martedì 3 gennaio 2023

A proposito di “Peace & Love” - “Linguaggi” post-moderni di pace, trasformazione sociale e “sinistra” frustratamente extraparlamentare

La simbologia che ha storicamente accompagnato l'universale rivendicazione di pace – a partire dal 21 Febbraio del 1958 quando, con notevole rilievo sociale, un mobilitazione di massa sostenne iniziative per il disarmo nucleare - trova oggi nello sloganPeace & Love” un punto d'approdo di certa leadership della cosiddetta “sinistra” frustratamente extraparlamentare.


Alcuni esponenti di vertice di tale “sinistra” dimenticano il fatto - o si mostrano sprezzantemente non curanti dello stesso - che l'iconografia ed i “messaggi” del pacifismo (ad esempio, “fate l’amore, non la guerra”) sono stati del tutto riassorbiti dalla logica mercantile del capitalismo maturo che dell'epopea degli hippie e delle aspirazioni insurrezionali del Sessantotto novecentesco ne hanno fatto prodotti di consumo, dal brand Moschino alla Disney Pixar, per limitarci ad alcune aziende che operano globalmente.

A nostro giudizio si è giunti al parossistico approdo concettuale e pratico di parte di tale “sinistra” che prima distorce, poi confonde, infine riutilizza un'accozzaglia di teorie, di linguaggi, di atteggiamenti anche storicamente rilevanti, in modo indubitabilmente vanaglorioso, eclettico (nel senso di incoerente orientamento cognitivo che non segue un determinato sistema o indirizzo di indagine, ma che preferisce scegliere ed armonizzare arbitrariamente principî e congetture che ritiene migliori tra diverse narrazioni teoriche), tendendo nella sostanza a sostituire un percorso d'alternativa politica al capitalismo (teorico-politico ed organizzativo) con un lavoro pseudoculturale d'enfatizzazione di idee e pratiche che possono essere eventualmente considerate un'alternativa di costume all'interno del sistema capitalistico di produzione e riproduzione della vita, quindi assolutamente compatibile con la stratificazione classista della società e con il suo portato d'estrazione costante di plusvalore, “l’eccedenza del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione”.

I dirigenti di siffatta “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, sono vanagloriosi, infatti, quando esprimono un sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui ambiscono al consenso immediato – si potrebbe dire irriflessivo - per meriti inesistenti o inadeguati circa le sorti del mondo e delle classi subalterne. “Peace & Lovead abundantiam sui social network come richiamo per le allodole, come spudorata espressione di un eclettismo che niente di buono prevede per le classi subalterne. La vanagloria immanente a simili scellerate mediatiche posizioni finisce con il produrre un vero e proprio cortocircuito di natura quasi teologico-morale a matrice cattolica, impedendo d'affrontare con coraggio un attuale e cogente ripensamento critico-politico della trasformazione sociale. Conseguentemente, l'eclettica leadership che confonde l'alternativa di costume con quella politica non affida al marxismo ed al leninismo il compito di interpretare teoricamente e strategicamente le contraddizioni economico-sociali in essere, attardandosi, in modo incongruo, in un immoderato desiderio di manifestare la propria bontà umana (rivendicando un indistinto afflato di pace e amore) e in tal guisa ottenere il rispetto delle umane genti, di quegli homines dei quali si trascura la reale e tragica sussistente condizione di classe.


La coscienza della suindicata “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, che incarna una aspetto d'ell'idealismo post-moderno (una sorta di variabile politico-ideologica del cosiddetto «pensiero debole») esemplificato dalla comunicazione sociale della sua leadership, si palesa, dunque, alla maniera di un pan-pacifismo che, come la coltre bianca della neve, tutto copre occultando i diversi profili del variegato territorio sottostante rendendolo suggestivamente e morfologicamente equivalente.

Come è possibile definirsi di “sinistra” o, addirittura, comunista non condividendo la seguente apertura d'analisi della questione: “Il capitalismo prepara, come sempre, le condizioni della guerra. Si può dire di più: il capitalismo è di per se stesso la guerra e, siccome tutto il mondo è capitalistico, la guerra è oggi la condizione permanente dell'umanità. Dal primo decennio del secolo lo sviluppo del capitalismo ha finito d'essere relativamente pacifico perché è stato questo sviluppo stesso a produrre l'imperialismo e a far sì che i paesi capitalistici più sviluppati avessero la forza economica, e quindi militare, di imporre le loro necessità di espansione e i loro interessi ai paesi capitalistici meno sviluppati e quindi più deboli o a paesi coloniali i quali subivano un processo di diffusione del capitalismo nel loro interno” (rif. L'imperialismo unitario, Capitolo XII, "Il nemico è in casa nostra" 1965-1968, Arrigo Cervetto, 1950-1980) ?


In secondo luogo, la deriva evangelico-pacifista sembra spazzare via, sottoporre ad oblio tutto quello sforzo di ricerca etico-politica, nell'ambito del materialismo storico, di Ernst Bloch secondo il quale “il futuro si caratterizza non tanto per essere ciò che supera uno stadio precedente in una scansione dialettico-evolutiva e progressiva; si caratterizza cioè non come ciò che annuncia un regno dei fini sia di segno religioso che politico-ideologico. Il futuro, nella prospettiva blochiana, è ciò che non è ancora. Anzi, grazie alla straordinaria intuizione della Ungleichzeitigkeit (la non contemporaneità dei tempi storici) il futuro può essere anche ciò che non è stato e che poteva essere, il futuro di un passato che non si è manifestato nella sua positività e che può ancora infuturarsi” (cit. Giuseppe Cacciatore, “Bloch e l’utopia della Menschenwürde”, b@beleonline, in Rivista online di Filosofia, n° 5, 2019, pagine 111-122). Per opporsi a questa potente critica al pan-pacifismo, a nulla può valere ricordare che Bloch, dopo i fatti di Ungheria del 1956, si trasferì nella Repubblica Federale di Germania, perché la questione etico-politica - esattamente come da Bloch posta - resta intonsa, affatto logorata.

Inoltre, seguire il trend dell'opposizione retorica e, quindi, inefficace della “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, al sistema vigente di cose, vuol dire macchiarsi di un grave torto d'ingratitudine nei riguardi di chi ha avviato, passando per Hegel, un percorso significativo di innervamento del marxismo (Mein Weg zu Marx la definì il filosofo ungherese al quale si fa riferimento) nella contemporaneità, così come analogamente operò Antonio Gramsci, collocando la ricerca della verità dal punto di vista storico-politico proletario.

Ci si riferisce a György Lukács (rif. Tattica e etica, 1919 e La distruzione della ragione, 1954), ad un antropocentrismo da lui proposto che può sfociare, distante dalla filosofia morale di Kant (che promuove l'intenzionalità esplicantesi come prescrittiva), e lo orienta, senza titubanza, nel centro della concezione storico-dialettica di Marx, quella del sovvertimento antagonistico-duale necessario dei rapporti sociali, perseguendo l'ineguagliabile scopo di riferirsi al soggetto subalterno socialmente in grado di sollevare le sorti dell'intero genere umano, aspirando così a compiere un tangibile percorso storico realmente garante di pace e di solidarietà (cfr. “La lezione radicale di Lukács”, Lelio La Porta, il manifesto, 3 Giugno 2021).

Prof. G. Dursi