Visualizzazione post con etichetta Elezioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Elezioni. Mostra tutti i post

mercoledì 12 giugno 2024

Elezioni 8 e 9 Giugno 2024 - Offida, case study

 Cos'è questo golpe ? Io so

«Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. [. . . ]
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [. . .]».

Pier Paolo Pasolini

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Come è noto, l'8 e il 9 Giugno 2024 si sono tenute le Elezioni amministrative parziali per l’elezione di diversi Sindaci e dei Consigli comunali in scadenza di mandato, nei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, programmate in concomitanza con le le decime Elezioni del Parlamento europeo con “suffragio universale” che ha consentito di partecipare a complessivi 51.198.828 elettori, molti dei quali, però, hanno diserato le urne.

Si stima, infatti, che meno di un italiano su 2 ha votato. Un evento di rilevanza storica, visto che per la prima volta in una Elezione di interesse nazionale la soglia del 50% è stata sfiorata, ma non raggiunta. L'astensionismo è la caratteristica prevalente della contemporaneità.


Come spesso è accaduto in passato, per le Amministrazioni comunali, cioé quell'insieme dei cosiddetti Organi di governo dei Comuni che prevedono un vertice monocratico (il Sindaco), un organo collegiale esecutivo (la Giunta) e un organo collegiale assembleare (il Consiglio), essendo “enti di prossimità”, Amministrazioni locali e/o istituzioni rappresentative che i cittadini percepiscono come immediatamente vicine alle loro necessità, il dato dell'affluenza è, in alcuni contesti, relativamente confortante.

In particolare, ad Offida, alle ore 23:00 di Domenica 9 Giugno, ha votato il 69,38% degli aventi diritto, in calo, in verità, rispetto al 2019, anno della precedente analoga Elezione, che ha visto esprimersi il 72,40% del “corpo elettorale”.

La Sezione che ha registrato il maggiore afflusso di elettrici ed elettori è la N. 2 (81,72%), mentre quella con minor numero di votanti è stata la N. 5 (39,30%), decentrata in località Santa Maria Goretti.

Lo scrutinio presenta 3.013 votanti, su 4.343 iscritti nelle Liste elettorali, che hanno deposto nell'urna, insieme ai voti validi, anche 51 schede nulle e 36 schede bianche.

Offida Solidarietà e democrazia” ha ottenuto 1.790 voti, corrispondente al 61,18%, e, conseguentemente 8 seggi in Consiglio comunale e la rielezione di Luigi Massa alla carica di Sindaco.

Obiettivi comuni per Offida”, la lista competitrice, ha ottenuto 1.136 voti, corrispondente al 38,82%, e, conseguentemente 4 seggi in Consiglio comunale.

La stampa locale, legittimamente, parla di “trionfo” per il Sindaco uscente che conquista il secondo mandato superando la soglia del 56,13% della precedente vittoriosa consultazione del 2019, e di débâcle della Lista competitrice la quale, cambiando il candidato Sindaco del 2019, D'angelo Eliano, con Adalberto Massicci, scende nella scelta dei cittadini dal 43,87% all'attuale percentuale.

Che sia chiaro, però, che il decremento di consensi non è dovuto alla “personalità” del candidato Sindaco o alla “qualità” della “squadra” che ha annoverato giovani talentuosi. Tutt'altro. La contrazione di voti rispetto alla precedente tornata elettorale, a nostro giudizio, è in parte considerevole dovuta alla tristemente reiterata pratica del “trasformismo”.

Tale prassi che affligge il sistema politico italiano, è stata inaugurata da A. Depretis (1813–1887). Essa consisteva nel formare di volta in volta maggioranze parlamentari intorno a singole personalità e su programmi contingenti, superando le tradizionali distinzioni tra “destra” e “sinistra”. Di tipo trasformistico fu considerata anche la concessione di favori alle consorterie locali in cambio del sostegno parlamentare praticata da F. Crispi e G. Giolitti.

Anche nel microcosmo contemporaneo di Offida, seguendo le mosse di alcune figure di ex oppositori al Sindaco in carica, nel precedente quinquennio, si nota che essi prima creano un monogruppo, distaccandosi dalla Lista d'opposizione nella quale si è stati eletti per poi proporsi come portatori d'acqua alla ricandidatura del “primo cittadino”, aderendo al programma dell'ex maggioranza contrastata fino ad un certo punto.

Una tradizione, quella del “trasformismo”, che andrebbe definitivamente superata. È lecito porsi la domanda: in cambio di cosa la camaleontica abilità viene messa in campo ? Staremo a vedere.

La “lettura” suindicata dell'esito del voto per il rinnovo degli organi politico-amministrativi comunali è, evidentemente, limitata ai dati meramenti numerici – e non ci si appelli allo stereotipo secondo il quale in “democrazia” i numeri son tutto; sono certamente decisivi, ma non chiarificatori di per sé della dinamica sociale sottostante che genera flussi altalenanti, disaffezione, aggregazioni estemporanee di volontà, differente disponibilità di mezzi e difforme capacità comunicative.

Inoltre, la “lettura numerica” risulta essere non obiettiva, poiché, in realtà, i 1.330 elettori “dispersi” che non si sono recati alle urne, unitamente agli 87 “contestatori” (schede nulle e bianche sono, ufficialmente “voti non espressi”), non sono fantasmi, ma cittadini portatori di diritti ed interessi da considerare.

In buona sostanza, quest'ultimi costituiscono numericamente – allo stato attuale - la “seconda forza politica” della cittadina.

In secondo luogo, questa è l'argomentazione cruciale a mio parere, comparando i risultati offidani delle Elezioni europee con quelle comunali, s'inizia a comprendere davvero la dinamica sociale, la “struttura” che genera e distribuisce “consensi”.

Ciò, probabilmente, può consentire d'aprire l'analisi del voto a prospettive di radicale cambiamento migliorativo del “civismo”, quell'alto senso dei proprî doveri di concittadino che deve detenere chi ricopre incarichi istituzionali di rango rilevante (Sindaco, Assessori, quest'ultimi non necessariamente eletti, Consiglieri comunali, membri dei Consigli d'Amministrazione di Aziende pubbliche) che spinge a trascurare o sacrificare il benessere proprîo o della proprîa “parte” per l’utilità comune.

Pertanto, facendo coincidere, come ipotesi, “Offida Solidarietà e democrazia” con la prevalente “area politica” del PD, i voti ottenuti in Offida sono 888 (32,52%); il Partito democratico, alle elezioni europee è tallonato da Fratelli d'Italia che ha ottenuto 841 voti (30,79%). Il Movimento 5Stelle ottiene 367 voti. Considerando, inoltre, i voti (168) di Forza Italia, (128) Lega e (111) Aleanza Verdi e Sinistra, limitandoci alle maggiori forze politiche, si può evincere un congruo numero di voti “in libera uscita” che gratificano – transitando verso le Elezioni comunali - la Lista del Sindaco rieletto.

Dalla configurazione di quanto ottenuto, alle europee, dai singoli Partiti, si coglie nettamente un dato: che il Sindaco rieletto di Offida è stato prescelto da cittadini ben al di fuori della subcultura politica d'appartenenza.

La “quaestio” può essere interpretata in modo palindromo.

In senso inverso, infatti, ma l'operazione posta in essere mantiene immutato il significato: Il Partito del Sindaco è sostenuto da chi nazionalmente e per l'elezione dei rappresentanti italiani in Europa vota le “destre”, anche le più retrive, quali la Lega che ha candidato a Bruxelles un esponente del revanscismo neofascista. Il bacino dei voti ove il Sindaco “pesca” è costituito da un “campo”, forse indigesto sul piano etico-pilitico, ma senz'altro redditizio.

Se l'ipotesi ha un suo ancoraggio alla realtà dei fatti, si devono porre pubblicamente alcune domande: Perché accade che un votante offidano di Fratelli d'Italia, ad esempio, vota un Sindaco di “sinistra” ? Perchè ciò avviene, peraltro, quando il vento di “destra” - in Europa, con l'attuale Governo, con la Giunta regionale delle Marche - soffia forte ? Che reciproche “convenienze” ci sono in ballo ? Il “mercato” elettorale sta facendo coincidere l'offerta politica di chi gestisce la dimensione territoriale politico-amministrativa con le domande e richieste dei cittadini dipendendo da come essi la “pensano” ? In che modo le odierne difficoltà di bilancio dell'Amministrazione comunale sono correlate alla pressione di infimi o estesi condizionamenti ?

Ancora: L'andazzo ipotizzato costituisce una strategia per stabilizzare il potere locale da parte di un coagulo di interessi che vanno tutelati perpetuando il dominio sulla macchina amministrativa e le sue articolazioni funzionali sul territorio ed impedendo in questa guisa alla cittadina un definitivo slancio civile ?

L’élite economico-politica e culturale locale, mutatis mutandi, ha, fino ai nostri giorni, replicato la gerarchia di comando tipica dell’organizzazione medievale delle vite - un “assolutismo” che prevede privilegi ed esclusione sociale – mai tramontata ?

Una conferma, presumibilmente, è data, ad esempio, dal “personale tecnico-politico” che “nelle parole” si è posto come innovatore, peraltro sempre lo stesso. Domandarsi è lecito se gli “uomini” che hanno inteso rappresentare l'Amministrazione, di fatto, sono stati espressione della “cultura” paternalista, clientelare e concessiva, a volte anche autoritaria in grado di “parlare” di diritti, ma mai di fuoriuscire dalla dimensione retorica top down di chi pretende un mandato dal popolo, ma che per estrazione e formazione, non appartiene al mondo del lavoro in senso stretto (dal latino “fatica”, opera di mano e poi anche d’ingegno, cose fatte o da farsi operando), bensì a quello delle “libere professioni” che è predisposto a “fare cartello” politico-affaristico.

La città è in fase drammaticamente implosiva (aspetto demografico, in primis) perché si è identificata per molto, troppo tempo con l’autoreferenziale “ceto” partitico dirigente la “cosa pubblica”; quest’ultimo ha legato – soggiogandola in modo quasi indolore – la sua comunità di riferimento a vincoli “storici” o consuetudinari rendendo la residenza abitudinale di migliaia di persone nel territorio ed anche la presenza estemporanea dei cosiddetti variegati “city users”, occasione ghiotta per perpetuare lo status quo, per manipolare l’identità dell'Amministrazione e l'erogazione dei servizi pubblici difendendo solo gli interessi di pochi ?

Sappiamo però che una città oligarchica, per definizione, non è una città libera.

Gli “interessi territorialmente e socialmente vasti” coincisero allora e coincidono ancora oggi con “interessi politicamente ristretti” ?

Il “caso” Offida per i trascorsi e per un'auspicabile soluzione di continuità merita attenzione. Si deve evitare una deriva familistico-amorale che ricorda i fasti, da un lato, del modello abruzzese (il riferimento è a Remo Gasperi), dall'altro, del blocco economico-sociale “cooperative-banche e assicurazioni-sindacati-poteri pubblici-Partito” (il “modello emiliano-romagnolo) che ha sposato da decenni l'aziendalismo soffocando le radici egualitarie e solidaristiche della subcultura del movimento operaio.

Nella trasparaenza ricercata, ciascuno faccia la sua parte.

Prof. Giovanni Dursi


venerdì 26 agosto 2022

“Politica” ed elezioni. Lettera aperta ai “leader” d’opposizione governativa di ”sinistra”

Ancora una volta si procede in ordine sparso. I residui atomi di quello che fu il movimento proletario rivoluzionario, sembrano rianimarsi, con le migliori intenzioni, in prossimità delle Elezioni politiche. Pare che per costoro per costruire una società “nuova” sia utile e doveroso transitare da una elezione all’altra, cercare il consenso necessario (dal termine latino, consensus, "conformità dei voleri"), giocare ai duri e puri, finendo così, in ultima istanza, con il legittimare il regime democratico capitalista. Sembra che la contesa con il comando capitalista si dispieghi esclusivamente nelle proposizioni antiliberiste ed antifasciste, nella comunicazione sociale di una presunta diversità (alimentata da un infinito elenco di diritti negati e dalla contrarietà al non rispetto delle stesse leggi; potrebbe essere altrimenti nella società capitalista ?) che, tuttavia, non allude ad una identità politica-organizzativa antisistema. Anzi. L’indifferenza alle variabili rivoluzionarie di un processo antagonista vengono del tutto riassorbite dalla retorica e dalle buone ragioni, ma senza mai mettere in discussione l’assetto di potere, le contraddizioni di base sulle quali si impone e rinnova costantemente la storica divisione in classi del corpo sociale che vede il proletariato del XXI secolo ancora in catene, subalterno ed impotente. Risulta evidente che ogni concezione comunista nell’edificazione d’una società migliore è stata accantonata, resa effimera, laddove si espunge la variabile organizzativa rivoluzionaria, il fattore politico della difesa di classe, quindi non solo giuridica e tradeuninista.

A queste obiezioni minime, si ripeterà - volendo giustificare l’agire militante in un ambiente democratico capitalista - la giaculatoria secondo la quale “non ci sono le condizioni”. Bleffando, se non mentendo a se stessi, perché le “condizioni” si costruiscono secondo strategie e tattiche, analizzando e valutando le “situazioni”, orientando le coscienze, testimoniando con il “fare”, dirigendo verso scopi condivisi la lotta di classe, mettendo anche a repentaglio quelle misere sicurezze che condannano alla subalternità i proletari, certamente non mendicando “spazi” radio-televisivi, interviste sulla stampa di regime o occupandosi di “costume”, come pare accadere a tal punto che il megafono dell’opposizione governativa oggi è nelle mani degli influencer.

L’idea del consenso ad un programma politico, ad una lista elettorale, ad rassemblement disoggettività plurali, distinte, con annessa “valorizzazione” di personalità tutt’altro che comuniste scelte come leadership ha la lieve consistenza di un perverso gioco che non prevede la vittoria, semmai qualche “tribuno del popolo” baciato dalla fortuna. Questa esperienza elettorale, in verità, viene periodicamente utilizzata soprattutto per definire l'accordo su di un determinato ordine sociale, sulle regole che presiedono al funzionamento delle istituzioni che lo governano. Benché il consenso elettorale entri in gioco anche rispetto a obiettivi specifici che caratterizzano le politiche (di natura economica, assistenziale, ambientale ecc.), come sempre accade, anche in questa circostanza ci si focalizza soprattutto sulle modalità e il grado di partecipazione popolare che riguardano l'esercizio del potere, il contenimento della violenza nei rapporti sociali, la legittimazione dell'autorità, insistendo particolarmente sui dispositivi politici e istituzionali finalizzati al sostegno dei diversi regimi politici capitalisti, in primo luogo quelli ad impianto democratico, e dando risalto all'opinione pubblica, ai modi con cui si determina, all'influenza dei mezzi di comunicazione di massa.

È un circolo vizioso. Ancora una volta, dunque, qs'assiste allo svogliato risveglio del dibattito pubblico – dopo gli anni dedicati alla pandemia e mesi, ora, ai riposizionamenti geopolitici, alle conseguenti deflagrazioni militari e alle convulsioni per l'accesso alla materie prime – come ideological mainstreamche vuole intendere la “politica”, in Italia, alla maniera di un esclusivo e spettacolare evento elettorale. 

Tutti, come capita ai tifosi delle squadre di calcio, si ringalluzziscono in prossimità della “partita” più importante, quella delle settembrine elezioni politiche per il rinnovo (rinnovo ???) del Parlamento della Repubblica italiana.

Tutti ne parlano, tutti fanno a gara nel fornire la formazione imbattibile, tutti impegnati a scegliere e ad indossare la casacca “stilisticamente” giusta della squadra vincente per favoleggiare nei comizi, nelle convention o in sobrie conventicole. Tutti intenti a scrivere in bella calligrafia (in verità, a riscrivere) programmi ed a confezionare promesse. Dopo l'allenamento delle recenti amministrative, tutti pronti a fare spallucce alle sconfitte subite prevedendo rivincite o quantomeno pareggi. L'importante è giocare, the show must go on.

Addirittura capita che alcuni hanno intrapreso il percorso del cartello elettorale dell’Unione popolare (ma non si era già giunti al “Potere al popolo”?), forse ignari che con la stessa denominazione ha agito un partito politico di orientamento liberal-democratico e nazionalista attivo in Belgio, nella comunità fiamminga, dal 1954 al 2011, ma sicuramente coscienti di operazioni simili effettuate nel passato, di un tristissimo déjà-vu, perché convinti che si possa fare come Jean-Luc Mélenchon in Francia che, con La France Insoumise ha costruito un discreto successo inventandosi all'occorrenza una coalizione di “sinistra” la Nup (Nouvelle Unione Populaire écologiste et sociale) che riunisce momentaneamente coriandoli multicolori estranei al tradizionale establishment economico-politico, subculture politiche eterogenee.

Come tratto unitario delle esperienze in fieri è certamente il rinculo politico-culturale; infatti c'è un evidente smarrimento scientifico-sociale, politico ed organizzativo che porta tutti i contendenti nell'agorà elettorale ad appoggiarsi alla general-generica parola “popolo”.

Il termine, come è noto, fornisce storicamente origine, in campo politico-elettorale, al lemma “populismo” usato per designare tendenze o movimenti politici sviluppatisi in differenti aree e contesti nel corso del 20° secolo. Tali movimenti presentano alcuni tratti comuni, almeno in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e a un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi (prevalentemente tradizionali), in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Infatti, Fratelli d'Italia sta costruendo le sue fortune (stando ai sondaggi) proprio sulla reiterata allusione agli “italiani” (quali non è dato sapere), alla Nazione, alla strategia della xenofobia utile a costruirne un'identità che faccia da collante, bypassando le sussistenti oggettive gerarchie sociali e le fondamentali differenziazioni di classe.

Inoltre, tra questi tratti comuni ha spesso assunto particolare rilievo politico la tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa (su questo punto, per certi versi, non ci sarebbe nulla di censurabile in una conseguente e radicale critica alla “democrazia reale”, o “incompiuta”, che dir si voglia, a quanto si è palesato dal 1943 al 1948 con la rottura dell'unità antifascista e, successivamente, con i decenni di degrado civile che portano ai nostri giorni), privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader mediaticamente carismatici a organizzazioni politiche da tempo presenti sulla scena politica ed a esponenti del ceto partitico tradizionale.

Il fenomeno contagia indistintamente ogni attuale “offerta” del mercato politico, indotto da una situazione economico-sociale in rapido mutamento peggiorativo per le masse a causa del passaggio da una economia capitalista incentrata sullo “sviluppo” industriale e tecnico ad una fase economica di perdurante “crisi” e di penuria e da sistemi politici a partecipazione “surrogata” della masse a sistemi che registrano una estesissima estraneità/ostilità civica ed una contestuale sopravvivenza di privilegi che integrano l'astensionismo.

Ecco, dunque, la presentazione di slogan populisti da parte di capipartito che si confezionano addosso l'abito del “portavoce delle esigenze del popolo”, attraverso l’esaltazione dei valori nazionali, senza aver mai reciso i legami con il passato, tanto meno dimostrare di aver intenzione di avviare una autentica revisione (patetiche, a questo proposito, le interviste che vogliono sollecitare il “pentimento” da parte di esponenti di Fratelli d'Italia; quest’ultimi retoricamente affermano non esserci spazio per i “nostalgici del Fascismo” in quanto loro stessi, generazionalmente o no, sono la plastica evidenza che in una democrazia in disfacimento c'è ancor più spazio per la “destra”), di propugnare l’instaurazione con esso popolo di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali; tuttavia, ad elezioni effettuate, “passata la festa, gabbato lo santo”.

La politica non riguarda più da anni il rito folcloristico ed alienante delle elezioni; la mobilitazione coscienziale e pratica delle masse va incentivata ogni giorno, ricostruendo il tessuto comunitario di classe, dotandosi degli strumenti teorico-politici necessari ad agire “contro” il vigente sistema e non per farne parte.

Spesso tale cosiddetta “partecipazione elettorale”, vivacemente incentivata da gruppi e gruppuscoli che fanno campagna promozionale di qualche lista per poi ritirarsi nell'inedia a leccarsi le ulteriori ferite, sollecita il potere, depositario del monopolio delle forza, a consolidare il mantenimento di un elevato, devastante, controllo sociale, anche grazie al "libero voto".

Altrimenti. Altrimenti risvegliare pensieri in ristagno, zampilli di vita rivoluzionaria, integrale, senza remore fuoriuscire dal circo della "politica partitico-elettorale" ... altro che affabulazioni, a suo tempo, vendoliane, bertinottiane ed oggi demagistriane ed affini !

Creare le condizioni della scissione sociale. Ogni mediazione si è palesata come storicamente fallimentare. I cosiddetti “gradualismo” e “riformismo” hanno drammaticamente fallito. Non può esserci compatibilità tra diritti e sfruttamento. Ogni ragionamento geopolitico deve fare i conti con questa oggettività. Inoltre, la “rivoluzione” dei rapporti sociali non è una questione solo per giovani, come se a 60 e passa anni, non si voglia o non si possa più procedere individualmente e collettivamente alla trasformazione sociale. Che i giovani dimostrino di saper effettuate scelte, senza riserve o garantite autotutele. Che gli “esperti” continuino un difficile cammino di liberazione, troppo presto ingombro di passi falsi, da alcuni abbandonato per seguire attraenti menzogne sirèniche.

Certi stolti vedono la critica delle parole qcome unico strumento orientativo per la coscientizzazione di massa ed efficace auspicio (??? ?? .) di cambiamenti. Per costoro questa è “azione politica” ! Stolti !

Viceversa, avviamo seriamente la discussione sul “comunismo possibile”. Un background comune è costituito dall’esperienza storico-politica del proletariato rivoluzionario, dai testi marxiani (in particolare, le opere scritte tra il 1845 e il 1847 e la Prefazione del 1859 a Per la critica dell'economia politica), leniniani e marx-leninisti sulle tematiche di fondo: “base” (realtà economico-sociale costituita dal sistema materiale di produzione e consumo), sovrastrutture (sistema delle relazioni ulteriori che si generano – bedingt - dalla fondamentale contraddizione capitale-lavoro - ne sono causalmente determinate - a garanzia della riproduzione della formazione economico-sociale dominante), trasformazione collettiva (politica di classe ed organizzazione rivoluzionaria) e fuoriuscita dal modo di produzione e consumo capitalista ed estinzione dello Stato. Questo patrimonio culturale va messo in relazione con l'attuale situazione dell'antagonismo sociale alla “crisi” ristrutturativo-globale del capitalismo delle multinazionali, poiché è sempre in agguato la spinta ideologica degenerativa che vede nella “teoria” un dogma (fantasmi retorici si aggirano tra le fila degli anticapitalisti) e nelle “prassi” sociali della lotta tra le classi una rappresentazione astorica (oscillante tra il poco dignitoso tradeunionismo e velleitarismi insurrezionali). Conseguentemente, saranno approfonditi gli aspetti storici (bilancio del movimento comunista mondiale) e teorico-politici legati alle fasi della transizione, alla “dittatura del proletariato” e al “dominio politico di classe” per meglio definire una strategia politica frutto della convergenza tra conoscenza scientifica e comportamenti sociali coscienti, veicoli realmente efficaci della trasformazione collettiva. Privi di un programma del genere, si realizza solo “cattivo teatro”. Che si parta da uno spazio libero di discussione teorico-politicamente creativa e di condivisione di esperienze antagonistico-sociali e trasformative. Un'impresa collettiva, un invito a fuoriuscire dall'ortodossia democraticista che si auto-riferisce e dalla “miseria della Filosofia”.

Prof. Giovanni Dursi

Docente M. I. di Filosofia e Storia

mercoledì 27 luglio 2022

"Politica" ed elezioni

Ancora una volta, s'assiste allo svogliato risveglio del dibattito pubblico – dopo gli anni dedicati alla pandemia e mesi, ora, ai riposizionamenti geopolitici, alle conseguenti deflagrazioni militari e alle convulsioni per l'accesso alla materie prime – come ideological mainstream che vuole intendere la “politica”, in Italia, alla maniera di un esclusivo e spettacolare evento elettorale.
 
Tutti, come capita ai tifosi delle squadre di calcio, si ringalluzziscono in prossimità della “partita” più importante, quella delle settembrine elezioni politiche per il rinnovo (rinnovo ???) del Parlamento della Repubblica italiana.

Tutti ne parlano, tutti fanno a gara nel fornire la formazione imbattibile, tutti impegnati a scegliere e ad indossare la casacca “stilisticamente” giusta della squadra vincente per favoleggiare nei comizi, nelle convention o in sobrie conventicole. Tutti intenti a scrivere in bella calligrafia (in verità, a riscrivere) programmi ed a confezionare promesse. Dopo l'allenamento delle recenti amministrative, tutti pronti a fare spallucce alle sconfitte subite prevedendo rivincite o quantomeno pareggi. L'importante è giocare, the show must go on.

Addirittura capita che alcuni hanno intrapreso il percorso del cartello elettorale dell’Unione popolare (ma non si era già giunti al “Potere al popolo”?), forse ignari che con la stessa denominazione ha agito un partito politico di orientamento liberal-democratico e nazionalista attivo in Belgio, nella comunità fiamminga, dal 1954 al 2011, ma sicuramente coscienti di operazioni simili effettuate nel passato, di un tristissimo déjà-vu, perché convinti che si possa fare come Jean-Luc Mélenchon in Francia che, con La France Insoumise ha costruito un discreto successo inventandosi all'occorrenza una coalizione di “sinistra” la Nup (Nouvelle Unione Populaire écologiste et sociale) che riunisce momentaneamente coriandoli multicolori estranei al tradizionale establishment economico-politico, subculture politiche eterogenee.

Come tratto unitario delle esperienze in fieri è certamente il rinculo politico-culturale; infatti c'è un evidente smarrimento scientifico-sociale, politico ed organizzativo che porta tutti i contendenti nell'agorà elettorale ad appoggiarsi alla general-generica parola “popolo”.

Il termine, come è noto, fornisce storicamente origine, in campo politico-elettorale, al lemma “populismo” usato per designare tendenze o movimenti politici sviluppatisi in differenti aree e contesti nel corso del 20° secolo. Tali movimenti presentano alcuni tratti comuni, almeno in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e a un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi (prevalentemente tradizionali), in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Infatti, Fratelli d'Italia sta costruendo le sue fortune (stando ai sondaggi) proprio sulla reiterata allusione agli “italiani” (quali non è dato sapere), alla Nazione, alla strategia della xenofobia utile a costruirne un'identità che faccia da collante, bypassando le sussistenti oggettive gerarchie sociali e le fondamentali differenziazioni di classe.

Inoltre, tra questi tratti comuni ha spesso assunto particolare rilievo politico la tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa (su questo punto, per certi versi, non ci sarebbe nulla di censurabile in una conseguente e radicale critica alla “democrazia reale”, o “incompiuta”, che dir si voglia, a quanto si è palesato dal 1943 al 1948 con la rottura dell'unità antifascista e, successivamente, con i decenni di degrado civile che portano ai nostri giorni), privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader mediaticamente carismatici a organizzazioni politiche da tempo presenti sulla scena politica ed a esponenti del ceto partitico tradizionale.

Il fenomeno contagia indistintamente ogni attuale “offerta” del mercato politico, indotto da una situazione economico-sociale in rapido mutamento peggiorativo per le masse a causa del passaggio da una economia capitalista incentrata sullo “sviluppo” industriale e tecnico ad una fase economica di perdurante “crisi” e di penuria e da sistemi politici a partecipazione “surrogata” della masse a sistemi che registrano una estesissima estraneità/ostilità civica ed una contestuale sopravvivenza di privilegi che integrano l'astensionismo.

Ecco, dunque, la presentazione di slogan populisti da parte di capipartito che si confezionano addosso l'abito del “portavoce delle esigenze del popolo”, attraverso l’esaltazione dei valori nazionali, senza aver mai reciso i legami con il passato, tanto meno dimostrare di aver intenzione di avviare una autentica revisione (patetiche, a questo proposito, le interviste che vogliono sollecitare il “pentimento” da parte di esponenti di Fratelli d'Italia; quest’ultimi retoricamente affermano non esserci spazio per i “nostalgici del Fascismo” in quanto loro stessi, generazionalmente o no, sono la plastica evidenza che in una democrazia in disfacimento c'è ancor più spazio per la “destra”), di propugnare l’instaurazione con esso popolo di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali; tuttavia, ad elezioni effettuate, “passata la festa, gabbato lo santo”.

La politica non riguarda più da anni il rito folcloristico ed alienante delle elezioni; la mobilitazione coscienziale e pratica delle masse va incentivata ogni giorno, ricostruendo il tessuto comunitario di classe, dotandosi degli strumenti teorico-politici necessari ad agire “contro” il vigente sistema e non per farne parte.

Spesso tale cosiddetta “partecipazione elettorale”, vivacemente incentivata da gruppi e gruppuscoli che fanno campagna promozionale di qualche lista per poi ritirarsi nell'inedia a leccarsi le ulteriori ferite, sollecita il potere, depositario del monopolio delle forza, a consolidare il mantenimento di un elevato, devastante, controllo sociale, anche grazie al "libero voto".