioni popolari organizzate con gli strumenti della violenza militare e della mistificazione (giudiziaria, mass-mediatica, politica) delle contraddizioni sociali, contribuendo all'opera di “disciplinamento” con ogni mezzo delle masse popolari ed alla subordinazione totale delle forze produttive.
Si tratta di uno step importante del progetto realizzativo dell' “Auschwitz diffusa” che comporta l'impadronirsi di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa si estraneano, prevedendo l'offerta di azioni inglobanti, istituzionalizzanti, alcune più penetranti di altre: la coercizione psico-fisica, fino alla morte dell'oppositore. Questo carattere inglobante o totale è garantito dalla repressione militare nell’impedimento, forzato all'estremo, allo scambio sociale e all’uscita dal mondo del capitale globale, concretamente fondato e percepibile nelle stesse strutture fisiche dell’“Auschwitz diffusa”: porte sfondate, mura abbattute, filo spinato, reclusioni, pestaggi, esecuzioni sommarie, brutalità quale unico codice di riferimento, silenzio delle coscienze.
La conferma, da parte della Cassazione, della responsabilità dei vertici della polizia alla catena di comando (solo diciassette i dirigenti che escono compromessi da questo esito processuale che comporta anche la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni che si ripercuoterà sulla carriera professionale dei poliziotti di rango perché si apriranno i procedimenti disciplinari finora congelati in attesa del verdetto) a Genova, il 22 luglio del 2001, la notte del blitz violento e dell’arresto illegale dei no-global alloggiati alla scuola “Diaz” durante il G8, nulla aggiunge a quanto era già noto sul versante processuale.
Infatti, è stata così sostanzialmente confermata, nella parte più rilevante, quella relativa alla catena di comando, la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Genova il 18 maggio del 2010.
I “condannati” definitivamente dalla Cassazione hanno firmato i verbali falsi che “giustificavano” le aggressioni e la repressione accusando le vittime di aver opposto resistenza accoltellando un agente e nascondendo molotov. Feccia. Ora, certo, va esercitato il diritto al risarcimento contro il quale si era battuta l’Avvocatura dello Stato. La Suprema Corte, invece, ha dichiarato prescritte le condanne a tre anni di reclusione (comunque coperti dal condono) per otto caposquadra del settimo reparto della celere di Roma, accusati di lesioni.
C'è un'ambivalenza: mentitori prezzolati si, servi del potere si, ma non riconosciuti giudiziariamente autori di violenze poiché sono prescritti i reati. Pertanto, di quale giustizia si può parlare ? Di formale atto riparatorio e risarcitorio, si può dire, ma non si può affatto affermare che “giustizia” è stata fatta. Piuttosto va illustrato come lo Stato, nei suoi riti giudiziari sanzionatori, non è in grado di ripristinare quella giustizia sociale che già nella materialità delle condizioni di produzione e di vita è negata ai più. La violenza psico-fisica subita a Genova, divenuta luogo privilegiato dela progetto “Auschwitz diffusa”, e l'alterazione dei comportamenti socio-politici, indotta generazionalmente, dei giovani partecipanti a quelle giornate di protesta e lotta non trovano “riparazione” dalla tardiva sentenza poiché quanto è stato fatto dagli organi repressivi (secondo la logica: colpirne centinaia per “educarne” migliaia), è prassi funzionale all'assetto di potere vigente, prassi che non è stata debellata semplicemente “accantonando” picchiatori e torturatori. Analoghi fatti precedenti e seguenti agli eventi genovesi lo dimostrano.
Se qualcuno pensa che con delle “scuse” ai cittadini “che hanno subito danni, ma anche a quelli che, avendo fiducia nell’Istituzione-Polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza”, si possa salvare la faccia immaginando di mettere una pietra sopra su quanto accaduto, si sbaglia di grosso.
Le strutture dell'attuale ordine economico-sociale mondiale, per quanto forti e distruttive, sono costruzioni umane: possono e devono essere cambiate, secondo i principi di una giustizia sociale che promuova la vita libera di tutti; “finchè la violenza dello Stato sarà chiamata giustizia ...”.