sabato 19 novembre 2022

Effìmere le età della vita. In particolar modo lo è diventata quella adolescenziale


L‘età adolescenziale è effìmera. Come, del resto, tutte le altre età della vita, certo, ma va considerata come importante periodo di formazione e di sviluppo psico-fisico decisivo. Inoltre, pur sapendo che classicamente, l'adolescenza viene compresa tra i 10 ed i 19 anni, anche se la SIMA (la Società italiana di Medicina dell’adolescenza) identifica il limite a 21 anni, possiamo affermare che, per questioni diverse, oggi si prolunga anche ben oltre quel limite fino, in alcuni casi, ad eternizzarsi, essendo il soggetto impossibilitato ad effettuare le esperienze necessarie atte a rappresentare oggettivamente il passaggio alla cosiddetta età adulta. Peraltro, entrambi i periodi esistenziali - adolescenza e maturità - manifestano fenomenologie riconducibili alla neotenia, cioè al forzato permanere allo stato neotenico, anche in età post-adolescenziale ed avanzate, determinato non da fattori di natura costituzionale, bensì dovuto alle particolari condizioni ambientali economico-sociali della contemporaneità che configurano il peculiare carattere neotenico dell’uomo: l’incompiutezza, una specifica deficienza di maturazione nelle strutture mentali come nella funzionalità socio-relazionale (rif. P. Virno, Scienze sociali e natura umana. Facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione, Rubettino, 2003).

Ciò comporta un’inefficace (dal punto di vista dell’adattamento graduale alle forme di vita e d’assunzione di responsabilità sociali), estenuante formazione permanente, disambientamento e flessibilità, tali da non poter mai mettere integralmente a frutto quanto appreso, tali da non riuscire a sperimentare le proprie competenze, da non poter applicare un saper fare coerente con le proprie conoscenze.

Effìmera è, dunque, l’adolescenza, sapendo però che effìmero, etimologicamente deriva dal latino tardo ephemĕrus, dal greco ϕήμερος, composto di πί «sopra» e μέρα «giorno», a significare ciò che dura un solo giorno, come certe febbri. Tuttavia, nonostante che con uso sostantivato, l’effimero designa ciò che è o si considera di breve durata, transitorio, perituro, si può constatare, osservando giovani vite, un nocivo perdurare in uno stato di indefinitezza, in uno “sdraiarsi” anche consapevole, in molti casi, nell’alveo delle incertezze, delle indecidibilità, nel vago bearsi di una “dimensione” privata, intima, quasi non esistesse un mondo da affrontare, “leggere”, seppur con difficoltà, ed interpretare, allo scopo di vivere appieno la propria, unica, vita. Egocentrati in tal modo, rispetto a ciò che appare loro incomprensibile, viene radicalmente ignorato, trascurato, ciò che non è chiaramente percepibile o esprimibile, viene tralasciato, sottoposto ad oblio. Nulla esiste, ai loro occhi, se non quel “mondo” ristretto, concentrato nelle faccende microaffettive, domestico-territoriali, ignari altresì d’essere sempre eterodiretti, nei comportamenti effettivi adottati nell’universo concentrazionario ove agiscono, dalle rappresentazioni sacralizzate della realtà offerta dai media.

Quasi mai s’assiste all’esplosione desiderante di riflessioni, di voglia di leggere (letteralmente) oltre che di consumare, di ribellarsi al giogo degli stereotipi e degli algoritmi sociali, anche nelle componenti più scolarizzate della popolazione adolescente. Un fenomeno disastroso che racchiude l’immane spreco di energie giovanili, una configurazione psichica ispirata alla grettezza di immediate soddisfazioni (prevalentemente di natura materiale), una negazione di progettualità ed impegno, un sopravvivere banalmente, una sostanziale e costrittiva spirale derealizzante, con l’evidente precipitare nell’estesissima povertà lessicale quantomeno per “dire di sé”.

Il termine effìmero, non casualmente, è stato usato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 del Novecento per indicare un insieme di manifestazioni culturali o ricreative, di carattere spettacolare e di breve durata, promosse, nell’ambito di una politica di valorizzazione dei centri storici, dagli assessorati alla cultura di alcune grandi città italiane, accanto e in antagonismo ad attività istituzionali e permanenti.

Bene. Per le ragioni esposte, l’effìmera transizione identitaria - caratteristica dell’adolescenza - in ogni caso non va individualmente lasciata alla deriva, ad un sociomorfismo di tal fatta, esprimendo rassegnazione alla “non cultura”, limitando il proprio ingegno, consegnandosi mani legate all’offerta alienante dei media, alla introiezione di modelli standardizzati buoni a declinare frustrazioni e straniamento.

Gli adulti, gli “esperti”, coloro che possono lasciare un “segno”, che fanno in proposito, cosa mettono in campo per immunizzare i giovani ? Spesso la risposta è “laissez fairelaissez passer”, in perfetta sintonia con lo spirito dell’imperante liberismo economico.