venerdì 24 dicembre 2010

Tutto L'Amore Che Ho - Video Ufficiale

... fino al confine estremo delle mie speranze ... contro il male e le sue istanze ... avrei rischiato la mia vita in mare aperto ...

Gli "accordi separati" per Mirafiori, primi provvedimenti del "Governo Marchionne"

L'atto di “insediamento” del “Governo” Marchionne, nel corso della deriva politico-istituzionale che vede l'Impresa farsi Stato, è rappresentato dalla messa in pratica della logica del “ricatto” (“intesa con tutti i Sindacati, o niente investimenti in Italia”) e dall'adozione del “provvedimento” che contempla la nascita della newco di Mirafiori con Chrysler fuori da ConfIndustria e dal contratto nazionale di lavoro. Il “premier” Marchionne ha chiesto ed ottenuto dalla Presidenza confindustiale “mano libera” nelle controversie sindacali e nella riconfigurazione delle linee di politica industriale. Non “condividendo” il punto di vista Fiom-CGIL e desiderando sbarazzarsi dell'intransigenza operaia, il “nuovo” partito-azienda definibile “FIP” (Fabbrica Italiana di Profitti) detta l'agenda al paese mentre consolida l'internazionalizzazione della produzione di auto con l'avvio miliardario di una nuova fabbrica in Pernambuco, in Brasile, grazie agli incentivi fiscali, previsti per la regione NordEst, dal Governo di Luiz Inacio Lula da Silva. Il business industriale trova sempre occasione per ampliare i margini di guadagno delle imprese; sempre a discapito della popolazione di Stati, in questo caso 2000 con diverso “orientamento politico”, che, nelle stesse ore nelle quali le “multinazionali ad elevato impatto CO2” ridisegnano forme di dominio industriale e commerciale su scala planetaria, con “contrita” coscienza ambientale, siglano a Cancun un accordo su taglio alle emissioni e danno il via libera al “Fondo verde” per i Paesi in via di sviluppo. Viceversa, il “manifesto” politico al quale il “neopremier” Marchionne sta lavorando, titolabile prosaicamente “FIAT nel mondo”, si compone di un breve testo, di un aforisma che sintetizza i principi ispiratori: gli affari sono affari, competition is competition ! Lo smantellamento degli accordi e la soppressione di posti di lavoro, questi gli obiettivi realmente perseguiti, sono la smentita più evidente alla bolla di sapone con la quale Marchionne fa giocare, come foche con i pallini sul naso, i sindacalisti “collaborazionisti”: la “fantastica” joint venture che avrebbe dovuto gestire il piano di investimenti per raddoppiare la produzione dello stabilimento torinese; in realtà, qualora ridiscenda con i piedi per terra, la newco andrà oltre il “modello Pomigliano” attraverso un accordo quadro esclusivo per il settore auto. Marcegaglia e Marchionne da New York, annunciano il lieto evento: il parto che da alla luce “FederAuto”; “soluzione giusta” secondo la Marcegaglia, che ha dato il via libera alla lesione dei diritti ed all'annullamento del contratto nazionale, memore del suo personale intendimento espresso il giorno dell'insediamento presidenziale: “è necessario intervenire contro chi si oppone alla modernizzazione del Paese”; questo si prefisse la signora a quel tempo; questo trova inveramento nell'opera del sodale Marchionne. Il “fascinoso” Marchionne ha sedotto la Presidentessa modellando l'originale contratto proposto ai Sindacati secondo le esclusive profittevoli esigenze produttive e di “governabilità” (leggasi: comprimere il “costo del lavoro” e reprimere il conflitto) degli stabilimenti. “La macchina mi serve”, avrebbe detto languidamente Marchionne alla già intenerita signora, capo degli imprenditori industriali italiani che attendono di fare altrettanto; l'amorevole richiesta, tradotta nel linguaggio del capitalismo ricattatorio, così recita: “consenso” sindacale ad evitare impedimenti di “varia natura in fabbrica” in cambio dei soldi “promessi” per investire in Italia (oltre un miliardo di euro per il “piano Mirafiori”), ricordando che, in fondo, ci sono tantissimi siti produttivi e la FIAT, “gruppo” di 240mila dipendenti, in Italia ha sotto contratto meno di un terzo della sua manodopera. Nel frattempo gli operai del “gruppo” si ricompattano nelle lotte di resistenza “disdettando”, in alcuni casi, l'appartenenza ai sindacati “collaborazionisti” Fim-Uilm, Fim-Cisl favorevoli alla newco, e preparandosi ad una nuova stagione di mobilitazione e di scontro contro la delocalizzazione delle produzioni e la cancellazione dei diritti acquisiti.







L'instabilità generata dalla conflittualità operaia è l'unica “variabile” indipendente, non governabile da Marchionne, il quale, ovunque presenti soluzioni “liquidazioniste” del contratto nazionale, dei diritti e del lavoro (rischiosa la situazione della SEVEL di Atessa destinata alla fine anticipata degli accordi FIAT-PSA nel 2014 anziché nel 2017, con in ballo 6200 posti di lavoro in azienda ed oltre 2000 dell'indotto nella sola Val di Sangro), troverà pane per i suoi denti, pur addestrati ad azzannare alla giugulare i lavoratori, nello sciopero generale e con l'unità antagonistica delle lotte sociali contrastanti il “regime FIAT”. Così si da vita alla vera “opposizione” politica.


Link: http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/svegliarsi-dallincubo-fiat

martedì 21 dicembre 2010

Imàgo

In senso concreto, guardo la forma esteriore di quel corpo che mi sta di fronte; anche gli altri sensi la percepiscono, ma la vista ha il sopravvento. Non è l'immagine d'una cervia altera e bella (Poliziano). So che il concetto non preesiste all'oggetto allo stesso modo della fatal quïete / tu sei l'immago (Foscolo). Piuttosto, è come l'immagine della voce, l'eco, un prolungamento infinito di raggi che convergono. Non è filtrata, manipolata, mediata da mezzi tecnici. Un'occhiata che mette le carte in tavola, un'azione, un'espressione chiara, definitiva. Partecipo ad una prova di forza tra me e il “mondo”. Uno showdown. Verità sto cercando. In me ed altrove. Work in progress, quell'infinita serie di relazioni instaurate o dileguantesi. Tra loro, emerge l'immagine, prima a me invisibile, come di un soggetto che si forma in uno stato di emulsioni fotografica e che è resa evidente dal processo di sviluppo. Andando incontro, plasticamente si “realizza”. Supero di slancio le fila di maschere funebri degli antenati, manufatte in cera o materia preziosa, ai lati del mio andare, così permanentemente disposte per meglio averne “memoria”, custodite fin'ora gelosamente e venerate. Ora, guardo una riproduzione esatta, non solo estremamente simile, è quel che è. Manifestazione percepibile con nettezza di un elemento non più astratto, indefinibile. Ho idea precisa della forma condivisa di vita, della società contemporanea, della potenza scatenata, della gioia artefatta, del soffocamento subito. È lì ad evocare la “realtà”. Si staglia minacciosa, incombente, greve. Preme come una montagna di sabbia che entra in gola e negli occhi, come l'impatto di corpo morto che tutto tocca e copre, come quella sozza imagine di froda (Dante, Inferno XVII, 7).Al contrario, esprimo vita, efficacemente cammino, impavido. Sono all'ultimo stadio nella metamorfosi, corrispondo alla perfezione di me. Non ho più solo una rappresentazione mentale, una visione interiore delle cose, persone, situazioni che si discosta dall'attualità. Non prendo parte al mercato dei prodotti della fantasia. Non ho una visione. Nel corpo e nelle mente, all'unisono, ho potenza e forza immaginativa, non suppongo, non prevedo, non do vivacità ad una narrazione. Si tratta d'una vigorosa affermazione che spazza via l'ideazione, l'invenzione, quell'escogitare con la mente che mi ha reso mutilo. Non credo, non “penso”, non suppongo né presumo. Corro, energicamente mi batto, mi scaglio virilmente, affondo le mani, stringo. Uccido. Libero dalle illusioni di un tempo che irrefrenabilmente scorre. Libero dalle gabbie semantiche e dalle intuizioni, dal riscuotimento di lampi o campanelli immaginarii nel pieno della notte (Morante). Il mio campo d'azione non separa il reale dal simbolico e dall'immaginario. Il mio fondamento è la conoscenza che ho di molte cose (De Sanctis), non mi nutro del possesso dell'apparenza, dei simulacri, delle contraffazioni, delle approssimazioni. Convergo nella rabbiosa polifonia e sono me stesso.
[Il testo è dedicato, con autentico affetto, a tutti coloro che vivranno, riuniti, coraggiosamente e serenamente il 22 Dicembre 2010 – G. Dursi]
Nota:
“Il latino imaginor viene accomunato dai grammatici tardo-antichi ad "imito", ma in realtà il verbo indica un'attività più sottile della mente, simile al greco φαντάζω, che vuol dire "mi mostro" ma anche "inganno" (cfr. φάντασμα). Può essere usato anche con il significato di plasmare (cfr. Lattanzio: "…terram digitis suis imaginatam…"Lact. 5, 13, 21). Il sostantivo del verbo imaginor è imago. Da alcuni filologi è ricondotto ad imito (contrazione di imitago); ma se gli esiti di verbi analoghi come aemulo e simulo sono aemulatio e simulatio, quello di imito è imitatio che ha una valenza diversa da quella più intima e propria di imago.
Imago ha differenti significati ma tutti di carattere quasi esoterico. Imagines erano i fantasmi (cfr. φαντάζω- φαντάσματα), le apparizioni illusorie; e quindi imagines erano anche l'eco ed il riflesso dello specchio. Infine imagines majorum erano le statuine modellate nella cera a raffigurazione dei defunti.”

venerdì 10 dicembre 2010

Nell'intimo: voglia di comunismo

Quella porta socchiusa, il minimo indispensabile per intravedere, per rendersi disponibili agli altri, ma non a tutti, per ritrarsi quando ci si sente “invasi”, quando si è intossicati dal nocivo fumo dell'omologazione che ci rende “testimoni e vittime di lutti culturali” (Pasolini). La sfera intima non può contenere la “vita sociale” nella sua interezza. A me capita così. Le “donne”, gli “amici”, i “figli”, gli “allievi”, i “genitori”, i “compagni”, mi riempiono la vita, ma non tutti entrano nell'intimo, anzi, quasi tutti restano fuori dall'uscio, prossimi all'intimità, in attesa, forse, ma all'esterno. Non è miope esclusione; è un lento venire alla luce come un'apparenza che muore. Coloro che si approssimano all'uscio, sono interfacce arricchenti, gradevoli, esemplari della mia personalità, espressioni preziose di dignità, tenerezza, dedizione, di sapere e saper fare, di incantevoli gesti di pìetas. La soglia da attraversare, però, è un passo decisivo, non da tutti, che rende unica la persona, perché non è preceduto, accompagnato o seguito da nessun altro ardente, prepotente “amore” di quel tipo. Con l'andare degli anni, ho scoperto che nell'intimo conservo tracce di intenso coinvolgimento, quasi un humus di un florido giardino. Un'emozionante inclinazione alla predilezione. La rarità di presenze, nella stanza che accoglie pochi intimi, non allude affatto ad aridità d'animo, bensì alla capacità di comprendere il “valore” dell'altro e di farsi conoscere in modo autentico e disinteressato perché “l'amor non fa bollir la pentola”. Ecco, l'intima frequentazione, si distanzia dal fluire incessante di relazioni pur significative, impegnative o importanti per sé che scandiscono l'esperienza umana. La peculiare natura dell'intimo si mostra anche nella sua fenomenologia: risiede nel “sentire comune”, un dato primordiale indispensabile per far si che il legame possa sbocciare, crescere, interamente “occuparti”. Né le convinzioni, né la razionalità condivisa, né le similari prassi possono rappresentare il “sentire comune” che risiede nell'esclusivo spazio concesso e conquistato, insieme. L'appartenenza che descrivo non è “quella ottusa, becera, volgare che governa il nostro presente e vira ogni giorno di più in ipocrisia strafottenza, corporativismo” (da “Il coraggio di appartenere solo a se stessi” di E. D'Errico, Corriere delle Sera, giovedì 9 Dicembre 2010, pag. 53). Penso addirittura che questa dimensione d'esclusività alluda ad una ereticale radicalità nella forma di vita prescelta – in ogni “scelta” c'è la libertà – che sostanzialmente discosta l'aggregazione sociale coatta alla quale, volenti o nolenti, siamo tutti indotti, da quel ritmo vulcanicamente vitale, da quel fuoco interiore che è alimentato da raro umano combustibile. Gli ideali, i valori, la morale avvicinano, ma quasi mai rendono unico ciò che è duale, separato. Viceversa, la “fusione” avviene nello spazio delimitato dal voler essere “veri”, poiché non lo si è spontaneamente né “socialmente”. Questo alone di “verità” (al plurale, ovviamente) ci accompagna nei sentieri che percorriamo, nelle comunità solidali, nelle responsabilità collettive che assumiamo, tanto da essere sempre “diversi”, da parlare un linguaggio “altro” che – è bene che qualcuno si rassegni – non sarà mai agevolmente decodificabile, mai assimilabile del tutto, se non inoltrandosi nell'arduo cammino dell'intimità ricercata. Tendenzialmente intimi, questo è ciò che si da nella generalità delle pur serie relazioni instaurate nel corso esistenziale; altro è “entrare” nella recondita e riservata stanza.Questo eccezionale evento – al di là d'una greve “quantità” di rapporti sentimentali, erotici, socio-culturali, bio-politici, generazionali, filiali che possono darsi – contraddistingue quella trasformazione/emancipazione (possibile) in corpore vili dell'essere umano, traviato dal meccanismo di riproduzione “finalizzata” della forma di vita capitalistica alla quale è incatenato, nel caratteristico autonomo procedere, nel libero incedere verso un felice ed irreversibile “cambiamento del mondo”, impossibilitato a realizzarsi se non esprimendo una novella, netta “ideologia” di rapporti umani “fuori mercato”: voglia di “comunismo” per essere partigiani di inalienabile vita. C'è, dunque, un altro “modo”. Come c’è un altro “mondo”, che quel modo evoca e crea.
[Nota “a margine” di “Gaber – L'illogica utopia”, G. Harari, ChiareLettere, 2010]

venerdì 3 dicembre 2010

Némesi e genesi


Sistemate le cose, a piacimento temporale d'ogni protagonista di questa maleodorante stagione politica, aspettando il momento opportuno per la massima valorizzazione Cicero pro domo sua, chiusi acqua luce e gas di quel degenerato immobile “potere”, l'ultimo Governo Berlusconi – con stanco sorriso sardonico sulla bocca del “capo”, chirurgicamente sistemata, e dei proni comprimari – lentamente s'accomoda fuori, apprestandosi a rimirar macerie dall'ovattata dorata dimora dell'autopensionamento ed a spartire il bottino. Con buona pace delle “opposizioni” parlamentari e aspiranti tali, impotenti nei confronti del motu proprio governativo. Non è un farsi da parte, anche a causa di spallate altrui non pervenute, è solo un giro di giostra che prelude alla discesa dal cavallo del cosiddetto “berlusconismo”, dopo un troppo lungo accanimento politico, tanto gratificante per il “complesso politico-affaristico” da esso incarnato, quanto devastante per la vita pubblica nell'incessante spoliazione subita. Il 14 dicembre, alla Camera dei Deputati ed al Senato, andrà in onda l'ultima puntata intitolata “Appagamento (del “Governo” leggasi P2; rif. http://www.socialmente.name/index.php?mod=12&idli=26&idli_co=2 – Impotenza (dell'opposizione)” d'una fiction mai originale nel copione, la cui “regia” oggi sceglie attori che rivendicano il primo piano, ma formati alla stessa “scuola di recitazione”: Montezemolo, Marchionne, Draghi, seguiti già dal nugolo confindustriale di mosche cocchiere, saltimbanchi mediatici, retori, oratori e giullari ridanciani, già impegnati in iniziatiche odi all'epico “capitale” che vuol fare da sé.
Alcuni presumono che all'inarrestabile evento negativo in corso, ad una situazione siffatta, debba seguire periodi eccessivamente fortunati a titolo di giusta compensazione, come la campagna di Russia fu per Napoleone. Gli stessi “ottimisti” (per ufficio), addirittura sostengono l'esistenza d'una giustizia riparatrice di torti e delitti, non dei responsabili – accompagnati da salvacondotti che il “sistema”, a Camere in seduta congiunta e a “reti televisive” unificate, ha deciso di concedere “per servizi resi”, come nel caso Andreotti -, bensì dei loro “discendenti” che al “trono” aspirano. Secondo costoro, sedicenti “sinistri”, interverrà Némesis, dea greca delle giustizia distributrice. Riassorbire il malcontento, il disagio sociale, le ostilità verso il “potere” usando illusionisticamente tecniche neokeynesiane di regolazione politica del “ciclo” – apparentemente fuori controllo, in permanente deregulation – risultano in questo momento, agli occhi degli “oppositori alleati”, azioni di grande efficacia. Gli “oppositori alleati” tra loro, del resto, si intendono: eminenze grigie “democratiche” ogni dì ribadiscono l’idea d'una “collaborazione – senza impressionarsi – con Fini e anche con Casini, poiché sono molte le idee comuni tra me (è D’Alema a parlare !) e il Presidente della Camera, a partire dall’immigrazione. Da anni (è sempre D’Alema a chiarire come stanno le cose !) il dialogo tra noi è approfondito perché basato sui contenuti”; riferendosi a Vendola, conclude: “le primarie sono diventate una resa dei conti tra partiti … non c’è bisogno di slanci eccessivi” (rif. intervista a “la Repubblica” del 24.11, a cura di Laura Pertici). In fondo, anche "noi" (sostengono sempre nel PD),"abbiamo una Banca” (Fassino, intercettato in conversazione telefonica con Consorte).
Il movimento antagonista, antisistema, è gattopardescamente giocato, da tal genìa di “buoni malfattori”, interamente entro il “dinamismo” dell'iniziativa capitalistica che sta cambiando la sua guida politica ricostruendo equilibri di forza continuamente, continuamente “recuperando” gli impatti di “rottura” sistemica. Rumors annunciano che la diffusione sociale della precarietà si contrasta con il “reddito di cittadinanza”, che alla disoccupazione si risponde con “flessibilità e formazione”, che la crisi del Welfare si risolve con la lotta antiburocratica, che l'integrazione dei migranti va “regolata” … ben guardandosi dal mettere in discussione la “razionalità capitalistica”, le profittevoli logiche imprenditoriali, i santuari del denaro, officiando il rito del “politicamente corretto”. Al contrario, la radicalità dell'intenzione rivoluzionaria e della funzione riorganizzativa del movimento antagonista antisistema non passa da un “nuovo” Governo o da elezioni politiche anticipate; è oggettivamente determinata dalla ristrutturazione mercantile della “vita” di miliardi di esseri umani e della conseguente immodificata stratificazione sociale e ritrova e rinnova soggettivamente la sua genesi nell'identificazione di un nemico da abbattere internazionalmente: il capitale [http://cprca2010.ning.com/].
Dicembre 2010, Giovanni Dursi

martedì 16 novembre 2010

“Avatar” di partito e dittatura del proletariato

Abbiamo scritto della nostra partecipazione alla lotta politica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/lelettore-ha-votato] ultratrentennale, discreta, generosa, mai – consapevolmente – leaderistica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/manifesto-per-3punto0 - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/inventare-informazione-creare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/il-dire-e-il-fare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sapere-potere-e-semiosfera]; abbiamo fornito contributi d'analisi e “presenza”, nell'ultima, troppo lunga, stagione caratterizzata dalla regressione autoritaria e dall'instaurata egemonia politico-culturale delle “destre”, per certi versi alimentata da sofisticate tumorali modalità, letali per la “democrazia italiana” [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/facebook-e-soluzione-cilena-1]; abbiamo anche – quantomeno dal '77, cioè dal significativo pronunciamento dell'autonomia politico-organizzativa del variegato movimento antagonista – preso le distanze, anzi, non abbiamo mai avuto a che fare con le prassi della sinistra parlamentare e con la storia delle organizzazioni sindacali e partitiche del movimento operaio, con quel mutageno andamento del PCI che diviene PD, secondo la logica della “democrazia progressiva”. Ebbene, forti esclusivamente della “coerenza pensiero-azione” e del conseguente rigore etico e culturale, forti d'una formazione e militanza individuale e/o collettiva che fanno riferimento al marxismo-leninismo, abbiamo – mai verticisticamente, bensì insieme ad altre donne ed altri uomini condividendo con essi entusiasmi e preoccupazioni – pazientato, parlato, scritto, collaborato a tante ipotesi programmatiche e ad azioni politico-rivendicative interne a un'opposizione sociale di massa al dominio capitalistico-borghese; abbiamo ricercato, quando necessario, oneste “alleanze e neutralità” sul piano politico-organizzativo … Ebbene, siamo ancora indubitabilmente convinti che è nel conflitto che va ricercata ed individuata un'identità autenticamente alternativa ai profili di “sinistra” di alcune proposte politico-mediatiche – perché pare che non ci possa essere più comunicazione sociale su contenuti politici che non sia obbligatoriamente banalizzata inserendola nel frullatore televisivo, nello spettacolare palinsesto dell'acquario elettrico-elettronico, nella vetrina che scompone enfatizzandone l'impatto, come un prisma la luce, l'immagine, l'attoriale performance ed addirittura i toni audio dai contenuti da trattate pubblicamente non più così “importanti” - che, in questo scorcio d'epoca [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/cognizione-politica-bottomup - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/io-narrante-e-coscienza - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/a-bologna-come-altrove-in] sembrano affascinare, ipnotizzare e, purtroppo, convincere lavoratori e cittadini appartenenti alle “classi subalterne” [Confrontare “Proletari senza rivoluzione : storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950”, Renzo Del Carria, Roma, Savelli, 1979 - Contents: 1860-1892, dalle insurrezioni in Sicilia alla crisi del partito operaio - 1892-1914, dalla fondazione del PSI alla Settimana rossa - 1914-1922, dalla prima guerra imperialista alle giornate di Parma - 1922-1948, dalla marcia su Roma all'attentato a Togliatti - 1950-1975, dal "miracolo economico" al "compromesso storico" (2. ed.)]. Non possiamo assistere passivamente all'omologante deriva in corso, del resto ispirata ad una reciproca legittimazione tra “partiti” espressione del potere economico-politico e culturale, establishment mai messo in discussione dentro una continuità/stabilità strutturale del dominio e gerarchia sociale imposta dal capitale e sapientemente declinata, dal 1945 ad oggi, dalle “sinistre” come “interclassismo”. Perché non ribellarsi – ora, al tramonto d'una intera “classe dirigente” velleitariamente “riformista”, “democraticista”, autoreferenziale, non più utile al lavoro sporco di “mediazione sociale per il consenso” (elettorale), considerato che è l'Impresa a farsi Stato [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fabbrica-italiana-di-profitti - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/governo-impresa-conflitto - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sergio-marchionne-gli] - ed entusiasticamente resistere e combattere per edificare ex-novo una società libera [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/dopo-il-16-ottobre-uscire] ? Non è poi impossibile inventarsi soluzioni praticabili per liberarsi dalle pastoie della “politica delle deleghe e del voto” o, più semplicemente, attualizzare l'unica “variabile” che la storia ha prodotto e consegnato alle generazioni a venire, soppressiva del sistema capitalista di produzione e riproduzione sociale: la sperimentazione comunista, nella concreta, breve esperienza degli anni intercorsi dal 1917 al 1924, in Russia. La voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune è manifesta.Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale vigente. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole – discussione non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo [http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e?xg_source=activity]. Pensiamo, senza curarci della disperata ironia di chi è impegnato nei retrobottega dei partiti in agonia ad organizzar “primarie” o a sermonar per accreditarsi un 7-8% del “buon” elettorato, che sia la dittatura del proletariato e nessuna politica “progressista”, “riformista”, “democraticista” a poter emancipare i popoli dal loro inferno in terra. Il “sistema dei partiti”, sedicente democratico, fuoriuscito dalla lotta armata partigiana, non ha prodotto condizioni di vita favorevoli all'uguaglianza ed alla libertà costitutive d'ogni organizzazione sociale non oppressiva. C'è da assumersi la responsabilità d'un cambio di passo, di un mutamento di linguaggio, di un intento antagonista che disegni, progetti ed attivi una rottura del quadro politico strutturale, del putrescente sistema sociale e delinei l'orizzonte di un'effettiva ed agibile rete di contropotere. L'unica azione politicamente utile per le masse popolari non può che essere antisistema, per spezzare l'irritante riproposizione di avatar politici privi di dignità che inutilmente tentano ancora di oscurare la grandezza morale degli uomini sulle gru. Tutte le nostre risorse, intellettuali e fisiche, tutti i nostri modesti sforzi saranno dedicati a questa impresa di rottura sociale e politica. La base delle “democrazia” non è la “libertà d'espressione” - prevalentemente di élite contrapposte -; è la realizzazione “in terra” d'una società ove "l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!".
Giovanni Dursi, Novembre 2010"Quest'ultimo boccone di vita è stato per me finora il più duro da masticare ed è pur sempre possibile che io ne rimanga soffocato [ . . . . . ] Se non riesco ad inventare l'espediente alchimistco di trasformare anche questo fango in oro, sono perduto" - Lettera di Nietzsche a Overbeck, relativa alla rottura con Lou Salomè e con Paul Rèe

sabato 6 novembre 2010

Sapere, potere e semiosfera

Sussiste un'analogia di struttura tra l'accumulazione della ricchezza, socialmente prodotta ed appropriata privatamente, e l'elaborazione monadica dei “materiali informativi” sulla realtà; l'incremento indefinito di conoscenze – soggettivisticamente prodotte – rende plausibile e socialmente operativo il nesso sapere-potere. Al di fuori di un”interlocuzione sociale” stabile e d'una condivisa costruzione delle “verità” sulle contraddittorie forme di vita, al di fuori d'una autentica “conoscenza collettiva”, non sono mai attendibili cognizioni proposte nella e dalla forma gerarchica del “lavoro intellettuale” realmente sussunto nell'organizzazione sociale capitalista. Ciò accade anche quando, individualmente e nelle sembianze di “falsa coscienza”, ci si propone come artefici di pensiero antagonista, alternativo alle diffuse conoscenze compatibili con l'assetto di potere; anzi, in questa guisa, si esprime proprio l'oggettiva separazione tra “chi sa o presume di sapere” e il referente sociale per il quale immagina di rappresentarne e, nel contempo, configurarne l'“esterna coscienza”. Le conoscenze – anche quelle autoprodotte e detenute da un singolo individuo – sono immerse “in un continuum semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione”: è proprio questo continuum che rende possibile la vita sociale, di relazione e comunicazione, ed è chiamato da Jurij Michajlovič Lotman (1922 -1993) semiosfera. “La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi” (passo tratto dal saggio intitolato appunto La semiosfera, 1984, in Lotman 1985, Venezia, Marsilio p. 58). Altro è identificare nel proprio operato e praticare quella schizofrenica separazione tra la possibile acquisizione ed il possesso di conoscenze e nozioni fatte proprie attraverso lo studio, l'informazione, l'applicazione e l'apprendimento, da un lato, e l'esperienza sociale, quell'insieme di pratiche – piuttosto che un apparato concettuale fabbricato teoricamente – che scaturiscono dall'aver visto, provato, esperimentato insieme ad altri e che generano il patrimonio culturale della collettività, dall'altro. A proposito, va ricordato che nella teologia cristiana, la “sapienza” è un attributo divino che si identifica con il Verbo o Figlio; tale concezione revisiona l'idea del tardo giudaismo, secondo la quale la “sapienza” è manifestazione di Dio (che “sa”) come creatore ed ordinatore provvidenziale del mondo (che “non sa”), confluendo nelle teologia cattolica che l'annovera tra i sette doni dello Spirito Santo in grado di conferire (a coloro che “non sanno”) la grazia del discernimento delle “realtà soprannaturali”.

lunedì 1 novembre 2010

Facebook e "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali

Da un lato, "la cultura come ecosistema, dove tutto è in relazione, territorio d'incontro, luogo senza confini geografici per una lettura trasversale delle informazioni, per l'approfondimento e la conoscenza", dall'altro, stanno predisponendo la "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali con interventi straordinari di contrasto alla logica open source e del social networking;giusto per conoscenza ... visto che moltissimi utilizzatori di Facebook (e affini) continuano ingenuamente a credere che i loro dati su Facebook non siano pubblici e non "perseguibili"... Da L'Espresso - "Una bomba sui cittadini della rete" di Alessandro Gilioli - "Il patto tra Facebook e il Viminale è un attentato ai diritti dei cittadini digitali. E la prova che gli utenti non possono essere spettatori passivi in un rapporto diretto tra le corporation di Internet e i governi locali. Nel nostro Paese abbiamo assistito negli ultimi anni a un'escalation di norme e di proposte di legge per rendere l'accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato. Proprio in questi giorni, ad esempio, l'Agcom sta valutando come rendere operativa l'odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo Romani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv». Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta 'caccia all'internauta' che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l'aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l'effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l'altro giorno Maroni ha promesso di "superare" il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell'identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera). Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo (RIPORTATO DI SEGUITO) è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei "netizen", i cittadini della Rete. Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l'internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte. Aspettiamo quindi urgenti chiarimenti dalla Polizia Postale e dal ministero degli Interni, da cui dipende. E non basta certamente una smentita rituale, perché le notizie pubblicate nell'articolo di Florian provengono da fonti certe e affidabili. Da un punto di vista politico, inoltre, la cosa è davvero grottesca: mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste dai magistrati, contemporaneamente il ministero degli Interni si arroga il diritto di intercettare i nostri contenuti e i nostri dialoghi su Facebook senza alcun mandato della magistratura. Viene il sospetto che questa differenza di trattamento sia dovuta al fatto che i politici, i potenti e i mafiosi non comunicano tra loro sui social network, e quindi il loro diritto alla privacy venga considerato molto più intoccabile rispetto a quello dei normali cittadini che invece abitano la Rete. Allo stesso modo, aspettiamo chiarimenti urgenti sul secondo socio del 'patto cinese' firmato a Palo Alto: Facebook, che da un po' di tempo ha aperto uffici in Italia con tanto di responsabili e dirigenti. Per prima cosa, Facebook ha l'obbligo di rendere pubblico l'accordo firmato con il nostro Ministero degli Interni, perché riguarda tutti noi, cittadini italiani e al contempo cittadini di Facebook. A cui quindi i vertici del social network devono non solo immediate scuse, ma garanzie precise che questo patto diventi al più presto carta straccia e che i diritti degli utenti vengano concretamente ripristinati e garantiti. Il social network fondato da Zuckerberg, si sa, è uno straordinario strumento di socializzazione, di promozione di cause sociali e potenzialmente di crescita e confronto di tutta una società. Ma si va manifestando ultimamente anche come una dittatura in cui le pagine e i gruppi vengono bannati in modo in modo arbitrario e insindacabile: e adesso come un informatore di polizia di cui non ci si può più in alcun modo fidare. Più in generale, quanto accaduto dimostra che i mondi virtuali di cui oggi siamo cittadini (inclusi YouTube, Google, Second Life etc) devono iniziare a rispondere in modo trasparente ai loro utenti. E gli accordi privati con i governi sono esattamente all'opposto di questa trasparenza."
"La polizia ci spia su Facebook" di Giorgio Florian - "Un patto segreto con il social network. Che consente alle forze dell'ordine di entrare arbitrariamente e senza mandato della magistratura in tutti i profili degli utenti italiani. Lo hanno appena firmato in California (28 ottobre 2010). Negli Stati Uniti, tra mille polemiche, è allo studio un disegno di legge che, se sarà approvato dal Congresso, permetterà alle agenzie investigative federali di irrompere senza mandato nelle piattaforme tecnologiche tipo Facebook e acquisire tutti i loro dati riservati. In Italia, senza clamore, lo hanno già fatto. I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale. Questo perché, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo rea le. Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa. Intenti forse condivisibili, ma che di fatto consegnano alle forze dell'ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l'autorizzazione di un pubblico ministero. In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook. Ma siamo certi che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy? In realtà, ormai da un paio d'anni, gli sceriffi italiani cavalcano sulle praterie di bit. Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati. Sempre più persone conducono in Rete una vita parallela e questo spiega perché alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali. Con la differenza che proprio per l'enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui è molto facile finire nel mirino dei cybercop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l'amicizia a qualcuno che graviti in ambienti "interessanti" per le forze dell'ordine. A Milano, per esempio, una sezione della Polizia locale voluta dal vicesindaco Riccardo De Corato sguinzaglia i suoi "ghisa" nei gruppi di twriter, allo scopo di infiltrarsi nelle loro community e individuare le firme dei graffiti metropolitani per risalire agli autori e denunciarli per imbrattamento. Le bande di adolescenti cinesi che, tra Lombardia e Piemonte, terrorizzano i connazionali con le estorsioni, sono continuamente monitorate dagli interpreti della polizia che si insinuano in Qq, la più diffusa chat della comunità. Anche le gang sudamericane, protagoniste in passato di regolamenti di conti a Genova e Milano, vengono sorvegliate dalle forze dell'ordine. E le lavagne degli uffici delle Squadre mobili sono ricoperte di foto scaricate da Facebook, dove i capi delle pandillas che si fanno chiamare Latin King, Forever o Ms18 sono stati taggati insieme ad altri ragazzi sudamericani, permettendo così agli agenti di conoscere il loro orga nigramma. Veri esperti nel monitoraggio del Web sono ormai gli investigatori delle Digos, che hanno smesso di farsi crescere la barba per gironzolare intorno ai centri sociali o di rasarsi i capelli per frequentare le curve degli stadi. Molto più semplice penetrare nei gruppi considerati a rischio con un clic del mouse. Quanto ai Carabinieri, ogni reparto operativo autorizza i propri militari, dal grado di maresciallo in su, ad accedere a qualunque sito Internet per indagini sotto copertura, soprattutto nel mondo dello spaccio tra giovanissimi che utilizzano le chat per fissare gli scambi di droga o ordinare le dosi da ricevere negli istituti scolastici. Mentre, per prevenire eventuali problemi durante i rave, alle compagnie dei Carabinieri di provincia è stato chiesto di iscriversi al sito di social networking Netlog, dove gli appassionati di musica tecno si danno appuntamento per i raduni convocando fans da tutta Europa. A caccia di raver ci sono anche i v enti compartimenti della Polizia postale e delle comunicazioni, localizzati in tutti i capoluoghi di regione e 76 sezioni dislocate in provincia."

mercoledì 27 ottobre 2010

A Bologna come altrove in Italia: esprimere subito contrarietà all'«ipotesi Vendola»

Le parole di Nichi Vendola – a supporto della “sfida SEL” e naturale prodotto di trent'anni di presenza nell'agone politico - sono suggestivamente importanti, come nella tradizione retorica della politica italiana lo sono state, ad esempio, quelle di Aldo Moro, quando coniò le (scientificamente improbabili) “convergenze parallele”. Non casualmente, infatti, al Congresso fondativo di SEL celebrato a Firenze, Vendola cita il democristiano Moro, ricordando anche il Gramsci “critico dell'anticlericalismo”; inizia così, con le parole usate a proposito, quella curvatura d'una «ipotesi» comparsa nel teatro della politica che dovrebbe convincere il “popolo di sinistra” insofferente all'evanescenza PD ed all'anacronismo di altre organizzazioni “comuniste” e/o “ecologiste”. Vendola, eletto all'unanimità con voto palese Presidente di “Sinistra, Ecologia, Libertà”, rappresenta la versione nobile – onesta intellettualmente – del ridicolo “maanchismo veltroniano”, laddove conferma la propria fede religiosa e la sacralità della vita e, nel contempo, ribadisce la radicalità di comportamenti diversi sul piano etico-sociale, costruisce un ponte ideale verso i cattolici e la Chiesa senza deflettere sulla problematicità dei “diritti” individuali e collettivi. Vendola usa il linguaggio della tradizione retorica della politica italiana marcando una insospettata continuità con la togliattiana/divittoriana “democrazia progressiva”, oggi da lui concepita di respiro europeo e risorgente dalla ceneri del “blairismo”. La “grande speranza” che vuole essere, infatti, non si limita ad un partito-movimento, SEL appunto, forza transitoria quanto contingentemente necessaria, mezzo più che fine, bensì mette in cantiere un'ambizione con l'intento di superare l'attuale composizione SEL d'essere “ex qualcosa” e costruire un'ampia forza di “sinistra”, interlocutore ideale di un moderatismo “democratico” in grado di sconfiggere elettoralmente il “berlusconismo” nella sua variante tremontiana. Coniugare “sinistra” ed “ecologia” - “parola capace di parlare all'intero genere umano, un termine che richiama un francescanesimo laico”, afferma Vendola – diviene indispensabile per allargare la base del consenso, come lo è amalgamare i due termini con “libertà”, “ricercata partendo dalla condizione dei lavoratori, dei bambini, delle donne” poiché “negata dalle ideologie”; inoltre, molto pragmaticamente, SEL rilancia il dialogo con il mondo cattolico evitando accuratamente “pulsioni anticlericali”, anzi rivolgendosi direttamente al popolo del “family day” colpito “dall'impoverimento prodotto dalle politiche liberiste” ed alla Chiesa per intendersi su “temi eticamente sensibili”. Nel Pantheon personale di Vendola, ci sono l'economista Vandana Shiva, Carlin Petrini, don Ciotti e Gino Strada, Gramsci e Pasolini ed attraverso questo patrimonio culturale legge oggi un'Italia la cui “narrazione” è stata strappata dal berlusconismo “infastidito dalla democrazia”. All'opera di ricucitura, il partito di Vendola vuole dedicarsi, inserendosi nel filone europeo della “sinistra” dei valori ecumenici e del buon governo, distante da quella “modernizzatrice e fuoriuscita dalla sua storia laburista” portatrice di ulteriori sconfitte. In questo orizzonte, Vendola candida SEL come sponda politica di un sindacato che rivendica diritti e dignità per i lavoratori (guarda alla CGIL) e sollecita il PD ad abbandonare l'apologia del tremontismo (rappresentata da Padoa Schioppa) aprendo una linea alternativa al “tema totemico del debito pubblico”; il vocabolario vendoliano di immagini sintetizza questi obiettivi nella capacità di vincere d'una “sinistra non innamorata dell'estetica del naufragio”. Nichi Vendola, nella lettura e/o narrazione politica che fornisce, si trova a suo agio tanto nel proporsi come leader di una “sinistra” tutt'ora impegnata in una faticosa, quanto miope, ricerca identitaria, quanto nel confezionare un immaginario collettivo riusando il temperato radicalismo pcista e la lezione del riformismo divittoriano/togliattiano che, insistendo nel riconoscere le “ragioni degli altri”, finisce con l'interiorizzarle nell'indistinzione teorico-pratica. Inoltre, Vendola – corteggiata neoicona mediatica assimilabile ad Obama - pare completamente dimentico dei danni coprodotti con il suo mentore (Bertinotti) che hanno fatto terra bruciata nell'area sociale di riferimento, rifluita nell'astensionismo e, vivaddio, autonomamente nelle lotte, forse aristocraticamente considerate (però, senza dirlo!) espressione di un massimalismo e settarismo indigesti per l'affabulazione politica non violenta. Sarà pure un affresco d'una Italia diversa concepita come possibile, ma ora, abbandonata la tattica utile a farsi apprezzare, dopo le parole “per dire di sé”, ci vogliono gli argomenti veritieri per descrivere, indicare, proporre un'alternativa politico-programmatica, culturale, strategica al capitalismo multinazionale al di là del fare amministrativo compatibile con la divisione sociale del lavoro generatrice di disuguaglianze e della sperimentazione di alchemiche alleanze partitiche, frutto di storicamente inattuabili blocchi sociali che, astrattamente e colpevolmente, tentano di rimuovere la sottostante guerra di classe.
Link utili:
http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/io-narrante-e-coscienza
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/i-cangianti-colori-della-1
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fuori-dal-parlamento-visibilia

lunedì 25 ottobre 2010

Sergio Marchionne: gli interessi aziendali FIAT contro gli interessi delle masse popolari

Senza gli stabilimenti italiani, la FIAT andrebbe “meglio”. “Meglio”, per l'ad FIAT Marchionne, sta per più utili: “Nemmeno un euro dei due miliardi di utile operativo previsti quest'anno viene dall'Italia”. Il “metalmeccannico” Marchionne chiarisce ulteriormente la strategia aziendale del FIAT Group enfatizzandone gli aspetti della competitività industriale che già garantisce un giro d'affari di 50 miliardi di euro nella produzione di automobili (56,2%), macchine agricole/edili (20,1%), veicoli industriali (14,2%), componenti e sistemi di produzione (8,5%), editoria e pubblicità (1% circa); tale imponente business è realizzato in 188 stabilimenti dei quali 64 sono in Italia, gli altri sono delocalizzati (52 sono in Europa, 27 nel Mercosur, 16 in Nord America, 24 nel resto del mondo), da 190.000 dipendenti, il 42,3% dei quali lavorano in Italia, il 57,7% in altri paesi. Laddove il profitto non è tale da incrementare il business, Marchionne ritiene le relazioni nelle fabbriche nazionali modificabili, al fine di recuperare “produttività” per restare sul mercato, agendo solo sul fattore lavoro, trascurandone le condizioni, le retribuzioni, la sicurezza. Non una parola, infatti, nella tranquilla intervista rilasciata a “Che tempo che fa”, sulle fondamentali questioni dei diritti dei lavoratori, solo il ricatto del disinvestimento e la rivendicazione della totale libertà nel trattare la manodopera (come la FIAT ha iniziato a fare con le deroghe al contratto nazionale di categoria, imposte nel contesto di Pomigliano), come quando allude allo sfruttamento intensivo degli operai polacchi affermando senza battere ciglio che “in Polonia, nel nostro unico stabilimento, 6100 operai hanno prodotto le stesse auto di tutti gli stabilimenti italiani, ovvero hanno fatto il lavoro di 22mila operai”. Marchionne si permette anche di dileggiare chi lavora e vive con mille euro mensili, pronosticando di portare “i salari italiani al livello dei Paesi europei”, ammettendo esplicitamente di aver spremuto già come limoni le maestranze FIAT, nonostante gli oneri pubblici della c.i.g., prestiti statali ed incentivi incassati come ladri dal management FIAT. Marchionne, mentre cerca comunque di estorcere ulteriori minuti essenziali per una pseudopausa-pranzo dei lavoratori - senza soluzione di continuità con i precedenti “vertici aziendali” sostenitori già dodici anni fa dell'idea secondo la quale, causa la globalizzazione, gli stabilimenti italiani erano pagati dai profitti brasiliani -, cerca di inventarsi innovatore risucchiando nelle logica FIAT sindacati compiacenti chiamati a cogestire le “anomalie” rappresentate dalla resistenza e conflitto degli operai indisponibili, piuttosto che dall'offensiva e menzognera immagine di prezzolati, assenteisti operai-tifosi che tenta volgarmente di accreditare. L'ingiuria del dominio politico dell'impresa sulla società espressa da Marchionne che vuole imporre l'aumento dei salari «legati alla produttività», fa da contraltare alle richieste della Cisl e della Uil: secondo queste organizzazioni sindacali, occorre vedere insieme con il padronato come si può arrivare ad un utilizzo intensivo degli impianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili ed arrivare ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali.
La manifestazione del 16 Ottobre, viceversa, sostiene la proposta dello sciopero generale contro il dominio politico dell'impresa e contro le politiche governative che ne sono espressione, accolta con entusiasmo consapevole dalla enorme massa di persone che vi hanno partecipato. È la giusta azione contro la devastazione sociale, l'unica dignitosa rivolta possibile oggi, arrivata direttamente dai lavoratori e cittadini consapevoli ed indisponibili ad una deriva berlusconiana che trascina nell'impotenza anche tutte le forze organizzate della “sinistra”. Senza il pronunciamento combattivo dei proletari uniti, non c'è alternativa degna di un popolo che sappia prendere in mano il proprio destino. La grande, democratica questione del lavoro e dei suoi diritti non è un utile argomento per la retorica dei politici, è il discrimine tra il futuro libero e di massa della società italiana che – autonomamente – si riorganizza e l'incontrastata riproposizione delle fortune del capitale multinazionale.
Link di Bologna Città Libera:
“Governo, impresa, conflitto capitale-lavoro e autonomia politica"
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/governo-impresa-co...

"Fabbrica Italiana di Profitti, comunità operaia e autonomia”
http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fabbrica-italiana

giovedì 21 ottobre 2010

Dopo il 16 Ottobre, "Uscire dalla rete ... e poi ?"


- Spunti d'analisi - La scossa c'è stata. A Roma, il 16 Ottobre. L'embrione di unità della soggettività antagonista generata dalle lotte sociali si è palesato, certo risentendo della caoticità dell'insorgenza rivendicativa, ma – senza alcun dubbio – presentandosi come obiettivo segno d'una seria ripresa della capacità di contrasto all'incedere della “dittatura dell'impresa” e del protagonismo popolare che ripropone l'orizzonte del “beni comuni”. Questa scossa, auspicata e coprodotta, è indotta da condizioni materiali che divaricano irreversibilmente il coagulo di interessi del capitale globale (la commistione – in sede governativo-parlamentare - di interessi pubblici e fatti privati è l'espressione più facilmente decodificabile dell'attuale prioritario ruolo che svolge il “complesso politico-industriale-finanziario” nella configurazione del dominio sociale) da un lato, e, dall'altro, una reazione delle “classi subalterne” – nel vivo del quotidiano scontro sociale – che “vede” necessarie l'autorganizzazione, mentre sedimenti di conoscenza critica ed elaborazione teorico-politica vengono condivisi e fatti “corpo” nelle concrete “forme di vita” e di “cittadinanza attiva”. Da questo punto di vista, anacronistiche e fuorvianti sembrano quei “laboratori politici” (ad esempio, le “fabbriche” vendoliane e/o pdessine) che tentano di recuperare questo “potenziale antisistema” (quindi, autenticamente rivoluzionario), ovviamente depurato da imbarazzanti “presenze democraticiste”, dirigendolo verso un impotente riflusso partitico-legalista orientato a beneficio unico di un “ceto politico” che intende riciclarsi, sopravvivendo a se stesso ed incapace di autocritica. Il terremoto politico non è dato da una militanza nella “sinistra” (PdRC, PdCI, SEL, FdS) con evidenti segnali di continuità con il fallimentare recente passato; tali “sigle” sono restate sul mercato della politica a contendersi elettori, ponendosi come obiettivo massimo rieleggere deputati, senatori o consiglieri, negoziare presenze nelle Giunte comunali, provinciali o regionali, collocare “amministratori” negli enti subordinati, confondendo il consenso elettorale con un improbabile riequilibrio dell'assetto di potere e pretendendo di ridare attualità politica ai tipici valori della “sinistra” togliattiana-divittoriana della “democrazia progressiva”.
In realtà, archiviate queste arcaiche manovre, è fondamentale insistere sulla linea dell'edificazione di nuove istituzionalità popolari, distanti / diverse da quelle articolazioni statali ove la “rappresentanza” perpetua subalternità, soggioga le masse popolari, crea devastanti distorsioni nella “democrazia costituzionale”; l'autonomia politica deve – viceversa – conquistare e difendere spazi per esercitare i “diritti” dei giovani, donne, precari, disoccupati, cassaintegrati, operai, artigiani, autoimprenditori delle conoscenze, lavoratori autonomi che oggi mal sopportano la storica iniquità dell'ennesima crisi del modello capitalista di sviluppo. Le lotte di resistenza e di attacco alla “tenaglia” confindustriale-sindacale che impone l'agenda politica al Paese, manifestano una consapevolezza “altra” della crisi che chiede a tutti i suoi protagonisti una rinnovata determinazione nella capacità popolare di dare autorevole voce – senza mediazione partitica – ai “bisogni sociali” (reddito, Welfare, cultura, ambiente, multiculturalità, …) e del “lavoro” che sono nel suo DNA. Questa sollecitazione non può non essere colta dalle donne e dagli uomini liberi con l'entusiasmo che deriva dal riappropriarsi della propria esistenza. Per chi ha vissuto e vive la difficile battaglia della libertà individuale e collettiva dal gioco del capitale – non distinguendo, in modo miope ed asfittico, il “locale” dal “globale”, come purtroppo in alcune componenti dell'area “neocivica” si è ottusamente evidenziato, causando ulteriori “sconfitte” e dispersione di energie trasformative -, questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte. Lo scenario è necessariamente più ampio di quello delle pseudostrategie di partito.
I transfughi dei partiti di “sinistra”, compresi i pdessini in libera uscita per una breve, “eccitante” stagione, che hanno frequentato modalità autonome ed alternative d'organizzazione e produzione di eventi politico-sociali, constatando il “blocco mortale” e l'evanescenza dell'opposizione – non solo PD - alla presenza berlusconiana, oggi, percependo il sentore d'una repressione (annunciata da tempo dalla ConIndustria, per bocca della Presidente Marcegaglia) di tipo cileno, tornano sui loro passi, ad una “casa madre”, ad un'autoreferenzialità ed un interclassismo incapaci di “scegliere” la parte del popolo (ad esempio, sull'acqua: il PD si è forse schierato raccogliendo le firme per la difesa di quel bene pubblico essenziale ? E sul petrolio e il nucleare ? E per il lavoro ?), immaginando di occupare posti ed apparire seriosi e compìti in TV.
L'urto del 16 Ottobre, dunque, è stato prodotto ed ha provocato un'iniziativa unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo.
- Proposta politica - 1.Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale. In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2.Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel o al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, contropotere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3.La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità politico-amministrativa nuove ad ambiti istituzionali socio-territorialialmente “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. Ad esempio, il territorio emiliano – romagnolo, da Piacenza a Rimini, è lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni ambito territoriale provinciale può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio d'appartenenza . . . . .
Tutti sono invitati ad avviare un discorso pubblico su questi temi.
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman
- Proposta d'iniziativa -
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO
(entro Novembre 2010) iniziativa di “respiro” nazionale
dedicata ad Oscar Marchisio
Titolo provvisorio:
< QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO
UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE
CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ
NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
Si invita a contribuire all'organizzazione ed a partecipare all'Assemblea pubblica "QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE " per ricordare Oscar Marchisio. Poco più di un anno fa, Oscar Marchisio se ne andava per sempre. In viaggio lo è sempre stato, quasi per abituarci alla sua assenza e ad imparare a far da soli. Ora sono cambiate le capacità / volontà permanenti del suo ricordo da parte di ciascuno di noi, orgogliosi di averlo conosciuto, frequentato, "usato" intellettualmente e politicamente, capacità / volontà collettive di conservare e far fruttificare i frammenti del suo agire come lasciti individuali da ricomporre. Ricordarlo, dunque, come se dovesse tornare a donarci ancora i "prodotti" della sua mente, gli stimoli "a fare" del suo prezioso operare teorico-politico e culturale. Dal punto di vista politico-programmatico - refrattario alla deriva "commerciale" del sistema dei partiti, sempre più assortito - Oscar Marchisio, anche in occasione delle elezioni amministrative '09, ha guardato con sincero interesse ed "occhio critico" all'esperienza di Bologna Città Libera, constatando la reale "logica concorrenziale" sussistente tra il "mercato mainstream" e post-neo organizzativo delle "sinistre" contrapposto ad "etichette" più o meno "indipendenti" (ad esempio, la tendenza neocivica insita in B.C.L.) e di leadership eterno-emergenti. In mezzo, una marea di "soggetti" che o muoiono dopo le prime "battaglie" pubbliche - avvezzi solo alla virtualità reticolare - o emigrano verso "mercati" che meglio remunerano (sottobosco del mondo sindacale, politico, culturale, mediale). La "TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO" è - a contrario - una sincera espressione di rifiuto di tali melmosi andazzi. È una raccolta di energie (donne e uomini liberi che si incontrano nelle autentiche relazioni territoriali e sociali antagonisticamente orientate contro la "società del capitale" e si autodeterminano) che hanno il polso della "situazione" e manifestano la coraggiosa volontà di industriarsi nel costruire un'alternativa forma di vita popolare - umile e forte - dal respiro strategico ed efficace nel risultato, inaridendo definitivamente le visioni e le prassi dei mesterianti ed aspiranti stregoni.
Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in gioco è la libertà d'esistere.
Giovanni Dursi
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sabato 9 ottobre 2010

Tasche vuote, chiacchiere e sangue

Il Presidente della Repubblica è uomo esperto che si intende di molte cose e di “democrazia” in special modo. Se, più volte, si è deciso ad intervenire ed il suo staff presidenziale si è “mosso” per affermare un andamento disastroso per la società italiana, dev’essere proprio vero. D’altronde la penuria è nelle tasche di tutti i lavoratori, scontatamente vuote quelle dei disoccupati, inoccupati e cassaintegrati, basta affondarvi le mani. La grave crisi economica – caratterizzata da storici squilibri mondiali tra aree geopolitiche diverse, commisti a sovrapproduzione di merci – e l’indotta stasi del “mercato” è affrontata dal capitale in “modo selvaggio”: licenziamenti, azzeramento di ogni diritto contrattuale degli occupati nelle aziende, smantellamento dei servizi e della stessa logica del Welfare, distruzione ecosistemica e guerre di conquista spacciate per “esportazione della democrazia”. L’inflazione reale continua a salire nel silenzio dei media che inseguono gli obnubilati lettori e spettatori proponendo loro solo trame del malaffare e “scandali a corte”, accadimenti di secondo piano, ovviamente tutti ad “insaputa” dei laidi protagonisti politici d’una maleodorante scena degna di un bordello clandestino. Il Governo dei lazzi, frizzi, carote in culo, bestemmie e di guerre combattute con elevatissimi costi umani è lo specchio fedele di un ottimismo campato in aria, da tardo impero ove ognuno è impegnato ad arraffare quanto più può, mentre altri muoiono di fame o colpiti in battaglie che producono ignari morti civili, prima del momentaneo tramonto che – questo è l’auspicio dei trogloditi al potere – possa annunciare una nuova era dove tutto sia come prima, per ricominciare ad occuparsi di affari privati e della “serva democratica”. Il guardiano costituzionale mostra tutti i limiti della retorica "democraticista" quando insiste nei richiami e nemmeno pensa ad una scenario resistenziale, ad un pronunciamento popolare che spazzi via la marmaglia fascista. Ci apprestiamo a celebrare – ormai anestetizzati – l’ennesimo anno dell’euromoneta in un continente in preda a nuove violente ondate xenofobe, razziste, militariste; ciò dimenticando responsabilità che ricadono certo non nel conio unico, ma su chi, attraverso il vil denaro, ha speculato prima e ha innescato, dopo, la congiuntura economica globale (in sinergia con la crisi finanziaria USA) procurando devastazione sociale e impossibilità di sopravvivenza per milioni di cittadini, mai rinunciando ai “margini di profitto” comunque garantiti da un sistema di produzione basato sullo sfruttamento. La “democrazia” non è una questione solo “politica”, ma istituzionalmente articolata ed ha origine nella democrazia economica alla quale è necessario guardare per far si che la Costituzione, in Italia, sia rispettata senza tentennamenti o tentazioni abrogative, siano esse “normative” o “di fatto” come il “caso FIAT” insegna. Può andare diversamente ? Forse. Certo non con le liturgie del Palazzo o del putrefatto sistema dei partiti, tantomeno rincorrendo le “buoniste” chimere di un impotente riformismo, sia esso interno alle logore forme della rappresentanza, sia esterno alla dimensione parlamentare, che si può cambiare un autunno caldo ed un inverno di torrido scirocco. Eppure – non solo il Presidente – si continua a parlare d’altro: processi “brevi”, RAI, puttanate … dimissioni mai giunte, fastidiose inutili litanie polemiche, sgambetti tra manager, guerre trasversali tra fazioni politiche, colpi di mano nelle nomine di fiduciari, tutti decisi a contendersi palmo a palmo una fetta di potere ulteriore, con la massima carica delle Stato che osserva ed inghiotte, mai pensando a clamorose dimissioni, mai pensando seriamente ad una messa “fuori gioco” di potentati contendenti che non sono stati scelti dal popolo. La sobrietà e l’autorevolezza del “dire” non bastano, anzi, non servono: è un parlare a vanvera, come confondere l’ordinario con la straordinario. Straordinariamente, ora tocca al popolo, a chi crede nel popolo sovrano in grado di partecipare alla creazione di nuove istituzioni.

venerdì 10 settembre 2010

AVAMPOSTO “SEVEL” (Gruppo FIAT) E OPERAI RESISTENTI: ALLA RICERCA DI FORME LIBERATORIE DI LOTTA POLITICA

Alcuni sostengono che “non cambia nulla”. Il riferimento è al contratto valido siglato il 15 Ottobre 2009 con l'aumento salariale medio di 112€ e la scadenza triennale dell'accordo. Altri – a ragione – sostengono che “cambia tutto”: la disdetta contrattuale imposta dalla FIAT all'imprenditoria industriale (FederMeccanica) è un ricatto che porterà ad una battaglia sociale dai contenuti non chiaramente delineabili. I due aspetti delle reazioni alla disdetta del contatto nazionale di lavoro sono figlie dello strappo di PomIgliano d'Arco sull'accordo raggiunto tra la FIAT guidata da Sergio Marchionne da una parte, e Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl dall'altra, sindacati collaborazionisti che hanno la responsabilità di aver procurato una rottura profonda tra i lavoratori costretti a scegliere tra lo sfruttamento intensivo, precarietà sistemica nei rapporti di lavoro interni alla fabbriche, lesione dei diritti costituzionalmente sanciti e la conservazione – nella subalternità assoluta del volere padronale – d'un salario legato alle convulsioni del mercato e quindi non garantito. Fuori dall'attuale “logica” FIAT, sono Fiom-CGIL, Failms-Cisal, CoBas ed altre sigle sindacali. Allora, clima di veleni dentro e fuori le fabbriche, annunci dei ritorni dei sabato “straordinari”, nuovo avvio di mobilità per migliaia di dipendenti con procedure di prepensionamento, aumenti di carichi di lavoro, ritorno massiccio al “lavoro interinale” dopo aver fatto a meno degli stessi migliaia di lavoratori ora in procinto di essere “riutilizzati” (esemplare, per questa sperimentazione del “modello gestionale” ideato da Marchionne, è lo stabilimento abruzzese SEVEL in Val di Sangro che produce, grazie a 5000 operai, il furgone “Ducato” con ordinativi, da Europa ed Asia, e volumi produttivi in rialzo). Tutto ciò in una congiuntura economica che vede il PIL crescere un po', mentre diminuisce ancora l'occupazione. In alcune aziende (appunto, alla SEVEL) del Gruppo FIAT, inoltre, l'agibilità minima sindacale (assemblee interne) è minata a tal punto che non possono partecipare gli operai della Fiat di Melfi licenziati, ma reintegrati.La gravità della situazione è tale che l'oltranzismo a difesa dei diritti dei lavoratori (il conflitto esteso socialmente) è l'unica strada per non arrivare al paradosso di far rimanere fuori dai cancelli delle fabbriche le stesse “ragioni operaie”. L'impresa si è posizionata al centro delle relazioni sociali, impone stili di vita e gerarchie, colonizza l'immaginario di massa e, contestualmente, una dialettica Stato/Impresa nega in modo animalesco ogni forma di vita civile, rende gregaria e indifesa la soggettività proletaria. La “fame” di lavoro, reddito, tutele e Welfare è l'altra faccia dello scempio capitalista e della desertificazione sociale che l'unilaterale “obiettivo-profitto” sta procurando. Le Istituzioni sono occupate da sodali di ConfIndustria, mandante del massacro sociale, in altre faccende occupati (fondi FAS distolti dalle proprie finalità), di fronte ad una sempre più estesa crisi sociale con redditi tagliati del 30%. Forse non è più solo tempo di scioperare.Va organizzata politicamente la resistenza operaia protesa alla riconquista d'una cittadinanza attiva, liberatoria quantomeno del giogo confindustriale. [http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e]

martedì 7 settembre 2010

Il dire e il fare

Nulla è vero nel “sapere costruito sulla realtà”, tutto è verosimile. Quando nell'attività d'analisi – onesta e attenta – dello stato presente di cose si curva il “sapere costruito sulla realtà” verso un'esposizione sistematica rappresentativa delle contraddittorie forme dell'organizzazione sociale, si generano sistemi interrelati di categorie “filosofiche” (a volte, attendibili), con evidenti connessioni teorico-politiche interne, che finiscono per agire come ipostasi di problematiche dalle quali pur originano. Evitare l'ipostatizzazione delle “coscienze” individuali ed – estensivamente – della “coscienza sociale” è un arduo compito del “pensiero” e del “linguaggio” liberi. Per evitare che si arrivi a contemplare come compatibile anche la figura del capitalista filantropo … Esaminati alla luce dell'attività pratica e conoscitiva (scientifica) degli uomini, alla luce delle acquisizioni delle scienze naturali e sociali contemporanee, le problematiche connesse alla “contraddizione” strutturale del sistema capitalistico, non possono essere affrontate con la retorica tipica delle “narrazioni” etiche (pre-politiche) o antropologiche, a partire, come spesso capita, da “reperti” giornalistici (ad esempio, un'ulteriore intervista di un Ministro della Repubblica). Lo stile di chi ragione di “cose pubbliche” dovrebbe essere caratterizzato da attitudini, atteggiamenti d'indagine che superino la denuncia polemica dei misfatti del potere, secolarmente contrastato dalle masse polari più efficacemente che non da infuocati pamphlet, e tengano conto delle tappe storiche del tentativo d'assalto al cielo (edificare una nuova socialità svincolata dalle leggi del profitto) delle moltitudini diseredate, compresa la “tappa” leninista del 1917/1924 che – troppo frettolosamente ed ideologicamente trattate da certa nouvelle philosophie che ha dato il “meglio di sé” negli anni '70/'80 – sembra esulare dall'odierno dibattito sulla “crisi” e, soprattutto, dalle pratiche antagoniste oggettivamente intraprese per contrastarne il devastante incedere. Facciamo tutti un sforzo di sottoporre a critica le odierne concezioni e pratiche “rivoluzionarie” (se è questo l'orizzonte e non si vuole assistere – comodamente assisi di fronte al monitor del computer - ad una “volontà” che in modo prometeico fornisce un'alta retorica testimonianza di quanto marcio sia questo “mondo”), aggregandoci (come umilmente propongo da tempo ed ho esemplificato in una proposta di cui al link: http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e?xg_source=activity) intorno a problemi fondamentali della vita sociale creando una fenomenologia unificante delle lotte di resistenza e dirompente dell'assetto attuale del potere, capillarmente posizionato anche nell'azione pervasiva ed anestetizzante dei media (tutti), per riaffermare con forza la “cittadinanza attiva”.Le esposizioni laconiche e chiare di quanto accade nel mondo o più da presso sono utili (le “reti”, in generale, vanno “usate” per questo: informare, conoscere, mobilitare), ma non con le “relazioni proprie di universi sintetici”, comprese quelle più discutibili che possono occasionarsi nelle “cloache virtuali”, sarà mai possibile affrontare la “complessità globale” che necessita di corpi e menti effettuali, operanti – in forma “nomade” e “stanziale”, ad un tempo - con i piedi ben piantati in terra. Concludo con una “rischiosa” citazione, spero stimolante: «Marx riassume tutto questo dicendo che l'essenza soggettiva astratta viene scoperta dal capitalismo solo per essere di nuovo incatenata, alienata, non più, è vero, in un elemento esterno ed indipendente, come oggettività, bensì nell'elemento soggettivo stesso della proprietà privata: “Un tempo, l'uomo era esteriore a se stesso, il suo stato era quello dell'alienazione reale; ora questo stato si è mutato in atto di alienazione, di spossessamento”. In effetti, è la forma della proprietà privata a condizionare la congiunzione dei flussi decodificati, cioè la loro assiomatizzazione in un sistema in cui il flusso dei mezzi di produzione, in quanto proprietà dei capitalisti, si riconduce al flusso di lavoro detto libero, come “proprietà” dei lavoratori (cosicché le restrizioni statali in materia o il contenuto della proprietà privata non colpiscono assolutamente tale forma. È ancora la forma della proprietà privata a costituire il centro delle riterritorializzazioni fattizie del capitalismo. Essa produce le immagini che riempiono il campo d'immanenza del capitalismo, . . .». Gli autori sono Gilles Deleuze e Félix Guattari; l'opera è “L'anti-Edipo – Capitalismo e schizofrenia”, Cap. IV, 3 Psicanalisi e capitalismo, pag. 345, Biblioteca Einaudi, 1975.
Giovanni Dursi
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lunedì 6 settembre 2010

Sdegno, per una "marcia su Teheran" che non si farà

Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per lapidazione in Iran, sta per morire e, nel mondo occidentale, si discute. Anzi peggio, si procede alle deportazioni ed a pogrom da parte di Stati UE. Non è sopportabile. Qualcosa va fatto, magari una “marcia su Teheran”, perché no. Subito. Credo che le alte elaborazioni teoriche sulla “differenza di genere” debbano cedere il posto ad azioni concrete, immediate, contro i veri nemici del “genere umano”: l'oscurantismo religioso, la sopraffazione dei “costumi differenti” e delle “forme di vita”, il maschilismo di Stato. Basta retorica, solo retorica. Mi riferisco al mondo femminile/femminista che trova in “Diotima” (semplice esempio) – comunità filosofica femminile, accademicamente accreditata, che si propone “un modo di essere e uno stile di movimento che ci permette di allargare la rete di relazioni tra donne lì dove il nostro desiderio ci porta ad essere. E' un movimento che costituisce realtà" – un avamposto del pensiero che dovrebbe tradursi in proposizioni di migliori condizioni esistenziali intergenere aggredendo stereotipi e tradizioni medioevali, sapendo discriminare il grano dal loglio. Non odo le voci di queste donne, non vedo i loro corpi agire per Sakineh. Mi duole, ovviamente, dirlo. Come mi irrita assai sentire dall'emittente pubblica Radio RAI (nella trasmissione “Zapping” che si propone come porta d'accesso libero ai pareri dei cittadini, curata viceversa da un Aldo Forbice in modo censorio rispetto ai radioascoltatori, spesso interrotti e ridicolizzati, per dare spazio a presunti esperti, consulenti ed intellettuali che propinano idee, a volte, orripilanti) disquisire sulle eventuali responsabilità penali di Sakineh, per la presunta partecipazione all'omicidio del marito, che – secondo il "fine pensatore" Marcello Veneziani – sarebbero dirimenti rispetto al comminare o meno la lapidazione (la registrazione della trasmissione di qualche sera fa, spero non venga manipolata). Vergogna !Se ha ucciso, può essere lasciata al suo destino: questo il pensiero di Marcello Veneziani. Vergogna ! La stessa trasmissione dell'emittenza pubblica, pur ritenendo di dover portare avanti una campagna d'opinione per i diritti umani a Cuba, non ritiene di fare altrettanto per identiche tutele a Teheran o altrove nel mondo globale contaminato dall'orrore. Molla il microfono, Forbice !!! Infine, mi ribello al filisteismo di chi chiede “clemenza” (Frattini) o dell'ipocrita autoassoluzione della Chiesa cattolica: "Quando la Santa Sede é richiesta in modo appropriato perché intervenga su questioni umanitarie presso autorità di altri Paesi, come è avvenuto molte volte in passato, essa usa farlo non in forma pubblica, ma attraverso i propri canali diplomatici". Lo afferma il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, rispondendo alle domande dei giornalisti sulla vicenda di Sakineh. In mattinata il figlio Sajjad si era appellato al papa e al governo italiano per salvare la vita della madre. La Santa Sede - ha ribadito padre Lombardi - segue la vicenda con attenzione e partecipazione. La posizione della Chiesa, contraria alla pena di morte, è nota - ha aggiunto - e la lapidazione è una sua forma particolarmente brutale" !!! Nel frattempo, il figlio di Sakineh ha diffuso una lettera aperta datata il 3 settembre e che si riferisce a un articolo pubblicato dal London Times il 20 agosto scorso, in cui appare un foto di una donna senza velo, e attribuita a Sakineh. "Grazie a quanto siamo riusciti a sapere - scrive Sajjad - da alcune donne rilasciate la scorsa notte dal carcere femminile, la pubblicazione di questa foto ha dato alle autorità del carcere una scusa per accanirsi nuovamente contro mia madre". Il figlio della donna aggiunge che Sakineh "é stata convocata dal giudice che si occupa della cattiva condotta in carcere ed è stata condannata a 99 frustate sulla base della falsa accusa di diffondere la corruzione e l'indecenza, in base a quella foto di una donna senza velo che si presume erroneamente che sia lei". "Per ragioni sconosciute, il London Times ha pubblicato, invece della foto di mia madre, quella di un'altra donna che non indossa il velo - continua Sajjad - ma noi non sappiamo come il Times sia venuto in possesso di questa foto". Sajjad precisa poi di essere venuto a sapere che la foto sarebbe stata fornita al giornale dall'ex avvocato di sua madre, Mohammad Mostafei, fuggito in Norvegia nei giorni scorsi. Secondo quanto riferisce il sito 'The International Committee Against Executions', la foto ritrarrebbe una attivista politica che vive in Svezia. Successivamente il Times ha pubblicato una smentita chiedendo scusa ai suoi lettori, scrivendo che "l'ex avvocato Mostafei avrebbe dichiarato di avere ricevuto quella foto proprio dal figlio". Sakineh è stata condannata a morte per lapidazione, con l'accusa di adulterio e concorso in omicidio del marito e nel 2006 aveva già subito la pena di 99 frustate.