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domenica 13 settembre 2020

Lettera aperta alla Ministra Lucia Azzolina - 14.09.2020

Lettera aperta

alla c. a. Ministra della pubblica istruzione, Lucia Azzolina

alla c. a. Viceministra On. Dott.ssa Anna Ascani

alla c. a. Sottosegretario Dott. Giuseppe De Cristofaro

Una delle conseguenze più drammatiche degli effetti della epidemia riguarda l’incremento complessivo dei decessi. Questo è quanto emerso già il 4 Maggio dal Rapporto ISTAT-ISS “Impatto dell’epidemia COVID-19 sulla mortalità totale della popolazione residente”. Nel primo trimestre dell'anno, si osserva a livello medio nazionale una crescita del 49,4% dei decessi per il complesso delle cause.



La mortalità così estesa che ha lambito le vita degli italiani, è il terrifico dato dal quale prendere le mosse per riflettere anche sulla scuola, certo senza lasciarsi irretire dall'emotività, dal dolore.

Attraverso il dolore condiviso stiamo riscoprendo il valore inestimabile dell'esistenza di ciascuno e dell'importanza delle relazioni nella polis. Tuttavia, rammarico e irritazione sociali sono legittimati dal fatto che – come in tante occasioni di disastri “naturali” è già accaduto – andando oltre lo stereotipo dell'imponderabile, scopriamo anche in questa circostanza che la virulenza insita nel dramma occulta responsabilità istituzionali e personali nell'amplificare il “danno”. Esattamente come nel caso dei terremoti che fanno soccombere migliaia di persone sotto le macerie perché gli edifici crollati non rispettavano criteri di costruzione antisismici, come nel caso del dissesto idro-geologico che evidenzia l'urbanizzazione selvaggia che ha favorito insediamenti a rischio, come nel caso di produzioni dannose per la salute pubblica e sconvolgenti l'equilibrio ecosistemico (riferimenti esemplificativi: Taranto e la valle di Bussi in Abruzzo).

È evidente – basta citare il dato dei medici ed infermieri morti che solo sei mesi fa avevano una diversa prospettiva di vita – che anche l’epidemia COVID-19 è stata colpevolmente affrontata in ritardo, con strutture socio-sanitarie palesemente disorganizzate, con il personale mandato allo sbaraglio, in modo tale da iniziare un efficace contrasto all'aggressività del virus unicamente con il “distanziamento sociale” piuttosto che con attività di prevenzione scientificamente condotta.

Questa premessa sulle responsabilità istituzionali e personali per ricordare che il Governo del Paese – se memore dei disastri precedenti –, a fronte di questa ennesima emergenza deve operare per il bene comune lasciando perdere la retorica e la fretta elettoralmente redditizia e decidere – su questioni che riguardano la sopravvivenza biologica e sociale di milioni di cittadini – utilizzando tutte gli strumenti disponibili e saggiamente indivisuati.

In particolare, va rammentato che l’articolo 42 comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana e l’articolo 834 del Codice civile stabiliscono che la proprietà privata può essere espropriata per pubblica utilità. Il fondamento costituzionale dell’espropriabilità è ancora più chiaro se si legge l’articolo 42 comma 3 in combinato disposto con l’articolo 2 della Costituzione, che sottopone i cittadini a “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Questa prospettiva fin'ora è stata bellamente disattesa e per oltre tre mesi ci si è adoperati in un balletto improduttivo con i partners europei e nella disturbante polemica interna tra i partiti. Provvedimenti risolutivi non sono stati presi in considerazione.

In virtù di questi doveri politico-amministrativi circa la “cosa pubblica”, l'inerzia indica inaffidabilità (si pensi alla possibile messa in valore sociale del circuito delle cliniche private). Rinunciando alla cosiddetta “patrimoniale” e alla facoltà d'esproprio (ben sapendo che il privato che subisce il provvedimento espropriativo ottiene un indennizzo, non un risarcimento), è stato accuratamente evitato che il bene espropriato necessario alla collettività nazionale potesse passare in capo alla pubblica amministrazione per ragioni di pubblica utilità, cioè nel perseguimento di un interesse pubblico, vale a dire della collettività organizzata della quale anche l’espropriato fa parte. Al contrario, il Governo si impegna a garantire, ad esempio, ingenti provvidenza alle scuole “private”, cancellando de facto la parte dell'art. 33 della Costituzione secondo il quale “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Questo lesiona il rapporto cittadini – Stato.

Questa argomentazione per dire che la ricchezza del Paese socialmente prodotta è disponibile, ma interessi privati imprigionano i decisori politici (a livello di governance “centrale” e “decentrata) dentro un'azione lobbistica e ricattatoria tale da far perdere di vista l'interesse generale, inducendoli a barcamenarsi nel rintracciare finanziamenti, sempre esigui, che solo apparentemente vanno nella direzione dell'inclusione sociale e del contrasto alle disuguaglianze.

La scuola diventa terreno di sperimentazione di tali interventi che – in definitiva – non fanno altro che esaltare la penuria, illudendosi di poter contare su una “massa critica” amorfa e sull'impegno, mai venuto meno del resto e di cui i media non forniscono adeguato riscontro informativo, etico-professionale di insegnanti, personale tecnico, amministrativo ed ausiliario. Quest'ultimi, oggettivamente assenti da “tavoli” di concertazione interistituzionale. Dist.me /mo Ministra della pubblica istruzione, Lucia Azzolina, Viceministra On. Dott.ssa Anna Ascani e Sottosegretario Dott. Giuseppe De Cristofaro: l'A. N. P. non deve essere unico interlocutore del Ministero !

A questo proposito, va detto con che lo scoppio del contagio, procurando la sospensione della didattica in presenza, tutti gli Istituti scolastici autonomi, con enormi difficoltà in quasi tutti i casi, si sono dovuti attrezzare per avviare, così come richiesto dalla normativa emergenziale, la formazione a distanza (meglio dire, piuttosto che DaD), revisionando la pianificazione e la programmazione delle attività curricolari e le correlate attività di erogazione di contenuti inter-transdisciplinari e di valutazione.

Prima constatazione: assoluta inadeguatezza del PNSD a guidare le scuole in un percorso di innovazione e digitalizzazione, come previsto nella Legge 107/2015, perché l'impostazione prevedeva un itinerario formativo dei Docenti che, nei cinque anni d'efficacia, si è interrotto e non ha raggiunto tutto il personale scolastico; figure di sistema numericamente esigue (animatori digitali uno per scuola e un team per l'innovazione a supporto) tanto è vero che di recente sono state integrate da (rif. all'articolo 1, commi 725 e 726, della Legge 30 Dicembre 2018, n° 145) con l'équipe formative territoriali a garanzia della diffusione di azioni legate al Piano, ma la cui azione di slancio operativo non ancora è stato possibile apprezzarla; da segnalare anche l'invadenza, percepita nettamente, delle aziende major nel campo dell'I. and C. T. e la subdola imposizione di “piattaforme” per aule virtuali spesso malfunzionanti e concepite senza aver recepito la necessaria consulenza da parte degli insegnanti (come quando il corpo debba indossare un abito di taglia diversa ...); inoltre, i contenuti erogati nei corsi PNSD a suo tempo organizzati, non sempre da esperti realmente portatori di competenze utili alla scuola, hanno avuto un impatto marginale sulla didattica ed oggi lo smart working dei Docenti manifesta tutte le carenze progettuali e l'eterogeneità didattiche che si riverberano sugli studenti in drammatiche diseguali opportunità d'apprendimento.


Il tema è proprio questo: quello della riproduzione delle disuguaglianze che va ben oltre il “divario digitale”
oggettivamente constatato. A ben guardare cosa sta accadendo nella diuturna attività d'insegnamento-apprendimento e d'organizzazione del servizio scolastico - entrambi non sono venuti mai meno, anche nei mesi estivi - che nel complesso non ha subito nessuna cesura: emerge con chiarezza il tema delle scelte familiari e dell’orientamento scolastico. Approcci d'analisi diversi, strutturale (Bourdieu) o interpretativo (Mehan) convergono nel rilevare che la scelta scolastica avviene dentro una dimensione strutturale, ovvero, essa si esplica in un quadro di «costrizioni» relative alla distribuzione spaziale delle scuole in relazione alla loro connotazione sociale differenziale.

Si sta mettendo in luce la struttura dello spazio sociale scolastico. Il Ministero ha i “radar” adeguati per percepirlo ? Le scuole sono differenziate in ragione della differente qualità sociale e scolastica del relativo pubblico. Alcuni studi di caso – pre-pandemici - hanno dimostrato che il processo di scelta in una dimensione micro nel quadro della famiglia avviene rispettando astoricamente l'immobile gerarchia sociale. La scelta scolastica appare così coerente con le precedenti esperienze scolastiche interpretate e mediate dall’ambiente familiare e sociale. D’altro canto, ogni scuola ha il proprio ‘modello desiderabile di studente’ così come un proprio ‘modello accettabile di Docente’ coerente con la propria tradizione e cultura organizzativa e istituzionale. L'inquietante fenomeno dell'insuccesso scolastico e formativo – che dovrebbe interessare in ogni passaggio epocale il Ministero e l'Olimpo pedagogico – e della sua distribuzione diseguale nella popolazione giovanile non sembra essere al primo posto nei pensieri degli strateghi di Roma che si attardano in video interviste ottimistiche e ammiccanti l'elettorato e garantiscono ope legis l'ammissione alle classi successive, anche con insufficienze, come ha precisato lei, Ministra Azzolina.

Abbandono scolastico e dispersione formativa non si contrastano con tali provvedimenti presi dietro l'alibi dell'emergenza. Dotarsi di una task force avulsa dall'esperienza della vita scolastica, forse, non è il miglior modo d'affrontare la questione, come è altrettanto suscettibile di perplessità l'emarginazione imposta ai Docenti (a tutti, fino a prova contraria), molti dei quali coinvolti 24H nell'ardua organizzazione del servizio scolastico (peraltro, pronti ad inviare il proprio CV ...), in questo arduo frangente, nel ridisegnare la scuola blended learning. Forse lei, giovane Ministra Azzolina e l'altrettanto nuova nell'incarico Sottosegretaria … non hanno esaustiva contezza dei profili tecnico-professionali e/o fiducia nell'operato, mal retribuito, dei Docenti ?

Nei mesi passati, durante il lockdown e dopo il coatto “ritiro sociale”, il dibattito sulla Dad è stato molto vivace, ma polarizzato prevalentemente sulla questione "risorse e strumenti", ma completamente avulso da una visione strategica che, senza “se” e senza “ma”, consideri priorità indifferibili hic et nun:

  • introdurre significativi cambiamenti nell'organizzazione della scuola pubblica e in particolare nella direzione di una autonomia dei singoli Istituti, ma sostenuta da patrimoni adeguati: nuovi edifici scolastici ecosostenibili e dotati ab origine di infrastrutture tecniche avanzate

  • predisporre – che si contempli, a questo proposito, anche il contributo professionale dei Docenti senior – un piano di qualificazione e aggiornamento professionali permanente dei milioni di insegnanti di ogni ordine e grado di scuola


Si ha l'impressione, peraltro vivida, precisa, che – viceversa – sussista solo la dimensione emergenziale volta a far affiorare situazioni pilota, situazioni di alta qualità, mentre altre situazioni vengano, come dire, abbandonate. Paradossalmente, ci vorrebbe un sostegno a quelle scuole che non riescono a decollare con l'organizzazione non per responsabilità proprie, bensì perché strutturalmente, politicamente emarginate. Se l'emergenza significa il venir meno di una rete statale di protezione complessiva della scuola pubblica, ecco questo può essere un serio pericolo, forse, anche al di sopra della piena consapevolezza del personale politico dedicato.

Coraggio, dunque, si faccia in modo che "Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza" per usare il Recovery Fund, con i 209 miliardi del Next Generation Eu, vedano l'istruzione, l'educazione e la formazione al centro di un algoritmico riformistico che sappia ben amalgamare digitalizzazione e innovazione, ristrutturazione produttiva “verde” e transizione ecologica, copiosa infrastrutturazione per la mobilità sostenibilità, protezione universalistica concernente la salute ed equità, inclusione sociale e territoriale.

Le scuole saranno più libere in un Welfare irrobustito ed alimentato, ma di fare che cosa ? La scuola non è solo un “contenitore” di contenuti, didattica, relazione, organizzazione; questa è una visione riduttiva che può portare a concepirla solo come una modifica del contenitore. La scuola è un contesto organizzativo istituzionale, ma non è solo questo: è un ambiente predisposto all’apprendimento ed alla produzione di civiltà. Se la scuola viene intesa come setting di apprendimento, allora è anche il luogo dove vige il primato dell’insegnamento. Vogliamo, dunque, repentinamente coinvolgere gli insegnanti nel ridisegno della scuola pubblica ? La scuola è anche il principale luogo sociale di promozione della “cittadinanza”, che ha non solo una dimensione simbolica. Si apprende ad “essere civili” se si è riconosciuti concretamente come tali.

Altri, pur apprezzabili, provvedimenti, sono – secondo i modesti pareri che qui si espongono – solo “pannicelli caldi” che decantano quanto si è fatto, ma occultano ciò che va ancora fatto, indifferibilmente.

Buon lavoro.

Prof. Giovanni Dursi

Docente MPI a t. i. di Filosofia e Scienze umane

Liceo statale G. Marconi di Pescara

14 Settembre 2020

sabato 27 ottobre 2012

Il Flash Mob di Frankenstein

Anche i docenti delle scuole di molte province italiane, istituti superiori e “comprensivi”, sono in stato d’agitazione e ogni giorno si riuniscono in assemblee, presso le sedi scolastiche o sindacali, considerando i recenti provvedimenti dell’attuale esecutivo, che si sommano ai danni procurati alla scuola pubblica anche dai Governi precedenti, altamente nocivi per l’istruzione pubblica costituzionalmente “tutelata”. Chiedono lucidamente il ritiro del DDL 953, vera e propria controriforma delle istituzioni scolastiche, l’abolizione di tutti i finanziamenti alle scuole private, compresi i recenti 223 milioni di euro elargiti, il rinnovo dei contratti, scaduti ormai da oltre 3 anni, il ripristino degli scatti di anzianità, scippati dal Governo Berlusconi e non restituiti da quello attuale, l’annullamento della farsa del prossimo concorso a cattedre, che chiude la porta in faccia a migliaia di docenti precari, l’assunzione di tutti gli insegnati precari e il pagamento delle loro ferie non godute, lo stop ai tagli “lineari” mascherati da “razionalizzazioni”, che da anni stanno massacrando il Welfare in tutti i comparti che intervengono nella “protezione sociale universalistica” comprendente anche il sistema scolastico ed universitario delle conoscenze. I docenti impegnati nella mobilitazione, come iniziativa comune a tutti gli istituti, intendono procedere al blocco di tutte le attività aggiuntive, da mettere in atto con le forme e i tempi che le assemblee delle singole scuole riterranno più opportune, fino al ritiro completo e definitivo dei commi 42, 43, 44, 45 e 46 dell’art. 3 del DDL di “stabilità”, che, considerando carta straccia il contratto di lavoro, vuole portare a 24 le ore di lezione settimanale a parità di stipendio, preannunciando un radicale peggioramento delle relazioni didattiche e dell’apprendimento degli studenti. A ben guardare questo fermento, si ha l’impressione – rassicurante – che anche l’anacronistico ed inadeguato “mondo scolastico”, in questo caso rappresentato dagli insegnanti e dal personale tecnico, amministrativo ed ausiliario, sia ancora vivo e capace di reazione all’incedere della “crisi” e, soprattutto, in grado di contrastare le “ricette” predisposte dall’UE e dai Governi nazionali dei Paesi membri per far fronte al disfacimento della “democrazia economica” basata sui profitti. Verrebbe da dire, meglio tardi che mai e non solo per ribaltare una stereotipata percezione sociale del docente che lo raffigura obsoleto e scarsamente produttivo. I docenti che collettivamente organizzeranno coordinamenti cittadini e provinciali, proponendo anche appuntamenti pubblici e manifestazioni di piazza – compreso uno sciopero generale e generalizzato - saranno sospinti a cercare sinergie di lotta con altri segmenti del lavoro messi in difficoltà dal combinato disposto “crisi” e “risposte governative” alla “crisi”.
Nel contempo la “vertenza scuola” dovrà rapidamente abbandonare il “paradigma economicista” e giuridico-rivendicativo poiché – come accade nell’opera di Mary Shelley – il movimento degli insegnanti, come novello Frankenstein rianimato dal fulmine, deve ripensare in fretta al suo ruolo per essere in sintonia con un progetto di società, ad un tempo, giusta e autenticamente innovativa. Il movimento non deve generare una creatura mostruosa risorta perché “pungolata dalla fame” e dall’inevitabile difesa di sacrosanti diritti per tornare, appagata, nel suo tran tran quotidiano, bensì deve accettare la sfida decisiva: trasformarsi in comunità professionale apprezzata e doverosamente valorizzata non solo stipendialmente. Negli ultimi anni, sociologi quali Pierre Bourdieu, James Coleman e Robert Putman hanno osservato che le reti sociali hanno forti effetti sulla produttività, e hanno coniato il termine di capitale sociale. L’attuale movimento degli insegnanti, unitamente agli studenti, può costruire quel capitale sociale che nasce nelle relazioni aggregative fra le persone. Esso dissemina conoscenze e competenze perché dà accesso al capitale umano tra tante, diverse persone. È dimostrato che le società che hanno bassi livelli di capitale sociale, hanno più alti livelli di disuguaglianze economiche. In Professional capital di M.Fullan e A. Hargreaves (Marzo 2012), si legge che il capitale sociale è la chiave per trasformare la professione docente. Poiché i comportamenti sono forgiati più dai gruppi che dai singoli, team coesi anche senza persone di particolare talento rendono molto di più di gruppi con superstar che non sanno funzionare collegialmente. La scuola attuale, “sistema di incoerenze” (P. Romei), può guardare al successo di qualsiasi innovazione solo se punta ad incrementare il capitale sociale che si sviluppa all' interno di ogni scuola e nel rapporto con l'esterno (sia i genitori, sia la comunità territoriale, sia le altre agenzie formative). Si tratta di un bridging social capital, secondo la definizione di Putnam, un capitale sociale che getta ponti, non un bonding social capital, escludente e racchiuso fra gli addetti ai lavori. È il momento di lottare, certo, ma di lottare per obiettivi ambiziosi e professionalmente adeguati. Il capitale decisionale è l'essenza del professionismo: comporta saper prendere decisioni in contesti complessi e in innumerevoli situazioni che presentano problemi e casi diversi. Collegialità né burocratica né ritualistica, ma informale e generosa. Il capitale decisionale comporta che qualificati professionisti decidano insieme. Come i giudici, che dopo molti anni di pratica sanno analizzare, insieme ad altri, un'ampia gamma di casi, così gli insegnanti professionisti sanno valutare insieme ai colleghi le diverse situazioni e prendere decisioni conseguenti. Le evidenze, le prove, i dati, sono indispensabili, ma non sono mai incontrovertibili. Nell'insegnamento, come nella legge, è la capacità di giudicare che alla fine fa la differenza. Occorre pertanto saper leggere i dati, saperli interpretare, e quindi saper decidere azioni conseguenti e coerenti. Il professionismo postmoderno comporta una modificazione profonda della collegialità, non ritualistica, non burocratizzata, non standardizzata. Le culture collaborative necessitano di un alto tasso di informalità, nel senso che occorre investire nelle relazioni e in “generose” collaborazioni, senza le quali la collegialità rimane asfittica. In questa visione viene chiamato in causa lo scopo morale ed etico della professione. Va detto che una grande spinta in questo senso viene dalla tecnologia digitale, che sta già di per sé cambiando le relazioni e le collaborazioni. Queste ultime diventano, per l'appunto, più “generose”, come dice Clay Shirky in Surplus cognitivo (2010). Nel 2009, sono state investite più di 100 milioni di ore volontarie per sviluppare wikipedia. È quindi evidente che la comunicazione digitale ci rende più generosi, perchè mettiamo a disposizione di tutti le nostre conoscenze e le condividiamo con il mondo. Se si immagina la stessa cosa realizzata dai migliori docenti si può ben intravedere l'enorme arricchimento collettivo fatto di condivisione e dialogo, che la rete consente. Quindi, non più folgorati come Frankenstein che intravede il pane messo a repentaglio, ma predisporsi – insieme a tanti – a trasformare l’insegnamento-apprendimento in eventi cognitivi con valore aggiunto di natura sociale. Silvia Faggioli ha curato la traduzione e l'adattamento di una documentazione su una positiva esperienza americana di flipped learning. Un'esperienza nata per caso e per necessità: la mancanza di fondi per comperare i libri di testo ha indotto gli insegnanti a sostituirli con video delle proprie lezioni messe su youtube. Di lì il passo verso la flipped classroom è stato brevissimo. Quegli stessi insegnanti hanno indicato non solo una soluzione “tecnica”, hanno contribuito a blindare la “democrazia culturale”.
Perché di questo trattasi, altro che Flash Mob di Frankenstein. Nota a cura di Giovanni Dursi, docente M.I.U.R. di Scienze sociali, Ottobre 2012

sabato 19 maggio 2012

Violenza mafiosa, connivenza statale e “presidi di civiltà”

L'ultimo giorno settimanale di scuola, per una studentessa brindisina è stato l'ultimo di vita. Proprio mentre nella penisola si rincorrono iniziative e carovane itineranti che la percorrono in memoria delle vittime della mafia, proprio mentre tante persone partecipano a giornate dedicate al ricordo e all’impegno di chi, a scapito della propria vita, ha lottato e lotta contro quel male che attanaglia il Paese ormai da troppo tempo, gli assassini – indeboliti ed emarginati – tentano di fare strage di giovani corpi e menti fertili. Anche oggi, constatiamo che la violenza è di casa in mezzo a noi. I servizi segreti interni dello Stato italiano, buoni ad "infiltrare" ogni aggregazione sociale ed a controllare i movimenti politici e gli organismi rivendicativi dei diritti di cittadinanza, dove sono, cosa fanno per arrestare la militarizzazione mafiosa del territorio ?
I giovani acquistano libri di testimonianza sulle criminalità organizzate, si informano su storie che raccontano delle vittime e sulle testimonianze e sulle inchieste della magistratua, si interessano a quanto “narra” Saviano in televisione e nei suoi libri. Gli assassini cercano di arrestare questa presa di coscienza di massa, terrorizzando ed annichilendo l'eroicità di comportamenti semplicemente civili. Tutto il dolore, le sofferenze inferte al corpo sociale sano e reattivo rischiano d'essere dimenticati se queste ferite profonde non saranno lenite da cambiamenti irreversibili e da “presidi di civiltà” in grado di tutelare le vite. Diffondere, anche in altri territori regionali, la consapevolezza di quello che la criminalità organizzata significa e causa, per annullare l’ignoranza e il silenzio che spesso ammantano la questione, va inventata una nuova socialità, un modo concreto ed originale di stare insieme. Come leggiamo in “La Mafia Imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell'Inferno” di Pino Arlacchi (Nuova edizione. Il Saggiatore, Milano, 2007) “la trasformazione della cultura e dell’ideologia del mafioso conseguente al suo inserimento nei gangli più importanti della vita economica permette al suo «stile di vita» di presentarsi come modello da emulare presso le categorie sociali – come gli studenti universitari o i giovani disoccupati – caratterizzate da un forte squilibrio tra le aspirazioni fissate dal loro livello di istruzione e dalla loro subcultura e il loro presente livello di reddito. Il crollo della inibizione e regolazione statale della violenza unito alla cultura individualistica, consumistica e competitiva tipica delle aree mafiose, ha provocato inoltre una perdita del prestigio relativo di quelle professioni e mansioni burocratiche che solo 15-20 anni fa costituivano i massimi obiettivi della mobilità sociale dal basso nell’Italia meridionale. Sarebbe altrimenti difficile spiegare la crescente quantità di impiegati, avvocati, insegnanti, medici e perfino magistrati che rompono con la stabilità e la legalità della loro professione per confluire tutti nel grande calderone dell’accumulazione mafiosa”. Queste verità se non incontrano la forza di contrasto di anticorpi culturali - una scuola mai nozionistica ed in grado di raccordarsi efficacemente con il mondo del lavoro e con il diritti di cittadinanza – e “città educative” come luoghi in grado di far emergere un immaginario alternativo, i parassiti che che si nutrono di silenzio e indifferenza, oltre che di sangue, avranno la meglio. Il pensiero degli adulti tutti – genitori ed educatori - va rivolto costantemente al mondo dei bambini e degli adolescenti, vittime due volte (ricordiamo il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e ucciso quando era appena tredicenne, e Giuseppe Letizia, il pastorello dodicenne che assistette all’omicidio di Placido Rizzotto e che morì in circostanze oscure) di chi li uccide nel corpo e di chi nella mente.
I coetanei delle vittime di criminalità organizzata di oggi devono essere educati, quindi, al rigetto della subcultura mafiosa. Questo è il compito degli adulti che vogliono “città educative” “forti”, in questi tempi di svalorizzazione della vita umana, trasversalmente contagiosi sia tra le pareti domestiche come nelle pieghe della società. Il tasso di atteggiamenti “violenti” è ormai così alto da rappresentare una mina vagante, pronta ad esplodere appena il detonatore azzeccato dà la stura al peggio che peraltro è già in circolazione, non solo sotto la cenere e dietro le quinte. Esempi recenti: gli scontri che si innescano attorno al mondo del calcio nel quale confluiscono tensioni, pruriti, scompensi. Aprendo gli occhi, l’elenco si fa crudo e lungo: il bullismo, lo stupro, la discriminazione, il razzismo. Non si può che guardare all'altra faccia della medaglia: le reazioni determinate dei giovani, che a Locri hanno preso posizione pubblicamente contro il dilagare della brutalità mafiosa, in grado di insanguinare le strade con una sfacciataggine crudele ed atroce. Immagini positive, emblematiche, ma anche spiazzanti per quei “presidi di civiltà” (nuclei famigliari, scuola, Amministrazioni pubbliche) che sembrano voltarsi dall'altra parte parlando d'altro lasciando che la “globalizzazione” sia vissuta anche in Italia come il “quotidiano” è vissuto in Afghanistan e dimenticando – con estrema leggerezza – il diritto alla vita di tutte le generazioni prossime.