sabato 3 agosto 2024

- Angela Carini e Imane Khelif nel tritacarne ideologico-mediatico -

La durata temporale delle riprese degli sport da combattimento varia in base al contesto agonistico: nel pugilato amatoriale limite è individuato in 1'30" per la categoria femminile e in 2' per la maschile, mentre negli incontri professionistici ciascun round occupa 3'.


46 secondi è durato l'incontro di pugilato femminile tra l'azzurra Angela Carini e l'algerina Imane Khelif, alle Olimpiadi di Parigi. La pugile napoletana ha abbandonato il ring, dopo aver ricevuto un paio di pugni, sostenendo facesse troppo male.
Il reperto visivo di quei secondi di combattimento, non depongono a favore della tesi sostenuta dall'atleta italiana. È sembrato, piuttosto, di vedere un'insofferenza, una incontenibile smania di agire non in modo tecnico-sportivo. É sembrata l'assunzione di responsabilità d'una protesta.
Non si è assistito a nessun colpo particolarmente violento, a nessuna evidente traccia di superiorità. Quindi è necessario ben interpretare l'accaduto.
Qualcos'altro ha interferito, non tra le combattenti, ma tra i livelli di vertice dello sport mondiale, nella fattispecie il Comitato olimpico internazionale (CIO), l'International Boxing Federation, l'International Boxing Association, la Federazione Pugilistica Italiana (FP), il CONI, incapaci tutti di analizzare la realtà dei fatti, il contraddiottorio andamento delle forme di vita sociali, di ripettare l'emersione ed il continuo esprimersi di diversità biologiche e socio-culturali in tutte le dimensioni antropoliogiche.
Organismi di rilevanza mondiale evidentemente “disattenti”, pregiudizialmente indifferenti alla questione di fondo: l'intersessualità, la cui fenomenologia è accertata nell'ambito degli studi di biologia umana.
La metafisica che si configura come ontologia o «scienza dell'essere» – ciò a cui si allude riferendosi ai sistemi di pensiero oggettivistici o realistici (come quello aristotelico) che individuano il fondamento ultimo delle cose in una realtà che esiste di per sé e che è precedente al pensiero, questa in buona sostanza è la metafisica - non può aver spazio nelle riflessioni sul caso.
Lo sforzo di razionalizzazione umanamente possibile è sancito con chiarezza e definitivamente da I. Kant sostenendo che «[...] ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto, per finire nella ragione, al di sopra della quale non si riscontra nulla di più alto che intervenga a elaborare la materia dell’intuizione e a ricondurla sotto la suprema unità del pensiero [...]” (Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET 1967, pag. 304).
Certo, il rischio di “scacco” [1] al tentativo umano di comprendere come stanno le cose del mondo è ricorrente.
È indubitabile, altresì, che l'epistemologia, studiando i limiti della conoscenza scientifica, consegna un ricco repertorio di ipotesi ed incertezze. Nonostante ciò, la metodicità del “dubbio” non è necessariamente “apertura” all'investigazione, bensì può inclinare verso l'inefficace “soggettivismo” e il dannoso “dogmatismo”, perché prevede d'accettare come vero solamente ciò che è assolutamente evidente, privo di ogni forma di perplessità.
Queste posizioni predispongono a bruciare secoli di rapporti proficui tra Filosofia - «sistematica aperta del sapere» (Antonio Banfi [2]) che genera “domande” - e la Scienza - l'insieme di «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni» (Galileo Galilei [3]) che genera le “risposte”.
Il ricercare autentico della Filosofia è un'indeterminata propensione alla conoscenza – mai del tutto appagata -, tuttavia, ci sono tappe e traguardi che la orientano verso “verità” corroborate dalle indagini scientifiche.
Mettere in discussione tutto oppure «sospendere il giudizio» - epochè, traslitterazione del greco ἐποχή - grazie al quale ci si astiene dall'affermare o dal negare, evitando di assumere come date realtà la cui conoscenza è ritenuta inattingibile, nell'errata convinzione che qualcosa si sottrarrà inevitabilmente al dubbio e si definirà come necessariamente evidente, traccia un cammino metafisico la cui meta è una convivenza con l'inconoscibile, un dare per scontato che l'uomo deficita, quindi sbagla, e nulla può mai affermare di vero.
Ciò vuol dire camuffare le “domande” - essenziali al procedere filosofico e civile dell'umanità – in oziosi orpelli intellettuali, deviare le ricerche verso “datità”, quanto può oggettivamente costituire il supporto dell'attività conoscitiva, considerate preesistenti, forse eterne, sovrumane congetture che sembrano avverarsi, come in una procedura di stampo schopenhaueriano che presume di lacerare in modo salvifico il “velo di Maya”.
Con inclinazioni di questo tipo si torna a dare credito alla metafisica, così come è stato proclamato vero il sistema aristotelico-tolemaico, come ancora oggi si definisce la concezione dell’universo geocentrico (la Terra al centro dell’universo) di Aristotele e Claudio Tolomeo, che fu per molti secoli il sistema cosmologico di riferimento, comunemente accettato per quasi due millenni, incluso il Medioevo e fino al Rinascimento.
Tornando all'intersessualità, la biologia ha constatato che non sempre si manifesta con la coesistenza in uno stesso individuo (intersessuale) di caratteri maschili e femminili più o meno intermedi fra i due.
Secondo la definizione proposta dal genetista tedesco R. Goldschmidt (nel 1915 coniò il termine intersexualität), l’ntersessualità è ben distinta dal ginandromorfismo: in questo (che si verifica specialmente negli insetti) l’individuo è formato da un mosaico di parti aventi corredo cromosomico maschile e, rispettivamente, femminile. Nella intersessualità, invece, tutte le cellule del corpo hanno il corredo cromosomico di un sesso, ma durante lo sviluppo avviene un’inversione per cui l’individuo, che aveva incominciato a svilupparsi come maschio, continua il suo sviluppo nel sesso femminile e viceversa. L’intersessualità è determinata da cause genetiche o fisiologiche (fenotipiche). Le cause genetiche sono dovute a squilibrio fra i geni determinatori della mascolinità e della femminilità.
Pertanto, il tema dibattuto con ansie eccessive, inopportune partigianerie e approcci ponziopilateschi va ricondotto al più ampio contesto delle controverse problematiche dell'identità, delle espressioni di genere e degli orientamenti sessuali, sapendo scientificamente che la persona intersessuale è nata con caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie del corpo maschile o femminile. Inoltre, in realtà esistono diverse forme di intersessualità che possono comprendere variazioni fisiche rispetto ai genitali, alle gonadi, ai marker genetici, agli ormoni, ai cromosomi, agli organi riproduttivi e a tutto l'aspetto somatico del genere sessuale di una persona.

Questo a conferma che il “genere” è un modello di componenti comportamentali, espressive, di ruolo, e di aspettative di natura sociale a cui si può sentire di appartenere e che, conseguentemente, l'identità di genere corrisponde al senso di appartenenza di una persona a uno o più generi, indipendentemente dal suo modo di esprimerlo o esprimerli.
In questo contesto non c'è alcun dubbio che possa susssistere.
Altro aspetto è la gestione “politico-culturale” – non solo in campo sportivo – delle “diversità” che non vuol significare “ambiguità”.
È in questa palese inadeguatezza che bisogna investire capacità d'analisi e di comunicazione culturale per aprire spazi di consapevolezza, evitando di “spettacolarizzare” ciò che è già noto attivando, inopportunamente, il consueto tritacarne mediatico.
02/08/2024                                                         Prof. Giovanni Dursi
 
 
 
Note:
1 - Adolfo Levi, Verità ed errore. Il Problema dell’errore nella storia della filosofia. Dai Presocratici ai contemporanei, Edizioni Victrix, 2016. Giulio Gioriello e Pino Donghi, Errore, il Mulino, 2019.
2 - Antonio Banfi (Vimercate 30 settembre 1886 – Milano 20 luglio 1957), laureatosi a Milano in Lettere (1908, con Francesco Novati) e in Filosofia (1910, con Piero Martinetti), dopo un breve soggiorno in Germania, insegna nei Licei fino al 1931, poi nelle Università di Firenze, Genova e Milano. Tramite un fecondo dialogo con il trascendentalismo kantiano e con la fenomenologia husserliana, elabora un innovativo razionalismo critico, in grado di storicizzare Kant senza hegelianizzarlo, utilizzando anche il relativismo simmeliano, onde indagare l’infinita ricchezza della vita e della cultura. Considerato il «Cassirer italiano», negli anni Trenta formò la “scuola di Milano”, entro la quale la sua lezione, nutrita del dibattito europeo, avviò i suoi allievi a perseguire le inquietudini dei loro propri dèmoni, come emerge anche dalla sua rivista «Studi filosofici» (1940-1944 e 1946-1949). Tra le sue opere principali: Principi di una teoria della ragione (1926), Pestalozzi (1929), Socrate (1943), Galileo Galilei (1949), L’uomo copernicano (1950), La ricerca della realtà (1959, 2 voll., postumo), Esegesi e letture kantiane (1969, 2 voll., postumo) e il fondamentale saggio Sui principi di una filosofia della morale (1934).
3 - G. Galilei, Lettera a madama Cristina di Lorena, in Opere, a cura di F. Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, pagine 1013-1015.

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