domenica 23 gennaio 2011

Venerdì 28 Gennaio: Sciopero generale dell'antagonismo antisistema

Quella del 28 gennaio prossimo è la data scelta dalla FIOM (i metalmeccanici della CGIL) per scioperare contro gli accordi capestro di Marchionne a Mirafiori e Pomigliano: questi accordi riguardano tutti, visto che intaccano democrazia, rappresentanza, contratto nazionale e diritto di sciopero, legalizzando gli attacchi ai diritti dei lavoratori portati avanti negli ultimi 20 anni.TUTTI POSSONO SCIOPERARE IL 28 GENNAIO: per quel giorno, infatti, il sindacalismo di base ha indetto lo sciopero generale di tutte le categorie del lavoro pubblico e privato, per chi vorrà essere “concretamente” a fianco dei metalmeccanici, contro la brutalità dell’aut aut deciso da Marchionne: vuoi lavorare o vuoi conservare i diritti sopravvissuti in questi ultimi anni? Se per lavorare si deve “volontariamente” accettare il ricatto di condizioni di lavoro di tipo schiavistico forse è giunto il momento di dire BASTA e di dirlo come se quella stessa proposta fosse fatta a tutti. Per questo il 28 gennaio non vogliamo lasciarli soli contro Marchionne. Questa volta non proponiamo uno sciopero per rivendicare diritti e aumenti contrattuali per un singolo settore lavorativo . Oggi proponiamo di dare allo sciopero un significato preciso: dire NO al ricatto di Marchionne e a tutto ciò che a cascata ne potrà venire. I 2120 operai di Mirafiori hanno avuto il coraggio di rinunciare ad una promessa di lavoro, noi chiediamo di rinunciare ad una giornata di lavoro per dire che non vogliamo contribuire a far passare nel silenzio e nella rassegnazione questo ulteriore attacco alla condizione lavorativa dei dipendenti pubblici e privati. Se ammalarsi a Mirafiori diventa una colpa da pagare a suon di euro, se scioperare comporterà sanzioni disciplinari fino al licenziamento, chi può seriamente pensare che anche altrove non si possa pensare di fare altrettanto? Di questo passo cosa può impedire a lorsignori di applicare per tutti i lavoratori e per tutti i settori gli stessi meccanismi imposti da Marchionne contro i contratti nazionali, contro i diritti e contro la dignità di chi lavora? Un’attacco, portato dal padronato e dal governo, che arriva dopo quello alla scuola e università con i decreti Gelmini, dopo il collegato lavoro, dopo il blocco degli stipendi e del turn over nel pubblico impiego .Tutto questo necessita di una risposta forte e incisiva, per questo anche a Livorno va cercata la più ampia e convinta mobilitazione , collegando la risposta a questo ulteriore , alla situazione di una città che vive la crisi in modo drammatico con la perdita di posti di lavoro, la cassaintegrazione e la disoccupazione. Per questo Venerdi 28 gennaio insieme ai metalmeccanici, indetto dall’insieme dei Sindacati di base, dagli studenti ,da movimenti sociali ci sarà una giornata di sciopero generale con CORTEI DI LAVORATORI E STUDENTI, una prima fase di costruzione dei Comitati popolari di resistenza e cittadinanza attiva (CPRCA http://cprca2010.ning.com/) in lotta per il diritto al lavoro e la ripresa dell'antagonismo antisistema

giovedì 13 gennaio 2011

Rabbia all'epoca della "politica palindroma"

L'Impero non ha alternative sociali al suo interno. Il tempo imperiale prevede uno “sviluppo umano” (http://www.conflittidimenticati.it/cd/docs/3464.pdf - http://hdr.undp.org/en/ - http://www.conflittidimenticati.it/cd/a/32736.html) che decreta la morte, solo per alcuni. Straziante, incomparabilmente più d'ogni logos violato, morire di stenti. Morire di freddo, di fame, di cure, d'assenza di relazioni, d'assenza di lavoro e dignità. La “razionalità” umana risiede nella violenza, imperniata nella nozione di polemos. Altra indole omicida si rintraccia nello sterminio di bisogni agonistici ed antagonistici, espressione utopistica (utopia deriva dal greco οὐ – non - e τόπος – luogo) di ciò che deve e può essere ancora realizzato. La parola "rabbia" deriva dal sanscrito "rabbahs", che significa "fare violenza". Quindi, c'è liberazione dal neocapitalismo globale nel determinato esercizio delle soluzioni di continuità, delle rotture, della inconciliabile dualità nel corpo sociale. “L'intima natura delle cose ama nascondersi” (Fr. 123). Essa va incessantemente ricercata, aprendosi dall'Uno al Tutto e facendo ritorno dal Tutto all'Uno, per il tramite di un pensiero e di un cammino che siano istantaneamente e simultaneamente dimoranti nel Tutto e nell'Uno. Questo è lo schema euristico e, insieme, ermeneutico della filosofia di Eraclito. Esso consente di strappare dall'oscurità e rendere intelligibili alcuni enunciati eraclitei centrali, particolarmente vicini al tema che va sottoposto a investigazione:
a. "Non si riconoscerebbe la parola giustizia, se non esistesse l'ingiustizia” (Fr. 23);
b. “Tutto è a un tempo concordia e discordia” (Fr. 51);
c. “Polemos di tutte le cose è padre, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi” (Fr. 53);
d. “L'armonia invisibile val più della visibile” (Fr. 54);
e. “Si deve sapere che la guerra è comune e che la giustizia è contesa, e che tutto accade secondo contesa e necessità” (Fr. 80).
Rabbia. Unilaterale, perché altrimenti si snatura. La rabbia è una zoonosi, causata da un virus appartenente alla famiglia dei rabdovirus, genere Lyssavirus. Colpisce animali selvatici e domestici e si può trasmettere all’uomo e ad altri animali attraverso il contatto con saliva di animali malati, quindi attraverso morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre. Il cane, per il ciclo urbano, e la volpe, per il ciclo silvestre, sono attualmente gli animali maggiormente interessati sotto il profilo epidemiologico. “Marchionne può andare dove gli pare, ma la FIAT tirata avanti con gli incentivi degli italiani rimarrà qui, perché ce la possiamo prendere con la forza. La fabbrica e i capitali accumulati. Son nostri. NOSTRI”, scrive P. M.. Condivido. Penso negli stessi termini. La rabbia va esercitata per essere “vera”. Come nell'alto Medioevo, in un contesto che media intensamente "cristianesimo primitivo" e "comunismo primitivo", oggi il tema del dominio viene ripreso e coniugato in un rapporto di implicazione diretta con “etiche” contrapposte. La lotta della classe operaia è indissolubilmente legata alle esigenze unilaterali antagoniste dell'autovalorizzazione, non della “democrazia” che reprime la “rabbia”. Il “regime democratico” stabilisce il dominio, le gerarchie di comando, rende eterno lo sfruttamento, anestetizza l'intelligenza collettiva dentro narcotiche “forme di vita”, castra l'insorgenza della “comunità”, determina l'alienazione della “rappresentazione”. L'autentica ricchezza trasformativa, la principale risorsa eversiva dell'attuale dominante sistema sociale va identificata non nel capitale materiale, bensì' da quello sociale. È il livello di “conoscenza” e “coscienza” delle moltitudini, nel vivo della conflittualità senza riserve politico-culturali, a caratterizzare la possibilità di rivolta antisistema. È il livello di “conoscenza” e “coscienza” delle moltitudini a ridefinire gli effetti da sclerosi metafisica di quanti non condividono la “rabbia”, unica energia generatrice d'allusione concreta alle pratiche comuniste di “soggetti” che continuano a lavorare per costruire l'iniziativa rivoluzionaria. Ma con chi e in che modo ripercorrere la strada intrapresa della”rabbia” per il comunismo nella metropoli italiana del capitalismo globale? Dentro il movimento rivoluzionario non è mai mancato lo spazio per la critica e l'autocritica, il dibattito seguito alle sconfitte inflitte all'insubordinazione sociale dalla fine degli anni '70 ad oggi è stato profondo e condotto in termini tali da non poter essere liquidato come una prassi formale e non sostanziale nella ridefinizione di una strategia rivoluzionaria. Un confronto serrato, ma sempre interno al campo della rivoluzione. Alcuni pseudo«storici», invece, pensano chiaramente ad altro referente, l'unico capace di valorizzare adeguatamente la loro smania di ricostruzione delle vicende dell'insubordinazione sociale. Pensano alla putrida sponda partitica. E non è certo voler forzare o stravolgere il loro pensiero affermare che questo referente è quel “sistema dei partiti” che promette – invariabilmente, palindromicamente - solo lacrime sangue. È nei fatti. È nella recente storia economica e sociale. In quanto pseudo«storici» i nostri non hanno fretta di ribellarsi, si limitano a ”comunicare” lo sdegno, in attesa di migliori momenti, a “ricercare” in modo fabulatorio la “connessione con il popolo”. Un variegato arco di forze erede della “storica e nuova sinistra” si mostra impotente di fronte alla “crisi” di ristrutturazione del modello capitalistico di sfruttamento e riproduzione dei rapporti sociali. Pronti ed interessati, velleitariamente quanto vigliaccamente, a porre un'opzione politica sul futuro dell'operazione «massacro sociale». Miserie. “Rabbia” contro la “miseria” e le “miserie”. La “rabbia” non può essere abiurata, dalla “rabbia” non ci si può dissociare, pena l'azzeramento identitario, la compartecipazione da attori non protagonisti alla “spettacolo”. È per evitare simili confusioni che a qualcuno di loro pare sia promessa una ulteriore legittimazione del loro “parlare” del movimento rivoluzionario. Le loro preoccupazioni, vendere la “rivolta”, vendere una consulenza storico-politica. Al di fuori del dibattito fra rivoluzionari, aprioristicamente pronti ad ogni qualsivoglia “trattativa” con il “potere”. La loro presunzione e la smania di protagonismo sono davvero cattive consigliere: costoro non rappresentano nessuno se non le loro ambizioni. La loro furbizia di aspiranti politicanti potrà coinvolgere altri, non certo l'antagonismo rabbioso che si riconosce nella validità strategica dell'esercizio della “rabbia” per il comunismo, non certo coloro che non collaborano alla costruzione di un mosaico esaltato dal capiate come il massimo della democrazia: accettare subalternità a vita nel sistema di sfruttamento vigente. Basta osservare con un po' di onesta attenzione per comprendere il presente della situazione sociale e per sapere quale futuro si prepara a danno dell'esistenza delle moltitudini in rivolta. Se si lascia correre.

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giovedì 6 gennaio 2011

Lettera aperta al Segretario generale della FIOM

Distintissimo Maurizio Landini, Le scrivo perché parte del “popolo del 16 Ottobre”. Intendo comunicare con Lei per esprimere convinta partecipazione e consapevole disponibilità personale nel supportare la FIOM mentre affronta lucidamente un duro scontro con l'Impresa (nella fattispecie, la new company FIAT) che si fa Stato (decretazione di “regole” aziendali fuori l'ordinamento costituzionale ed il diritto del lavoro). Spero sinceramente che la Sua organizzazione – dopo il 9 Gennaio e l'esito del referendum previsto per il 13 e 14 – possa conservare l'intransigenza necessaria ad un'autentica salvaguardia della dignità e dei diritti acquisiti dei lavoratori metalmeccanici. La retorica politica solidaristica, da un lato, e, dall'altro, le inqualificabili affermazioni di dirigenti nazionali di alcuni partiti d'opposizione inneggianti all'accordo – palesemente illegittimo - imposto dall'ad FIAT Marchionne, poiché secondo loro, in ultima istanza, garantirebbe sviluppo delle produzioni, occupazione e partecipazione agli utili aziendali, preoccupano tanti lavoratori dipendenti, non solo impiegati nell'industria, che da tempo non sono rappresentati dal “ceto” partitico e sindacale. Tuttavia, la scossa c'è stata. A Roma, il 16 Ottobre. La “scossa” del 16 Ottobre deve trovare, in queste giornate di lotta e di resistenza, il suo naturale sbocco. L'embrione di unità della soggettività antagonista generata dalle lotte sociali si è palesato, certo risentendo della caoticità dell'insorgenza rivendicativa, ma – senza alcun dubbio – presentandosi come obiettivo segno d'una seria ripresa della capacità di contrasto all'incedere della “dittatura dell'impresa” e del protagonismo popolare che ripropone l'orizzonte del “beni comuni”, in primis il lavoro. Questa scossa, auspicata e coprodotta, è indotta da condizioni materiali che divaricano irreversibilmente il coagulo di interessi del capitale globale (la commistione – in sede governativo-parlamentare - di interessi pubblici e fatti privati è l'espressione più facilmente decodificabile dell'attuale prioritario ruolo che svolge il “complesso politico-industriale-finanziario” nella configurazione del dominio sociale) da un lato, e, dall'altro, una reazione delle “classi subalterne” – nel vivo del quotidiano scontro sociale – che “vede” necessarie l'autorganizzazione e l'autonomia politica, mentre sedimenti di conoscenza critica ed elaborazione teorico-politica vengono condivisi e fatti “corpo” nelle concrete “forme di vita” e di “cittadinanza attiva”. Da questo punto di vista, anacronistiche e fuorvianti sembrano quei “laboratori politici” (ad esempio, le “fabbriche” vendoliane e/o pdessine) che tentano di recuperare questo “potenziale antisistema dello sfruttamento” (quindi, autenticamente rivoluzionario), ovviamente depurato da imbarazzanti “presenze democraticiste”, dirigendolo verso un impotente riflusso partitico-legalista orientato a beneficio unico di un “ceto politico” che intende riciclarsi, sopravvivendo a se stesso ed incapace di autocritica.
Come docente MIUR, vedo perniciose attitudini, anche nella riorganizzazione in atto della pubblica amministrazione, in generale, e delle “attività lavorative della conoscenza” (istruzione, formazione, ricerca, cultura), a ridefinire i rapporti di lavoro su input proveniente da ragioni di bilancio e conseguente gestione autoritaria della gerarchia di comando, spesso anche in assenza di reali competenze gestionali. In particolare, i provvedimenti dei Ministri Tremonti, Brunetta e Gelmini, sono tendenzialmente lesivi non solo della condizione materiale di chi percepisce uno stipendio già da tempo inadeguato, ma anche della stessa possibilità di occupazione stabile e di eventuale fuoriuscita “garantita” dal lavoro, avendo reso “evanescente” perfino il trattamento di quiescenza. Inoltre, minando le basi del Welfare universalistico a solo vantaggio della rendita e del profitto, l'attuale Governo provvede alla desertificazione delle forme di vita orientate alla coesione sociale e si accanisce contro i cittadini che esprimono bisogni sociali non negoziabili essendo essi ormai privi di credibili tutele politiche e/o sindacali. La convergenza di intenti tra Impresa e Stato sta modificando ulteriormente i fragili assetti della “democrazia incompiuta” italiana, mettendone a rischio la stessa precaria stabilità, laddove il dissenso verso le politiche economico-sociali governative manifestato generosamente dalla società civile e dai lavoratori, è immediatamente represso in coerente sintonia con il desiderio di ConfIndustria di “contrastare l'opposizione all'ammodernamento del Paese” (dal discorso d'insediamento della Presidente Marcegaglia). A mio parere, i casi dei contratti / capestro di Pomigliano e Mirafiori, presto flessibilmente replicabili in altri stabilimenti del FIAT GROUP (ad esempio, alla SEVEL della Val di Sangro), sono il sintomo più evidente di un degrado non solo delle relazioni sindacali, bensì di relazioni sociali rese “perverse” e “polimorfe” dall'egoismo del capitale industriale e finanziario.
Il conseguente terremoto politico-sociale per i lavoratori dipendenti non “si risolve” con una militanza nella “sinistra” (PdRC, PdCI, SEL, FdS) con evidenti segnali di continuità con il fallimentare recente passato; tali “sigle” sono restate sul mercato della politica a contendersi elettori, ponendosi come obiettivo massimo rieleggere deputati, senatori o consiglieri, negoziare presenze nelle Giunte comunali, provinciali o regionali, collocare “amministratori” negli enti subordinati, confondendo il consenso elettorale con un improbabile riequilibrio dell'assetto di potere e pretendendo di ridare attualità politica ai tipici valori della “sinistra” togliattiana-divittoriana della “democrazia progressiva”.
In realtà, archiviate queste arcaiche manovre, è fondamentale insistere sulla linea dell'edificazione di nuove istituzionalità popolari, distanti / diverse da quelle articolazioni statali ove la “rappresentanza” perpetua subalternità, soggioga le masse popolari, crea devastanti distorsioni nella “democrazia costituzionale”; l'autonomia politica deve – viceversa – conquistare e difendere spazi per esercitare i “diritti” dei giovani, donne, precari, disoccupati, cassaintegrati, operai, artigiani, autoimprenditori delle conoscenze, lavoratori autonomi che oggi mal sopportano la storica iniquità dell'ennesima crisi del modello capitalista di sviluppo.
Le lotte di resistenza e di attacco alla “tenaglia” confindustriale-sindacale che impone l'agenda politica al Paese, manifestano una consapevolezza “altra” della crisi che chiede a tutti i suoi protagonisti una rinnovata determinazione nella capacità popolare di dare autorevole voce – senza mediazione partitica – ai “bisogni sociali” (reddito, Welfare, cultura, ambiente, multiculturalità, …) e del “lavoro” che sono nel suo DNA. Questa sollecitazione non può non essere colta dalle donne e dagli uomini liberi con l'entusiasmo che deriva dal riappropriarsi della propria esistenza. Per chi ha vissuto e vive la difficile battaglia della libertà individuale e collettiva dal gioco del capitale – non distinguendo, in modo miope ed asfittico, il “locale” dal “globale”, come purtroppo in alcune componenti dell'area “neocivica” si è ottusamente evidenziato, causando ulteriori “sconfitte” e dispersione di energie trasformative -, questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte. Lo scenario è necessariamente più ampio di quello delle pseudostrategie di partito.
I transfughi dei partiti di “sinistra”, compresi i pdessini in libera uscita per una breve, “eccitante” stagione, che hanno frequentato modalità autonome ed alternative d'organizzazione e produzione di eventi politico-sociali, constatando il “blocco mortale” e l'evanescenza dell'opposizione – non solo PD - alla presenza berlusconiana, oggi, percependo il sentore d'una repressione (annunciata da tempo dalla ConIndustria, come prima adetto, per bocca della Presidente Marcegaglia) di tipo cileno, tornano sui loro passi, ad una “casa madre”, ad un'autoreferenzialità ed un interclassismo incapaci di “scegliere” la parte del popolo (ad esempio, sull'acqua: il PD si è forse schierato raccogliendo le firme per la difesa di quel bene pubblico essenziale ? E sul petrolio e il nucleare ? E per il lavoro ?), immaginando di occupare posti ed apparire seriosi e compìti in TV.
L'urto del 16 Ottobre, dunque, è stato prodotto ed ha provocato un'iniziativa unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, in queste ore, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. La FIOM ed il sindacalismo di base possono fare molto in questa prospettiva. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema dellosfruttamento sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo. Concludo, rendendo pubblico il personale auspicio d'una mia militanza politico-culturale che sia partigiana della lotta FIOM e per lo sciopero generale di solidarietà del 28 Gennaio. Ringrazio per l'eventuale considerazione.
Bologna, 6 Gennaio 2011
Giovanni Dursi, docente MIUR di Filosofia e Scienze sociali
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Una proposta per agire insieme
1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale. In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2. Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel o al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, contropotere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3. La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità politico-amministrativa nuove ad ambiti istituzionali socio-territorialialmente “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. È il territorio è lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni ambito territoriale provinciale può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio d'appartenenza . . . . .
Tutti sono invitati ad avviare un discorso pubblico su questi temi.
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman