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sabato 19 settembre 2020

"Votare NO, ma . . ." - Intervento del Prof. Giovanni Dursi, Docente MI di Filosofia e Scienze umane

Referendum costituzionale di tipo confermativo - Domenica 20 e Lunedì 21 Settembre 2020 – Modifica degli articoli della Costituzione (precisamente i numeri 56, 57 e 59) e confermativo perché se vincesse il “Sì” verrebbe confermata La legge di revisione costituzionale approvata in via definitiva l’8 Ottobre 2019. "Votare NO, ma . . ." - Intervento del Prof. Giovanni Dursi, Docente MI di Filosofia e Scienze umane

 

martedì 25 ottobre 2016

N O perchè ...

No perché gli interessi in gioco - territorialmente, economicamente e socialmente vasti - sono "gestiti", paradossalmente, da entrambi gli schieramenti referendari, ridefinendoli in termini di interessi politicamente ristretti. Basta sapere come si è giunti - parlamentarmente - a questo Referendum confermativo  e da chi è sponsorizzato. Ecco perché va riletto il libro "Senza tregua - La guerra dei GAP" di Giovanni Pesce.

Prefazione [kb 8 HTML]
Capitolo Primo Alla macchia [kb 33 HTML]
Capitolo Secondo Nelle Brigate Internazionali [kb 30 HTML]
Capiitolo terzo Come nasce una bomba [kb 44 HTML]
Capitolo Quarto Quanto vale un gappista? [kb 47 HTML]
Capitolo Quinto All'assalto di Torino [kb 42 HTML]
Capitolo Sesto Morte e trasfigurazione [kb 83 HTML]
Capitolo Settimo
Addio Torino [kb 34 HTML]
Capitolo Ottavo Milano[kb 34 HTML]
Capitolo Nono La battaglia dei binari [kb 44 HTML]
Capitolo Decimo Spie, carnefici e giustizieri [kb 32 HTML]
Capitolo Undicesimo Un elemento sicuro [kb 44 HTML]
Capitolo Dodicesimo Valle Olona [kb 40 HTML]
Capitolo Tredicesimo Reazioni a catena [kb 52 HTML]
Capitolo Quattordicesimo A ritmo serrato [kb 60 HTML]
Libro intero [kb 267 ZIP]

Nella Gazzetta Ufficiale del 15 Aprile 2016 è stato pubblicato il testo della Legge costituzionale approvato da entrambe le Camere, in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta dei componenti. La riforma dispone, in particolare, il superamento dell'attuale sistema di bicameralismo paritario, riformando il Senato che diviene organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali; contestualmente, sono oggetto di revisione la disciplina del procedimento legislativo e le previsioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione sulle competenze dello Stato e delle Regioni. E' altresì disposta la soppressione del CNEL. 
A seguito della presentazione di richieste di sottoposizione della legge a referendum costituzionale, ai sensi dell'art. 138 della Costituzione, l'Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione ha dichiarato la legittimità del seguente quesito referendario: «Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente "Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».
Il 4 Dicembre 2016 si svolgerà il referendum popolare confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione sulla suddetta legge costituzionale.
* * * * *
Resistenza e Costituzione.

di Alberto Berti

Questo è un discorso che voglio fare soprattutto ai giovani amici di Recsando sapendo che nelle nostre scuole certi problemi che dovrebbero contribuire alla loro formazione di cittadini di una repubblica democratica raramente vengono affrontati e se affrontati lo vengono con estrema superficialità dando loro scarsissima importanza.

Credo che pochissimi conoscano la nostra Carta Costituzionale e che ancora meno siano coloro che si rendono conto di vivere in un paese che ha una delle costituzioni più avanzate fra quelle esistenti.

In Austria, in Svezia, negli Stati Uniti, già in quelle che sono le ultime classi delle scuole elementari, i maestri cominciano a spiegare la Costituzione che regola i rapporti fra i cittadini ed i poteri dello stato in cui vivono. Negli Stati Uniti i ragazzi vengono educati a conoscere anche gli “emendamenti” della loro Costituzione e richiamarsi ad essi.

In Italia, fra qualche settimana, il 22 dicembre festeggeremo (?) i cinquant’anni dell’approvazione a grandissima maggioranza della Costituzione avvenuta nel lontano 22 dicembre 1947 da parte dell’Assemblea Costituente eletta dal popolo italiano il 2 giugno 1946 assieme al referendum che spazzava via la monarchia savoiarda.

L’approvazione della Costituzione ha segnato una svolta fondamentale nella storia del nostro paese, non soltanto per i principi che essa ha posto alla base dell’ordinamento della società italiana, ma anche per le garanzie di cui li ha rivestiti e che hanno il loro perno nella qualificazione della Costituzione stessa come Costituzione rigida.

Cosa vuol dire Costituzione rigida? Vuol dire semplicemente che i “princìpi” in essa enunciati non sono modificabili con procedure legislative ordinarie e, dall’altro lato, che le leggi che sono incompatibili con quei principi non hanno alcuna validità. Sono da ritenersi nulle. Anzi, la dottrina costituzionalista e la giurisprudenza della Corte Costituzionale (anch’essa introdotta nel nostro paese per la prima volta con la Costituzione) hanno messo in luce la regola secondo la quale esiste un nucleo di “principi supremi” che non sono suscettibili di modificazione neppure attraverso i procedimenti di revisione che la Costituzione stessa prevede. Infatti in questi ultimi tempi si è parlato molto di revisione della Costituzione, da parte della Commissione bicamerale appositamente designata, ma se fate caso, leggendo i giornali, vedrete che essa si è occupata dell’ordinamento dello Stato, sul sistema delle elezioni di deputati e senatori, sui compiti attribuiti alle due Camere, sull’elezione del Presidente della Repubblica, sulle funzioni pubbliche attribuite a comuni, provincie, Regioni e Stato, eccetera, quindi la commissione è intervenuta sulla seconda parte della Costituzione e non sulla prima che enunciava i principi fondamentali del nostro vivere civile.

Sarebbe opportuno, senza che io li ripeta qui di seguito, che i miei giovani lettori leggessero i primi articoli della costituzione in modo da poter percepire e comprendere, la portata pratica dell’affermazione dei valori della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia. Il catalogo delle libertà che la Costituzione enuncia, comprende, insieme con i classici diritti civili e politici, un complesso di diritti economici e sociali i quali concorrono a qualificare la forma di Stato, oltre che come forma di stato di diritto, anche come stato sociale.

Queste enunciazioni sviluppano, in particolare, i due princìpi, certamente “supremi” che troviamo scritti negli articoli 2 e 3, che fondano la libertà umana e l’esigenza di promuovere in ogni modo possibile l’eliminazione delle discriminazioni - sia di diritto che di fatto - che ostacolano la realizzazione dell’eguaglianza dei cittadini.

Adesso, care sandonaute e sandonauti, occorrerebbe stabilire come la Costituzione italiana sia nata e perché. Ed allora bisogna riandare a quel meraviglioso fenomeno popolare che è stata la Resistenza.

Per dare un significato politico, per stabilire un collegamento tra Resistenza e Costituzione, penso che sia necessario iniziare ricordando il discorso di Piero Calamandrei ai giovani milanesi tenuto nel 1955 che si concluse con la forte immagine secondo la quale la Costituzione veniva presentata come un “testamento”: il testamento dei caduti della Resistenza.

Calamandrei con il suo mirabile discorso voleva tenere viva l’attenzione dei giovani sui valori che la Costituzione aveva codificato e che le vicende politiche successive rischiavano in qualche modo di appannare.

A più di cinquant’anni di distanza mi sembra necessario accentuare non tanto il fatto militare, quanto il forte spessore politico che danno valore alla Resistenza e alla guerra di liberazione.

Se ci volessimo limitare a ricordare la Resistenza come un solo fatto militare saremmo oggi ridotti a celebrarla come vecchi compagni d’armi che si ritrovano, consumano assieme il rancio, ascoltano qualche ricordo, si salutano augurandosi di ritrovarsi l’anno successivo.

Se la guerra di liberazione e la lotta partigiana consistessero soltanto in un evento di carattere militare, terminata la guerra, il 25 aprile 1945, si sarebbe potuto dire missione compiuta, non ne parliamo più. Invece bisogna parlarne, perché la lotta di liberazione del nostro paese non è stata soltanto un fatto di carattere militare, è stata un fatto politico, nel senso nobile della parola, e non partitico: cioè nell’interesse della collettività, del bene collettivo. Infatti nei territori occupati dai nazisti, diciamocelo francamente, l’unica vera forma di rappresentanza dell’Italia era data dai partigiani e da coloro che combattevano per la Libertà.

L’esercito non esisteva più, si era liquefatto come neve al sole, il paese era in mano ai nazisti oppressori e chi veramente rappresentava il paese erano i partigiani, i comitati di liberazione nazionale tant’è vero che furono costituite delle repubbliche partigiane Carnia, Montefiorino, Val d’Ossola, dove i loro governi provvisori emanarono addirittura delle leggi.

Durante quei governi ci fu una distinzione tra giurisdizione civile e quella penale; ci fu una distinzione tra reati comuni e reati politici; ci fu una polizia alle dirette dipendenze della magistratura: tutte cose che hanno servito a quello che si doveva costruire nel nostro paese. E' da ricordare che la costruzione politica derivante dalla Resistenza è stata difficilissima fin dal tempo della Resistenza stessa, perché i partigiani non avevano alle spalle quello che avevano gli altri resistenti e combattenti in Europa. I grandi avvenimenti, come la rivoluzione russa, hanno avuto dei precedenti di carattere culturale e filosofico. Per la rivoluzione francese abbiamo avuto tutto il periodo dell’illuminismo, per la rivoluzione russa abbiamo avuto tutto il marxismo, le sue implicazioni, le culture diverse intorno al marxismo, le discussioni. In Italia dietro le spalle non c’era nulla.


Ci fu chi battezzò la Resistenza come il nostro Secondo Risorgimento. Non sono d’accordo con quel grande storico che fu Luigi Salvatorelli. Anzitutto perché al Risorgimento partecipò, anzi lo portò alla vittoria la monarchia sabauda che non parteciperà alla Resistenza. Il Re che aveva già tradito lo statuto albertino, che non seppe ripudiare il fascismo, che non si tirò indietro né davanti alle leggi razziali ne alla dichiarazione di guerra, di fronte al movimento di Resistenza rimase freddo ed assente ed i motivi li conosciamo sin troppo bene. Pensava di rifarsi una verginità e di far dimenticare le sue malefatte avallando la dichiarazione di guerra alla Germania nazista presentatagli da Badoglio nell’ottobre del 1943.

La differenza tra Risorgimento e Resistenza è notevole: i due movimenti sono paragonabili su un solo piano, quello di liberare l’Italia dall’occupazione straniera. Per il resto, idee, contenuti, esercito, lotte, partecipazione, ecc. sono diversissimi.

Il Risorgimento discende direttamente dalle idee della rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche che fanno balenare nelle menti più aperte degli italiani la possibilità e la necessità di riunire dopo tanti secoli l’Italia in un solo Stato. Quelli che sentono questa necessità e si prodigano per propagandarla costituiscono un'élite minoritaria rispetto al resto della popolazione. Si tratta di nobili, intellettuali, professionisti e studenti. La classe operaia e quella contadina non sentono e da quei problemi non vengono affascinate. Anzi, per quel poco che sanno, li odiano. Per loro l’unità d’Italia significa guerra, carneficine, lutti e miserie di cui loro, contadini ed operai sono costretti a portarne il peso. Infatti essi costituiscono la cosiddetta carne da cannone, quella che deve sacrificarsi sui campi di battaglia. Da ciò deriva il loro odio per i Bandi di mobilitazione generale, le cartoline precetto di richiamo alle armi ed in una parola di tutto ciò che ha attinenza con la guerra.

La Resistenza è una cosa diversa: non esistono né Bandi di mobilitazione, né cartoline precetto. Si va in montagna liberamente, spinti da ideali diversissimi, quando addirittura non saranno i Bandi della repubblica di Salò a costringere i giovani ad una scelta decisiva.

Ci si ritrova in montagna giovani e vecchi, operai e contadini, uomini e donne, comunisti, socialisti, GL, monarchici e persino i cattolici che durante il Risorgimento erano stati col cuore dalla parte del Papato. Per la prima volta nella storia d’Italia contadini ed operai partecipano attivamente alla costruzione del loro futuro e non lo subiscono. Troviamo formazioni partigiane costituite quasi completamente da contadini, come nel cuneese, oppure da operai dei cantieri navali nella Venezia Giulia.

Le donne s’impegnano in tutte le forme possibili: reperimento di viveri in pianura per portarli con le gerle in montagna, cucendo indumenti per il parente o l’amico partigiano, facendo la staffetta da una formazione all’altra, portando ordini e notizie sia dalla pianura che dalla città. Come sarebbe stata possibile altrimenti una Resistenza senza l’aiuto delle donne?

La Resistenza fu infatti, come la definì Salvemini, una guerra di popolo, né più, né meno di quello che aveva dichiarato Parri ai primi di novembre del 1943, quando con Valiani attraversò il confine svizzero per incontrarsi con i delegati angloamericani i quali dal movimento partigiano si aspettavano solo sabotaggi ed informazioni e rimasero strabiliati quando egli affermò ripetutamente che puntava su una guerra del popolo italiano, condotta da una esercito del popolo: i partigiani. A quel tempo i partigiani che erano saliti in montagna ammontavano si e no a qualche migliaio.

Alcuni fatti mi sembrano importanti da chiarire in quanto di solito vengono dimenticati o sottovalutati. Man mano che la lotta partigiana aumentava d’intensità nei territori occupati dai tedeschi essa si conquistò l’ammirazione ed il rispetto dei comandi alleati, specie dopo l’insurrezione di Firenze che pose fine alla lotta sanguinosissima combattuta in Toscana. Nello stesso mese di agosto del 1944 la brigata Rosselli, comandata da Nuto Revelli, impedì per alcuni giorni nella battaglia della Val Stura alla 90° divisione corazzata tedesca di accorrere da Acqui, dove si trovava, a Tolone, valicando il passo della Maddalena, per bloccare lo sbarco angloamericano avvenuto tra Nizza e Marsiglia. Nello stesso tempo i garibaldini di Arrigo Boldrini con i mazziniani di Biasini e Libero Gualtieri combattevano contro i tedeschi sulla linea gotica.

La guerra di liberazione nazionale fu senza alcun dubbio una lotta armata contro l’invasore nazista e contro il fascismo nostrano messosi al suo servizio, ma fu anche una lotta politica che cominciò al Sud nel territorio già liberato dagli angloamericani i quali tardavano a ripristinare le libertà democratiche. In ciò vi era senza alcun dubbio l’interesse di Churchill che voleva difendere la monarchia sabauda e che la riteneva un possibile futuro baluardo contro una eventuale minaccia comunista.

Il congresso del partito d’azione tenutosi a Bari nel gennaio del 1944, che si espresse in modi durissimi all’unanimità contro la monarchia sabauda aveva profondamente turbato Churchill che neanche l’arrivo di Togliatti dalla Russia nel successivo marzo e la conseguente “svolta di Salerno” riuscirà a tranquillizzare.

Il fatto politico più importante fu senza dubbio la creazione dei CLN, i Comitati di Liberazione Nazionale, che consentirono di dare alla Resistenza italiana un unico indirizzo politico, un unico comando generale della lotta partigiana e s’imposero, con loro unitarietà, sia di fronte alle forze partigiane che li riconobbero come loro emanazione, ma anche rispetto alle autorità militari angloamericane.

I CLN che discendevano a grappolo dal centro, Milano, sino al più sperduto paese dove si lottava per la libertà, vennero riconosciuti dagli alleati, ma l’azione politica più importante si svolse a Roma.

Qualche giorno prima della liberazione di Roma, il CLN centrale chiese in forma ultimativa le dimissioni del generale Badoglio da presidente del consiglio, di dare pieni poteri legislativi al governo che si sarebbe formato, di esentare i ministri dal giuramento di fedeltà al Re e di farli giurare invece nell’interesse supremo della nazione e stabilire con un decreto legge che al termine della guerra il popolo italiano avrebbe potuto scegliere la forma statuale che più gli aggradava: monarchia o repubblica.

Liberata Roma, Badoglio fu costretto a dimettersi ed il suo successore, Bonomi, ex presidente del CLN romano, si fece dare pieni poteri legislativi e sulla base degli stessi emanò il 25 giugno 1944 il decreto che stabiliva sia l’elezione di una Assemblea Costituente che la scelta istituzionale, a guerra conclusa, tra Monarchia e Repubblica. Calamandrei commentò:” siamo usciti dalla legalità statutaria e siamo entrati nella legalità precostituente.”

A fine estate, sbalordito dell’opera delle brigate partigiane e dei CLN, il toscano in particolare e dell’importanza assunta dal movimento partigiano che era riuscito a creare tre zone libere ed aveva bloccato una intera divisione corazzata che si stava precipitando a dare manforte alle guarnigioni tedesche che tentavano di impedire lo sbarco, il Comando delle truppe alleate, chiese un incontro con il CLN alta Italia (CLNAI). La delegazione del CLNAI (formata da Parri, Pizzoni, Paietta e Sogno) che si recò a Roma già da mesi liberata, ebbe dagli incaricati del generale Wilson e del Maresciallo Alexander il riconoscimento del diritto di condurre la lotta partigiana, che costituiva un invito alle popolazioni di sostenere il movimento partigiano e fu anche firmato un protocollo di accordo col quale le autorità militari alleate s’impegnavano ad avallare le nomine dei responsabili amministrativi (Prefetti, sindaci, questori, provveditori agli studi,ecc.) effettuate dai CLN.

Il successo della missione romana degli esponenti della Resistenza nel Nord, ancora occupato dai nazisti fu completato dalla promessa Alleata di intensificare i lanci paracadutati di armi ed aiuti di vario genere alle formazioni partigiane.

Il tutto venne raccolto in un protocollo firmato da entrambe le parti. L’importanza politica di questo protocollo è notevolissima: eccetto che nel caso della Jugoslavia, gli alleati avevano sempre trattato con i governi in esilio delle varie nazioni occupate dai tedeschi. In questo caso invece trattavano e firmavano documenti direttamente col movimento partigiano operante nella zona occupata dai nazisti ed ebbe sentore di quelli che erano i motivi ed i programmi del movimento partigiano.

Udirono Parri dichiarare senza mezzi termini che si combatteva per costituire una repubblica democratica che bandisse in quella che sarebbe stata la sua nuova carta costituzionale ogni tipo di guerra di aggressione, che non ci sarebbero più state in Italia discriminazioni dovute a razza, fede religiosa od altro, che l’eguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi dello stato non avrebbe avuto limitazioni, eccetera; tutte cose che noi poi troveremo scritte tra i principi della nostra costituzione.

Altro aspetto politico importante della Resistenza italiana fu l’organizzazione degli scioperi dei primi di marzo 1944 che bloccarono l’attività di moltissime fabbriche e di intere città. A Milano si fermarono i tram, lo sciopero bloccò anche Il Corriere della Sera. Non era possibile per i nazifascisti nascondere la gravità che da tali scioperi emergeva. Inoltre fu attraverso l’attività dei propagandisti politici nelle fabbriche, negli uffici e dappertutto che in molti cittadini, sino a quel momento disinteressati, si manifestò il desiderio e la necessità di seguire attentamente le vicissitudini della politica.

Le fucilazioni e le deportazioni di scioperanti, operate dai nazisti, i manifesti affissi nelle strade che annunciavano condanne a morte ottennero solo lo scopo di fare odiare ancor di più dalle popolazioni fascisti e nazisti.

Un altro aspetto che non bisogna dimenticare è l’apporto di idee e programmi che la Resistenza ha elaborato e consegnato ai futuri reggitori della politica nazionale. E da quelle idee e da quei programmi che sono usciti i valori, i principi che sono alla base delle nostra Costituzione che il 22 dicembre compirà cinquant’anni. Ricordiamocelo.

San Donato Milanese, 20 Novembre 1997

Senza tregua - La guerra dei GAP

giovedì 16 giugno 2011

Commento sull'esito referendario

Provo a ragionare sull’esito referendario. A seggi chiusi, il quorum è superato con un’affluenza alle urne che, negli istant poll, già oscillava addirittura tra il 54,5 e il 59,5% consentendo ai SI di traguardare una percentuale oscillante tra il 93 ed il 97% della scelta espressa dagli elettori. Ora i risultati si sono stabilizzati [http://referendum.interno.it/], ma l’esito politico si conferma come altamente positivo. Comportamenti elettorali, certo, ma adottati in un’allarmante situazione di “crisi a più dimensioni” che continua a devastare la coesione sociale, avvelenata da una incontrollata deriva politico-culturale del “ventennio berlusconiano”. Il successo referendario è l’onda lunga e carsica d’una parte del “corpo sociale” che non si arreso alla ristrutturazione autoritaria del dominio capitalista nella metropoli italiana. La resistenza (operaia, studentesca, dei soggetti antagonisti presenti nella società civile) e la clandestinità comportamentale (incardinata nella palese estraneità ed ostilità verso il “sistema dei partiti” ed i “santuari” del potere), ha reso ai cittadini tutti la consapevolezza della praticabilità di “politiche generative” del “nuovo” di cui una prima manifestazione – dal 2008-2009 al 2011 - sono stati (per quanto variegati e non tutti autentici) i “coriandoli” del “neocivismo”. La marcia nel deserto non è però finita e non si esaurisce nella contraddittoria esperienza del neocivismio. In buona sostanza, c’è altro accanto all’idea di recidere i cordoni ombelicali con le rantolanti “organizzazioni del consenso”, vecchie e nuove, anche della “sinistra” che annovera tra le sue fila tanto Pietro Ichino quanto la FIOM-CGIL. Il dato importante da considerare è questo: nel corpo sociale si è diffuso un coinvolgente ripensamento in atto del “governo dei beni comuni” materiali ed immateriali. Certo, l’acqua, il sole, l’aria pulita e la potenza del vento, ma anche l’istruzione e la salute pubbliche, i diritti al reddito, alle “protezioni sociali” (che ritorni universalistico il Welfare !)ed alla conflittualità, la condivisione delle conoscenze e delle sue veicolazioni tecniche. Il largo fronte delle vertenze sociali ha aperto una stagione politica costituente: c’è chi pensa che il “movimento antagonista” non debba rifluire nella miope e strumentale ricerca di nuovi equilibri sociali ed in nuovi “accordi” interclassisti a garanzia di stabili profitti e status quo; c’è chi propugna, fatta propria la logica antisistema, l’attuazione del progetto d’edificazione di istituzionalità popolari sulla base di nuove forme di cittadinanza attiva che superino le antinomiche espressioni dell’attuale “democrazia reale”. La distanza irreversibile non è tra il Governo in carica ed il Paese, bensì sussiste tra una “moltitudine” (masse popolari senza più gli ancoraggi delle appartenenze politico-sindacali e/ dell’ordinamento sociale e classista tradizionale) e lo Stato. S’assiste al concreto riaffermarsi dell’autonomia politico-organizzativa dell’autentico (a-ideologico) antagonismo che riprende la sua marcia amalgamando, poco a poco, chi lotta, sedimentando “comunità” nei territori. Siamo di fronte alla crisi radicale della “politica alienata ed estraniante della rappresentanza e della delega”. In altri termini, la fenomenologia sociale innescata dalla “crisi” è inequivocabile pronunciamento di soggetti dispersi fuoriusciti dal post-fordismo di maniera, tipico della “piccola trasformazione italiana” (Bonomi), inabissatisi quando si è affermato il “capitalismo molecolare”, successivamente, quello “delle reti e dei flussi” (che ha in Marchionne la migliore tra le truffaldine figure), per riemergere ora come unico, attrezzato argine alla contaminazione e lacerazione dei “populismi armati” (quello di territorio come Lega Nord ed affini; quello dell’individualismo proprietario, tecnocratico, giustizialista; quello “dolce” di un “potere” che ricerca “connessioni” con il popolo …). Dentro una lacerante scomposizione sociale ormai in metastasi, si realizza un’aggregazione di luoghi sociali e territori che reagisce alla subalterna omologazione politico-telecratica, che rifiuta la morte cognitiva, che resetta il blocco implosivo delle rappresentanze (verso il basso, ripensando il “consenso”, verso l’alto, progettando “contropotere”). Le infrastrutture normative, sofisticato risultato del sistematico picconamento al quale è stato sottoposto da decenni lo “Stato di diritto”, messe in opera dall’egolatria insita dal “berlusconismo”, oggi devono fare i conti con autonomi movimenti sociali e di pensiero. Con forza, nuove istituzionalità irrompono sulla scena del conflitto sociale perseguendo la soddisfazione dei “bisogni”, esprimendo responsabilizzazione nella “progettualità sociale”, organizzando la gestione comunitaria delle “conoscenze” e delle I.C.T.. Non si sogna più la “comunità”, la si conquista, valorizzando il “conflitto” piuttosto che accettare la “mediazione” ed unificandosi, superandole la frammentazione originaria, le esperienze di contropotere.

mercoledì 25 maggio 2011

REFERENDUM 12 e il 13 giugno 2011

Il 12 e il 13 giugno 2011 si terrà in Italia un referendum suddiviso in 4 quesiti: uno riguarda il legittimo impedimento, istituto giuridico che permette all'imputato, in alcuni casi, di giustificare la propria assenza in aula, due riguardano la privatizzazione dell’acqua e uno ruota attorno al ritorno dell’energia nucleare in Italia.
Trattandosi di referendum abrogativo, ai cittadini verrà chiesto di abrogare o meno alcune norme esistenti, o loro parti, riguardanti le tematiche di cui sopra.

Più semplicemente, ogni quesito sarà del tipo “vuoi abrogare la norma x?”. Rispondendo “No” si esprimerà la proprio volontà affinché la norma rimanga vigente, al contrario, rispondendo “SI’”, si opterà per la sua abrogazione. Affinché le votazioni siano valide si deve raggiungere il quorum: è necessario, cioè, che vada a votare il “50% + 1” degli aventi diritto (circa 25 milioni di italiani).

Cos’è il referendum
La parola referendum riprende il gerundio latino del verbo refero, "riferisco" (nella frase ad referendum, "[chieder dei documenti, ecc.] per riferire")[1], e indica comunemente lo strumento attraverso cui il corpo elettorale viene consultato direttamente su temi specifici; esso è uno strumento di democrazia diretta, consente cioè agli elettori di fornire - senza intermediari - il proprio parere, o la propria decisione, su un tema oggetto di discussione.

I referendum in Italia
I referendum in Italia sono di numerose forme.
Solo le tipologie contemplate dalla Costituzione italiana ammontano a quattro: il referendum abrogativo di leggi e atti aventi forza di legge (articolo 75), quello sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale (articolo 138), quello riguardante la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni (articolo 132 comma 1), quello riguardante il passaggio da una Regione ad un'altra di Province o Comuni (articolo 132 comma 2). Inoltre è previsto, all'articolo 123 comma 1, che gli statuti regionali regolino l'esercizio del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione.
Nel 1989 una legge costituzionale ha consentito che, in occasione delle elezioni del Parlamento europeo, si votasse anche per un referendum consultivo sul rafforzamento politico delle istituzioni comunitarie.
Altri referendum a livello comunale e provinciale sono poi previsti da fonti sub-costituzionali.
Il 2 giugno 1946 si svolse in Italia il primo referendum istituzionale con il quale i cittadini furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia.

Quando, come e dove si vota
I referendum si terranno in tutta Italia Domenica 12 giugno dalle 8 alle 22 e Lunedì 13 giugno dalle 7 alle 15.

Si voterà nel proprio Comune di residenza, nella sezione elettorale indicata sulla propria tessera elettorale.

Gli elettori dovranno esibire al presidente del seggio la tessera elettorale ed un documento di riconoscimento e riceveranno da un componente del seggio 4 schede di diverso colore ognuna con un quesito e due caselle con su scritto “SI’” e “NO” sulle quali bisognerà apporre una croce: per votare “SI’”, e quindi per abrogare la norma oggetto del quesito, bisogna barrare la casella del “SI’”. Viceversa, per votare “NO” e mantenere la norma già esistente, bisogna barrare la casella del “NO”.

Calendarizzazione e critiche
La legge vuole che i referendum abrogativi si tengano in una data compresa il 15 aprile e il 15 giugno e comunque non prima che siano passati almeno 365 giorni dallo svolgimento dell'ultimo suffragio nazionale.

In un primo momento, era stato proposto l'accorpamento del referendum al primo o al secondo turno delle elezioni amministrative del 15-16 maggio 2011, poi, il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha optato per la divisione delle due consultazioni dichiarando che il referendum si sarebbe svolto il 12 e 13 giugno “secondo una tradizione italiana che ha sempre distinto le due date”.

La scelta è stata critica dai comitati promotori e dall’opposizione sia per l’evitabile spesa che va dai 300 ai 400 milioni di euro, sia perché vista come un tentativo di non fare raggiungere il quorum necessario, 50% + 1 degli aventi diritto al voto, vista lo collocazione del referendum poco distante dalle elezioni amministrative che inoltre, in alcune parti d’Italia dove si andrà al ballottaggio, si svolgeranno in due turni.


Primo quesito (Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione)
Volete voi che sia abrogato l'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?

Viene chiesto se abrogare del tutto la norma sulla privatizzazione dell’acqua.

Votare “SI’” per abrogare la norma (lo Stato prenderebbe di nuovo in mano la gestione dei servizi idrici, togliendola ai privati).

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa.


Secondo quesito (Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma)
Volete voi che sia abrogato il comma 1 dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», limitatamente alla seguente parte: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito»?

Viene chiesto se abrogare o meno una norma limitatamente alla parte riguardante la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.

Votare “SI’” per abrogare questa parte della norma che permette il profitto/guadagno, e non soltanto il recupero dei costi di gestione e di investimenti, nell’erogazione del bene Acqua potabile.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa e che chi eroga il servizio idrico ne tragga un profitto.


Terzo quesito (Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme)
“Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Diposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributarla, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare?”.

Il quesito è stato abbreviato in quanto molto lungo e articolato. Anche qui si tratta di abrogazione parziale di una parte del Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito poi con modificazioni nella Legge n. 133 del 6 agosto 2008.

Votare “SI’” per abrogare questa parte della norma che consente il ritorno delle centrali nucleari in Italia.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa che non consente la costruzione di tali impianti sul territorio nazionale.

La costruzione di centrali nucleari in Italia era consentita fino al 1987, anno successivo al tristemente noto disastro di Cernobyl e nel quale si tennero referendum sull’argomento. In quell’occasione circa l’80% dei votanti si di rivelò contrario all’utilizzo dell’energia atomica, le 3 centrali funzionanti vennero chiuse e altre non ne vennero più costruite.


Quarto quesito (Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale)
Volete voi che siano abrogati l'art. 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, e l'art. 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante «Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza», quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 13-25 gennaio 2011 della Corte costituzionale?

Come anticipato prima, il quesito è stato proposto dall’IdV ed è stato autorizzato dalla Corte di Cassazione dopo la dichiarazione di parziale incostituzionalità della norma in questione.

Votare “SI’” per abrogare i sopracitati articoli e se si è contrari, quindi, al fatto che alte cariche dello Stato, come Presidente del Consiglio e Ministri, per esempio, possano. Laddove citati, non presentarsi in Tribunale adducendo a impegni di governo.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa-scudo nei confronti del sistema giudiziario.


Qualunque sia la nostra posizione sugli argomenti oggetto dei 4 quesiti referendari, l’importante è ANDARE A VOTARE per adempiere al proprio DOVERE e per esercitare il proprio DIRITTO.