L’Egitto: un potenziale perno diplomatico negli equilibri geopolitici medio orientali
di Vincenzo Piglionica

28 giugno 2012
La presidenza dell’Egitto ai Fratelli musulmani: una vittoria a metà
di Anthony Santilli

04 maggio 2012
Egitto. I risvolti politici della cessazione delle forniture di gas a Israele
di Anthony Santilli

L’Egitto e l’Occidente, un rapporto che muta?

In Egitto
la difficile transizione verso la democrazia e verso un governo civile
inizia ad avere dei punti fermi, delle date stabilite: le prime elezioni
presidenziali del dopo Mubā'rak
si terranno il 23 e 24 maggio e il vincitore, che con ogni
probabilità avrà un ruolo fondamentale nella
definizione della politica estera, sarà annunciato il 21 giugno.
Il percorso è sempre quello immaginato un anno fa: elezioni
parlamentari, nuova costituzione, elezioni presidenziali, ritorno dei
militari nelle caserme e governo civile. Ma ogni nuovo passaggio verso
il nuovo assetto si realizza attraverso rotture e conflitti, non
gradualmente; le proteste di piazza nel novembre 2011, la frattura tra
il movimento democratico e il governo militare, la netta vittoria dei Fratelli Musulmani
alle elezioni. L’Occidente segue questo percorso con preoccupazione; la
contraddizione è evidente, poiché Mubā'rak era un fedele alleato mentre
le prospettive future restano incerte. I segnali non sono
tranquillizzanti per i tradizionali alleati dell’Egitto: i Fratelli
Musulmani sono critici nei confronti della politica degli Stati Uniti in
Medio Oriente e restano istintivamente ostili a uno stile di vita e a
un modello di società che sentono estranei. Le recenti polemiche sulle
‘scuse’ per i crimini del colonialismo, rilanciate dall’Università
sunnita Al-Azhar, se sono prive di concrete conseguenze, rimangono un
indicatore significativo dell’umore della società egiziana. Naturalmente
la questione di Israele
rimane il nodo cruciale; è probabile che alle radicali dichiarazioni di
principio corrisponda il tradizionale pragmatismo dei Fratelli
Musulmani. Nondimeno molti osservatori temono passi indietro rispetto
alle prospettive di una pace duratura nell’area. Anche la situazione
economica sembra instabile; la visita in Egitto nel gennaio 2012 del
ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant'Agata
ha messo al centro più i rapporti economici bilaterali che le
considerazioni di geopolitica ma anche da questo punto di vista,
permangono difficoltà. L’instabilità politica ha danneggiato il turismo e
il sabotaggio dei gasdotti, attribuito ai beduini del Sinai, rischia di
bloccare una delle più importanti risorse economiche del paese.
- L’articolo di Bruna Soravia su Muhammad Badi´ in Treccani Magazine http://www.treccani.it/magazine/geopolitica/muhammad_badie_e_la_fratellanza_musulmana.html?nt=1
- Sulla situazione economica dell’Egitto in riferimento all’esportazione di gas http://www.geopolitica-rivista.org/16649/egitto-e-israele-alla-battaglia-del-gas/
18 luglio 2013
Tre possibili scenari per la crisi in Egitto
di Niccolò De Scalzi

In Egitto, dopo il colpo di stato che lo scorso 3 luglio ha deposto il presidente Morsi,
continuano i disordini e le proteste di piazza. Lo scorso lunedì ci
sono stati altri scontri fuori dalla Moschea
di al Adawija e nei pressi dell’Università del Cairo tra
sostenitori dei Fratelli Musulmani e l’esercito ora al potere. Secondo
fonti del ministero della salute egiziano, riportate
dal quotidiano arabo Ahramonline, a seguito di un lancio di lacrimogeni
e pietre nella notte tra lunedì e martedì vi sarebbero stati 7 morti e
oltre 260 feriti. Le proteste della Fratellanza Musulmana sono iniziate per le dichiarazioni del vicesegretario di stato americano William Burns che,
dopo aver incontrato nella giornata il presidente ad interim Adli
Mansour, il primo ministro Hazem al-Beblawi e il generale Al Sisi, capo
dell’esercito che ha deposto il leader dei Fratelli Musulmani Morsi, ha
parlato di una seconda possibilità per la democrazia egiziana.
Domenica 14 luglio il New York Times ha riportato
la notizia secondo cui il nuovo governo ha congelato i beni,
bloccandone l’accesso, a 14 imprenditori e uomini influenti molto vicini
ai Fratelli Musulmani. Tra le vittime delle misure sanzionatorie vi
sarebbe anche Khairat el-Shater,
un miliardario egiziano considerato la “mente finanziaria” dei Fratelli
musulmani. Il governo ha difeso le misure sanzionatorie, parlando di
una manovra necessaria per costringere i Fratelli Musulmani a sedersi al
tavolo delle trattative con i militari e definire una road map condivisa per far uscire il paese fuori dalla crisi.
Secondo
le dichiarazioni ufficiali del nuovo presidente ad interim Mansour
entro una settimana circa dovrebbe essere nominata una commissione che
si occuperà di preparare le proposte per emendare l’attuale costituzione
che è stata sospesa al momento della deposizione di Morsi. Le modifiche
dovranno essere ratificate da un successivo referendum che si terrà
entro 4 mesi. Solo dopo il referendum si terranno, entro il febbraio
2014 le elezioni parlamentari e subito dopo le nuove elezioni
presidenziali.
L’importanza dei militari. Il cammino di transizione è osservato con apprensione dagli Stati Uniti, paese che ogni anno elargisce all’Egitto circa 1,3 miliardi di dollari in aiuti economici in cambio di garanzie di stabilità politica e il rispetto degli accordi di Camp David del 1978. Una parte consistente di questi aiuti economici, dal 1979, finisce nelle mani dei militari tramite il programma statunitense “Foreign Military Financing”
(FMF). Gli aiuti all’Egitto sono ripartiti con Israele (l’altro paese
assieme agli Stati Uniti che ha firmato gli accordi del 1978) secondo
proporzioni di 3:2. Su 100 milioni erogati dagli Stati Uniti, 60 vanno a
Israele e 40 all’Egitto, e ad ogni misura di sostegno a un paese
corrispondono precise garanzie. Dal 1979 ad oggi gli aiuti militari sono
andati aumentando di due milioni l’anno ogni anno circa. Questi aiuti
vengono indirizzati al ”Supreme Council of the Armed Forces” egiziano (SCAF), l’organo più importante della catena di comando militare che oggi è tornata al potere.
Nel dicembre 2011, a seguito dell’arresto di 43 operatori di ONG statunitensi attive in Egitto, una grave crisi
diplomatica tra Stati Uniti e Egitto sembrò poter interrompere il
flusso monetario. Tra gli arrestati c’era anche Sam LaHood, figlio
dell’ex ministro dei trasporti americano e Morsi si era trovato sospeso
tra le pressioni dei militari per appianare la crisi con gli Stati Uniti
e non interrompere gli aiuti e i conservatori salafiti che spingevano
per alzare ancora di più i toni con l’amministrazione americana a costo
di interrompere le sovvenzioni americane. La vicenda si è conclusa
lo scorso 4 giugno con la condanna da parte di una corte egiziana dei
43 lavoratori alla prigione, anche se i condannati hanno già abbandonato
il paese.
Secondo l’analista statunitense Ian Bremmer,
il potere dei militari non è stato mai realmente scalfito dai Fratelli
Musulamani, se si esclude la rimozione del potentissimo ex capo delle
forze armate Mohammed Tantawi da parte di Morsi, nell’agosto del 2012.
Mentre molti analisti sul mensile americano Foreign Policy si chiedono
se quello del 3 luglio scorso possa considerarsi un colpo di stato,
secondo Bremmer è più corretto chiedersi se quella che ha portato al
potere Morsi è stata davvero una rivoluzione, dato che il potere della
casta militare non è mai stato realmente intaccato.
Tre scenari per il futuro. Secondo
Bloomberg il futuro dell’Egitto dipenderà molto dalle prossime mosse
dei militari guidati dal generale al Sisi e dalle reazioni che
seguiranno soprattutto da parte dei Fratelli Musulmani. Il primo
scenario, il più ottimista, prevede che i militari assumano un ruolo più
defilato da qui alle prossime elezioni, candidando un politico che non
sembri troppo un “fantoccio” nelle loro mani. Le elezioni, secondo
questa previsione, dovrebbero concludersi con una sconfitta dei Fratelli
Musulmani senza ripercussioni violente. La seconda ipotesi è che
l’esercito egiziano decida di ripetere un’esperienza analoga a quella sperimentata in Turchia nel 1997, quando un gruppo di generali inviarono un memorandum al primo ministro Necmettin Erbakan intimandogli le dimissioni. Erbakan fu arrestato e il partito islamista Welfare Party fu chiuso favorendo l’ascesa di Recep Tayyip Erdoğan,
attuale primo ministro turco. Non vi fu alcun carro armato nelle strade
e gli stessi generali favorirono la transizione dei voti islamisti del
Welfare Party verso nuovi soggetti politici come il Partito per la
Giuistizia e lo Sviluppo dello stesso Erdogan. Un modello di transizione
politica passata alla storia come “colpo di stato post-moderno“.
La terza possibilità è che l’esercito egiziano continui a considerare i
sostenitori di Morsi e dei Fratelli Musulmani come degli insorti,
creando così le condizioni per uno scenario da guerra civile sul modello
di quella scoppiata in Algeria dopo il colpo di stato del 1992 con cui i militari deposero il partito islamista che aveva appena vinto le elezioni.
Troppo grande per fallire. La stabilità dell’Egitto non interessa solo gli Stati Uniti per cui Il Cairo rappresenta un paese chiave per la sicurezza in Medio Oriente, ma anche Arabia Saudita ed Emirati Arabi che hanno recentemente inviato
8 miliardi di aiuti dopo la presa del potere da parte dei militari, una
chiara manifestazione di fiducia nei confronti del ruolo assunto dai
militari. Barack Obama fin dall’inizio della crisi si è detto “molto turbato” dai disordini, ma allo stesso tempo ha chiesto
ai militari un ritorno quanto più rapido a libere elezioni senza
l’esclusione di alcuna componente politica dal voto. Il vero argine ad
una svolta autoritaria da parte dei militari egiziani è rappresentato,
secondo Bremmer, più che dai Fratelli Musulmani, dalla presenza di una
componente di popolazione civile attiva, influente, poco disposta a
farsi mettere a tacere da un giro di vite degli uomini di al Sisi.
FONTE: Pubblicato in collaborazione con Meridiani Relazioni Internazionali
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