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domenica 24 novembre 2013

… non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù ...

Ciascun individuo è tale poiché instaura relazioni con la realtà circostante. Il costante “riferirsi” all'altro da se, per definire il profilo stesso di soggettività, rende oggettivamente permeabile il confine del cosiddetto “ego” e l'esperienza della connessione scandisce di fatto l'esistenza individuale/collettiva. Nella transizione dal XVIII e XIX secolo la natura dell'interazione sociale storicamente determinata emerge culturalmente a coscienza e grazie a ciò Tocqueville ritenne la “massa” come moltitudine indifferenziata al suo interno, di aggregato omogeneo, in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo. L'industrializzazione e l'urbanizzazione connessa nei paesi occidentali più progrediti sono fenomeni d'esordio della società di massa. Nel XX secolo il quadro si raffina e completa in termini di omologazione: “Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi pieni di ospiti. I treni pieni di viaggiatori. I caffè pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici piene di ammalati […]. La moltitudine improvvisamente si è fatta visibile […]. Prima, se esisteva, passava inavvertita, occupava il fondo dello scenario sociale; adesso s’è avanzata nelle prime linee, è essa stessa il personaggio principale. Oramai non ci sono più protagonisti: c’è soltanto un coro” (Josè Ortega Y Gasset, “La ribellione delle masse”, 1930). La gran parte delle persone vive in agglomerati urbani, medi e grandi. Gli esseri umani sono a più stretto contatto condizionante fra loro. Maggiore disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione, di informazione pur con discriminazioni economiche d'accesso che ne differenziano sostanzialmente le condizioni di vita. Le relazioni sociali non si basano più sulle piccole comunità tradizionali. Le dimensioni etniche tendono a precipitare nel “globale”. Le relazioni sociali dipendono in una prima fase di affermazione del capitalismo dalle grandi istituzioni nazionali (apparati statali, partiti, associazioni, sindacati …), nella più recente dalle imprese multinazionali che sovradeterminano la vita di ciascuno. La subalternità dell'individuo è totale ed irreversibile.
Le organizzazioni capitalistiche che sovrintendono alla produzione ed al consumo di massa pesano sulle scelte di vita collettive e su quelle individuali. Si passa inevitabilmente dall’autoconsumo al circolo dell’economia di mercato. I valori tradizionali d'appartenenza lasciano il passo a nuovi modelli generali di mentalità e comportamenti eteroprodotti e “venduti” come indispensabili a ciascuno concorrendo a formare nuove dimensioni psicologiche e percettive inducendo alterazione etica ed annientamento del pensiero critico. Oggi il fronte delle innovazioni tecnologiche, di nuovi settori produttivi (informatica ed elettronica in primis, ma anche la chimica) trovano occasioni di imposizione di correlati stili di vita. La Cina s'affianca alla tradizionali potenze industriali, la Germania e gli Stati Uniti. Assistiamo ad uno sviluppo tumultuoso generalizzato della produzione in tutti i settori che devono innovare per sopravvivere nella competizione globale. L’indice di produzione industriale e quello del commercio raddoppiano fino alla fase di finanziarizzazione improduttiva, fino al collasso del sistema d'appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta (crisi della fine del primo decennio del XXI secolo). I prezzi dei beni e servizi (compresi quelli erogati dal Welfare), che prima calavano costantemente, cominciano a crescere. Non crescono, viceversa, i salari (assolutamente meno dei prezzi), il PIL dei paesi industrializzati e la popolazione in questi paesi subisce la stagnazione e l'imperio aziendalista. Per conseguenza, l'allargamento del mercato comprime la domanda di beni e servizi di massa, essendo le classi subalterne depauperate (mediante la leva fiscale) ed impoverite materialmente non avendo retribuzioni sufficienti a riprodurre la forza-lavoro. Non nascono cicli di produzione industriale di nuovi beni di consumo e le reti commerciali di vendita e distribuzione (negozi, grandi magazzini, vendita per corrispondenza, rateizzazione e finanziamenti, pubblicità) sono diventati non-luoghi dell'alienazione di massa; la stagnazione della produzione induce una razionalizzazione produttiva che si sostanzia in tagli di servizi e personale. Dal 1913, quando a Detroit, negli stabilimenti Ford nasceva la prima catena di montaggio, ad oggi, si è passati dall'introduzione di nuovi metodi di produzione di massa (parcellizzazione del lavoro, taylorismo di cui in F.W. Taylor, “Principi di organizzazione scientifica del lavoro”, 1911) al neoschiavismo che ha fatto tramontare l'epoca dei consumi di massa, dei prezzi differenziati e competitivi, degli alti salari, del fordismo.
Di quella stagione resta solo la “massificazione”. L'uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali, schizofrenica mobilità e stratificazione sociale. La classe operaia già divisa nella trade-unionistica distinzione fra manodopera generica e lavoratori qualificati (aristocrazie operaie) rifluisce verso zone sempre più ampie di disoccupazione e precarietà aumentando consistentemente l'inadeguatezza nel conflitto organizzato. È soggiogata alla volontà ristrutturativa del capitalismo. Il cosiddetto ceto medio non aumenta la sua consistenza con i lavoratori autonomi e nuove professioni che ci si inventa (la mortalità delle Partite I.V.A. ne è la dimostrazione) per non essere triturati dalla crisi; i dipendenti pubblici e gli addetti del settore privato che non svolgono attività manuali (tecnici, commessi, impiegati…) stanno scomparendo a causa della privatizzazione selvaggia che può fare a meno di dipendenze a tempo determinato e di contrattualizzazione; scompaiono anche i “colletti bianchi” creando fenomeni di contrapposizione tra borghesia impiegatizia e proletariato per reddito “non garantito”, sterilizzando l'autonomia degli individuo in termini di usi, costumi e aspirazioni e organizzazione/progettazione esistenziale.
La contrarietà ai sindacati a in generale alle organizzazioni di massa pare essere l'unica difesa alla spoliazione in atto. L'individualismo, la rispettabilità dell'appropriazione selvaggia di proprietà private (criminalità tout court), la fine del risparmio familiare, il riproporsi virulento di un senso subalterno della gerarchia sociale, forme risorgenti di ignoranza patriottistica diventano forme evidenti, sempre più importanti (poiché incidono nel disegnare opzioni di dominio sulle coscienze individuali), di percorsi personali e collettivi di fuoriuscita dalla “crisi”col crescere della società globale di massa rappresentati da caotici flussi migratori. Destinatari non più di beni di consumo, di diritti politici (elettorato di massa) che ne potrebbero far oscillare le simpatie, ora progressiste ora conservatrici, i diseredati del XXI secolo hanno un'unica alternativa: o soccombere o emanciparsi perseguendo con convinzione l'obiettivo dell’organizzazione ed intraprendendo la battaglia politica collettiva che produce di per sé più diritti; all'omologazione subalterna va opposta la solidarietà e lo spirito di classe, l'internazionalismo, fondamentale coll'espansione dello sfruttamento globale; il proletariato torna ad essere il motore del progresso perché lotta per i diritti collettivi e per la ridistribuzione del reddito si unisce e si concretizza nella lotta per il potere politico conquistato mediante rivoluzione sociale. La società di massa e “democratica” non è lo stesso della società socialista.
L'attuale soggezione dell’uomo e della sua attività creatrice a una volontà e a una decisione esterna, questa privazione della responsabilità personale della capacità autonoma di partecipazione e decisione, questa rimane per Karl Marx la suprema offesa che il capitalismo infligge all’uomo, per cui solo nel comunismo egli vedrà la piena realizzazione umana. In una risposta, sia pure scherzosa, data a un questionario postogli dalle sue figlie, egli dice che la sua idea dell’infelicità è la sottomissione, che il difetto che gl’ispira maggiore avversione è la servilità, che uno dei suoi due eroi preferiti è Spartaco, e uno dei suoi tre poeti preferiti è Eschilo, il cantore di Prometeo, che lo stesso Marx aveva chiamato “il più nobile dei santi e dei martiri del calendario filosofico” e di cui ricordava nella sua tesi di dottorato le parole rivolte al messaggero di Zeus: “Io, t’assicura, non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù. Meglio d’assai lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero di Giove”. La rivoluzione socialista rappresenta appunto per Marx la aspirazione a liberare l’umanità da ogni forma d’alienazione, di feticismo, di reificazione, di dominio del prodotto sul produttore, a fare cioè di ogni uomo un soggetto partecipe e cosciente del destino comune, anziché, oggetto dominato dall’esterno (dal passato, dall’ideologia, dalla merce, dal padrone, dai rapporti sociali, dal potere estraneo, dalla burocrazia, dall’organizzazione, ecc.). Il superamento delle differenze fra città e campagna, fra lavoro intellettuale e materiale sono viste in questa direzione. L’affermazione che l’emancipazione del proletariato debba essere opera del proletariato stesso, e di un proletariato cosciente va nella stessa direzione.
La concezione comunista del mondo è, come ogni scienza, opera degli uomini. I comunisti la devono non solo applicare. Prima ancora la devono elaborare e sviluppare all’altezza dell’opera che devono compiere: per costruire un grattacielo occorre una scienza delle costruzioni più sviluppata di quella necessaria per costruire una casetta. Per questo diciamo che essere marxisti non significa fare l’esegesi delle opere di Marx e degli altri dirigenti del movimento comunista (“cosa ha veramente detto Marx”, ecc.). Sono marxisti quelli che elaborano dall’esperienza la scienza della lotta della classe operaia che si emancipa dalla borghesia costruendo la società comunista. Il movimento comunista cosciente e organizzato non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista, neanche durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, quando per effetto della prima crisi generale del capitalismo la borghesia stessa aveva sconvolto i suoi ordinamenti nei singoli paesi e il suo sistema di relazioni internazionali e precipitato tutto il mondo in ben due guerre mondiali complessivamente durate più di 30 anni (1914-1945), principalmente perché i comunisti non hanno elaborato la concezione comunista del mondo all’altezza del compito che dovevano svolgere. Gli interessi della borghesia e del clero congiuravano con l’ignoranza naturale (conforme cioè alla loro natura di classi oppresse) in cui le classi dominanti tengono le classi oppresse (“lei non è pagato per pensare”, “qui non si fa politica”, ecc. ecc.) e con la pigrizia e il dogmatismo di tanti comunisti pur onestamente devoti alla causa della rivoluzione che tuttavia riducevano il marxismo all’esegesi dei testi e a una fede religiosa nei dogmi, mentre nell’azione pratica, pur eroica, si orientavano a naso, secondo il senso comune (cioè nei limiti di proteste e lotte rivendicative). Va superata – tra l'altro - l’inerzia teorica del movimento comunista dei paesi imperialisti e il suo venir meno ai compiti suoi propri. Così come è al primo posto dell'ordine del giorno della storia l'organizzazione politica del proletariato rivoluzionario.

sabato 15 dicembre 2012

“Agglomerati leggeri”, “liquidità”, retorica gretto-borghese, “esposizione universale” … Andare dall'altra parte !

L’attacco incessante che da quattro anni il capitalismo globale – nelle espressioni militanti della destra politica liberista, quelli del “massacro sociale”, e della sinistra politica e sindacale socialdemocratica, quelli dell' “agenda sociale”- va conducendo con la riorganizzazione ristrutturativa del comando proprietario sul lavoro con forme autoritarie e repressive del potere nei riguardi delle insorgenze antagoniste, ha definitivamente affossato ogni illusione di dare uno sbocco “riformista” alla crisi in atto nel paese ed a livello internazionale.
Un fatto è che lo Stato/Impresa ha infilato diritta la strada della repressione violenta e sistematica delle lotte e che un generale spostamento a destra si è realizzato all’interno del quadro istituzionale. Le vicende di questi ultimi mesi lo dimostrano ampiamente e le elezioni politiche saranno un ulteriore referendum tra l'imperio dell'imprenditoria capitalista e della finanza e l'idea democraticista della delega, della rappresentanza, della compatibilità tra capitale e lavoro. I voti palesi rubati dai fascisti per conto dai loro mandanti faranno delle elezioni politiche, preparate ad arte come effetto oppiaceo del “cambiamento”, sono solo gli episodi più appariscenti del grande rituale imbroglio e della vomitevole farsa delle “offerte politiche”.
Alla permanenza e all’intensificarsi della resistenza proletaria il capitale globale contrappone un progetto strategico di riorganizzazione reazionaria e neofascista dello stato: il progetto di una grande destra nazionale. Siamo ancora alle prime battute, ma al di là delle contraddizioni tattiche con cui questo progetto deve fare i conti se ne intravedono ormai le linee fondamentali.
Nelle grandi fabbriche e nelle piazze dove il rifiuto dell'austerity e della cancellazione dei diritti cresce fino a diventare rifiuto del potere, le lotte vengono represse con ogni mezzo.
Basta guardarsi in giro per vedere come, sempre più, aumenta l’intransigenza dei padroni pubblici e privati che, decisi a nulla concedere fanno intervenire con sempre maggior frequenza la polizia nelle vertenze operaie e sociali per contrastare l'antagonismo di massa. Poi, c’è l’organizzazione dei crumiri, dei nuovi sindacati padronali e delle squadracce fasciste, queste ultime vere e proprie forze dell’ordine civile che all’occorrenza si uniscono e danno manforte, spiando, provocando, facendo del terrorismo, alle “forze dell’ordine” dello stato.
I grandi giornali padronali, la radio e la TV fanno il resto. Con il pretesto della “lotta alla criminalità” non perdono occasione per confondere le idee presentando e contrabbandando la crescente militarizzazione e fascistizzazione dello stato come “esigenza dell’ordine pubblico” e cioè preparano il terreno per un “attacco finale” in tempi stretti alle avanguardie rivoluzionarie presentate come “minoranze criminali”. Proprio per questo le grandi arre d4el paese e non solo le metropoli del nord sono ormai quotidianamente sottoposte a giganteschi rastrellamenti, a continui posti di blocco, vere e proprie esercitazioni antiguerriglia, con impiego di ingenti forze di polizia e carabinieri. Siamo cioè di fronte ad uno stato “militarizzato” che non riuscendo più ad organizzare per via pacifica il consenso, si prepara ad imporlo con la forza di provvedimenti legislativi e manu militari. I rappresentanti degli interessi nazionali del capitalismo delle multinazionali utilizzano per questo suo progetto tutte le forze politiche disponibili sul mercato, ma la forza trainante in questo momento è il proprio il PD con i suoi satelliti che tenta di “normalizzare” quanto sta accadendo.
Sarebbe dunque un errore ricondurre la questione del neofascismo entro schemi pre-resistenziali. Oggi siamo di fronte ad un tentativo « nuovo » di costruire intorno alle esigenze dello Stato imperialista una “base sociale” stabile. Il neofascismo in altre parole — almeno in questa fase — non mira tanto ad una liquidazione istituzionale dello “stato democratico”, quanto alla repressione ferocissima del movimento delle lotte; non si manifesta come appariscente modifica istituzionale, ma come pratica quotidiana di governo. In questa prospettiva il disegno di una destra nazionale raccolta intorno ad un progetto d’ordine, costruito su misura delle attuali e future necessità produttive e di accumulazione del capitale ristrutturato, ha certamente un respiro più lungo di quel “centro-destra” di mediazione messo su per scopi elettorali da leaders navigati e dell'ultimora.
Non è un caso che molti personaggi, guardando lontano, siano tra i più solerti sostenitori della destra nazionale, tra i più attivi promotori della maggioranza non più “silenziosa”, bensì drogata dall'ideologia della partecipazione e collaborazionista, che, ovviamente, non intende metter in questione il “sistema”. Del resto c’è spazio per tutti in questa prospettiva: sia per chi vuol muoversi sul binario della “legalità”; sia per chi al contrario preferisce la via delle violenze indotte dall'ingiustizia sociale. Ed è proprio nella combinazione del terreno politico di scontro con quello presidiato dalla repressione delle devianze sociali, che va vista la forza attuale del neofascismo aziendalista e finanziario: maggioranza “partecipante e collaborazionista” e comando capitalista non sono realtà contraddittorie, come non lo sono i corpi armati dello stato e le squadracce nazi rianimate sul territorio sguarnito da gruppi di autodifesa proletaria.
A breve termine il blocco neofascista insegue alcuni obiettivi. Primo è quello di organizzare, utilizzando i vari centri anticomunisti, quegli strati piccolo e medio-borghesi esasperati dalla “crisi” o minacciati dallo spettro delle lotte per la rivoluzione come massa di pressione politica anticomunista nel gioco elettorale. Secondo obiettivo è quello dì concretizzare attraverso la cinghia di trasmissione sindacale, una spaccatura all’interno delle masse lavoratrici, puntando sui suoi strati ideologicamente e politicamente più deboli, in modo da arrivare alle vicine scadenze contrattuali con le masse lavoratrici divise ed una “destra” organizzata nei luoghi di lavoro e nell'ambito sociale.
Il liberismo goverativo è al servizio di questa prospettiva.
Gli attacchi economici, sociali e politici servono infatti, facendo leva sulla paura, a immobilizzare la grande massa dei lavoratori e a “staccarla” dagli “estremi” progetti rivoluzionari, oggettivamente in campo, cioè dall'ipotesi ed azioni più incisive di neoistituzionalità popolari che esprimono bene l'estraneità ed ostilità verso il sistema dei partiti e le istituzioni borghesi, Da questo punto di vista le avanguardie rivoluzionarie non intendono farsi calpestare. Terzo obiettivo è quello di creare nei rioni popolari punti di riferimento organizzati per svolgere un intervento “politico” demagogico e qualunquista di disturbo in vista delle elezioni. Infine, ultimo obiettivo è la costruzione — a lato dello stato — di una forza combattere clandestina in grado di sviluppare, secondo le necessità politiche generali, sia una attività terroristica vera e propria, sia una attività di provocazione — in combutta con gli organi della repressione poliziesca — contro le forze che si battono per affermare nel movimento di resistenza popolare la necessità del passaggio alla lotta antagonistico-duale.
Tutti questi obiettivi hanno un elemento comune: la volontà di annientamento della sinistra rivoluzionaria e di neutralizzazione della sinistra istituzionale. Opporsi a questo progetto non basta.
Ciò che va sostenuto è che questa opposizione deve avere un respiro strategico, deve cioè essere una opposizione antagonistico-duale. Lo scontro con il neofascismo è un momento della lotta di classe, è un passaggio obbligato del movimento di resistenza popolare nella sua lunga marcia per edificare un potere proletario e comunista. Come tutte le guerre essa va combattuta oltre che sul piano politico e ideologico anche e soprattutto sul piano antagonistico-duale. Essa è cioè un fronte della lotta per la sopravvivenza civile. Detto questo, si capisce perché, l'obiettivo in questa lotta non è quello del PD o di altre forze democratiche “sinceramente antifasciste”, di denunciare le violenze dell'ingiustizia facendo inchieste e dossier per chiedere allo stato di intervenire a difesa della legalità repubblicana per finire di eternare la condizione di sfruttati. I proletari non hanno stato: lo subiscono! Lo stato per chi lavora non è altro che l’organizzazione della violenza quotidiana. Per questo i proletari non intendono più chiedere autorizzazioni a nessuno per esercitare in modo diretto la loro infinita potenza; per amministrare questa potenza secondo i criteri della giustizia che nasce in mezzo al popolo. L'antagonismo duale al neofascismo e allo stato imperialista è una conseguenza inevitabile della militarizzazione del regime economico-sociale liberista che caratterizza questa fase dello scontro di classe. Essa non avrà tregua né potrà cessare fino a che i l'attuale apparato statale non sarà superato irreversibilmente. C’è chi dice che con le elezioni si possono cambiare le cose, che la “rivoluzione” si può fare anche con la scheda elettorale. Noi non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la guerra di liberazione partigiana non può essere nascosta. La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il fucile e da quel momento ci hanno sparato addosso! Quanti morti nelle piazze dal ‘43? Quale il nostro potere oggi? L’esperienza della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo ci insegna che la classe operaia e le masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia partecipando al rito democraticista delle lezioni. Questa è una legge marxista, non una opinione. Non siamo astensionisti. Non siamo per la scheda bianca. Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto oggi divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che il voto non paga la nostra richiesta di potere; che non è col voto che si combatte la controrivoluzione che striscia in tutto il paese. Unire la sinistra rivoluzionaria nella lotta antagonistico-duale contro il neofascismo e contro lo l'imperialismo delle multinazionali che lo produce, è il compito attuale dei militanti comunisti. Liberare le grandi fabbriche ed i rioni popolari dalle carogne fasciste; strappargli di dosso con rapide azioni partigiane le pelli di agnello di cui si ammantano in questi tempi di elezioni; mettere a nudo con fulminee azioni le complicità nascoste, i legami sotterranei, le trame reazionarie che uniscono i padroni, lo stato e l’esercito nero SONO ESIGENZE GIA MATURE NELL’ANIMO DELLE GRANDI MASSE POPOLARI. Ma le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la carta, con la penna o con la voce; e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il voto!

lunedì 12 novembre 2012

Dal 14 Novembre internazionalista, un percorso verso il “campo base”

I proletari devono perdere la brutta abitudine, contratta con la frequentazione dei partiti revisionisti e dei sindacati confederali, del “far politica” e cominciare a pensare e ad agire nei termini di “rivoluzione”. Questo vuol dire che vita privata e vita pubblica, dimensione interiore e dimensione esteriore del proprio essere sociale devono essere composti e riarmonizzati. La rivoluzione non si può fare part time e per i proletari non c'è neppure la settimana corta; vuol dire ancora che ci si responsabilizza in prima persona rispetto agli atteggiamenti e ai comportamenti omologanti di subalternità classista, e ci si rende conto delle scelte che si riterranno più opportune per moficare radicalmente ed irreversibilmente lo stato presente di cose. Inoltre, la “calamità occorsa nel 1989” avrà pure una sua “ragione”; comunque, bisogna farsene una “ragione” piuttosto che rimenere ancora ad “osservare inorriditi gli effetti devastanti” del crollo murario. I punti di riferimento dei proletari coscienti della propria condizione e della situazione economico-sociale sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l'esperienza in atto dei movimenti antagonisti metropolitani; in una parola la tradizione scientifica del movimento operaio e rivoluzionario internazionale. È necessario capire bene la seguente affermazione: “per favorire il processo rivoluzionario, occorre riappropriarsi delle esperienze del passato, a cominciare dall’organizzazione politica per finire nell’edificazione reale del socialismo, dove il proletariato ha dimostrato di aver affrontato correttamente le questioni poste all’ordine del giorno dal progresso umano”. Questo vuol dire anche che non vanno accettati in blocco gli schemi che hanno guidato le organizzazioni operaie ed i partiti comunisti europei nella fase otto-novecentesca della loro storia soprattutto per quanto riguarda la questione del rapporto tra organizzazione politica di massa e organizzazione pratica della rivoluzione, secondo la concezione di Lenin e le prassi che è stato in grado d'adottare per vincere.
Con la crisi del capitalismo globale ed il massacro sociale, spacciato dai governi in carica per “risanamento” dei debiti sovrani degli Stati – attestati mediamente intorno al 120% del PIL -, con il permanente ricatto “democraticista” di nuove elezioni politiche foriere di chissà quali sorti magnifiche e progressive, la dittatura borghese del capitale nazionale e multinazionale cerca di frenare lo sviluppo delle lotte proletarie e delle soggettività antagoniste. Ora, vuole ottenere la “pace sociale” per rideterminare forme di dominio assoluto, per organizzare “territori programmati per la quiete” non più attraverso un progetto “riformista” e “socialdemocratico”, ma con il progetto della restaurazione integrale del “comando capitalista” guidato della “destra liberista”, braccio armato delle multinazionali e dei direttori finanziari sovranazionali. Per quanto abituati al linguaggio criptico degli agenti politici del capitale globale, la resistenza popolare all'incedere delle crisi ristrutturativa dell'impresa multinazionale non si perde in quel fiume di parole nelle quali i destinatari possono oggi scorgere amare menzogne, intenti manopolatori e inibizione dell'immaginario trasformativo. Nel parlamento italiano, con l'unione delle forze che hanno determinato l'operare del governo Monti, si è realizzata l'evidenziazione del contrasto sociale tra classi contrapposte, del conflitto tra Stato e popolo, tra direzione capitalistico-borghese dell'economia ed antagonismo delle forme delle moltitudini in rivolta. Nei tribunali, con i magistrati che amministrano la “giustizia” perseguendo i senza denaro. Nei quartieri, con la polizia e con i fascisti che collaborano sempre più strettamente per stroncare il movimento di resistenza popolare. Nelle fabbriche, con i padroni che licenziano e discriminano gli operai d'avanguardia; con la polizia e i fascisti armati che attaccano i picchetti; con i sindacati collaborazionisti. Di fronte a questo progetto, che ha come base la repressione del conflitto, la risposta dei comunisti e resistenti non può essere il voto. Compito fondamentale è ora organizzarsi e organizzare la lotta di classe per schiacciare tutti i nemici del popolo. La crisi irreversibile che l'imperialismo sta attraversando mentre accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio tradizionale basato sulla “mediazione politico-partitica”, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale e soggiogare definitivamente il proletariato. La trasformazione nell'area europea degli Stati-nazione di stampo liberale in Stati imperialisti delle multinazionali (Sim) è un processo in pieno svolgimento anche in Italia. Il Sim, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economico-strategici globali dell'imperialismo, e allo stesso tempo ad essere organizzazione della contro rivoluzione preventiva rivolta ad annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proletariato. Per trasformare il processo di guerra civile strisciante, ancora disperso e disorganizzato, in una offensiva generale, diretta da un disegno unitario, è necessario sviluppare e unificare il movimento di resistenza proletario offensivo costruendo l'organizzazione politica del proletariato rivoluzionario, il “campo base” proprio. Movimento e partito non vanno però confusi. Tra essi opera una relazione dialettica, non un rapporto di identità. Ciò vuol dire che è dalla classe che provengono le spinte, gli impulsi, le indicazioni, gli stimoli, i bisogni che l'avanguardia comunista deve raccogliere, centralizzare, sintetizzare, rendere teoria e organizzazione stabile e infine, riportare nella classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma, strutture di massa del potere proletario. Agire da partito vuol dire collocare la propria iniziativa politica generale all'interno e al punto più alto dell'offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione principale e sul suo aspetto dominante in ogni congiuntura, ad essere, così, di fatto, il punto di unificazione del dell'antagonismo diffuso, la sua prospettiva di potere. Milioni di lavoratori e i comunisti che hanno vissuto le lotte, i travagli e anche le contraddizioni di questi anni non possono più aver fiducia nella “mediazione politico-sindacale” che ha creato intenzionalemente le condizioni di confusione e distorsione degli interessi di classe da parte degli anticomunisti di destra e di sinistra. Per le masse l'organizzazione politica metropolitana vorrebbe dire estensione quantitativa del modello e della pratica della lotta politica per il comunismo, perché consentirebbe di affondare la progettualità del programma e delle pratiche rivoluzionarie nel cuore pulsante della classe.
L'arma della critica non è mai stata sufficiente a gestire il salto al contropotere proletario, bensì ha anestetizzato essenzialmente una pratica sociale unitaria di coscientizzazione. L'agire da partito irradia la consapevolezza, la conformità degli scopi, la progettualità del programma lungo tutto l'arco delle contraddizioni di classe all'interno di tutte le figure della composizione di classe e in tutte le determinazioni dell'antagonismo diffuso. Il tutto non in maniera pedagogica o nostalgica, ma dirigendo sempre più estese e profonde pratiche di contropotere e trasformazione sociale; è in questo modo che la classe si renderebbe sempre più consapevole della sua missione storica e dell'immane opera di autentica rivoluzione globale cui deve attendere. Il salto politico-organizzativo in seno alle masse significherebbe dar corso, attuazione e sviluppo a questa opera di rivoluzione globale nel divenire delle contraddizioni di classe; col dischiudersi di orizzonti così ampi, il soggettivismo, lo spontaneismo, il “delirio comunicativo” indotto dagli stessi social network e l'organizzativismo plateale sarebbero definitivamente spiazzati. Concludendo, questo procedere intenzionale verso la rivoluzione proletaria è un patrimonio incancellabile della lotta di classe e della storia delle organizzazioni comuniste. Viene affermato che lo sviluppo della lotta di classe ha storicamente affinato e perfezionato la teoria-prassi e la metodologia politico-organizzativa di costruzione del partito. Questa teoria-prassi e questa metodologia sono, insieme, un caposaldo da cui non è possibile prescindere. Ci si riferisce ai principi strategici unità-crisi-unità e lotta-critica-trasformazione. La battaglia politica così condotta chiarisce in termini di unità-crisi-unità e di lotta-critica-trasformazione la linea corretta e quella sbagliata. Isola la linea errata e la sconfigge e dunque recupera, riunifica e assesta tutta l'organizzazione sulla linea corretta. La battaglia politica serve a determinare nuove unità a un livello superiore, dentro sintesi generali che rideterminano, congiuntura dopo congiuntura, il programma strategico dell'organizzazione comunista.