La durata temporale delle riprese degli sport da combattimento varia in base al contesto agonistico: nel pugilato amatoriale limite è individuato in 1'30" per la categoria femminile e in 2' per la maschile, mentre negli incontri professionistici ciascun round occupa 3'.
sabato 3 agosto 2024
- Angela Carini e Imane Khelif nel tritacarne ideologico-mediatico -
mercoledì 12 giugno 2024
Elezioni 8 e 9 Giugno 2024 - Offida, case study
Cos'è questo golpe ? Io so
«Io
so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato
"golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe"
istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei
responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i
nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi
mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha
manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe",
sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine,
gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. [.
. . ]
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle
istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non
ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un
intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che
succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare
tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche
lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un
intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto
ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [. .
.]».
Pier Paolo Pasolini
Corriere della Sera, 14 novembre 1974
Come è noto, l'8 e il 9 Giugno 2024 si sono tenute le Elezioni amministrative parziali per l’elezione di diversi Sindaci e dei Consigli comunali in scadenza di mandato, nei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, programmate in concomitanza con le le decime Elezioni del Parlamento europeo con “suffragio universale” che ha consentito di partecipare a complessivi 51.198.828 elettori, molti dei quali, però, hanno diserato le urne.
Si stima, infatti, che meno di un italiano su 2 ha votato. Un evento di rilevanza storica, visto che per la prima volta in una Elezione di interesse nazionale la soglia del 50% è stata sfiorata, ma non raggiunta. L'astensionismo è la caratteristica prevalente della contemporaneità.
Come spesso è accaduto in passato, per le Amministrazioni comunali, cioé quell'insieme dei cosiddetti Organi di governo dei Comuni che prevedono un vertice monocratico (il Sindaco), un organo collegiale esecutivo (la Giunta) e un organo collegiale assembleare (il Consiglio), essendo “enti di prossimità”, Amministrazioni locali e/o istituzioni rappresentative che i cittadini percepiscono come immediatamente vicine alle loro necessità, il dato dell'affluenza è, in alcuni contesti, relativamente confortante.
In particolare, ad Offida, alle ore 23:00 di Domenica 9 Giugno, ha votato il 69,38% degli aventi diritto, in calo, in verità, rispetto al 2019, anno della precedente analoga Elezione, che ha visto esprimersi il 72,40% del “corpo elettorale”.
La Sezione che ha registrato il maggiore afflusso di elettrici ed elettori è la N. 2 (81,72%), mentre quella con minor numero di votanti è stata la N. 5 (39,30%), decentrata in località Santa Maria Goretti.
Lo scrutinio presenta 3.013 votanti, su 4.343 iscritti nelle Liste elettorali, che hanno deposto nell'urna, insieme ai voti validi, anche 51 schede nulle e 36 schede bianche.
“Offida Solidarietà e democrazia” ha ottenuto 1.790 voti, corrispondente al 61,18%, e, conseguentemente 8 seggi in Consiglio comunale e la rielezione di Luigi Massa alla carica di Sindaco.
“Obiettivi comuni per Offida”, la lista competitrice, ha ottenuto 1.136 voti, corrispondente al 38,82%, e, conseguentemente 4 seggi in Consiglio comunale.
La stampa locale, legittimamente, parla di “trionfo” per il Sindaco uscente che conquista il secondo mandato superando la soglia del 56,13% della precedente vittoriosa consultazione del 2019, e di débâcle della Lista competitrice la quale, cambiando il candidato Sindaco del 2019, D'angelo Eliano, con Adalberto Massicci, scende nella scelta dei cittadini dal 43,87% all'attuale percentuale.
Che sia chiaro, però, che il decremento di consensi non è dovuto alla “personalità” del candidato Sindaco o alla “qualità” della “squadra” che ha annoverato giovani talentuosi. Tutt'altro. La contrazione di voti rispetto alla precedente tornata elettorale, a nostro giudizio, è in parte considerevole dovuta alla tristemente reiterata pratica del “trasformismo”.
Tale prassi che affligge il sistema politico italiano, è stata inaugurata da A. Depretis (1813–1887). Essa consisteva nel formare di volta in volta maggioranze parlamentari intorno a singole personalità e su programmi contingenti, superando le tradizionali distinzioni tra “destra” e “sinistra”. Di tipo trasformistico fu considerata anche la concessione di favori alle consorterie locali in cambio del sostegno parlamentare praticata da F. Crispi e G. Giolitti.
Anche nel microcosmo contemporaneo di Offida, seguendo le mosse di alcune figure di ex oppositori al Sindaco in carica, nel precedente quinquennio, si nota che essi prima creano un monogruppo, distaccandosi dalla Lista d'opposizione nella quale si è stati eletti per poi proporsi come portatori d'acqua alla ricandidatura del “primo cittadino”, aderendo al programma dell'ex maggioranza contrastata fino ad un certo punto.
Una tradizione, quella del “trasformismo”, che andrebbe definitivamente superata. È lecito porsi la domanda: in cambio di cosa la camaleontica abilità viene messa in campo ? Staremo a vedere.
La “lettura” suindicata dell'esito del voto per il rinnovo degli organi politico-amministrativi comunali è, evidentemente, limitata ai dati meramenti numerici – e non ci si appelli allo stereotipo secondo il quale in “democrazia” i numeri son tutto; sono certamente decisivi, ma non chiarificatori di per sé della dinamica sociale sottostante che genera flussi altalenanti, disaffezione, aggregazioni estemporanee di volontà, differente disponibilità di mezzi e difforme capacità comunicative.
Inoltre, la “lettura numerica” risulta essere non obiettiva, poiché, in realtà, i 1.330 elettori “dispersi” che non si sono recati alle urne, unitamente agli 87 “contestatori” (schede nulle e bianche sono, ufficialmente “voti non espressi”), non sono fantasmi, ma cittadini portatori di diritti ed interessi da considerare.
In buona sostanza, quest'ultimi costituiscono numericamente – allo stato attuale - la “seconda forza politica” della cittadina.
In secondo luogo, questa è l'argomentazione cruciale a mio parere, comparando i risultati offidani delle Elezioni europee con quelle comunali, s'inizia a comprendere davvero la dinamica sociale, la “struttura” che genera e distribuisce “consensi”.
Ciò, probabilmente, può consentire d'aprire l'analisi del voto a prospettive di radicale cambiamento migliorativo del “civismo”, quell'alto senso dei proprî doveri di concittadino che deve detenere chi ricopre incarichi istituzionali di rango rilevante (Sindaco, Assessori, quest'ultimi non necessariamente eletti, Consiglieri comunali, membri dei Consigli d'Amministrazione di Aziende pubbliche) che spinge a trascurare o sacrificare il benessere proprîo o della proprîa “parte” per l’utilità comune.
Pertanto, facendo coincidere, come ipotesi, “Offida Solidarietà e democrazia” con la prevalente “area politica” del PD, i voti ottenuti in Offida sono 888 (32,52%); il Partito democratico, alle elezioni europee è tallonato da Fratelli d'Italia che ha ottenuto 841 voti (30,79%). Il Movimento 5Stelle ottiene 367 voti. Considerando, inoltre, i voti (168) di Forza Italia, (128) Lega e (111) Aleanza Verdi e Sinistra, limitandoci alle maggiori forze politiche, si può evincere un congruo numero di voti “in libera uscita” che gratificano – transitando verso le Elezioni comunali - la Lista del Sindaco rieletto.
Dalla configurazione di quanto ottenuto, alle europee, dai singoli Partiti, si coglie nettamente un dato: che il Sindaco rieletto di Offida è stato prescelto da cittadini ben al di fuori della subcultura politica d'appartenenza.
La “quaestio” può essere interpretata in modo palindromo.
In senso inverso, infatti, ma l'operazione posta in essere mantiene immutato il significato: Il Partito del Sindaco è sostenuto da chi nazionalmente e per l'elezione dei rappresentanti italiani in Europa vota le “destre”, anche le più retrive, quali la Lega che ha candidato a Bruxelles un esponente del revanscismo neofascista. Il bacino dei voti ove il Sindaco “pesca” è costituito da un “campo”, forse indigesto sul piano etico-pilitico, ma senz'altro redditizio.
Se l'ipotesi ha un suo ancoraggio alla realtà dei fatti, si devono porre pubblicamente alcune domande: Perché accade che un votante offidano di Fratelli d'Italia, ad esempio, vota un Sindaco di “sinistra” ? Perchè ciò avviene, peraltro, quando il vento di “destra” - in Europa, con l'attuale Governo, con la Giunta regionale delle Marche - soffia forte ? Che reciproche “convenienze” ci sono in ballo ? Il “mercato” elettorale sta facendo coincidere l'offerta politica di chi gestisce la dimensione territoriale politico-amministrativa con le domande e richieste dei cittadini dipendendo da come essi la “pensano” ? In che modo le odierne difficoltà di bilancio dell'Amministrazione comunale sono correlate alla pressione di infimi o estesi condizionamenti ?
Ancora: L'andazzo ipotizzato costituisce una strategia per stabilizzare il potere locale da parte di un coagulo di interessi che vanno tutelati perpetuando il dominio sulla macchina amministrativa e le sue articolazioni funzionali sul territorio ed impedendo in questa guisa alla cittadina un definitivo slancio civile ?
L’élite economico-politica e culturale locale, mutatis mutandi, ha, fino ai nostri giorni, replicato la gerarchia di comando tipica dell’organizzazione medievale delle vite - un “assolutismo” che prevede privilegi ed esclusione sociale – mai tramontata ?
Una conferma, presumibilmente, è data, ad esempio, dal “personale tecnico-politico” che “nelle parole” si è posto come innovatore, peraltro sempre lo stesso. Domandarsi è lecito se gli “uomini” che hanno inteso rappresentare l'Amministrazione, di fatto, sono stati espressione della “cultura” paternalista, clientelare e concessiva, a volte anche autoritaria in grado di “parlare” di diritti, ma mai di fuoriuscire dalla dimensione retorica top down di chi pretende un mandato dal popolo, ma che per estrazione e formazione, non appartiene al mondo del lavoro in senso stretto (dal latino “fatica”, opera di mano e poi anche d’ingegno, cose fatte o da farsi operando), bensì a quello delle “libere professioni” che è predisposto a “fare cartello” politico-affaristico.
La città è in fase drammaticamente implosiva (aspetto demografico, in primis) perché si è identificata per molto, troppo tempo con l’autoreferenziale “ceto” partitico dirigente la “cosa pubblica”; quest’ultimo ha legato – soggiogandola in modo quasi indolore – la sua comunità di riferimento a vincoli “storici” o consuetudinari rendendo la residenza abitudinale di migliaia di persone nel territorio ed anche la presenza estemporanea dei cosiddetti variegati “city users”, occasione ghiotta per perpetuare lo status quo, per manipolare l’identità dell'Amministrazione e l'erogazione dei servizi pubblici difendendo solo gli interessi di pochi ?
Sappiamo però che una città oligarchica, per definizione, non è una città libera.
Gli “interessi territorialmente e socialmente vasti” coincisero allora e coincidono ancora oggi con “interessi politicamente ristretti” ?
Il
“caso” Offida per i trascorsi e per un'auspicabile soluzione di
continuità merita attenzione. Si deve evitare una deriva
familistico-amorale che ricorda i fasti, da un lato, del modello
abruzzese (il riferimento è a Remo Gasperi), dall'altro, del blocco
economico-sociale “cooperative-banche e
assicurazioni-sindacati-poteri pubblici-Partito” (il “modello
emiliano-romagnolo) che ha sposato da decenni l'aziendalismo
soffocando le radici egualitarie e solidaristiche della subcultura del movimento operaio.
Nella trasparaenza ricercata, ciascuno faccia la sua parte.
Prof. Giovanni Dursi
giovedì 25 aprile 2024
Quale 25 Aprile ? Il Governo censura il 25 Aprile, come fosse una fiction
In
Italia, gli scioperi del marzo 1943, il bombardamento di Roma del
luglio e la caduta, nello stesso mese (25.7.1943), del fascismo
promuovono il cambiamento.
In effetti, la fine delle ostilità in Italia e quindi la totale liberazione del territorio nazionale sono arrivate il 3 maggio 1945. Si preferì invece orientarsi verso il giorno in cui il (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) chiamò il popolo italiano all’insurrezione nei territori ancora occupati dai tedeschi e al tempo stesso si affermò come un’unica autorità nazionale legittima. Scegliere il 25 aprile significava quindi celebrare non soltanto la fine della guerra e dell’oppressione nazifascista, ma anche riconoscere il valore e l’importanza del movimento partigiano.
La differenza non è da poco: un conto è auspicare la fine della guerra e il ritorno alla normalità, un altro è aderire ai valori e all’iniziativa della Resistenza. In questo senso, l’istituzionalizzazione del 25 aprile, la sua accettazione da parte di tutti gli italiani, si è presentata più ardua rispetto ad altre memorie civili.
Anche a causa d'una idea - la cosiddetta "pacificazione nazionale" - che sterilizzò la lotta di classe.
Egli presentò il provvedimento di clemenza come giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale”.
Ad 80 anni di distanza, l'Italia ha un Governo ed alte cariche istituzionali comprensivi di neofascisti.
Gli italiani, da circa due anni, sono catapultati in una simulazione bellica, in una sorta di Civil War [1], talora ispirata alla ricostruzione di battaglie del passato, eseguita nelle paludate forme del journalism mainstream media.
I cittadini, obtorto collo, sono trattati da spettatori di un'esercitazione strategica che allude sempre più con evidenza a forme repressive, avendo constatato – gli attuali detentori del potere politico - il fallimento del primo livello di controllo sociale costituito da forme di persuasione alla conformità ed alla passività.
Con l’ausilio di mappe politiche simili a liste di proscrizione e strumenti elettronici, l'attuale Governo sta mettendo sul terreno provocazioni politico-giudiziarie consistenti nella ricostruzione di azioni di violenta lotta politica del passato, o nell’invenzione di battaglie di fantasia, usando plastici o tavolieri, nel qual caso si parla di board war game «gioco di simulazione strategica da tavolo», lasciando andare in malora la cura statuale del Paese.
Esponenti del Governo, diuturnamente, in primis Giorgia Meloni, riproducono scenarî reali e sui quali si muovono pedine di cartone o riproduzioni in miniatura di soldati, armi e mezzi bellici per avviare e mantenere alto il livello di “distrazione di massa” le cui caratteristiche corrispondono, nella finzione del gioco, a quelle reali.
Abbiamo
già riferito sulle “[...] recenti, presunte, epurazioni RAI,
così interpretate, ad imperituro “dileggio” di chi del canone si
serve per perpetuare il sistema di potere anche mediatico, quindi di
rango costituzionale (ai sensi dell'art. 43 della Costituzione)
trattandosi di “servizio pubblico” televisivo, ad esclusivo
vantaggio di parte.
Poca dignità in chi pratica – attualmente,
la destra di Governo che arriva a detenere, di fatto, sei reti
televisive nazionali, il monopolio RAI-Mediaset – lo spoils
system
[…]” [2].
Così come abbiamo già denunciato la via giudiziaria contro il dissenso, praticata come “[...] una modalità di rapporto che si sta consolidando tra Esecutivo ed intelligencija, quella “giudiziaria” […]” con espliciti intenti intimidatori e di censura, con riferimento particolare, ma non esclusivo, alle querele onerose per diffamazione avanzate da Giorgia Meloni a Roberto Saviano e al Prof. Luciano Canfora [3]. Questo andazzo si sta allargando: sta avvenendo, senza essere esposti ai riflettori, in tanti casi di revanscismo giudiziario contro liberi pensatori, anche a livelli più bassi delle gerarchie sociali.
Dai “giochi di simulazione”, si sta passando a vie di fatto, ad una rivincita negazionista, si sta mettendo a rischio il racconto pubblico delle verità storiche, impedendo di parlare a chi s'azzarda a rievocare i fatti originari della Repubblica democratica italiana.
Antonio Scurati [4] non ci potrà essere in studio a “CheSarà”, programma di Rai3 bloccato da vertici della Rai a 24 ore dalla messa in onda, con il monologo sulla memoria del 25 Aprile, la più importante di altre ricorrenze laiche paradossalmente proprio per il suo carattere al tempo stesso unitario e divisivo: è una celebrazione per la riconquistata democrazia, per la libertà e l'indipendenza nazionale, ma è anche una giornata solenne contro il fascismo, contro la dittatura, contro la guerra.
Il testo del monologo è stato condiviso da Giorgia Meloni sul suo profilo Facebook, 'perché chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno', dichiara tronfia e prosegue: “in un'Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso. Stavolta è per una presunta censura”.
In secondo luogo, Meloni ignora volutamente il dato che il messaggio televisivo – a fronte di 120 milioni di schermi digitali, di cui oltre 97 milioni connessi - è d'impatto ben superiore alla veicolazione di contenuti tramite i social network, che caratterizza la fruizione in modo marcatamente individuale, personalizzata, e, tipicamente, in mobilità di non tutto il potenziale target di cittadini-elettori. Proprio la moltiplicazione degli schermi ha segnato, negli anni, la riconferma del mezzo televisivo quale medium più utilizzato per essere informati.
Se ne può concludere, che la censura da parte del potere politico ha due risvolti: uno eclatantemente epurativo, soppressivo, eversivo, l'altro subdolamente manipolatotorio, da gioco di simulazione “delle tre carte”.
La grande cavalcata della maggioranza partitica al Governo del Paese verso il cosiddetto “premierato” [5], passa anche da queste sgrammaticature costituzionali.
Il Presidente della Repubblica sarà ridotto a un notaio che esegue gli ordini del Capo del Governo. La maggioranza parlamentare, assicurata non come rappresentanza reale del voto degli elettori, ma dal meccanismo maggioritario, potrà di fatto dominare ogni nomina parlamentare nella Corte Costituzionale, nel Consiglio Superiore della Magistratura e nella stessa elezione del Presidente della Repubblica, che quindi non rappresenterà più l’unità nazionale. Anche il venire meno della rappresentatività più larga possibile di questi organi di garanzia, costituisce un rischio per la stabilità dell'assetto democratico. Stabilità del governo, stabilità del Paese, stabilità della democrazia non coincidono, né sono assicurate dalla elezione diretta del “premier”.
L’unica cosa che viene assicurata è il suo potere personale. L’esasperata personalizzazione della politica è la malattia non la cura: una democrazia è più forte se è più partecipata. Come si fa a non essere d'accordo con l'A.N.P.I. ?
Il 25 Aprile va ricordato, ogni anno. Ricordato in tutti i suoi aspetti a valenza storica: nei 20 mesi in cui si sviluppa la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – i quali non esitano, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell'esercizio della brutalità –, infieriscono nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane. Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l'analisi dettagliata che ha prodotto l'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – sono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell'arco cronologico che va dal Luglio 1943 al Maggio 1945.
Si è certi che la Meloni, rintanata nel suo protettivo polverone ideologico, ha sottoposto ad oblio questi fatti. Di questo oltraggio ne dovrà rispondere.
25/04/2024 Giovanni Dursi
________________________________________
1 Intenzionale citazione del film di Alex Garland, in questi giorni nelle sale, che descrive come gli U.S.A. siano devastati da un conflitto interno visto da due fotoreporter.
2 G. Dursi, Spoils system RAI e legge del contrappasso, mentinfuga.com, 23 Maggio 2023.
3 G. Dursi, Governo Meloni: la via giudiziaria contro il dissenso, mentinfuga.com, 15 Febbraio 2024.
4 Scrittore italiano (1969). Ricercatore presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM), ha affiancato all’attività accademica la scrittura letteraria.
5 P. Esposito, Quer pasticciaccio brutto del premierato, mentinfuga.com, 4 Aprile 2024; S. Bonfiglio, Il “premierato elettivo” e la clausola “anti-ribaltone”, mentinfuga.com 9 Febbraio 2024.
martedì 3 gennaio 2023
A proposito di “Peace & Love” - “Linguaggi” post-moderni di pace, trasformazione sociale e “sinistra” frustratamente extraparlamentare
La simbologia che ha storicamente accompagnato l'universale rivendicazione di pace – a partire dal 21 Febbraio del 1958 quando, con notevole rilievo sociale, un mobilitazione di massa sostenne iniziative per il disarmo nucleare - trova oggi nello slogan “Peace & Love” un punto d'approdo di certa leadership della cosiddetta “sinistra” frustratamente extraparlamentare.
Alcuni esponenti di vertice di tale “sinistra” dimenticano il fatto - o si mostrano sprezzantemente non curanti dello stesso - che l'iconografia ed i “messaggi” del pacifismo (ad esempio, “fate l’amore, non la guerra”) sono stati del tutto riassorbiti dalla logica mercantile del capitalismo maturo che dell'epopea degli hippie e delle aspirazioni insurrezionali del Sessantotto novecentesco ne hanno fatto prodotti di consumo, dal brand Moschino alla Disney Pixar, per limitarci ad alcune aziende che operano globalmente.
A nostro giudizio si è giunti al parossistico approdo concettuale e pratico di parte di tale “sinistra” che prima distorce, poi confonde, infine riutilizza un'accozzaglia di teorie, di linguaggi, di atteggiamenti anche storicamente rilevanti, in modo indubitabilmente vanaglorioso, eclettico (nel senso di incoerente orientamento cognitivo che non segue un determinato sistema o indirizzo di indagine, ma che preferisce scegliere ed armonizzare arbitrariamente principî e congetture che ritiene migliori tra diverse narrazioni teoriche), tendendo nella sostanza a sostituire un percorso d'alternativa politica al capitalismo (teorico-politico ed organizzativo) con un lavoro pseudoculturale d'enfatizzazione di idee e pratiche che possono essere eventualmente considerate un'alternativa di costume all'interno del sistema capitalistico di produzione e riproduzione della vita, quindi assolutamente compatibile con la stratificazione classista della società e con il suo portato d'estrazione costante di plusvalore, “l’eccedenza del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione”.
I dirigenti di siffatta “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, sono vanagloriosi, infatti, quando esprimono un sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui ambiscono al consenso immediato – si potrebbe dire irriflessivo - per meriti inesistenti o inadeguati circa le sorti del mondo e delle classi subalterne. “Peace & Love” ad abundantiam sui social network come richiamo per le allodole, come spudorata espressione di un eclettismo che niente di buono prevede per le classi subalterne. La vanagloria immanente a simili scellerate mediatiche posizioni finisce con il produrre un vero e proprio cortocircuito di natura quasi teologico-morale a matrice cattolica, impedendo d'affrontare con coraggio un attuale e cogente ripensamento critico-politico della trasformazione sociale. Conseguentemente, l'eclettica leadership che confonde l'alternativa di costume con quella politica non affida al marxismo ed al leninismo il compito di interpretare teoricamente e strategicamente le contraddizioni economico-sociali in essere, attardandosi, in modo incongruo, in un immoderato desiderio di manifestare la propria bontà umana (rivendicando un indistinto afflato di pace e amore) e in tal guisa ottenere il rispetto delle umane genti, di quegli homines dei quali si trascura la reale e tragica sussistente condizione di classe.
La coscienza della suindicata “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, che incarna una aspetto d'ell'idealismo post-moderno (una sorta di variabile politico-ideologica del cosiddetto «pensiero debole») esemplificato dalla comunicazione sociale della sua leadership, si palesa, dunque, alla maniera di un pan-pacifismo che, come la coltre bianca della neve, tutto copre occultando i diversi profili del variegato territorio sottostante rendendolo suggestivamente e morfologicamente equivalente.
Come è possibile definirsi di “sinistra” o, addirittura, comunista non condividendo la seguente apertura d'analisi della questione: “Il capitalismo prepara, come sempre, le condizioni della guerra. Si può dire di più: il capitalismo è di per se stesso la guerra e, siccome tutto il mondo è capitalistico, la guerra è oggi la condizione permanente dell'umanità. Dal primo decennio del secolo lo sviluppo del capitalismo ha finito d'essere relativamente pacifico perché è stato questo sviluppo stesso a produrre l'imperialismo e a far sì che i paesi capitalistici più sviluppati avessero la forza economica, e quindi militare, di imporre le loro necessità di espansione e i loro interessi ai paesi capitalistici meno sviluppati e quindi più deboli o a paesi coloniali i quali subivano un processo di diffusione del capitalismo nel loro interno” (rif. L'imperialismo unitario, Capitolo XII, "Il nemico è in casa nostra" 1965-1968, Arrigo Cervetto, 1950-1980) ?
In secondo luogo, la deriva evangelico-pacifista sembra spazzare via, sottoporre ad oblio tutto quello sforzo di ricerca etico-politica, nell'ambito del materialismo storico, di Ernst Bloch secondo il quale “il futuro si caratterizza non tanto per essere ciò che supera uno stadio precedente in una scansione dialettico-evolutiva e progressiva; si caratterizza cioè non come ciò che annuncia un regno dei fini sia di segno religioso che politico-ideologico. Il futuro, nella prospettiva blochiana, è ciò che non è ancora. Anzi, grazie alla straordinaria intuizione della Ungleichzeitigkeit (la non contemporaneità dei tempi storici) il futuro può essere anche ciò che non è stato e che poteva essere, il futuro di un passato che non si è manifestato nella sua positività e che può ancora infuturarsi” (cit. Giuseppe Cacciatore, “Bloch e l’utopia della Menschenwürde”, b@beleonline, in Rivista online di Filosofia, n° 5, 2019, pagine 111-122). Per opporsi a questa potente critica al pan-pacifismo, a nulla può valere ricordare che Bloch, dopo i fatti di Ungheria del 1956, si trasferì nella Repubblica Federale di Germania, perché la questione etico-politica - esattamente come da Bloch posta - resta intonsa, affatto logorata.
Inoltre, seguire il trend dell'opposizione retorica e, quindi, inefficace della “sinistra”, frustratamente extraparlamentare, al sistema vigente di cose, vuol dire macchiarsi di un grave torto d'ingratitudine nei riguardi di chi ha avviato, passando per Hegel, un percorso significativo di innervamento del marxismo (Mein Weg zu Marx la definì il filosofo ungherese al quale si fa riferimento) nella contemporaneità, così come analogamente operò Antonio Gramsci, collocando la ricerca della verità dal punto di vista storico-politico proletario.
Ci si riferisce a György Lukács (rif. Tattica e etica, 1919 e La distruzione della ragione, 1954), ad un antropocentrismo da lui proposto che può sfociare, distante dalla filosofia morale di Kant (che promuove l'intenzionalità esplicantesi come prescrittiva), e lo orienta, senza titubanza, nel centro della concezione storico-dialettica di Marx, quella del sovvertimento antagonistico-duale necessario dei rapporti sociali, perseguendo l'ineguagliabile scopo di riferirsi al soggetto subalterno socialmente in grado di sollevare le sorti dell'intero genere umano, aspirando così a compiere un tangibile percorso storico realmente garante di pace e di solidarietà (cfr. “La lezione radicale di Lukács”, Lelio La Porta, il manifesto, 3 Giugno 2021).
Prof. G. Dursi
sabato 19 novembre 2022
Effìmere le età della vita. In particolar modo lo è diventata quella adolescenziale
Ciò comporta un’inefficace (dal punto di vista dell’adattamento graduale alle forme di vita e d’assunzione di responsabilità sociali), estenuante formazione permanente, disambientamento e flessibilità, tali da non poter mai mettere integralmente a frutto quanto appreso, tali da non riuscire a sperimentare le proprie competenze, da non poter applicare un saper fare coerente con le proprie conoscenze.
Effìmera è, dunque, l’adolescenza, sapendo però che effìmero, etimologicamente deriva dal latino tardo ephemĕrus, dal greco ἐϕήμερος, composto di ἐπί «sopra» e ἡμέρα «giorno», a significare ciò che dura un solo giorno, come certe febbri. Tuttavia, nonostante che con uso sostantivato, l’effimero designa ciò che è o si considera di breve durata, transitorio, perituro, si può constatare, osservando giovani vite, un nocivo perdurare in uno stato di indefinitezza, in uno “sdraiarsi” anche consapevole, in molti casi, nell’alveo delle incertezze, delle indecidibilità, nel vago bearsi di una “dimensione” privata, intima, quasi non esistesse un mondo da affrontare, “leggere”, seppur con difficoltà, ed interpretare, allo scopo di vivere appieno la propria, unica, vita. Egocentrati in tal modo, rispetto a ciò che appare loro incomprensibile, viene radicalmente ignorato, trascurato, ciò che non è chiaramente percepibile o esprimibile, viene tralasciato, sottoposto ad oblio. Nulla esiste, ai loro occhi, se non quel “mondo” ristretto, concentrato nelle faccende microaffettive, domestico-territoriali, ignari altresì d’essere sempre eterodiretti, nei comportamenti effettivi adottati nell’universo concentrazionario ove agiscono, dalle rappresentazioni sacralizzate della realtà offerta dai media.
Quasi mai s’assiste all’esplosione desiderante di riflessioni, di voglia di leggere (letteralmente) oltre che di consumare, di ribellarsi al giogo degli stereotipi e degli algoritmi sociali, anche nelle componenti più scolarizzate della popolazione adolescente. Un fenomeno disastroso che racchiude l’immane spreco di energie giovanili, una configurazione psichica ispirata alla grettezza di immediate soddisfazioni (prevalentemente di natura materiale), una negazione di progettualità ed impegno, un sopravvivere banalmente, una sostanziale e costrittiva spirale derealizzante, con l’evidente precipitare nell’estesissima povertà lessicale quantomeno per “dire di sé”.
Il termine effìmero, non casualmente, è stato usato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 del Novecento per indicare un insieme di manifestazioni culturali o ricreative, di carattere spettacolare e di breve durata, promosse, nell’ambito di una politica di valorizzazione dei centri storici, dagli assessorati alla cultura di alcune grandi città italiane, accanto e in antagonismo ad attività istituzionali e permanenti.
Bene. Per le ragioni esposte, l’effìmera transizione identitaria - caratteristica dell’adolescenza - in ogni caso non va individualmente lasciata alla deriva, ad un sociomorfismo di tal fatta, esprimendo rassegnazione alla “non cultura”, limitando il proprio ingegno, consegnandosi mani legate all’offerta alienante dei media, alla introiezione di modelli standardizzati buoni a declinare frustrazioni e straniamento.
Gli adulti, gli “esperti”, coloro che possono lasciare un “segno”, che fanno in proposito, cosa mettono in campo per immunizzare i giovani ? Spesso la risposta è “laissez faire, laissez passer”, in perfetta sintonia con lo spirito dell’imperante liberismo economico.
mercoledì 12 ottobre 2022
LA GUERRA e IL DOLORE
Guerra. L’alacre “officina della guerra” non va ridotta a fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi sociali contrapposti organizzati per ottenere la supremazia. Certo, è presente anche questo aspetto che autorizza i poco accorti a distinguere i contendenti in “aggressori” e in “aggrediti”.
In realtà, le trasformazioni cui è stata soggetta la guerra tradizionale nel XX secolo portano a un profondo ripensamento di tutte le categorie con le quali tradizionalmente gli studiosi delle varie discipline hanno affrontato i temi della guerra, delle sue cause, della sua legittimità, del suo contesto, del suo rapporto con la politica e dei possibili modi per costruire la pace attraverso il diritto internazionale e gli organismi sovranazionali esplicitamente preposti.
La guerra nello scenario internazionale ha avuto le sue più significative espressioni negli innumerevoli conflitti tra Stati che hanno costellato l’età moderna e contemporanea e sono culminate nelle deflagrazioni mondiali del Novecento (1914-1918 e 1939-1945). Strettamente legata alla vicenda dello Stato moderno, questa forma di guerra ha conosciuto imponenti mutamenti nel corso dei secoli, i quali in ultima analisi hanno trasformato le ‘guerre limitate’ dell’età moderna nelle ‘guerre assolute’ o ‘totali’ dell’età contemporanea, in cui si è fatto un uso di armi sempre più sofisticate e distruttive, hanno combattuto eserciti di popolo e non più solo o prevalentemente di professionisti, nel quadro di un crescente coinvolgimento dei civili nell’evento bellico; in cui, infine, le logiche tradizionali della politica di potenza si sono sposate con le retoriche di massa della nazione e dello Stato nazionale, del nazionalismo e dell’imperialismo oggettivamente espansionistico e bellicista di matrice capitalista, a tal punto da gradatamente superare il ruolo politico nelle decisioni strategiche degli Stati e dei Governi; essi, fagocitati, le lasciano, inerenti alla dialettica guerra-pace, direttamente nelle mani dei soggetti economici multinazionali, considerando anche che le ‘guerre assolute’ hanno avuto il proprio archetipo nelle guerre napoleoniche e la loro più compiuta manifestazione nelle due guerre mondiali.
Per comprendere appieno la mutata fisionomia del bellicismo novecentesco, si ribadisce l’invito all’utile lettura de “L'officina della guerra - La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale” di Antonio Gibelli (Bollati Boringhieri, 2007), dove l’inestricabile intreccio economia-tecnica-società-condizione umana viene descritto con estrema chiarezza e competenza storiografica. Come viene presentata l’opera, «indagare sul processo di adattamento di milioni di uomini alla realtà della Grande Guerra - una guerra smisurata, radicalmente nuova, la prima guerra tecnologica di massa - è l'obiettivo che si pone l'autore per capire il primo conflitto mondiale e i mutamenti che segnarono l'avvento della modernità. Il libro non si occupa dell'"esperienza di guerra" in senso circoscritto. Ciò di cui milioni di uomini fecero simultaneamente esperienza tra il 1914 e il 1918 non era solo la guerra, ma il mondo moderno: un mondo pienamente pervaso dall'industrialismo e dai principi di efficienza e standardizzazione, in cui lo Stato si insediava capillarmente nella vita privata e nell'interiorità di ciascuno mobilitando sentimenti, immagini, nuove forme di comunicazione. Un mondo in cui si affermavano la scrittura e la fotografia, il grammofono e il cinema. L'esperienza della guerra è perciò vista in stretto contrappunto con quella del lavoro: il lavoro della guerra era una nuova manifestazione delle condizioni del lavoro nella società industriale. Strumenti essenziali per quest'analisi sono le testimonianze scritte (epistolari, diaristiche, memorialistiche) dei fanti e accanto a esse, intrecciate con la memorialistica colta, le testimonianze di medici, psichiatri, psicologi che permettono non solo di esplorare il versante traumatico del conflitto, ma di penetrare nella loro soggettività e di delineare i contorni di quel "mondo nuovo"».
Negare l’integrazione delle dimensioni (economica e politico-militare) intervenienti a configurare la “logica della guerra” è un modo più o meno consapevole di ideologizzare i conflitti, non interpretarli per quel che sono, di banalizzare le sofferenze e di proiettare i propri frustranti fantasmi su un nemico rimuovendo gli altri, determinanti nemici, auspicando la personale salvezza, quella sorta di dostoevskijana salvezza oltre ogni intendimento; qui, l’intendimento è l’onesto riconoscere che l’unica peculiarità delle guerre attuali è che esse si spiegano a partire dalle convulsioni immanenti al mercato capitalista globale, essendo egemone il modo di produzione e riproduzione capitalista, portatore unico di interessi economici nella strutturazione delle relazioni internazionali, fino alla capitolazione degli stessi singoli competitori, in questo singolare acquario planetario ove si rischia di morire per decadimento radioattivo.
In effetti, dopo il secondo conflitto mondiale si è aperta una nuova fase nella storia della guerra con l’avvento della contrapposizione tra Stati Uniti d’America e Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e tra i loro rispettivi blocchi. Le prospettive della guerra si sono sganciate dall’orizzonte tradizionale dello Stato-nazione per svilupparsi in una dimensione sovranazionale o transnazionale, caratterizzata dal confronto-scontro tra due sistemi di alleanze militari (NATO e Patto di Varsavia) cementati dalle due ideologie del capitalismo liberaldemocratico e del comunismo “realizzato”. Questo confronto-scontro ha dato luogo a un’inedita condizione intermedia tra la pace e la guerra definita, in relazione all’età del bipolarismo (1945-91), come guerra fredda. A questo esito ha contribuito in modo paradossale l’avvento dell’era nucleare. Con la creazione di giganteschi arsenali di armi atomiche e poi termonucleari in grado di annientare in pochi minuti la gran parte del genere umano, senza distinzione tra vincitori e vinti, USA e URSS hanno infatti finito per rendere impensabile la possibilità stessa di una guerra generale e per impostare la propria coesistenza su un ‘equilibrio del terrore’. Venendo meno questo tipo di “bilanciamento”, la supremazia mondiale del capitalismo U.S.A. e la subordinazione ad esso dei tanti vassalli, ha fatto si che la voracità e la natura selvaggia, immodficata nei secoli nonostante involucri pseudodemocratici che hanno inteso dissimulare, “costringere” le insite contraddizioni sistemiche, del meccanismo di estrazione di profitti sia l’unica matrice nel XXI delle evenienze storico-sociali a tal punto da alimentare la distruzione di ulteriori suoi interpreti o da non permettere leadership mondiali alternative al comando capitalistico “occidentale”.
Dolore. Il dolore di un popolo, inteso nella sua eventuale identità collettiva, non può essere descritto. Il dolore, in questa interminabile epoca condizionata dai rapporti economico-sociali improntati dal modo di produzione e riproduzione capitalista, è eminentemente individuale per quanto possa “riconoscersi” per intensità lacerante, annichilente a quello dei propri simili. Il dolore non è intercambiabile, standardizzabile, è intimo, ineguagliabile, di impatto irreversibile sul quotidiano di miliardi di persone. Non è dunque equiparabile, tantomeno esclusivo di questa o quest’altra etnia, soprattutto quando ci si riferisce a quelle tremende sofferenze indotte dalle guerre. L’intelligenza e l’etica dell’osservatore risiedono, dunque, non nel parteggiare, bensì nell’immedesimarsi ed accettare che, date certe condizioni estreme di coscienza, anche dare la morte procura dolore.
“Il dolore è un'esperienza forzata e violenta dei limiti della condizione umana. È una figura aliena e divorante che non lascia requie con la sua incessante tortura. Paralizza l'attività del pensiero e l'esercizio detta vita. Pesa sul gioco del desiderio, sul legame sociale. Altera il senso della durata e colonizza i fatti più importanti della giornata, trasformando la persona in uno spettatore distaccato che fa fatica a interessarsi all'essenziale. Il dolore isola, costringe l'individuo a una relazione privilegiata con la propria pena. Al tempo stesso, è una minaccia temibile per il senso d'identità: lacera la coscienza e schiaccia l'uomo su un senso dell'immediato privo di prospettiva, dandogli l'impressione che il suo corpo sia altro da sé. Incomunicabile, il dolore suscita il grido, il lamento, il pianto o il silenzio, tutti fallimenti della parola e del pensiero. Ma il dolore può anche essere mezzo di espiazione o manifestazione di fede - come nella tradizione religiosa cristiana - o strumento di affermazione identitaria o sociale, ad esempio quando inscrive nella carne la memoria di una filiazione e di una fedeltà alla comunità, come accade agli iniziati di una società tradizionale. Ci sono poi usi del dolore che si alimentano della disparità delle forze tra gli individui: la correzione, la punizione personale, la tortura, il supplizio. L'arte di far soffrire l'altro per umiliarlo o annichilirlo è inesauribile. Il dolore inflitto ne è lo strumento privilegiato, archetipo stesso del potere sull'altro. Il proposito [dell’analisi del dolore] è di approcciare il dolore su un piano antropologico, di chiedersi come influisca sulla condotta dell'uomo e sui suoi valori, sulla trama sociale e culturale in cui è immerso. Tutto ciò, però, senza dimenticare che se l'uomo è una conseguenza delle sue condizioni sociali e culturali, è anche il creatore instancabile dei significati con cui vive” (Fonte: David Le Breton, “Antropologia del dolore”, 2016).
Aspettiamo che i sostenitori zelens'kyjani entrino in un ottica di rispetto delle vittime del capitalismo, del dolore forzato, causato dal napalm, dai bombardamenti “convenzionali” e dal vigente ed esclusivo sistema di sfruttamento.