Alle
ore 16:01 del 18 Ottobre, l'ANSA informa di scontri a Beirut, nei
pressi dell'ambasciata degli Stati Uniti in una manifestazione di
sostegno al popolo palestinese e di protesta per i bombardamenti
israeliani su Gaza.
Ulteriori
brutalità sono in corso anche nella città capitale dell'omonimo
Stato che si sommano alle inenarrabili violenze iniziate all'alba
del 7 Ottobre 2023 con l'attacco strategico in territorio israeliano,
mirato a incidere profondamente nello scenario mediorientale e
mondiale, da parte del Ḥaraka al-muqāwama al-islāmiyya,
il «Movimento della resistenza islamica»,
Ḥamas.
L'odierno
è un ultimo capitolo – certo non il più cruento, l'esercito pare
abbia, secondo quanto appurato in queste ore, rapidamente caricato i
manifestanti – di una tragica sequenza di morti e distruzioni che
ha subito Ghazza (in arabo قطاع
غزة,
in ebraico ‛Azzāh) negli ultimi decenni, la città palestinese di
quasi seicentomila (rif. al censimento del 2017), situata nella
penisola del Sinai, dalla quale si dirama la Striscia costiera
mediterranea di Gaza su circa 45 km² che vede detenere oggi in
cattività oltre due milioni di cittadini.
Accostandosi
in modo pragmàtico
[]
al
rinvigorito conflitto bellico arabo-israeliano, arginando quanto più
possibile i sentimenti, peraltro alquanto sollecitati, e
soffermandosi sull'episodio dell'Ospedale “Al-Ahli” di Gaza
colpito da un devastante razzo ieri, Martedì 17, provocando
centinaia di vittime,, sembra corretto astenersi da ogni velleitaria
e ipocrita propensione a prendere posizione, a schierarsi
ideologicamente.
Questa
affermazione, lungi dal desiderio tipicamente piccolo-borghese di
equidistanza o di deleteria indifferenza, scaturisce da un tentativo
di ripristinare in modo determinato l'onestà intellettuale, proprio
in ragione di una contagiosa tendenza, da contrastare, che incombe
sui fatti anticipando conclusioni approssimative, acritiche,
superficiali, tendenziose, frutto di pregiudizi.
Allo
storico serio interessano i fatti. A questo criterio, pur non essendo
esperti di ricerca storiografica, intendiamo attenerci.
Iniziando
proprio da uno degli ultimi fatti, quello del razzo che ha colpito
l'Ospedale di Gaza. La cronaca ci pone di fronte ad un classico
“fattoide” di ultima generazione. Apprendiamo con angoscia che i
morti riconducibili alla deflagrazione dell'ordigno sul nosocomio, a
ventiquattrore dall'evento, non si riesce a capire a chi attribuirli,
non si è in grado di addossare le responsabilità dell'ennesimo
eccidio.
Le
“agenzie” addestrate alle mistificazioni di fatti di guerra si
sono appropriate dell'accaduto e, senza risparmiare colpi altrettanto
efferati quanto le schegge assassine del missile scoppiato, mirano e
colpiscono i nemici con gran quantità di munizioni-parole.
La
notizia, pur nella sua crudele gravità, è quasi del tutto resa
priva di fondamento, in quanto in un'area vigilata da satelliti e
sistemi di sorveglianza, in un teatro di guerra circoscritto,
infestato da droni e sotto osservazione permanente, diventa davvero
improbabile non avere la prova della traiettoria e, conseguentemente,
della postazione del sito di lancio.
Le
conoscenze divulgate sull'accaduto sono diffuse all'interno di
narrazioni contrapposte e amplificate dai mezzi di comunicazione di
massa che promuovono o l'una o l'altra descrizione al punto da essere
percepite entrambe come vere o, al contrario, ambedue come false.
Dunque, le versioni si elidono.
C'è
da chiedersi: si ha davvero necessità di capire chi sono i “cattivi”
o i “buoni” di questa tragedia, perché, ribadiamolo ancora, non
si assiste ad un film
dell'orrore. Dobbiamo fare la macabra conta di quante gole in queste
ultime settimane sono state squarciate da parte dei contendenti ?
Oppure, se si preferisce, calcolare il totale in modo arbitrario ?
Siamo in presenza di una stramba belligeranza tra angeli e demoni ?
Il
portavoce delle Forze di Difesa israeliane, Daniel Hagari ha ribadito
durante una conferenza stampa “che non c'è stato alcun fuoco
dell'IDF da terra, dal mare o dall'aria che ha colpito l'ospedale",
aggiungendo che le immagini dimostrano l’assenza di danni
strutturali agli edifici intorno all'ospedale e nessun cratere
compatibile con un attacco aereo. Fonti della “Jihad islamica”
smentiscono che sia stato possibile un “fuoco amico” e che
l'unico obiettivo politico-militare è di
liberare la Palestina dalla presenza israeliana e costruirvi uno
Stato islamico.
Ciò
che, invece, è possibile appurare con certezza è che non c'è
sincera intenzione di cessare il fuoco e i massacri, non si registra
alcuna volontà di negoziare la pace, da parte, rispettivamente, dei
belligeranti e degli occulti registi, attualmente fuori scena.
In
effetti, l'agenda politica internazionale prevede altre azioni.
La
prima è quella di mero maquillage
politico. Ricordare retoricamente – come fa, tra tanti, Ursula
Gertrud von der Leyen, la Presidente, in scadenza di mandato, della
Commissione europea - la storica opzione di convivenza tra lo Stato
ebraico d'Israele ed il popolo di Palestina; tale rievocazione è
motivata dall’avvicinamento tra Russia e Repubblica islamica dopo
la guerra con l’Ucraina.
La
domanda è legittima: perché si torna solo ora – dopo ben 76 anni
- al piano adottato dall’Assemblea generale delle NU, il 29
Novembre 1947, per la spartizione della Palestina mandataria in due
Stati: uno ebraico, comprendente il 56% del territorio, l’altro
arabo, sulla parte restante, mentre Gerusalemme sarebbe stata corpus
separatum sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite ?
L'inerente Risoluzione ONU n° 181 fu approvata a larga maggioranza
dopo lunghi negoziati preliminari, fu accettata dalla comunità
ebraica e respinta dalla comunità araba, pertanto
non fu mai attuata.
La
seconda azione che caratterizza le relazioni internazionali consiste
nel disfacimento politico e manu
militari di un inedito complesso
ordine mondiale che faticosamente si fa strada nella storia,
effettivamente multipolare, funzionale al ridimensionamento, alla
relativizzazione delle tradizionali potenze globali che hanno
governato gli affari internazionali, tutelando, tuttavia,
esclusivamente gli interessi nazionali (gli esempi più calzanti sono
le guerre in Iraq e Afghanistan, quest’ultima con il suo
corollario in Pakistan), fino all'altro ieri
vigenti e sopravviventi.
In
conclusione, si vuole rammentare che la Striscia di Gaza, è
densamente popolata con un’età media dei residenti di 17,7 anni,
soprattutto in conseguenza del massiccio afflusso di profughi
palestinesi dopo la costituzione dello Stato di Israele nel 1948.
Rimase sotto il controllo egiziano fino al 1967, salvo un breve
periodo di occupazione israeliana dal novembre 1956 al marzo 1957,
quando fu invasa dalle forze israeliane durante la “guerra dei Sei
giorni” e poi sottoposta ad amministrazione militare [].
Rivendicata
dall’OLP come parte di uno Stato palestinese indipendente, veniva
posta dagli accordi di Oslo del 1993 sotto il controllo dell’Autorità
nazionale palestinese in base al principio della restituzione dei
territori occupati in cambio della pace. Proprio la città di Gaza,
il 14 Dicembre 1998, fu teatro di una storica visita del presidente
degli Stati Uniti Bill Clinton: l’abrogazione dallo Statuto
dell’Olp dei riferimenti alla distruzione di Israele, proclamata
solennemente in quell’occasione dalla dirigenza palestinese,
sembrava spianare la strada alla creazione imminente di uno Stato
palestinese e al reciproco riconoscimento fra i due popoli. Ma al
contrario, i ritardi israeliani nell’implementazione degli accordi,
l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gaza,
il crescente ricorso, da un lato ad atti di terrorismo e, dall'altro,
all'autodifesa con l'intifada palestinese azzerarono di fatto i
progressi compiuti nei negoziati tra le parti e inauguravano una
lunga stagione di violenze di cui faceva le spese soprattutto la
sempre più impoverita popolazione palestinese.
Tra
il 2000 e il 2005 lo stato di crisi economica incombente a Gaza
appariva sempre più preoccupante, aggravato dalle continue
‘chiusure’ militari israeliane della Striscia che impedivano il
regolare funzionamento della vita lavorativa dei numerosi palestinesi
che si recavano in Israele. Aumentava la disoccupazione, crollavano
gli scambi commerciali, peggioravano i servizi sociali. Nell’agosto
2005 il primo ministro israeliano Ariel Sharon decise di procedere
unilateralmente allo smantellamento delle basi militari e delle
numerose colonie ebraiche costituitesi nella Striscia nel corso dei
decenni successivi all’occupazione (21 colonie con circa 8200
abitanti), mettendo fine all’amministrazione militare.
Tutto
il territorio di Gaza passava così in mano palestinese.
Dopo
il ritiro Israele si riservò comunque il controllo dello spazio
aereo e delle acque territoriali, il diritto di vietare l’ingresso
nella Striscia a coloro che non vi risultavano residenti, il
controllo totale dei movimenti di persone e merci tra Gaza e la
Cisgiordania e di tutte le merci in entrata nella Striscia, con
conseguente facoltà di chiudere i relativi varchi.
Per
queste ragioni, le elezioni politiche del Gennaio 2006 in
Cisgiordania e a Gaza facevano registrare il successo elettorale di
Ḥamas, capace di penetrare in profondità nella società
palestinese raccogliendo adesioni sia tra le fasce più disagiate
della popolazione, sia tra gli studenti universitari e i ceti
emergenti. Il rifiuto di al-Fatàh, fino ad allora la più forte
organizzazione politica palestinese, di formare un governo di unità
nazionale con Ḥamas, non disposta a rinunciare ai suoi proclami
sulla distruzione dello Stato ebraico, lasciava presagire uno scontro
imminente tra le due organizzazioni, che fu rinviato solo a causa
della violenta offensiva lanciata da Ḥamas contro Israele (fine
Giugno 2006), cui quest’ultimo rispose con un’incursione del suo
esercito nella Striscia, incursione che portò allo stremo la
popolazione già fortemente colpita.
Tra
l’autunno del 2006 e il Giugno del 2007 nonostante un illusorio
accordo di governo tra i due partiti palestinesi, s’intensificavano
gli scontri nelle strade tra i militanti delle due opposte fazioni,
culminati in una vera e propria battaglia militare provocata da Ḥamas
che vedeva sconfitta ed espulsa al-Fatàh dal territorio di tutta la
Striscia, mentre la stessa Ḥamas s’impossessava di tutti i centri
di potere. Si determinava di fatto una divisione tra Cisgiordania e
Gaza; quest’ultima, infatti, non riconosceva più l’autorità del
presidente palestinese Abū Māzen,che rappresentava l’anima
moderata dell’universo palestinese.
Tra
il 2006 e il 2007 si intensificavano le operazioni militari
israeliane a Gaza con l’obiettivo dichiarato di smantellare le basi
di lancio dei missili Qassam, che minacciavano Sderot, il deserto del
Negev, Ashkelon e la città costiera di Ashod. L’alleanza tra
Ḥamas, gli Hezbollah libanesi e l’Iran del presidente Ahmadinejad
potenziava la forza militare di Ḥamas, ma non risparmiava alla
popolazione della Striscia un’ennesima prova di resistenza.
Il
18 Gennaio 2008 Israele chiudeva ancora una volta Gaza in una morsa
tagliando tutti i rifornimenti: cibo, combustile, aiuti umanitari. Il
23 Gennaio alcune centinaia di migliaia di palestinesi forzavano il
valico di Rafah al confine con l’Egitto in cerca di cibo e
assistenza. Pronta ad approfittare della tragedia della popolazione,
Ḥamas alzava i toni della sua propaganda anti-israeliana per
guadagnare attenzione e appoggi nella comunità internazionale, ma
alla fine dell’anno, il 27 dicembre, Israele scatenava una nuova
guerra a Gaza. Obiettivo dichiarato dell’attacco era porre fine al
lancio di razzi sul territorio israeliano, che dal 2000 aveva
provocato 28 vittime.
Con
il cessate il fuoco del 18 Gennaio 2009 e il ritiro delle truppe
israeliane dopo l’operazione Piombo
Fuso, Gaza appariva un campo di
rovine: tra 1166 e 1417 morti il bilancio delle vittime tra i
palestinesi, e moltissime le perdite registrate tra i civili; 13 gli
israeliani morti, 10 militari e tre civili.
L’impressione
suscitata nel mondo dalla situazione a Gaza spinse il Consiglio per i
diritti umani delle NU a istituire una Commissione d’indagine i cui
risultati furono resi noti nel settembre 2009: si leggeva nella
dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non
dagli altri membri della Commissione, che Israele aveva
reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese
e forse commesso anche crimini contro l’umanità.
Il
2009, intanto, aveva fatto registrare numerosi ma sterili tentativi
di giungere a una riconciliazione tra Ḥamas e al-Fatàh con la
mediazione dell’Egitto, mentre una trattativa segreta era stata
avviata alla fine dell’anno tra Israele e i vertici di Ḥamas per
il rilascio del giovane soldato israeliano Gilad Shalit rapito il 25
Giugno 2006 da un commando palestinese dell'organizzazione penetrato
in territorio israeliano dalla Striscia attraverso un tunnel
sotterraneo.
Nel
Maggio 2010 l’attenzione della comunità internazionale fu
richiamata dall’incursione armata della marina israeliana sulla
nave turca Mavi Marmara
che navigava in acque internazionali alla testa di una flottiglia di
navi dirette a Gaza e intenzionate a forzare il blocco navale
israeliano intorno alla Striscia per consegnare aiuti umanitari e
beni di prima necessità. Nove attivisti turchi a bordo della Mavi
Marmara furono uccisi e molti
vennero feriti dopo il tentativo di resistenza violenta da parte
dell’equipaggio all’incursione israeliana. L’episodio determinò
un brusco deterioramento dei rapporti tra Israele e la Turchia,
importante alleato strategico dello Stato ebraico nella regione.
Nel
corso del 2011, malgrado i tentativi di riannodare i rapporti tra i
due paesi, permaneva uno stato di tensione, alimentato anche dal
rapporto della Commissione istituita dalle NU che pur accusando
Israele di aver ecceduto nell’uso spropositato della forza non
considerava illegittimo, come auspicato dal governo turco, il blocco
israeliano intorno a Gaza.
Nel
maggio 2011, dopo i numerosi tentativi andati a vuoto e una
recrudescenza delle violenze tra i militanti delle due
organizzazioni, i leader di Ḥamas e al-Fatàh firmavano al Cairo un
accordo di riconciliazione, prontamente criticato dalle autorità
israeliane, che fissava al 2012 le nuove consultazioni parlamentari e
presidenziali. Ma la posizione di forza di Ḥamas veniva ribadita
ancora una volta nell’Ottobre del 2011, quando l’11 del mese,
dopo cinque anni di delicati negoziati condotti con la mediazione
egiziana, i vertici dell’organizzazione e le autorità israeliane
annunciavano l’accordo sul rilascio di Gilad Shalit in cambio della
liberazione di oltre mille palestinesi prigionieri nelle carceri
israeliane. Il 18 Ottobre Shalit tornava a casa e contemporaneamente
i primi 477 detenuti palestinesi venivano liberati.
Nel
Novembre 2012 si è verificata una nuova ripresa delle ostilità
israelo-palestinesi: una nuova offensiva di Israele, nel corso
dell’operazione denominata “Colonna di nuvola”, ha provocato la
morte di A. al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, il
braccio militare di Ḥamas, seguita da numerose incursioni aeree
nella Striscia di Gaza che hanno colpito un totale di circa 1300
obiettivi e prodotto 160 morti, mentre concomitanti lanci di razzi a
opera delle forze di resistenza palestinesi interessavano Tel Aviv e
altre città israeliane. Dopo otto giorni di violenti scontri, un
accordo bilaterale per il cessate il fuoco è stato raggiunto grazie
alla mediazione del nuovo governo islamista dell'Egitto e sostenuto
dagli Usa, sebbene la tregua appaia agli osservatori internazionali
ancora molto fragile e l'OLP abbia presentato una protesta al
Consiglio di sicurezza dell'ONU per la sua violazione da parte di
Israele, dove si sarebbero inoltre registrati ancora sporadici lanci
di razzi sparati dalla Striscia di Gaza.
Nel
maggio 2014, dopo il raggiungimento di un’intesa tra al-Fatàh e
Ḥamas, le due fazioni si sono accordate sulla nomina di R.
Hamdullah a primo ministro del governo transitorio di unità
nazionale, ufficialmente insediatosi il mese successivo; le
dimissioni di Hamdullah, rassegnate nel giugno 2015 per
l’impossibilità di rendere operativo l’esecutivo all’interno
della Striscia di Gaza, e i continui dissidi interni hanno portato al
rinvio delle elezioni, mentre la Cisgiordania e Gerusalemme hanno
visto un drammatico aumento della tensione, sfociato nel settembre
2015 in una nuova ondata di violenza, poi rientrata anche grazie al
mancato appoggio delle principali organizzazioni politiche
palestinesi. Un passo decisivo verso la riconciliazione è stato
compiuto nel Settembre 2017 con lo scioglimento dell’esecutivo di
Ḥamas a Gaza e con l’accettazione da parte del movimento
islamista delle condizioni poste dall'ANP, tra cui l’indizione di
elezioni generali che comprendano anche Gaza e Palestina.
Nel
Maggio 2021 violenti scontri scoppiati a seguito dell’allontanamento
di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme hanno
provocato una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, nel
corso della quale le due parti si sono affrontate con scontri di
artiglieria e attacchi aerei che hanno provocato la morte di circa
200 individui.
La
tregua tra Hamas e Israele è stata raggiunta alla fine di Maggio,
quando esse hanno concordato il cessate il fuoco, reclamando entrambe
la vittoria, ma negli anni successivi si sono registrate varie fasi
di ripresa delle ostilità alternate a labili tregue, come
nell'Agosto 2022 e nel Maggio 2023, mentre nell'Ottobre 2023 Hamas
decide di rompere gli indugi e lancia da Gaza una nuova offensiva
contro diverse città israeliane attraverso incursioni via terra e
raid aerei, cui Israele ha risposto assediando l'area della
Striscia e bloccando le forniture di cibo, elettricità, carburante e
acqua. L’escalation militare ha aperto uno scenario di
guerra che ha generato nella comunità internazionale grande
apprensione per il rischio di una estensione del conflitto ben oltre
il contesto regionale.
18/10/2023 Giovanni
Dursi