sabato 7 ottobre 2017

Una prospettiva interpretativa dell’indipendenza della Catalogna


Il capitalismo globale pone da tempo [1] la questione della relazione causale tra finanziarizzazione ed interdipendenza subalterna delle economie nazionali ed annientamento delle ultime parvenze della democrazia parlamentare, particolarmente in Europa (continente in cui il compromesso fra capitale e lavoro aveva raggiunto uno dei punti più avanzati fino all’affermazione del neoliberismo).
Con l’esperienza referendaria catalana (la partecipazione alla consultazione si è attesta sul 42%, su 5,3 milioni di persone aventi diritto: massiccia l’adesione all’opzione indipendentista, a favore della quale si sono pronunciati oltre 2 milioni di elettori, per una percentuale leggermente superiore al 90%; per il ‘no’ si sono invece espressi 176.565 elettori -7,8%-, per quanto ovviamente il fronte anti-indipendentista sia numericamente ben più nutrito e – secondo un sondaggio realizzato a luglio – conti circa il 49% della popolazione; 45.586 sono state le schede bianche e 20.129 i voti nulli) si è giunti ad una fase storica di svolta: quella che segna la manifesta incompatibilità di questo moderno capitalismo con le forme della democrazia che fin qui si sono affermate.

Bisogna, conseguentemente, ricordare che il processo d’autodeterminazione di un popolo può avere per fine la modifica della composizione della società internazionale, per costruire un nuovo ente o rafforzare un ente già esistente, ma non ancora dotato di una posizione sufficientemente indipendente. Questa è la chiave di lettura di quanto sta accadendo in Catalogna: non si tratta né di «una messinscena, un ulteriore episodio di una strategia contro la convivenza democratica e la legalità» (M. Rajoy), né solo del protagonismo dei cittadini catalani che «hanno conquistato il diritto ad avere uno Stato indipendente che si costituisca sotto forma di Repubblica» (Presidente della Generalitat C. Puigdemont); trattasi, bensì, di una consultazione referendaria che – anche al di là delle intenzioni dei promotori – può veicolare una chiara, irreversibile rottura con quanto previsto dall’ordinamento e dalla Costituzione spagnoli dello Stato monarchico plurisecolare, e prefigurare elementi di progresso economico, sociale e politico-istituzionale. Se così non fosse – un laboratorio di sperimentazione di nuove istituzionalità popolari e di riorganizzazione solidaristica ed antimercantile della produzione -, se il pronunciamento referendario catalano non alludesse ad una contestuale battaglia contro la ristretta visione nazionale e nazionalistica, la tendenza all’isolamento autarchico avrebbe il sopravvento.

Nell’affermare l’esigenza della Catalogna all’autodeterminazione, il movimento propulsore, per essere internazionalmente efficace, deve rendere evidente che i vincoli caratterizzanti il gruppo sociale indipendentista si esprimano in relazione ad un’autonomia regionale rispetto allo Stato spagnolo che parli lo schietto linguaggio di fuoriuscita dalla logica rivendicazionista identitaria sociopoliticamente compatibile con il capitalismo globale e di sfruttamento territoriale in proprio di benefit economici. Da questo punto di vista, la brutale repressione del gendarme monarchico spagnolo – paradossalmente – è un segnale d’allarme significativo.

Infine, il balbettio formale dell’UE. serve solo a sottolineare come, ai sensi della Costituzione, il referendum non possa considerarsi legale, ribadendo che lo scontro tra Madrid e Barcellona è questione interna alla Spagna e va risolta in linea con l’ordine costituzionale spagnolo; da Bruxelles, la Commissione europea non manca retoricamente ed ambiguamente di evidenziare come oggi più che mai siano necessarie unità e stabilità: serve dialogo, senza ricorrere alla violenza, ma è evidente come l’enfatizzazione conservatrice europea dello status quo spagnolo si configuri come un’ingerenza, interferenza esterna in modo talmente sfacciato da precludere ai catalani l’effettiva partecipazione alla vita politica dei propri territori foriera di decisioni correlate alla volontà popolare.
[1] Cfr. Alfonso Gianni, “Capitalismo finanziario globale e democrazia: la stretta finale“, MicroMega, 18 Novembre 2013

mercoledì 8 marzo 2017

Lotte a Marzo e nei mesi successivi ...

In almeno 40 paesi in tutti i continenti l'8marzo sarà sciopero delle donne. Sciopero contro l'oppressione e la violenza esercitata sulle donne dai maschi. Sciopero contro le discriminazioni e lo sfruttamento che il capitalismo liberista impone in particolare alle lavoratrici, nel nome della flessibilità e della produttività a tutti i costi.
Sciopero contro le discriminazioni salariali e gli orari assurdi che costringono le donne a un doppio carico di fatica sul lavoro produttivo e su quello riproduttivo e di cura. Sciopero contro i tagli allo stato sociale che sulle donne si scaricano il doppio come danni alla vita e come fatica in più per accudire di più chi meno viene accudito. Sciopero contro la cancellazione dei diritti conquistati con tanta sofferenza, come quello alla tutela pubblica dell'aborto.
Sciopero contro la mercificazione del corpo delle donne, dove il peggio del dominio del maschio si unisce al peggio del dominio del mercato.

domenica 22 gennaio 2017

Conferenza di Roma sul comunismo - 18 / 22 Gennaio 2017

Ognuno degli assi tematici che articolano le 5 giornate di discussione sarà introdotto e informato da una serie di domande. Le domande scandiranno il ritmo tanto delle conferenze quanto dei workshop.

Comunismi

C’è una storia del comunismo, anzi dei comunismi. Comunismi realizzati, partiti comunisti scomparsi o ancora vivi, processi rivoluzionari sconfitti, interrotti. Modificazioni genetiche dei comunismi che hanno contribuito alla temperie del ‘900. Con questa storia, e non solo con l’idea del comunismo, è necessario fare i conti. Per conquistare al comunismo una nuova possibilità.

Critica dell’economia politica 

Cos’è diventato il Capitale nel XXI secolo? Come intendere la “singolarità” del capitalismo neoliberale? Si tratterà per un verso di qualificare – su scala globale – la nuova composizione del lavoro e dello sfruttamento. Ma anche, chiaramente, la composizione del Capitale stesso, tra estrazione del valore e finanza. Per l’altro di percorrere gli antagonismi e […]

Chi sono i comunisti?

Chi sono i comunisti oggi? Quale il vettore organizzativo che, per dirla con Marx ed Engels, può favorire la «formazione del proletariato come classe»? Ancora: quale il rapporto tra lotte economiche e lotte politiche? E quali le pretese di una nuova politica economica che metta al centro il Comune? Un’indagine a tutto campo sui processi […] 

Comunismo del sensibile 

Ciò che è in primo luogo Comune è l’«Essere del sensibile». Sensibile nel quale siamo immersi; sensibile della nostra prassi; sensibile delle relazioni, nelle quali siamo sempre gettati. Riflettere sul sensibile significherà anche e soprattutto mettere in tensione il Comune del comunismo con l’estetica, con la costruzione del sensibile, dei suoi orientamenti. Ancora: sarà un […]

Poteri comunisti

Si chiedeva Foucault alla fine degli anni ’70: è possibile una «governamentalità socialista»? Oggi che la governance globale definisce una nuova articolazione dello Stato e delle sue funzioni, la domanda di Foucault si fa non solo attuale ma urgente. Altrettanto: è possibile immaginare o costruire istituzioni che non convergono nella macchina statale? L’ipotesi federalista, il […]

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