domenica 2 giugno 2013

«Spazio pubblico e desiderio»

Venerdì 7 Giugno 2013, alle ore 18:00, presso la Libreria LIBERNAUTA di Pescara (Via Teramo 27), verrà presentata, per la collana editoriale “A lume spento”, «Spazio pubblico e desiderio» (Tabula fati, Chieti, Maggio 2013), silloge poetica di Giovanni Dursi. Il volume gode della prefazione dell'artista Pascal Iulianetti. La presentazione del libro sarà introdotta dall'editore, Dott. Marco Solfanelli [http://www.edizionitabulafati.it/ Tel. 0871561806 - Fax 0871446544 edizionitabulafati@yahoo.it]. Il commento critico è del poeta e scrittore, Prof. Giancarlo Giuliani, che “intervisterà” l'autore. Ilaria Federico leggerà alcuni componimenti poetici di «Spazio pubblico e desiderio». Brindisi finale con l’autore che donerà ai presenti un componimento inedito. 65121 Pescara - Via Teramo, 27 - Tel. e Fax 0852056090 – http://librerialibernauta.blogspot.it/ info@libernautalibri.it -
«Spazio pubblico e desiderio» è – in campo poetico - l’opera prima di Giovanni Dursi, nato a Lanciano cinquantasei anni fa, il quale, dopo trentacinque anni di migrazioni metropolitane, torna a vivere e lavorare nella sua terra abruzzese d’origine. «Spazio pubblico e desiderio» contiene componimenti poetici che indagano – tra il dolore avvertito ed il piacere ricercato nel quotidiano e nella storia - il “senso” ed i “sensi”, la “coscienza dell'esistenza” ed il “desiderio di cambiamento”, l'immaginario di massa ed il “simbolico trasformativo”. Ne risulta l’accettazione transeunte della propria identità poiché sottoposta a rigenerazione nel rapporto costante con gli “altri”. Ne risulta, ancora, l'oggettiva necessità d'una ricodifica della realtà umana, originando, tale nuova cifra esistenziale, da una lacerazione.
Per la Collana di poesia "A lume spento" delle Edizioni Tabula fati (Pescara www.edizionitabulafati.it) © Maggio 2013 si presenta la silloge densa di suggestioni "Spazio pubblico e desiderio" di Giovanni Dursi. L'evento avrà luogo presso la Libreria LIBERNAUTA di 65121 Pescara - Via Teramo, 27 - Tel. 085.2056090 - Fax 085.4415547 - info@ libernautalibri.it

[http://librerialibernauta.blogspot.it/] - Nota di presentazione di Pascal Iulianetti.
" È sempre la mente l’alcova dei pensieri espliciti, attoriali, ma anche di pensieri intimi, pregni di sapori.autentici, forse i più arditi, quelli che solo nella prosa poetica si possono descrivere e comunicare. Pensieri che osano danzare nell'immaginario, mai soggettivo, e nella danza svelano l'uomo, l'arcano di universi, non solo linguistici, relazionali, sociali, che ancora possono essere realizzati. Danzano sotto forma di parole, dapprima, per diventare, in seguito, respiro, pulsioni, azioni. Una vera e propria ricostruzione di senso. In un mondo umano cinico come il nostro, queste parole sembrano quasi fuori dall'epoca contemporanea, come se l'autore di “Spazio pubblico e desiderio” fosse riuscito ad "evitare" lo squallore che ci circonda guardandolo negli occhi. A tratti, le parole in uso nella silloge riescono a farci sognare, quindi vivere una vita altra, sono capaci, sollecitando l'onirico, di dormire senza morire (Amleto, Shakespeare), di distanziarci dall'attuale, ma, non per questo, di cadere in un improponibile romanticismo patetico. Piuttosto, s'avverte lo sforzo autentico che riesce ad inventare per sé e per gli altri un altro mondo.
Basta poco, girare l'angolo, all'improvviso. Guardare da un parte altra. Mettere a fuoco la visione con ulteriori tecniche e perizie. Come un umile artigiano, intento a fabbricare parole richieste, quando decide di generare l'inedito resoconto. Ne scaturisce una sorta di nuovo progetto esistenziale, prima ancora che letterario. Concepito da tempo, spesso accantonato, ma non rimosso, il disegno vitale matura, quindi, insopprimibilmente e s'annuncia presente, a volte sommessamente a volte impetuosamente, secondo le circostanze date dai rapporti umani, nei gesti e sguardi quotidianamente prodotti, utilizzati, consumati. Un nuovo definitivo inizio. Un gioco originale, una sfida tra parole preannunciate e quelle inventate.
Giovanni Dursi parla ancora di odori quando oggi l'omologazione olfattiva, anzi, l'insieme stesso della percezione sensoriale umana, è stato privato delle stesse sensazioni descritte. Riesce in un certo senso a far crescere fiori nell'asfalto, vede ancora, meglio, riesce a vedere ancora, spiagge deserte in un epoca che lascia poche speranze, concepisce e parla di desiderio, sente "caldo" e, sopratutto, ottiene di farlo sentire in un momento cosi freddo, cosi buio.
L'autore di “Spazio pubblico e desiderio” è una mente sedotta dalla nascosta e alienata armonia della vita, una mente che richiede di vivere in antitesi alla vita così come essa è comunemente narrata ed inghiottita da ciascuno, attimo dopo attimo, freneticamente ed in modo omologante. La seduzione porta al canto che è controcanto.
Questo controcanto origina dalla mente, calmo, lento, dai toni quasi lievi, ma passando dai sensi alla parola, se ne gusta – quasi preludio sensibile del bene inaccessibile (Filebo, Platone) - il già "dentro" di un'idea corporea (Fedro, Platone). Questo controcanto è tumulto del divenire trasformativo privo di suoni manieristicamente poetici, che non può essere semplicemente ascoltato eppure è un'ode, una creazione, una produzione dall'interno, un parto («tokos», Convito, Platone). Poesia, in fondo, è procreazione, per cui nessun particolare requisito si chiede, eccetto che sia generatrice ed inventrice. Gli aedi di regime sono avvertiti.
Leggendo la raccolta “Spazio pubblico e desiderio” un’eco muta avanza nei nostri pensieri di lettori abbagliati, talmente lenta e silenziosa da stordire cuore e mente, da rigenerare ritmi e indurre a cambiare strada, a fuoriuscire da spazi artefatti, da legami artificiali. Emulando, forse, i tempi della natura piuttosto che della storia umana, la bellezza del testo è compendiata davvero in ciò che piace all'autore che, in un improvviso assalto corpo a corpo, trasparentemente appare facendosi accogliere.
Il testo offerto all'attenzione delle curiosità umane, di per sé testimonianza preziosa di coraggiosi abbandoni di porti sicuri, è fuoco ch’arde nei meandri della memoria. L'opera è un ginepraio di parole dette nel tempo, apparentemente cristallizzate da comode e rassicuranti derive semantiche, che nelle pagine riemerge ora come veleno che ammala ed ammalia, ora come esortazione niente affatto retorica. Immergendosi convinti nella prosa poetica, il silenzio scoppia tra le dilatate grida dell'autore che giungono al lettore. Può accadere che forse in una notte esploda un dolore, allora che importa se muore il cuore e nel contempo il pianto cessa ? In quel momento, più nulla sia da piangere o con-piangere. È attesa, concreta illusione di pace, silente sospensione. Nulla, ora non siamo nulla, solo un corpo che s’illude di non aver ferite in campo di battaglia riportate. Questo è ciò che punge, più delle immagini che trasportano la sofferenza vissuta nelle terapeutiche parole.
Posta la dinamite, il boato annunciò la frammentazione della parola. Così la troviamo, slegata, volutamente nuova perché nuova è la pena che allontana l'autore da consueti suoi muti atteggiamenti di un tempo speso nel credere. Parole. Parole pensate, anelate emergono, echeggiano e vagano nella mente, transitano nello scritto; diventano pietre aguzze, schegge acuminate, spigoli taglienti, frantumi che feriscono. Preamboli di morte sotto un cielo senza voce. In quella fotografia incantata, la confessione biografica si raggela e diventa un grumo di sostanze. Veleno che corrompe la carne e frantuma sul nascere qualsiasi pensiero altro. Il desiderio – ora è detto chiaramente - è il persistente desiderare. Solo parole altre possono proteggere ed emancipare, parole chiare e limpide prive di rumore. Parole quasi sussurrate da un “noi” alla portata di tutti, ma che solo alcuni accettano. Parole accettate, accolte ed inviate a lenire mente e corpi. La parola che salva dalle parole, troppe, incessanti, che saturano. La parola innesca improvviso il fuoco, simbolo di elevazione e saggezza, che tutto arde, tutto sgretola, tutto scioglie e tutto rinnova, a partire dalle sofferenze primigenie, costitutive. L'inizio non può non essere lacerazione. Nel silenzio dei cauti passi di parole nuove si nasconde un ordito, una sottile trama che accoglie ogni pensiero, e prima ancora, ogni sussulto, che sia di ansia, di greve sincera ossessione o di libertà assoluta. È lì nella quiete senza oblio che prende forma la cifra dell'esistenza: un'identità recente, inaspettata, ricavata da un abisso di gesti inconsulti, di insensate speranze, di corteggiate follie, che si ripiegano tutte, mano a mano, in una sola direzione, nell'attonita danza delle parole alla fine trovate. Il silenzio – ci dichiara l'autore - è il nostro primo approdo alla vita activa, e sarà sempre il primo luogo dove covano le nostre risposte: come la notte che inghiotte ogni sospiro di bocche avide per consegnarci poi un dono sul far del mattino. Splendido ascoltare la voce del silenzio che dice !
Come le vigne rosse s’accendono d’ebbrezza e il  osto del desiderio si squarcia nei profumi d'autunno, travalicando labbra assetate, così l'autore intende dare peculiare espressione alla bellezza fondandola anacronisticamente sull'inseguita integritas, sulla smarrita proportio, sull'anelata claritas. In alcuni componimenti, tutti senza titoli, inutili recinti nati per confinare e racchiudere, si apprezza l'eros commisto alla generazione creativa (tokos) che danno vita all'entusiasmo lirico (manìa), mai da confondere con bucolica spensieratezza poiché la più funesta sorte del dolore è quando esso si trasforma in riso e commercio. A tal margine spesso altrove, non in questi testi, si giunge se vien meno la voglia di un riscatto o se si cede al sollazzo che compiace. Poco rimane tra le mani quando incombe cupo il curvo cristallo del cielo. Altro è, come l'autore sa fare, entrare come vino nella mente.
Cosa c’è nello sguardo rapito d’un figlio alla madre immediatamente dopo il lutto ? L’assenza ! In quei momenti la natura realizza la sutura e la scissione operata dalla mente si ricompone. Non predomina più il nous, il λόγος e l’animale-uomo primigenio torna intero. Pensiero, figlio, madre e, poi, padre, è un tutt’uno inscindibile. È amore infinito, un sudore condiviso, una sofferenza mai più avvertita come tale quand'anche ci si accorge che gli specchi, oltre che belli, son taglienti. È quella danza che si cheta nella vita desiderata che si realizza. Uno spazio pubblico degno dell'uomo che lo abita ottenendo la salvezza del dettaglio. Come Clinton Eastwood in tutte le recite filmiche, l'autore impara a soppesare non solo le parole, ma gli attimi, in tutti gli estetismi cercati con la coda dell'occhio, sopratutto dei silenzi, finalmente raggiungibili, generabili".
Gennaio 2013 Pascal Iulianetti
NOTA sull'autore - Perché i poeti nel tempo della povertà?” chiede Holderlin nel suo poema “Pane e vino”. E commentando questo verso, Heidegger dice: “Forse siamo nel momento in cui il mondo va verso la sua mezzanotte”.
La premessa del pensiero è la realtà. Ustionante e viva. Come l’emozione del parto. Cinquantacinque anni or sono. Il corpo accresciuto nella tenzone del precariato cognitivo con lo specchio della realtà. Ciò che colpisce sono i predatori che possano espandere la loro insensata ricchezza inghiottendo risorse materiali ed intellettuali e creare il vuoto, territori programmati per la quiete.
Si tratta di uscire dalla sfera dell’underground e proiettarsi verso l’alto. Si nasce nuovamente, nella semiosfera, per contendere il pensiero all’organizzazione di morte. Lo studio perpetuo delle filosofie, la loro tras-missione costante, proprio nei luoghi ove non arriva. Poi, quasi miracolo, la scrittura, tra la pianura padana ed il litorale adriatico. La scrittura, uno spazio vuoto restituito alla collettività, per evitare quel pieno di denaro che la rende lavoro astratto privo di significato. L’autonoma semioproduzione, unico tassello dell’antialienazione, resistenza e contrasto all’ignoranza ed alla trivialità. Rifiuto permanente, creatività vera.
L'aggressività d’una identità, così facendo, non è più voluta. La relazione tra linguaggio ed appartenenza è scossa. La disidentificazione avanza e si riattiva la sensibilità, il desiderio».
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