domenica 8 dicembre 2019

Primo scandaglio sul movimento delle "sardine"

Per movimento sociale impegnato nel rinnovamento della “politica” e della “rappresentanza” si può intendere l'insieme dei soggetti – singole persone o associate, gruppi organizzati o spontanei – attraverso cui la “società civile”, a partire dagli ultimi decenni (anni '80) del Novecento, dal momento della crisi irreversibile del sistema dei partiti di massa reduci dell'esperienza politico-istituzionale democratica post-bellica, viene esprimendo frustrazioni, capacità critica, volontà militanti emergenti e un protagonismo comunicativo-sociale (narrazione contrapposta a quella del “potere” costituito) nonché politico competente (allusioni esplicite alla “democrazia diretta”), strutturando la propria azione cosciente, sia a fini di difesa (rivendicazionismo economico-normativo), sia a fini di costruzione identitaria e d'organizzazione politico-culturale.
La storia recente dei movimenti sociali che interpretano diffuse e variegate esigenze di rinnovamento politico è dunque l'evoluzione del continuo processo di ricomposizione politica delle masse, sin dalla radicale espressione di tornare a contare nei riguardi della autoreferenzialità del ceto politico, per giungere – sempre partendo da questa aurorale determinante coscienza -, in alcuni casi efficacemente (le esperienze che datano dal '68 al '77), ad un antagonismo duale, ad una risoluta dialettica con il governo capitalistico dello sviluppo industriale del modo di produzione e della riproduzione delle correlate forme di vita.
Pertanto, due sembrano essere i limiti intrinseci alle insorgenze attuali della società civile nella porzione di mondo occidentale che si riferisce all'Europa.
In Francia una protesta contro il caro carburante, vede la galassia dei gilet gialli continuare dal 17 Novembre 2018 la lotta e guerriglia cittadina, unificando lentamente i soggetti frammentati dello scontento sociale; pur essendosi presentati alle ultime Elezioni europee di fine maggio ottenendo percentuali deludenti, non hanno intenzione di fermarsi neanche dopo i ripensamenti governativi, senza però evolvere positivamente dal “situazionismo” e dalla logica intrinseca alle “rivolte da stakeholders”, privi, come sembrano essere, di una pianificazione politico-organizzativa che agisca da piattaforma necessaria a costruire alleanze e “neutralità” utili ad autentico progetto di irreversibile mutamento sociale, cioè ad una trasformazione prodotta in un dato periodo storico (capitalismo globale) nella struttura della società. A dimostrazione di ciò, infatti, non è per nulla chiara la direzione di tali lotte e guerriglie cittadine oltre il condivisibile discorso trade-unionistico che alimenta.
In questo caso, il lessico è incerto.
Tensioni e processi sociali conflittuali indotti da una cecità strategica – pur avendo caratteristiche tali da poter diventare un'estesa 'rivolta' popolare -, nel lungo periodo, implodono ed autorizzano il potere ad esercitare violente azioni repressive e di controllo conformistico delle nuove leve di “les révolutionnaires, les qualifiant de casseurs et de fauteurs de troubles peu recommandables”, come ebbe a definire i membri di tale movimento francese l'ex Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Per quanto riguarda le manifestazioni delle “sardine” in giro per l’Italia, il movimento nato a Bologna con l’ormai celebre flash mob di 15mila persone in spasmodica replica ed in attesa dell'esito delle Elezioni regionali dell'Emilia Romagna previste a Gennaio 2020, buone quest'ultime per verificarne l'impatto politico-elettorale a sostegno dell'establishment in crisi di fronte alle spallate della destra, il limite principale è di affermare la complessità sociale foriera di alienazione popolare riconducendo però ad un orizzonte intrasistemico il potenziale eversivo delle disuguaglianze sociali.
Il “soggettivismo” delle “sardine” esemplificato dalle pratiche di piazza e dall'ispirazione ecumenica dei promotori autoconfina, purtroppo, il movimento negli angusti ambiti “generazionali” 1 e nella gretta considerazione della «democrazia reale» come luogo esclusivo di retoriche politiche a confronto dal quale potrebbe scaturire un'agognato cambiamento nelle urne.
Ecco, pensare di sconfiggere il liberismo contemporaneo e/o contrastare la pericolosità e le gravi conseguenze, a dir poco apocalittiche, della cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”, in altre parole, della disintegrazione dell’economia reale, anche limitatamante alla metropoli italiana, con il ripristino della corretta ritualità partecipativo-elettorale e con l'enfasi narrativa della “rappresentanza”, dalla quale, con l'immissione di forze fresche (le stesse migliori “sardine” ?), spontaneamente si genererebbe una democrazia sostenibile sorretta dal modo d'espressione della volontà popolare, vuol dire illudersi e non aver capito la lezione di storia che scaturisce dai 74 anni intercorrenti dal risultati del Referendum istituzionale di domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di Stato da dare all'Italia dopo la fine del regime fascista e della seconda guerra mondiale.
In quest'altro caso, il lessico è ambiguo.
Altra è la prospettiva della rottura degli ordinamenti statuali e giuridici, sociali ed economici di una società e la riconfigurazione radicale degli stessi attraverso un nuovo potere, strutturatosi nel corso di manifestazioni che inducono – queste si – uno squilibrio fra strutture fondamentali del consenso e del potere.
Giovanni Dursi
Docente M.I.U.R. di Filosofia e Scienze umane


1 A questo proposito, va ricordato che la Resistenza al Fascismo nacque in Italia vent’anni prima che negli altri paesi democratici dell’Europa occidentale; lo studio della Resistenza italiana, propriamente detta, e cioè dei venti mesi dell’occupazione tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non può quindi prescindere dall’opposizione al Fascismo nei vent’anni precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi storici precedenti. Ciò evidenzia, inequivocabilmente, che non furono solo i giovani ad opporsi con le armi ai nazi-fascisti, bensì che molti partigiani, sopravvissuti ai conflitti a fuoco, giunsero all'età della maturità con le armi in pugno dedicando l'adolescenza alla Resistenza.

martedì 9 luglio 2019

Articolo censurato - «Da dentro il marxismo – Sulla crisi e superamento della "democrazia" e sulla sollecitazione all'organizzazione politica rivoluzionaria per il comunismo»

Esaminato, da parte dello staff redazionale di una rivista on line con la quale ho collaborato e che “si pone come obiettivo primario la promozione, il sostegno, l’organizzazione e la gestione di iniziative, eventi e manifestazioni culturali e sociali nel pieno rispetto dei diritti umani, del diritto a pari opportunità senza distinzioni di razza, sesso, cultura, religione e salvaguardando l’ambiente” e ritiene di “esserci anche quando il pubblico è una minoranza”, l'articolo che pubblico è stato censurato.

Agendo come una sorta d'ibrida “autorità pubblica” (sul versante della censura politica) e come una “autorità ecclesiastica” (sul versante della censura ideologica), lo scritto non ha trovato spazio nel palinsesto, precludendo il prosieguo della collaborazione, poiché ritenuto eversivo. In questa sede, non intendo replicare; mi limito, per ora, a presentare il testo, al quale ho dato un titolo, minimamente modificato in alcuni passaggi per rendere la lettura più chiara ed arricchito da alcune utili citazioni, ovviamente, senza alterarne i significati teorico-politici, lasciando ad altri il "lavoro sporco" dei sofismi propri dei benpensanti che del capitalismo e dei suoi involucri politici sanno parlarne, ma non osano immaginare come poterlo adeguatamente "criticare" e superare. Sarò grato per ogni eventuale parere. G D

Da dentro il marxismo - Sulla crisi e superamento della "democrazia" e sulla sollecitazione all'organizzazione politica rivoluzionaria per il comunismo

Premesso che l'alleanza sovranista è un ossimoro – non si può dare una solidarietà politica internazionale tra competitor statuali pur in una evidente configurazione globale (empiricamente, non si possono negare affinità “operative” tra Putin, Trump, Erdogan, Orban, Xi Jinping e, via degradando, Bolsonaro e Salvini) e, nel contempo, interpretare in modo esaltato i programmi dei diversi interessi nazionali che rappresentano -, non si può, tuttavia, misconoscere che l'onda nera liberista post-novecentesca, caratterizzata dal sistema post-fordista multinazionale di produzione (organizzato nella forma della serializzazione digitale) e da un'economia biopolitica in grado di manipolare tutte le dimensioni d'espressione dei rapporti sociali (rif. M. Hardt, A. Negri, “Impero – Il nuovo ordine mondiale”, BUR, 2003, con particolare riguardo al Capitolo VI, “La sovranità imperiale”, pagine 175-193), procede indisturbata nel suo consolidamento del potere mondiale e nella sistematica depauperizzazione umana delle classi subalterne.
La “democrazia reale”, svigorita e irreversibilmente logorata, cede la guida della storia a figure marginali, ritenute a torto estinte, altrimenti concrete ed efficaci che scandiscono il passo dell'oca intorno al capezzale del cigno democratico (rif. al balletto di M. Fokine su una composizione di C. Saint-Saens, 1901-1905), agli autoritarismi post-fascisti in grado di vincere gli antichi nemici valorizzando la povertà materialistica e post-materialistica e la massa critica dell'ignoranza, ingredienti indispensabili per le forme legali ed elettorali quanto per le forme illiberali politico-militari d'affermazione e di conquista del potere istituzionale e/o governativo. Il mix delle “forme”, non del tutto storicamente originale, è sotto gli occhi dei popoli assuefatti ad esse e quindi docilmente inclini al “consenso” elettorale ed inesorabilmente piegati alla complicità mistificatoria e violenta: unica alternativa, sul terreno democraticista, si configura l'estraneità e/o ostilità verso il sistema dei partiti. Niente di più.
Considerando la “storia”, frutto di un “disegno razionale”, gli uomini, dopo millenni di adattamento alle forme di vita del capitalismo (ancor prima dell'affermarsi del sistema di produzione industriale del XVIII secolo, prodromi sono le attività dei centri finanziari del Medioevo e del Rinascimento europeo, che lo portarono all’emergere come sistema dominante a partire dal XVI secolo) sono diventati, per dirla con le parole di Umberto Galimberti (rif. a “Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica”, Feltrinelli, 1999; “Il nichilismo e i giovani”, Feltrinelli, 2007), funzionari di apparati tecnici o burocratici, i cui valori sono la funzionalità e l'efficienza con cui si devono compiere le azioni descritte e prescritte dall'apparato di appartenenza nella tempistica prevista, in altri termini, dal sistema di produzione e riproduzione della vita.
Un compito immenso, né regionale né continentale, bensì planetario, considerate le vicende storiche alle spalle, irto di difficoltà, di pericoli, di ostacoli e di incognite, eppure portato al successo, quasi senza colpo ferire. Alla “democrazia reale” il sacrifico umano resistenziale ed emancipatorio ha consegnato un'occasione unica, per plasmare la “storia” e servire le popolazioni, che è stata data a poche generazioni di uomini, dopo un itinerario di millenni, eppure ha fallito.
Lo scarno realismo dell'argomentazione porta a concludere che ciascuna generazione ha il suo problema particolare, concludere una guerra, estirpare le discriminazioni, migliorare progressivamente ed irreversibilmente le condizioni di vita, consolidare la dignità umana, esigendo limiti “dell'umane genti le magnifiche sorti e progressive” pretese senza innescare cambiamenti radicali, considerate oggettive, liberarsi dalle forme di vita dominanti similmente gestite come se fossero ipermercati.
Esigere un sistema politico che conservi il senso della comunità tra gli uomini è oggi fuori dalla portata dal discorso democratico pronunciato dopo i due massacri bellici, fisici e culturali, del Novecento, subito smentito in latitudini non europee. Quel discorso non ha più pregnanza, è un anacronistico, inutile lamento profetico per la generazione attuale che non sa più ascoltare. Lo storytelling della democrazia, non incanta più. La retorica democraticista e la narratologia che ne scaturisce appaiono come obsolescenza dell'organizzazione civile ed istituzionale dei popoli.
Chi ha costruito la caducità della democrazia in Occidente – un albero con radici ammalate - venuta a patti con il capitalismo indefessamente selvaggio, praticato nonostante la legislazione sociale, i diritti civili ed il benessere dinamicizzato (e, proprio per la sua natura negoziabile, cristallizzato in sostanziali diseguaglianze) dalle effimere conquiste salariali, rinculando rispetto all'apertura necessaria di prospettive altre che la storia ha fatto germogliare dal 1917 al 1924 senza repliche universalmente significative, si è assunto la responsabilità di cedere il passo, di deflettere, di cancellare memorie.
È necessario essere capaci di uno sguardo in grado di catturare la vulnerabilità dell'animo umano, in balia di sovrastrutture alienanti, piuttosto che stringerci a coorte, pronti alla morte, è inevitabile considerare l'esperienza democratica un fatto politico “minimo”, “procedurale” (rif. a Norberto Bobbio, “Il Futuro della Democrazia”, Einaudi, 2005 p.4, il quale ammette che “l’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure”).
Pertanto, si tratta d'assumere (potremmo dire: costruire), abbracciare totalmente il marxismo, potremmo dire da dentro il marxismo, un'autentica prospettiva totalizzante d'adesione sincera ed incondizionata all'obiettivo del comunismo contro un mondo le cui rivoluzioni industriali ed il saggio di profitto hanno fatto intenzionalmente smarrire per sempre la sua essenza umanistica.
Per comprendere la realtà contemporanea ci si deve dotare di un metodo conoscitivo, certo, ma soprattutto di un'articolazione di pensiero risolutivo della crisi di civiltà maturata agli inizi del XXI secolo, di una prassi che sa svincolarsi dai rivoli di sofismi che impediscono ai comportamenti di avere la meglio sulla declamazione di principi morali.

lunedì 25 marzo 2019

L'essere umano è al centro, con un sole spento che gli gira intorno – Pensieri su Cristo ed i cristiani cattolici

In un intervento pubblico tenuto anni fa ed enfatizzato dalla stampa e dal “circo” mediatico, Karol Wojtyla si è pronunciato sul “silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dall’agire dell’umanità”. Il terrificante messaggio, per la comunità cristiana cattolica, di un dio silente, pronto alla tempestosa collera che abbandona l’umanità al proprio delirio babelico è stato sbrigativamente liquidato dai media come sermone generalista (prodotto immateriale “buono” per stigmatizzare la guerra, la distruzione dell’habitat, il presunto deficit etico nella sessualità, la clonazione).
Crediamo, invece, che l’inquietante messaggio interroghi profondamente tutti gli aspetti della cristianità, oltre a quella parte di mondo laico che fonda i propri valori culturali e morali trascendendo una prospettiva esclusivamente autoidentitaria e autoreferenziale. Papa Wojtyla, consapevole, e noi con lui, della decadenza (nel linguaggio dell’economia, degenerazione iperliberista) che caratterizza l’occidente capitalista, la denuncia come il male attuale che l’umanità non è più in grado di sanare, al limite di un epocale harahiri.
L’annuncio dell’Apocalisse spirituale, preludio della catastrofe planetaria è, non a caso, accompagnata dai ripetuti e condivisibili ultimi interventi dei due papa attuali, l’emerito
Bendetto XVI e Francesco I, a favore della pace. Chi non li farebbe, anche solo vedendo le immagini del martirio sociale e catastrofe urbana di al-Raqqa dove sono avvenute decapitazioni e crocefissioni contrastate con i bombardamenti. Ma le ultime dichiarazioni appaiono, constatati il silenzio e l’assenza di dio, fautori di una pace costruita in nome proprio, in una prospettiva orizzontale totalmente immanente.
Viene aperto, in questo non più “nuovo” millennio, uno scenario filosofico di tipo tolemaico, dove l’essere umano è al centro con un sole spento che gli gira intorno. Nuove e, fino a poco tempo fa, impensabili alleanze sono possibili nella rappresentazione di un improbabile neo-illuminismo che ora sembra accomunare Chiesa cattolica e sinistra no-global. Entrambe sembrano dimenticare che lo straccetto arcobalenico che va da Gino Strada a Don Ciotti ha sostituito la stretta di mano a Pinochet di ieri, che l’intervento in favore della pace di oggi è in contraddizione con l’interventismo espresso da Giovanni Paolo II nell’omelia in occasione del Giubileo dei militari e delle forze di polizia, nel Novembre del 2000, che vogliamo ricordare: «La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente promosso, tenendo conto che gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta del Cristo. Talora questo compito, come l’esperienza anche recente ha dimostrato, comporta iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Intendo qui riferirmi alla cosiddetta “ingerenza umanitaria”, che rappresenta, dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli strumenti di difesa non violenti, l’estremo tentativo a cui ricorrere per arrestare la mano dell’ingiusto aggressore».
Senza entrare nel merito della variabile, nella storia della Chiesa, dell’opportunità politica dei diversi “expedit” o “non expedit”, emerge il dato terribile che la morte di dio, già profetizzata da Nietzsche, è stata questa volta annunciata dal “megafono vaticano“, che utilizza a pieno titolo e a piene mani il sistema dell’informazione multimediale per amplificarsi. È evidente a tutti che il pugno, evocato e giustificato da Francesco I da dare all'eventuale villano colpevole di aver offeso sua madre, fa pendant con le variegate forme di esasperazione magico-misterica, di esaltazione delirante, di nociva intossicazione delle relazioni sociali ahimè testimoniata dai modi di intendere il cristianesimo da parte dei credenti contemporanei.
Certo è che l'autentico cristiano non avverte la necessità di definirsi tale e/o baciato dalla grazia divina; egli opera da cristiano, emulando Cristo, anche nell'epoca della virtualizzazione identitaria schizofrenica indotta da un uso né consapevole né critico dei social network che, a volte, vengono anacronisticamente demonizzati e ripudiati rifugiandosi nella solipsistica penitenziale preghiera. Tali pratiche devote o delle liturgie ad hoc, quasi personali, à la carte, in preda al vaneggiamento della propria simbolica perfezione, autorizza tali pseudocristiani a stigmatizzare ed ossessionare, con i propri angusti codici interpretativi, i portatori del pensiero critico, della laicità costitutiva dell'etica pubblica, dell'ateismo, della razionalità filosofica e scientifica.
Questo rito mistico dell'irrazionalità – molto simile ai roghi accesi dall'Inquisizione per estirpare le eresie detentrici di verità – sta annichilendo i cristiani cattolici che si rifugiano nell'intimismo della preghiera e del dialogo egolatrico con dio; inoltre, vedrà la parte egemone politicamente (destra neofascista) del mondo cattolico imporre la propria “supremazia spirituale” con la violenza argomentativa e della sua influenza istituzionale, celebrare a Verona (dal 29 al 31 Marzo 2019) il XIII World Congress of Families , evento organizzatore del movimento globale antiabortista, antifemminista, anti-LGBTQI e delle azioni contro la tutela dei diritti delle persone.

A latere, viene spontaneo chiedere che, a questo proposito, ognuno parli per sé. Cos’hanno da dire sul silenzio di dio le migliaia di giovani riunite, con cadenze prossime, per un giubileo festoso e rumoreggiante ? E tutti coloro, e crediamo siano tanti, che, nell’ascolto dell’altro e nel silenzio di sé, lottano per la pace attraverso la costruzione di un punto di vista che trascenda il proprio ? Forse è Iannacci, in una sua vecchia canzone che può inconsapevolmente indicarci la soluzione del paradosso teologico di un Verbo muto, di un Lògos afasico quando ricorda che “bisogna avere orecchio, bisogna averne un sacco, tanto, anzi parecchio…”.
L’esperienza dell’ascolto – impossibile agli integralisti e rubato ai mistici del XXI secolo, sordamente impegnati in via esclusiva nel penitenziàgite - è possibile a partire dal silenzio, non di un eventuale dio, ma nostro, mettendo a tacere le chiacchiere rumoreggianti, individuali e collettive, tipiche dell’alienante sistema dominante dell’informazione. Si presentano sempre più come “rumore dei media” che diviene omologante informazione del dominio che tutto cerca di coprire, anche i pensieri più personali e le più intime convinzioni, secondo il modello del Panoptico, la struttura di un edificio ideato da J. Bentham nel corso della seconda metà del secolo XVIII per rispondere alle nuove esigenze di organizzazione e controllo sociale dettate dallo sviluppo dei centri urbani e dalle mutate condizioni di lavoro, entrambi epifenomeni della cosiddetta prima rivoluzione industriale.
Viene da chiedersi se tale incessante rumore di fondo – ciò che, parafrasando Foucault, possiamo intendere come una sorta di “visibilità” come “trappola” della modernità – non sia uno strumento di persuasione alla conformità, che, garantendo spazi identitari di “buonismo”, purché controllato, eterodiretto e collettivo, cerca di mettere in realtà al bando ogni divergente esperienza di libertà individuale e collettiva. Non è il silenzio di dio che preoccupa, tappa obbligata fra l’altro di ogni autentica esperienza spirituale, ma la chiassosità di proclami invadenti e unilaterali sulla nostra personale identità. Inoltre, nella ricostruzione di “fronti”, siano anche ispirati da valori encomiabili come quello della pace – che, in definitiva, si gioca sul terreno economico piuttosto che prepolitico, morale -, c’è sempre il rischio di inceppare in meccanismi identitari di gruppo che, nella riconferma di sé, escludono l’altro.
Esclusione non solo del nemico guerrafondaio, ma anche di qualsiasi verticalità che, al di fuori di noi, concorra ad ispirare le nostra azioni. Se dio tace, parliamo noi, se ci abbandona alla guerra, qualcuno ha sempre un Papa che lavora per tutti. Il rischio vero è che la secolarizzazione della Chiesa cattolica vada di pari passo con la delirante riconferma di sé di chi si pensa nel giusto. Se l’abbandono dell’umanità al suo destino da parte di dio appare motivato dagli avvenimenti degli ultimi anni (non è mai troppo tardi ...), sorge ancora più stridente l’autoesaltazione dei vari e mutevoli “fronti” per la vita. Come se la guerra fosse sempre e comunque voluta da altri e non riguardasse profondamente ciascuno di noi nella sua più intima essenza, nell’aderire o meno ad una concezione del proprio essere al mondo basata sul profitto. Altro che dimensione eterea, altro che il sentire dell'anima ! Consapevolezza, questa dell'adesione alla materialità dell'esistenza, che solo lo sguardo autocosciente, coltivato nel personale spazio interiore che si sforza di cogliere l'obiettività, può far scaturire: forse, in quello spazio, religioso o laico che sia, “dio”, per chi crede in dio, o l’arma della razionalità critica possono parlare ancora. Di fronte al bivio storico Trump – Kim Jong-un, bisogna immaginare quale strada alternativa scegliere.
Giovanni Dursi