mercoledì 27 ottobre 2010

A Bologna come altrove in Italia: esprimere subito contrarietà all'«ipotesi Vendola»

Le parole di Nichi Vendola – a supporto della “sfida SEL” e naturale prodotto di trent'anni di presenza nell'agone politico - sono suggestivamente importanti, come nella tradizione retorica della politica italiana lo sono state, ad esempio, quelle di Aldo Moro, quando coniò le (scientificamente improbabili) “convergenze parallele”. Non casualmente, infatti, al Congresso fondativo di SEL celebrato a Firenze, Vendola cita il democristiano Moro, ricordando anche il Gramsci “critico dell'anticlericalismo”; inizia così, con le parole usate a proposito, quella curvatura d'una «ipotesi» comparsa nel teatro della politica che dovrebbe convincere il “popolo di sinistra” insofferente all'evanescenza PD ed all'anacronismo di altre organizzazioni “comuniste” e/o “ecologiste”. Vendola, eletto all'unanimità con voto palese Presidente di “Sinistra, Ecologia, Libertà”, rappresenta la versione nobile – onesta intellettualmente – del ridicolo “maanchismo veltroniano”, laddove conferma la propria fede religiosa e la sacralità della vita e, nel contempo, ribadisce la radicalità di comportamenti diversi sul piano etico-sociale, costruisce un ponte ideale verso i cattolici e la Chiesa senza deflettere sulla problematicità dei “diritti” individuali e collettivi. Vendola usa il linguaggio della tradizione retorica della politica italiana marcando una insospettata continuità con la togliattiana/divittoriana “democrazia progressiva”, oggi da lui concepita di respiro europeo e risorgente dalla ceneri del “blairismo”. La “grande speranza” che vuole essere, infatti, non si limita ad un partito-movimento, SEL appunto, forza transitoria quanto contingentemente necessaria, mezzo più che fine, bensì mette in cantiere un'ambizione con l'intento di superare l'attuale composizione SEL d'essere “ex qualcosa” e costruire un'ampia forza di “sinistra”, interlocutore ideale di un moderatismo “democratico” in grado di sconfiggere elettoralmente il “berlusconismo” nella sua variante tremontiana. Coniugare “sinistra” ed “ecologia” - “parola capace di parlare all'intero genere umano, un termine che richiama un francescanesimo laico”, afferma Vendola – diviene indispensabile per allargare la base del consenso, come lo è amalgamare i due termini con “libertà”, “ricercata partendo dalla condizione dei lavoratori, dei bambini, delle donne” poiché “negata dalle ideologie”; inoltre, molto pragmaticamente, SEL rilancia il dialogo con il mondo cattolico evitando accuratamente “pulsioni anticlericali”, anzi rivolgendosi direttamente al popolo del “family day” colpito “dall'impoverimento prodotto dalle politiche liberiste” ed alla Chiesa per intendersi su “temi eticamente sensibili”. Nel Pantheon personale di Vendola, ci sono l'economista Vandana Shiva, Carlin Petrini, don Ciotti e Gino Strada, Gramsci e Pasolini ed attraverso questo patrimonio culturale legge oggi un'Italia la cui “narrazione” è stata strappata dal berlusconismo “infastidito dalla democrazia”. All'opera di ricucitura, il partito di Vendola vuole dedicarsi, inserendosi nel filone europeo della “sinistra” dei valori ecumenici e del buon governo, distante da quella “modernizzatrice e fuoriuscita dalla sua storia laburista” portatrice di ulteriori sconfitte. In questo orizzonte, Vendola candida SEL come sponda politica di un sindacato che rivendica diritti e dignità per i lavoratori (guarda alla CGIL) e sollecita il PD ad abbandonare l'apologia del tremontismo (rappresentata da Padoa Schioppa) aprendo una linea alternativa al “tema totemico del debito pubblico”; il vocabolario vendoliano di immagini sintetizza questi obiettivi nella capacità di vincere d'una “sinistra non innamorata dell'estetica del naufragio”. Nichi Vendola, nella lettura e/o narrazione politica che fornisce, si trova a suo agio tanto nel proporsi come leader di una “sinistra” tutt'ora impegnata in una faticosa, quanto miope, ricerca identitaria, quanto nel confezionare un immaginario collettivo riusando il temperato radicalismo pcista e la lezione del riformismo divittoriano/togliattiano che, insistendo nel riconoscere le “ragioni degli altri”, finisce con l'interiorizzarle nell'indistinzione teorico-pratica. Inoltre, Vendola – corteggiata neoicona mediatica assimilabile ad Obama - pare completamente dimentico dei danni coprodotti con il suo mentore (Bertinotti) che hanno fatto terra bruciata nell'area sociale di riferimento, rifluita nell'astensionismo e, vivaddio, autonomamente nelle lotte, forse aristocraticamente considerate (però, senza dirlo!) espressione di un massimalismo e settarismo indigesti per l'affabulazione politica non violenta. Sarà pure un affresco d'una Italia diversa concepita come possibile, ma ora, abbandonata la tattica utile a farsi apprezzare, dopo le parole “per dire di sé”, ci vogliono gli argomenti veritieri per descrivere, indicare, proporre un'alternativa politico-programmatica, culturale, strategica al capitalismo multinazionale al di là del fare amministrativo compatibile con la divisione sociale del lavoro generatrice di disuguaglianze e della sperimentazione di alchemiche alleanze partitiche, frutto di storicamente inattuabili blocchi sociali che, astrattamente e colpevolmente, tentano di rimuovere la sottostante guerra di classe.
Link utili:
http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/io-narrante-e-coscienza
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/i-cangianti-colori-della-1
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fuori-dal-parlamento-visibilia

lunedì 25 ottobre 2010

Sergio Marchionne: gli interessi aziendali FIAT contro gli interessi delle masse popolari

Senza gli stabilimenti italiani, la FIAT andrebbe “meglio”. “Meglio”, per l'ad FIAT Marchionne, sta per più utili: “Nemmeno un euro dei due miliardi di utile operativo previsti quest'anno viene dall'Italia”. Il “metalmeccannico” Marchionne chiarisce ulteriormente la strategia aziendale del FIAT Group enfatizzandone gli aspetti della competitività industriale che già garantisce un giro d'affari di 50 miliardi di euro nella produzione di automobili (56,2%), macchine agricole/edili (20,1%), veicoli industriali (14,2%), componenti e sistemi di produzione (8,5%), editoria e pubblicità (1% circa); tale imponente business è realizzato in 188 stabilimenti dei quali 64 sono in Italia, gli altri sono delocalizzati (52 sono in Europa, 27 nel Mercosur, 16 in Nord America, 24 nel resto del mondo), da 190.000 dipendenti, il 42,3% dei quali lavorano in Italia, il 57,7% in altri paesi. Laddove il profitto non è tale da incrementare il business, Marchionne ritiene le relazioni nelle fabbriche nazionali modificabili, al fine di recuperare “produttività” per restare sul mercato, agendo solo sul fattore lavoro, trascurandone le condizioni, le retribuzioni, la sicurezza. Non una parola, infatti, nella tranquilla intervista rilasciata a “Che tempo che fa”, sulle fondamentali questioni dei diritti dei lavoratori, solo il ricatto del disinvestimento e la rivendicazione della totale libertà nel trattare la manodopera (come la FIAT ha iniziato a fare con le deroghe al contratto nazionale di categoria, imposte nel contesto di Pomigliano), come quando allude allo sfruttamento intensivo degli operai polacchi affermando senza battere ciglio che “in Polonia, nel nostro unico stabilimento, 6100 operai hanno prodotto le stesse auto di tutti gli stabilimenti italiani, ovvero hanno fatto il lavoro di 22mila operai”. Marchionne si permette anche di dileggiare chi lavora e vive con mille euro mensili, pronosticando di portare “i salari italiani al livello dei Paesi europei”, ammettendo esplicitamente di aver spremuto già come limoni le maestranze FIAT, nonostante gli oneri pubblici della c.i.g., prestiti statali ed incentivi incassati come ladri dal management FIAT. Marchionne, mentre cerca comunque di estorcere ulteriori minuti essenziali per una pseudopausa-pranzo dei lavoratori - senza soluzione di continuità con i precedenti “vertici aziendali” sostenitori già dodici anni fa dell'idea secondo la quale, causa la globalizzazione, gli stabilimenti italiani erano pagati dai profitti brasiliani -, cerca di inventarsi innovatore risucchiando nelle logica FIAT sindacati compiacenti chiamati a cogestire le “anomalie” rappresentate dalla resistenza e conflitto degli operai indisponibili, piuttosto che dall'offensiva e menzognera immagine di prezzolati, assenteisti operai-tifosi che tenta volgarmente di accreditare. L'ingiuria del dominio politico dell'impresa sulla società espressa da Marchionne che vuole imporre l'aumento dei salari «legati alla produttività», fa da contraltare alle richieste della Cisl e della Uil: secondo queste organizzazioni sindacali, occorre vedere insieme con il padronato come si può arrivare ad un utilizzo intensivo degli impianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili ed arrivare ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali.
La manifestazione del 16 Ottobre, viceversa, sostiene la proposta dello sciopero generale contro il dominio politico dell'impresa e contro le politiche governative che ne sono espressione, accolta con entusiasmo consapevole dalla enorme massa di persone che vi hanno partecipato. È la giusta azione contro la devastazione sociale, l'unica dignitosa rivolta possibile oggi, arrivata direttamente dai lavoratori e cittadini consapevoli ed indisponibili ad una deriva berlusconiana che trascina nell'impotenza anche tutte le forze organizzate della “sinistra”. Senza il pronunciamento combattivo dei proletari uniti, non c'è alternativa degna di un popolo che sappia prendere in mano il proprio destino. La grande, democratica questione del lavoro e dei suoi diritti non è un utile argomento per la retorica dei politici, è il discrimine tra il futuro libero e di massa della società italiana che – autonomamente – si riorganizza e l'incontrastata riproposizione delle fortune del capitale multinazionale.
Link di Bologna Città Libera:
“Governo, impresa, conflitto capitale-lavoro e autonomia politica"
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/governo-impresa-co...

"Fabbrica Italiana di Profitti, comunità operaia e autonomia”
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fabbrica-italiana

giovedì 21 ottobre 2010

Dopo il 16 Ottobre, "Uscire dalla rete ... e poi ?"


- Spunti d'analisi - La scossa c'è stata. A Roma, il 16 Ottobre. L'embrione di unità della soggettività antagonista generata dalle lotte sociali si è palesato, certo risentendo della caoticità dell'insorgenza rivendicativa, ma – senza alcun dubbio – presentandosi come obiettivo segno d'una seria ripresa della capacità di contrasto all'incedere della “dittatura dell'impresa” e del protagonismo popolare che ripropone l'orizzonte del “beni comuni”. Questa scossa, auspicata e coprodotta, è indotta da condizioni materiali che divaricano irreversibilmente il coagulo di interessi del capitale globale (la commistione – in sede governativo-parlamentare - di interessi pubblici e fatti privati è l'espressione più facilmente decodificabile dell'attuale prioritario ruolo che svolge il “complesso politico-industriale-finanziario” nella configurazione del dominio sociale) da un lato, e, dall'altro, una reazione delle “classi subalterne” – nel vivo del quotidiano scontro sociale – che “vede” necessarie l'autorganizzazione, mentre sedimenti di conoscenza critica ed elaborazione teorico-politica vengono condivisi e fatti “corpo” nelle concrete “forme di vita” e di “cittadinanza attiva”. Da questo punto di vista, anacronistiche e fuorvianti sembrano quei “laboratori politici” (ad esempio, le “fabbriche” vendoliane e/o pdessine) che tentano di recuperare questo “potenziale antisistema” (quindi, autenticamente rivoluzionario), ovviamente depurato da imbarazzanti “presenze democraticiste”, dirigendolo verso un impotente riflusso partitico-legalista orientato a beneficio unico di un “ceto politico” che intende riciclarsi, sopravvivendo a se stesso ed incapace di autocritica. Il terremoto politico non è dato da una militanza nella “sinistra” (PdRC, PdCI, SEL, FdS) con evidenti segnali di continuità con il fallimentare recente passato; tali “sigle” sono restate sul mercato della politica a contendersi elettori, ponendosi come obiettivo massimo rieleggere deputati, senatori o consiglieri, negoziare presenze nelle Giunte comunali, provinciali o regionali, collocare “amministratori” negli enti subordinati, confondendo il consenso elettorale con un improbabile riequilibrio dell'assetto di potere e pretendendo di ridare attualità politica ai tipici valori della “sinistra” togliattiana-divittoriana della “democrazia progressiva”.
In realtà, archiviate queste arcaiche manovre, è fondamentale insistere sulla linea dell'edificazione di nuove istituzionalità popolari, distanti / diverse da quelle articolazioni statali ove la “rappresentanza” perpetua subalternità, soggioga le masse popolari, crea devastanti distorsioni nella “democrazia costituzionale”; l'autonomia politica deve – viceversa – conquistare e difendere spazi per esercitare i “diritti” dei giovani, donne, precari, disoccupati, cassaintegrati, operai, artigiani, autoimprenditori delle conoscenze, lavoratori autonomi che oggi mal sopportano la storica iniquità dell'ennesima crisi del modello capitalista di sviluppo. Le lotte di resistenza e di attacco alla “tenaglia” confindustriale-sindacale che impone l'agenda politica al Paese, manifestano una consapevolezza “altra” della crisi che chiede a tutti i suoi protagonisti una rinnovata determinazione nella capacità popolare di dare autorevole voce – senza mediazione partitica – ai “bisogni sociali” (reddito, Welfare, cultura, ambiente, multiculturalità, …) e del “lavoro” che sono nel suo DNA. Questa sollecitazione non può non essere colta dalle donne e dagli uomini liberi con l'entusiasmo che deriva dal riappropriarsi della propria esistenza. Per chi ha vissuto e vive la difficile battaglia della libertà individuale e collettiva dal gioco del capitale – non distinguendo, in modo miope ed asfittico, il “locale” dal “globale”, come purtroppo in alcune componenti dell'area “neocivica” si è ottusamente evidenziato, causando ulteriori “sconfitte” e dispersione di energie trasformative -, questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte. Lo scenario è necessariamente più ampio di quello delle pseudostrategie di partito.
I transfughi dei partiti di “sinistra”, compresi i pdessini in libera uscita per una breve, “eccitante” stagione, che hanno frequentato modalità autonome ed alternative d'organizzazione e produzione di eventi politico-sociali, constatando il “blocco mortale” e l'evanescenza dell'opposizione – non solo PD - alla presenza berlusconiana, oggi, percependo il sentore d'una repressione (annunciata da tempo dalla ConIndustria, per bocca della Presidente Marcegaglia) di tipo cileno, tornano sui loro passi, ad una “casa madre”, ad un'autoreferenzialità ed un interclassismo incapaci di “scegliere” la parte del popolo (ad esempio, sull'acqua: il PD si è forse schierato raccogliendo le firme per la difesa di quel bene pubblico essenziale ? E sul petrolio e il nucleare ? E per il lavoro ?), immaginando di occupare posti ed apparire seriosi e compìti in TV.
L'urto del 16 Ottobre, dunque, è stato prodotto ed ha provocato un'iniziativa unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo.
- Proposta politica - 1.Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale. In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2.Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel o al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, contropotere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3.La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità politico-amministrativa nuove ad ambiti istituzionali socio-territorialialmente “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. Ad esempio, il territorio emiliano – romagnolo, da Piacenza a Rimini, è lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni ambito territoriale provinciale può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio d'appartenenza . . . . .
Tutti sono invitati ad avviare un discorso pubblico su questi temi.
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman
- Proposta d'iniziativa -
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO
(entro Novembre 2010) iniziativa di “respiro” nazionale
dedicata ad Oscar Marchisio
Titolo provvisorio:
< QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO
UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE
CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ
NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
Si invita a contribuire all'organizzazione ed a partecipare all'Assemblea pubblica "QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE " per ricordare Oscar Marchisio. Poco più di un anno fa, Oscar Marchisio se ne andava per sempre. In viaggio lo è sempre stato, quasi per abituarci alla sua assenza e ad imparare a far da soli. Ora sono cambiate le capacità / volontà permanenti del suo ricordo da parte di ciascuno di noi, orgogliosi di averlo conosciuto, frequentato, "usato" intellettualmente e politicamente, capacità / volontà collettive di conservare e far fruttificare i frammenti del suo agire come lasciti individuali da ricomporre. Ricordarlo, dunque, come se dovesse tornare a donarci ancora i "prodotti" della sua mente, gli stimoli "a fare" del suo prezioso operare teorico-politico e culturale. Dal punto di vista politico-programmatico - refrattario alla deriva "commerciale" del sistema dei partiti, sempre più assortito - Oscar Marchisio, anche in occasione delle elezioni amministrative '09, ha guardato con sincero interesse ed "occhio critico" all'esperienza di Bologna Città Libera, constatando la reale "logica concorrenziale" sussistente tra il "mercato mainstream" e post-neo organizzativo delle "sinistre" contrapposto ad "etichette" più o meno "indipendenti" (ad esempio, la tendenza neocivica insita in B.C.L.) e di leadership eterno-emergenti. In mezzo, una marea di "soggetti" che o muoiono dopo le prime "battaglie" pubbliche - avvezzi solo alla virtualità reticolare - o emigrano verso "mercati" che meglio remunerano (sottobosco del mondo sindacale, politico, culturale, mediale). La "TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO" è - a contrario - una sincera espressione di rifiuto di tali melmosi andazzi. È una raccolta di energie (donne e uomini liberi che si incontrano nelle autentiche relazioni territoriali e sociali antagonisticamente orientate contro la "società del capitale" e si autodeterminano) che hanno il polso della "situazione" e manifestano la coraggiosa volontà di industriarsi nel costruire un'alternativa forma di vita popolare - umile e forte - dal respiro strategico ed efficace nel risultato, inaridendo definitivamente le visioni e le prassi dei mesterianti ed aspiranti stregoni.
Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in gioco è la libertà d'esistere.
Giovanni Dursi
For contact:3393314808
http://cprca2010.ning.com/
http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi
http://giovannidursi.blogspot.com/
http://www.facebook.com/home.php?#!/profile.php?id=1192180355 Bologna, Intervento per l'incontro del 24 Ottobre 2010
Link: http://www.faremondo.org/news.php?nid=49

sabato 9 ottobre 2010

Tasche vuote, chiacchiere e sangue

Il Presidente della Repubblica è uomo esperto che si intende di molte cose e di “democrazia” in special modo. Se, più volte, si è deciso ad intervenire ed il suo staff presidenziale si è “mosso” per affermare un andamento disastroso per la società italiana, dev’essere proprio vero. D’altronde la penuria è nelle tasche di tutti i lavoratori, scontatamente vuote quelle dei disoccupati, inoccupati e cassaintegrati, basta affondarvi le mani. La grave crisi economica – caratterizzata da storici squilibri mondiali tra aree geopolitiche diverse, commisti a sovrapproduzione di merci – e l’indotta stasi del “mercato” è affrontata dal capitale in “modo selvaggio”: licenziamenti, azzeramento di ogni diritto contrattuale degli occupati nelle aziende, smantellamento dei servizi e della stessa logica del Welfare, distruzione ecosistemica e guerre di conquista spacciate per “esportazione della democrazia”. L’inflazione reale continua a salire nel silenzio dei media che inseguono gli obnubilati lettori e spettatori proponendo loro solo trame del malaffare e “scandali a corte”, accadimenti di secondo piano, ovviamente tutti ad “insaputa” dei laidi protagonisti politici d’una maleodorante scena degna di un bordello clandestino. Il Governo dei lazzi, frizzi, carote in culo, bestemmie e di guerre combattute con elevatissimi costi umani è lo specchio fedele di un ottimismo campato in aria, da tardo impero ove ognuno è impegnato ad arraffare quanto più può, mentre altri muoiono di fame o colpiti in battaglie che producono ignari morti civili, prima del momentaneo tramonto che – questo è l’auspicio dei trogloditi al potere – possa annunciare una nuova era dove tutto sia come prima, per ricominciare ad occuparsi di affari privati e della “serva democratica”. Il guardiano costituzionale mostra tutti i limiti della retorica "democraticista" quando insiste nei richiami e nemmeno pensa ad una scenario resistenziale, ad un pronunciamento popolare che spazzi via la marmaglia fascista. Ci apprestiamo a celebrare – ormai anestetizzati – l’ennesimo anno dell’euromoneta in un continente in preda a nuove violente ondate xenofobe, razziste, militariste; ciò dimenticando responsabilità che ricadono certo non nel conio unico, ma su chi, attraverso il vil denaro, ha speculato prima e ha innescato, dopo, la congiuntura economica globale (in sinergia con la crisi finanziaria USA) procurando devastazione sociale e impossibilità di sopravvivenza per milioni di cittadini, mai rinunciando ai “margini di profitto” comunque garantiti da un sistema di produzione basato sullo sfruttamento. La “democrazia” non è una questione solo “politica”, ma istituzionalmente articolata ed ha origine nella democrazia economica alla quale è necessario guardare per far si che la Costituzione, in Italia, sia rispettata senza tentennamenti o tentazioni abrogative, siano esse “normative” o “di fatto” come il “caso FIAT” insegna. Può andare diversamente ? Forse. Certo non con le liturgie del Palazzo o del putrefatto sistema dei partiti, tantomeno rincorrendo le “buoniste” chimere di un impotente riformismo, sia esso interno alle logore forme della rappresentanza, sia esterno alla dimensione parlamentare, che si può cambiare un autunno caldo ed un inverno di torrido scirocco. Eppure – non solo il Presidente – si continua a parlare d’altro: processi “brevi”, RAI, puttanate … dimissioni mai giunte, fastidiose inutili litanie polemiche, sgambetti tra manager, guerre trasversali tra fazioni politiche, colpi di mano nelle nomine di fiduciari, tutti decisi a contendersi palmo a palmo una fetta di potere ulteriore, con la massima carica delle Stato che osserva ed inghiotte, mai pensando a clamorose dimissioni, mai pensando seriamente ad una messa “fuori gioco” di potentati contendenti che non sono stati scelti dal popolo. La sobrietà e l’autorevolezza del “dire” non bastano, anzi, non servono: è un parlare a vanvera, come confondere l’ordinario con la straordinario. Straordinariamente, ora tocca al popolo, a chi crede nel popolo sovrano in grado di partecipare alla creazione di nuove istituzioni.