sabato 13 luglio 2013
Progettare la rivoluzione
Sviluppare una riflessione di critica
sociale ed emancipazione a partire dalle condizioni attuali delle contraddizioni capitale-lavoro,
nella consapevolezza che le dinamiche sociali in corso richiedono un
ritorno/approdo consapevole e riflessivo alla nozione di critica e una
rinnovata attenzione sulle condizioni che consentono di pensare il
progetto di emancipazione collettiva e di rivoluzione sociale. I processi di globalizzazione,
infatti, da un lato rendono sempre più manifeste le tensioni create
da un capitalismo diversamente aggressivo sul piano economico e
omologante sul piano culturale; dall’altro, sembrano poter aprire
spazi per una nuova capacità di incrementare i potenziali di
liberazione impliciti non solo in una possibile universalizzazione
dei diritti umani e dell’autorealizzazione degli individui, ma
soprattutto di rivoluzione sistemica.
Ma, al momento, è soprattutto
sul primo aspetto che occorre soffermarsi. Le crisi economiche e
finanziare internazionali hanno pesanti ripercussioni sociali:
mettono a repentaglio le politiche di Welfare nei paesi più
industrializzati – che vedono l’emergere di nuove e vecchie forme
di povertà, di disoccupazione, di emarginazione sociale, ecc. mentre i giochi di borsa e le acquisizioni multinazionali d'impresa proseguono senza battute d'arresto –, e
cercano, d’altro lato, di scaricare gli effetti più pesanti della
crisi sui paesi più poveri e in via di industrializzazione e –
prioritariamente – sulle classi subalterne presenti in ogni ambito
nazionale devastandole, creando un vero e proprio genocidio generazionale. Sul piano culturale, nonostante sia ormai evidente la
difficoltà intrinseca di un modello di produzione incentrato
sull’idea di uno sviluppo senza limiti finalizzato al profitto
d'impresa che risponda a mere esigenze produttive, il modello di una
società dei consumi sembra essere senza alternative reali e,
nonostante ciò, si impone come unico referente possibile e
auspicabile. La stessa fuoriuscita dalla crisi viene così proposta
solo nella prospettiva di una ripresa produttiva, dell’aumento del
Pil, dei consumi, in una direzione che non può fare altro che
riproporre le patologie da cui vorrebbe sfuggire. da questo punto di vista, i sacerdoti del "mercato", gli economisti "di sinistra" e "di destra", non divergono affatto, avanzando "ricette" buone solo per rigenerare il sistema d'appropriazione privata di beni e servizi socialmente prodotti. In questa
situazione, la riflessione critico-sociale-politica – ma non solo –
deve porsi l'inevitabile questione di quali siano le condizioni, i
temi, i soggetti capaci di rompere questa spirale perversa e riaprire
il fronte di una prassi sociale non ingenua, bensì lungimirante,
rivoluzionaria, efficacemente antisistema. Si possono porre qui
almeno tre questioni. 1. La contemporaneità come “luogo di
manifestazione” delle contraddizioni capitalistiche, l’unico
nella storia dell’umanità nel quale sia stato posto con forza il
tema dell’emancipazione antisitema. La prospettiva illuminista di
una liberazione sulla scia di uguaglianza, fratellanza e libertà non
può dare alcun frutto poiché, tenendo ferma l’idea di una
possibile liberazione di massa, non si può evitare la consapevolezza
degli errori commessi dalla”sinistra tradeunionistica” in questi
secoli di modernità capitalistico-borghese, e va considerato “falso
sapere” non solo il fanatismo religioso e l’irrazionalismo
mitologico, ma anche – il pronunciamento della Dialettica
dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno è chiaro, in proposito –
la presunzione delle classi dominanti di porsi come depositarie di
sapere assoluto e definitivo, astorico, presunzione che ha assunto
nel Novecento forme diverse e terribili, come le ideologie
assolutizzanti, il totalitarismo nazi-fascista, l’assolutizzazione
del ruolo sociale dell'impresa, ecc., sia sul piano concreto delle
forme e delle esperienze sociali sia sul piano culturale e della
formazione e riproduzione delle forme di vita sociali. Nonostante
questi aspetti deleteri, e partendo proprio dalla necessità di
evitare ogni assolutizzazione, rimane aperto il compito di “una
critica della ragione attraverso la ragione” e quello di “stabilire
prospettive da cui il mondo si dissesti, si estranei, riveli le sue
fratture e le sue crepe” (Adorno). Occorre quindi una ripresa
critica della critica interna alla prospettiva borghese, che sappia
andare oltre una possibile resa davanti ai drammi che la modernità
stessa ha prodotto, oltre il lavacro etico, poiché anche i proletari sono fagocitati e si muovono nell'universo unico dell'esitenza come il capitale vuole sia vissuta. 2. Il mantenimento –
critico – delle prospettive di emancipazione presenti nel progetto
rivoluzionario antisistema implica in prima battuta il superamento
della retorica post-moderna e l'attualizzazione del
marxismo-leninismo. La fine delle grandi narrazioni è anch’essa
una grande narrazione. E, in quanto tale, ha prodotto essa stessa una
“ideologia”. L’idea di un individuo riflessivo, capace di
reggere sulle proprie spalle il peso di scelte – e di
contraddizioni – che il sistema sociale non sa più affrontare, può
costituire la premessa per una nuova fuga dalla libertà, d'una
eternizzazione delle forme di vita capitalistiche. La
deregolamentazione e la privatizzazione dei compiti e dei doveri
propri della Società/Impresa può costituire un onere tragico per la
gran parte dei soggetti subalterni e un eccesso di
individualizzazione può produrre il peggior conformismo sistemico.
Anzi, se finisce con l’essere la base per nuovi modelli sociali e
di consumo – per lo più irraggiungibili –, costituisce un nuovo
modello di conformismo. Dobbiamo perciò essere consapevoli che
queste forme di disintegrazione sociale producono un vuoto alle volte
più pericoloso del pieno che lasciano alle loro spalle; che la
società dell’effimero e della disgregazione, del momento e della
contingenza, è la condizione e il risultato di una nuova forma di
potere e di dominio. Nessun rimpianto per un pieno al quale non
bisogna assolutamente tornare, ma, al tempo stesso, nessuna
indulgenza per un vuoto che annichilisce le stesse capacità di
resistenza e di cittadinanza attiva. 3. Un elemento perciò
fondamentale di analisi può essere costituito dal concetto di legame
sociale. Oggi – sulla base forse di quanto sopra detto –
assistiamo ad un ritorno di comunità, ad un nuovo bisogno di
appartenenza, ad una rinnovata necessità di radicamento e di
radicale trasformazione sociale. La “crisi” è madre di tutto
ciò, come opportunità di autentica trasfomazione sociale. Accanto a
situazioni di tipo reattivo – come possono essere nuove le forme di
comunitarismo religioso, localistico, etnico, ecc. – emergono però
al tempo stesso forme di comunità – e di legame sociale – che
tentano di costruire momenti di solidarietà sociale non esclusiva e
totalizzante, ma soprattutto embrionali forme organizzate di
antagonismo anticapitalista. Possiamo fare gli esempi di nuove forme
di movimenti sociali per i "beni comuni", di comunità di consumo equo e solidale, di associazioni di
quartiere e di volontariato e servizio civile, di partecipazione collettiva, tutte
portatrici, in modo più o meno esplicito e consapevole, di momenti
di critica sociale e di emancipazione. Accanto ad essi si sta
coagulando, aggregando una intenzionalità di lotta rivoluzionaria
per il potere politico guidata da coscienti avanguardie comuniste.
Una riflessione sulla natura e sulle condizioni del legame sociale
nell'attuale situazione storica appare dunque il miglior modo per
porre la questione della critica al capitalismo nell'epoca della globalizzazione. In questa
prospettiva, non vorremmo riproporre il tema della critica alla prima
esperienza stocia dell'accumulazione capitalsistica, che diamo per
acquisita. Neppure riproporre una riflessione sul ruolo che vecchi
soggetti (partiti, sindacati, ecc.) possono avere in chiave critica.
Attualmente, il compito di costruire un ordine sociale nuovo e
migliore deve ancora conquistare il centro dell’attuale agenda
della maggior parte del mondo antagonista che trascura di
“tematizzare” appropriatamente la questione del “potere”.
Occorre invece riproporre con forza questa prospettiva in una nuova
direzione, consapevoli che nemmeno un’ora del nostro lavoro sarebbe
utile se non servisse in qualche modo alla rivoluzione sociale per il
comunismo, alla socializzazione comunista.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento