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domenica 12 maggio 2019
lunedì 7 marzo 2011
Un altro mondo possibile, senza energia nucleare



Il fosco avvenire che Veronesi dipinge in assenza del nucleare non impensierisce Paesi come l’Austria, la Danimarca ed altri, che escludono il ricorso a questa fonte e puntano all’autosufficienza energetica con le fonti rinnovabili (quelle fonti che L’Europa si prodiga a sviluppare mentre il nostro Governo, con grande e più che sospetta puntualità, si prodiga a disincentivare). è invece noto a tutti gli esperti che tanto la Germania che la Francia, optano per prolungare la vita operativa dei reattori esistenti: una scelta estremamente rischiosa, perché l’invecchiamento aumenta le probabilità di incidenti (è stata segnalata un’anomalia all’impianto d’emergenza in ben 34 reattori francesi, in funzione da 30 anni, che potrebbe rendere insufficiente il raffreddamento in caso di incidente, e causare fino alla fusione del nocciolo!) anche perché il bombardamento neutr! onico mina le strutture.
E infatti gli incidenti alle centrali sono in aumento in tutti i paesi (altro dato che il Professore evidentemente non conosce o trascura): al punto che persino in Francia, che rappresenta nell’immaginario collettivo il paese del “grande consenso” al nucleare civile e militare, stanno crescendo i dubbi e le ansie, dopo che alcuni sevizi televisivi sono riusciti a divulgare i dati concernenti il quadro preoccupante della contaminazione radioattiva del territorio.

Dimenticando che scienziati e ricercatori di chiara fama, che hanno dedicato la loro vita a documentare gli effetti di una nube radioattiva che ha colpito non solo URSS, Ucraina e Bielorussia, ma l’Europa intera, parlano di un milione di vittime! Come può un oncologo accettare di dirigere un’Agenzia per la Sicurezza del Nucleare, ignorando o trascurando questi studi? Come può il professor Veronesi non sapere che già negli anni ’90 solo in Bielorussia e Ucraina i casi accertati di carcinoma infantile della tiroide furono quasi 1000 (con un incremento di 30 volte e addirittura di 100 volte nelle zone più vicine a Chernobyl). Come può non sapere che da alcuni anni aumentano, in molti altri Paesi europei, le segnalazioni di incrementi di leucemie infantili direttamente correlate alla dispersione di isotopi radioattivi del cesio che permangono in ambiente e catene alimentari per decenni?
Come può un oncologo di chiara fama non sapere che alcuni ricercatori russi hanno pubblicato, su riviste prestigiose come Science e Nature, i risultati di studi e ricerche che dimostrano come i figli dei cosiddetti “liquidatori” di Chernobyl, siano portatori di alti tassi di mutazioni: un dato che può chiarire non soltanto i dati, lungamente contestati, concernenti l’incremento di leucemie in bambini nati da genitori residenti nei dintorni di impianti nucleari inglesi, ma anche e soprattutto i risultati allarmanti di un recente studio tedesco, noto con l’acronimo KIKK (Kinderkrebs in der Umgebung von KernKraftwerken, Cancro infantile nei dintorni delle centrali nucleari), che ha descritto 1592 casi di tumori solidi (molti dei quali di origine embrionale) e 593 leucemie infantili in bambini di età inferiore a 5 anni, residenti negli anni 1980-2003 nei dintorni delle 16 centrali tedesche.
Tanto più che importanti studi scientifici documentano il rilascio di isotopi radioattivi (trizio, cripto, ecc) in ambiente e catene alimentari durante il normale funzionamento delle centrali e che l’introduzione di materiale radioattivo per via alimentare in piccole dosi quotidiane, rappresenta con ogni probabilità la modalità di esposizione più pericolosa, anche perché collettiva e difficilmente valutabile. E infine il “banale” problema dei residui nucleari, che costa ancora agli italiani 400 milioni di euro l’anno (almeno 10 miliardi dal 1987, e chissà per quanti anni ancora). Come può il professore non sapere che nessun Paese al mondo ha ancora trovato una soluzione per il problema delle scorie nucleari e che depositi geologici sicuri esistono solo nell’immaginazione di alcuni “nuclearisti”; che Yucca Mountain dopo decenni di lavori e milioni di dollari spesi è stato definitivamente accantonato, e gli americani non sanno più dove mettere gli enormi quantitativi di combustibile esausto sparsi in una settantina di siti; che nel deposito di Asse in Germania si sono trovate (solo ora !) infiltrazioni d’acqua che minacciano un vero disastro e richiederanno spese colossali per il recupero e il trasferimento (dove?) dei fusti.
A questo proposito, in verità, il professore una soluzione la propone: sostiene che si tenderebbe a individuare un unico sito per Continente e che, per fortuna, l’Italia non sarebbe stata individuata quale sito ideale di questo stoccaggio. Speriamo che chi ha dato queste informazioni al prof. Veronesi non intendesse far riferimento a quella che taluni soggetti prospettano come l’unica soluzione possibile per materiali che rischiano di inquinare l’intera ecosfera per millenni (non è certo consolante il fatto che il continente designato a discarica planetaria non sarebbe in tal caso né l’Europa, né il Nordamerica). è facile prevedere che nei prossimi giorni si scateneranno le critiche contro un “oncologo famoso” che non si perita di fare affermazioni pubbliche tacciabili quantomeno di leggerezza.

Fonte: http://www.infoaut.org/blog/no-tavabenicomuni/item/661-nucleare-risposta-a-umberto-veronesi%E2%80%8F
lunedì 21 giugno 2010
DATI . . . PER ECOLOGIA COMPORTA-MENTALE By http://www.bolognacittalibera.org 20 Ottobre 2008

È stato presentato il 13 ottobre a Belluno il Rapporto Ecosistema urbano 2009, sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani: la ricerca effettuata da Legambiente, Ambiente Italia e Sole 24 Ore. La XV edizione di Ecosistema Urbano vede ai primi cinque posti della classifica sulla sostenibilità multiffattoriale urbana le città di Siena, Belluno, Trento, Verbania e Parma con i migliori parametri riferiti alla qualità dell’aria, la raccolta differenziata, la produzione dei rifiuti, ai consumi di acqua, alle perdite delle tubature idriche, al sistema di trasporto pubblico, fino alla disponibilità di spazio per le biciclette e alle aree pedonali. Tra i meriti della città di Belluno vi è anche quello di progredire ogni anno nelle proprie ecoprestazioni, mentre invece Frosinone, Ragusa, Catania e Benevento occupano gli ultimi posti della classifica. “Le colpe della staticità delle città – ha detto Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – sono varie e non sempre ricadono sui sindaci. Non è per esempio colpa degli amministratori locali, se da molti anni lo Stato investe poco nelle infrastrutture per il trasporto pubblico urbano, però capita spesso che questo dato oggettivo venga usato come alibi dai primi cittadini che molte cose utili potrebbero farle e a costo zero, dalla sperimentazione di forme di road pricing sul modello di Londra o Milano, alla moltiplicazione delle corsie preferenziali. Ecco se dovessimo indicare oggi l’identikit del buon amministratore potremmo sintetizzarlo in questo modo: un sindaco che agisce per risolvere i problemi e così facendo risquote consenso. Troppi sindaci sembrano pensare che l’obiettivo di rendere le città più moderne ed efficienti passi più da qualche grande infrastruttura isolata piuttosto che da una forte scommessa sulla qualità ambientale come fattore di benessere civico e anche di sviluppo economico”. Nel rapporto di Ecosistema Urbano 2009 vediamo la città di Cagliari al 35° posto, nel contesto generale, cresciuta di ben 17 posizioni rispetto all’edizione dello scorso anno: prima città del Sud, al 5° posto tra le grandi città.
E tra le città del Sud migliora anche Caserta che va dal 41° al 37° posto.
In maniera inversamente proporzionale vediamo però Roma passare dal 55° al 70° posto, mentre Milano avanza di circa 10 posizioni. Tra il primo e l’ultimo capoluogo preso in esame balza agli occhi un considerevole gap: “Sgombriamo il campo dall’idea che queste città siano ‘in ritardo’ perché, o solo perché, a più basso reddito – dichiara Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente – Frosinone ultima in classifica, ha lo stesso prodotto interno lordo procapite di Verbania che è invece la prima tra le cinque; Catania (la terz’ultima) ha un pil procapite superiore a Campobasso (che è 63 posizioni sopra nella classifica), Catanzaro ha un reddito procapite superiore a Cagliari, ma più di 15 punti in meno nella classifica di qualità ambientale. Inoltre, nonostante fattori di pressione leggermente più bassi, in queste città i problemi ambientali non sono meno urgenti. Anche senza scomodare l’abusivismo o lo smaltimento illegale dei rifiuti, in questi centri urbani la qualità dell’aria e quella delle acque potabili sono i peggiori della media nazionale. Ma dove la distanza diventa eclatante è su tutti quegli indicatori che chiamano in causa la qualità delle politiche e del governo.
L’infrastrutturazione ambientale è decisamente meno sviluppata della media nazionale: sono depurate il 70% delle acque contro una media dell’85%; la capacità di trasporto pubblico è meno della metà della media nazionale, la disponibilità di verde urbano è addirittura inferiore del 60%. Le politiche ambientali attive sono deboli se non inesistenti: la raccolta differenziata è ad un terzo della media nazionale (ancora sotto agli obiettivi di legge), zone a traffico limitato e piste ciclabili sono quasi inesistenti (il 15% della già modesta media nazionale), le azioni ambientali positive (acquisti verdi, politiche di risparmio energetico etc…) hanno una diffusione largamente inferiore anche alla media nazionale. Dietro le città che migliorano o che peggiorano nella loro qualità ambientale ci sono poche condizioni oggettive. C’è la qualità del governo. C’è la qualità delle politiche del governo locale e anche (e non ultima) la qualità della cultura civica locale”. Le classifiche vengono redatte per avere dati di valutazioni certi ed oggettivabili, ma la vera ontologia spendibile ed applicabile alle indagini è quella di ricavarne una sintesi utile per potere rivolgere le proprie azioni ad una disamina e ad un progressivo miglioramento particolare e d’insieme.
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