mercoledì 17 luglio 2013

La contraddizione

L’attuale dimensione entro la quale si sviluppa gran parte della conflittualità sociale e che trova nella “globalizzazione” una peculiare riconferma – essendo struttura portante del sistema sociale – fa riferimento, con inevitabile pregnanza ad ogni latitudine planetaria, alla contraddizione capitale lavoro. Per Karl Marx (la sua trattazione sull’argomento s’avvale già di “Lavoro salariato e capitale”, del 1847-1849, una raccolta di cinque conferenze che Marx tenne nel 1846 presso l'"Associazione degli operai tedeschi", poi pubblicate singolarmente sulle pagine della "Nuova Gazzetta Renana" (1849); furono diffuse in tutto il mondo da Friedrich Engels, dopo la morte di Marx, sotto forma di "opuscolo di propaganda" per la lotta di classe; successivamente, la critica dell’economia politica del “Capitale” spiega come il saggio di plusvalore rappresenti il rapporto fondamentale di “sfruttamento” alla base della valorizzazione di capitale; inoltre, “la contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica – si legge in un passo dell’Anti-Dühring F. Engels 1878; 291 – si riproduce come antagonismo tra l’organizzazione della produzione nella singola fabbrica e l’anarchia della produzione nel complesso della società”), la crisi economica nella società moderna è determinata innanzitutto dalla contraddizione, che ciclicamente si ripete, tra lo sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro e i rapporti sociali di produzione ad essa sottostanti. Il rapporto tecnico fra la macchina e l’uomo, fra il lavoro morto e il lavoro vivo, permette di produrre sempre di più a parità di tempo o con meno dispendio di forza lavoro impiegata. Tuttavia, la ricchezza prodotta non trova sempre sul mercato la domanda sufficiente e in grado di ripagare i costi di produzione. Se la produttività aumenta, si liberano lavoratori, si creano i cosiddetti esuberi, insomma i disoccupati.
Il capitale risparmia sul fattore lavoro per aumentare relativamente i propri margini di profitto. Aumenta con ciò la forza contrattuale del datore di lavoro, che tende ad abbassare i salari, in un mercato del lavoro a lui tendenzialmente favorevole. Sul mercato del lavoro si forma infatti un esercito industriale di riserva di lavoratori che, anche inintenzionalmente, si pone in concorrenza con la forza lavoro occupata. La conseguenza più immediata è che si verifichino crisi da sovrapproduzione (e/o da sottoconsumo), poiché la domanda di beni da parte della classe lavoratrice diminuisce e le merci permangono nei magazzini invendute, con il che il capitalista vede diminuire i propri margini di profitto o addirittura non ricostituisce il capitale anticipato. La teoria del valore (lavoro incorporato) che Marx riprende dai classici (Smith e Ricardo), trasformandola radicalmente onde mettere in evidenza tutta la tematica del plusvalore (pluslavoro) in quanto profitto capitalistico è strumento teorico atto a cogliere la continua riproduzione del rapporto "essenziale" del modo di produzione capitalistico, decisivo dunque per comprendere il movimento peculiare dell'intera società capitalistica. Tale rapporto è, per Marx, quello tra proprietà dei mezzi di produzione e lavoro salariato, cioè forza (capacità) lavorativa venduta come merce da chi altro non possedeva se non il suo cervello e/o il suo braccio. La teoria del valore e plusvalore spiega come, ad ogni ciclo della produzione capitalistica, viene riprodotto tale rapporto con il costante accrescimento del lato proprietario (grazie al profitto/plusvalore), mentre il lavoro salariato può vedere certo aumentare il suo tenore di vita (salario reale) ma sempre nell'ambito di una non proprietà, dunque un non controllo, dei mezzi necessari all'attività produttiva. I termini Struktur/Überbau nella Prefazione a “Per la critica dell’economia politica” (1859) sono utilizzati da Marx per esporre in termini sintetici la concezione materialistica della storia alla quale era pervenuto in seguito alla sua revisione critica della filosofia hegeliana del diritto. Al centro di tale concezione sta l’idea secondo la quale «tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato» non possono essere compresi né per sé stessi, né mediante «la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici nei rapporti materiali dell’esistenza», cioè nei rapporti di produzione; «l’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale ». La reiterazione nella dimensione globale della contraddizione capitale lavoro come contestualizzata dall’analisi marxiana, ha determinato una considerevole proliferazione di variabili in gioco che possono rappresentare un’opportunità della quale tentare d’avvalersi (si pensa, ad esempio, alla comunicazione sociale, alla pervasività della I.C.T.) o, alternativamente, una variabile indipendente se non una vera e propria minaccia alla quale tentare di contrapporre – per il buon esito di pratiche antagoniste – un’accorta gestione del potenziale eversivo della lotta di classe. La consapevolezza dell’ambivalenza dell’antagonismo antisistema porta ad una corretta interpretazione del vissuto stesso delle contese sociali, poiché da essa discendono eventi modificativi diventati un’irrinunciabile leva operativa della trasformazione sociale da orientare con metodo, tempestività e competenza rivoluzionaria. È in tale prospettiva che va recepita – a livello di massa, ma anche del “quadro politico militante” disperso in tante realtà, ognuna delle quali portatrice di ispirazioni teorico-politiche che mostrano la corda, improduttive di eventi efficacemente(strutturalmente) modificativi – e collocata con priorità assoluta nell’agenda politica dei movimenti d’insubordinazione sociale e delle soggettività riorganizzantesi, dopo la sconfitta del comunismo novecentesco, la gestione dell’imprevedibilità antagonistico-duale conseguente al disegno di confini dettagliati entro i quali muoversi politicamente, agire per fare breccia, a fronte dell’evoluzione dell’ambiente economico sociale e politico globale. È necessario, altresì, che l’organizzazione politica dei comunisti non restringa il proprio intervento a quella che potrebbe definirsi come una mera conduzione tecnico-operativa delle attività realizzative di mobilitazione, propaganda e rivendicazione (come sembra emergere da residuali, antiche o recenti appartenenze partitico-sindacali che – ancora – guardano alla “rappresentanza”, alla presenza nelle istituzioni “pubbliche”). Al contrario, l’organizzazione politica dei comunisti è chiamata a riservare la massima cura alla pratiche di contropotere effettivo, appuntando costantemente l’attenzione sugli eventi politici modificativi (non simbolici) che concretizzino conquiste irreversibili sul terreno dell’agibilità politica e di processo rivoluzionario di lunga durata, rideterminando effetti decisivi per il risultato finale: la conquista del potere politico. Per esercitare un’azione di controllo e di guida dei movimenti d’insubordinazione sociale sostenendo la fuoriuscita dalle secche del trade-unionismo, d’altra parte, la partecipazione sincera alla vertenzialità sociale è ineludibile, lo sforzo ideativo e pratico di costituzione di comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva altrettanto importante – come obiettivi relazionali immediati – non demandando però al capriccio, all’inventiva tout court o alla solerzia individuale. La sedimentazione di coscienza costitutiva (per neoistituzionalità proletarie e popolari) è di vitale interesse per la rivoluzione. Infatti, la partecipazione alla conflittualità sociale, la condivisione delle responsabilità di destrutturazione delle forme di dominio – oltre a tratti d’identificazione chiara, quantificazione delle “risorse” necessarie, pianificazione delle iniziative territoriali, verifica degli esiti e della “tenuta” – devono essere in grado di condurre le azioni con approccio sistematico ed organizzativo, strategico, prevedendo il ricorso a metodologie specificamente leniniste. Da molti, troppi decenni, nel secolo trascorso, il capitale ha utilizzato “progetti” d’emancipazione per rideterminare le forme di dominio sociale. Ciò è servito a consolidare la formazione economico-sociale entro la quale esplicare il “comando” riproducendo gerarchie, sfruttamento, disuguaglianze, avvalendosi di fondamentali contributi della “sinistra comunista” togliattiana e socialista, revisionista e “riformista”, e tutto questo è fin troppo chiaro. In tempi recenti, tuttavia, le operazioni di soppressione d’ogni idea o pratica tendente ad obiettivi rivoluzionari per la conquista dittatoriale del potere politico da parte del proletariato organizzato dal partito comunista – il riferimento è al PdRC e al PdCI, in particolare, protagonisti della fuoriuscita anche dalla tribuna parlamentare d’una parvenza rappresentativa di classe – sono state evidentemente cogestite, anche all’insaputa di generosi militanti, con le forze capitalistico-borghesi perché il neoliberismo non ammette opposizioni di sorta (il “primo governo Marchionne”, in Italia, ne è la dimostrazione). Questo scenario sollecita quella turbolenza ambientale - indotta dall’egemonia dei “mercati” sulle forme di vita delle moltitudini – per giustificare derive autoritarie e repressive. La sopravvivenza del “comunismo” è data da pratiche rivoluzionarie come presupposto irrinunciabile per evitare l’estinzione o l’integrazione assassina tra lo stesso processo rivoluzionario di lunga durata – autonomamente condotto – e l’artificializzazione di mete politiche, integrazione coatta che porta fuori strada i comunisti ed avvelena la matura esperienza dell’autovalorizzazione proletaria.

lunedì 15 luglio 2013

Vedere la grande quercia nella ghianda

“Vedere la grande quercia nella ghianda”, il sottotitolo di un libro (Intelligenza valorizzativa, Tojo Thatchenkery e Carol Metzker, FrancoAngeli, 2007) che, sulla base degli ultimi non trascurabili risultati della psicolgia cognitiva e delle neuroscienze, scopre la nuova dimensione dell'intelligenza dietro alla creatività e al successo circa le innovazioni non solo produttivo-mercantili, ma anche nei comportamenti sociali. Percorrere nuove vie è (al di là delle intenzioni degli autori), quindi, possibile, rispetto al pensiero omologato, convergente, non in grado di ricontestualizzare la realtà, incapace di rilevare le possibilità non conosciute ed orientato ad abbandonare le situazioni apparentemente meno promettenti.
Non si tratta però solo di mettere in valore un talento, di guardare le cose sotto inedite angolazioni o di cogliere intuitivamente opportunità dietro ogni situazione problematica. Piuttosto, la cosiddetta “intelligenza valorizzativa” ricodifica il reale, ne disegna nuovi contorni ed identità, può fondare il linguaggio necessario a definire il senso nuovo: fa concentrare su scale di priorità sociale inespresse storicamente, consente d'affrontare la complessità senza l'ansia della conservazione dello status quo, sollecita l'acquisizione personale e collettiva di modalità espressivo-comportamentali ed abitudini prive dell'annichilente retaggio di arcaiche forme di vita, consente d'imparare a selezionare le informazioni di natura vitale discriminandole dalle distorsioni a manipolazioni, permette d'organizzare lo spazio-tempo sociale secondo inusitate necessità, riacquistando il controllo su di se, testimoniando l'autonomia e autentica collaborazione, estirpando il disvalore di rapporti sociali tutt'uno con attività competitive di business quotidiane. Agire secondo una vision alternativa all'ideologia vigente in ogni situazione rappresenta quel coinvolgimento ed integrazione di soggettività che affrontano antagonisticamente, dualmente, la relazione con lo stato presente di cose; dalla ricerca del reddito alle espressioni artistiche, dalla soddisfazione dei bisogni alla matura esplosione dei desideri, dall'alienazione alla gestione del potere. Rappresenta un'incombente minaccia per le posizioni politico-culturali negoziali, compromissorie, orientate alle “compatibilità di sistema”, all'eternizzazione delle gerarchie sociali di comado. Come progettare un percorso di cambiamenti sociali radicali, irreversibili ? Trasformare il modo d'essere, evolvere assertivamente, valutando lo stato attuale del sistema rispetto agli obiettivi di evoluzione, definendo gli ancoraggi ideali futuri, gli stati ottimali cui tendere, valutando i passaggi, stimoli o operations che possono portare alla trasformazione, selezionare gli interventi centrandosi sugli effetti (effect-based operations), evitando la dispersione di azioni asincrone o portatrici di risultati non precisati o poco chiari, aleatori, ma – soprattutto – cercare più angoli d'attacco allo status quo, esercitare focussing depurando il percorso dalle analisi errate e da revisioni degli obiettivi da raggiungere, “ricentrare” le energie umane nel protagonismo antagonistico-duale, senza riserva alcuna. Le condizioni che ne consentono l'esito sono date dalla fuoriuscita da ogni appartenenza sociale preesistente e dall'autonomia politico-culturale che tale soluzione di continuità comporta. L'applicazione dell'intelligenza valorizzativa alla questione sociale comporta un “salto di paradigma”, un protagonismo storico della radicalità operativa centrata sulla volontà di cambiamento e sulla rottura dello schematismo strutturale, economico-produttivo, di riferimento precedente. L'approccio delle regie d'avanguardia consapevole del ruolo, offre strumenti alle nuove generazioni di antagonisti che intendono agire in modo rivoluzionario, lottare contro prassi statiche demotivanti, proporsi il traguardo del potere, promuovendo esclusivamente strategie organizzative e ripudiando l'idealistica “infinita” teoresi.
Pensieri di Giovanni Dursi dedicati ad Antonio Gramsci, morto il 27 Aprile 1937 - … Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico....La cultura è una cosa ben diversa. E' organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri ... e anche un avviso a tutte le nostre "ghiande": ..Ogni ghianda può pensare di diventare quercia. Se le ghiande avessero una ideologia, questa sarebbe appunto di sentirsi "gravide" di querce. Ma, nella realtà, il 999 per mille delle ghiande servono di pasto ai maiali e, al più, contribuiscono a crear salsicciotti e mortadella ...

sabato 13 luglio 2013

Progettare la rivoluzione

Sviluppare una riflessione di critica sociale ed emancipazione a partire dalle condizioni attuali delle contraddizioni capitale-lavoro, nella consapevolezza che le dinamiche sociali in corso richiedono un ritorno/approdo consapevole e riflessivo alla nozione di critica e una rinnovata attenzione sulle condizioni che consentono di pensare il progetto di emancipazione collettiva e di rivoluzione sociale. I processi di globalizzazione, infatti, da un lato rendono sempre più manifeste le tensioni create da un capitalismo diversamente aggressivo sul piano economico e omologante sul piano culturale; dall’altro, sembrano poter aprire spazi per una nuova capacità di incrementare i potenziali di liberazione impliciti non solo in una possibile universalizzazione dei diritti umani e dell’autorealizzazione degli individui, ma soprattutto di rivoluzione sistemica.

Ma, al momento, è soprattutto sul primo aspetto che occorre soffermarsi. Le crisi economiche e finanziare internazionali hanno pesanti ripercussioni sociali: mettono a repentaglio le politiche di Welfare nei paesi più industrializzati – che vedono l’emergere di nuove e vecchie forme di povertà, di disoccupazione, di emarginazione sociale, ecc. mentre i giochi di borsa e le acquisizioni multinazionali d'impresa proseguono senza battute d'arresto –, e cercano, d’altro lato, di scaricare gli effetti più pesanti della crisi sui paesi più poveri e in via di industrializzazione e – prioritariamente – sulle classi subalterne presenti in ogni ambito nazionale devastandole, creando un vero e proprio genocidio generazionale. Sul piano culturale, nonostante sia ormai evidente la difficoltà intrinseca di un modello di produzione incentrato sull’idea di uno sviluppo senza limiti finalizzato al profitto d'impresa che risponda a mere esigenze produttive, il modello di una società dei consumi sembra essere senza alternative reali e, nonostante ciò, si impone come unico referente possibile e auspicabile. La stessa fuoriuscita dalla crisi viene così proposta solo nella prospettiva di una ripresa produttiva, dell’aumento del Pil, dei consumi, in una direzione che non può fare altro che riproporre le patologie da cui vorrebbe sfuggire. da questo punto di vista, i sacerdoti del "mercato", gli economisti "di sinistra" e "di destra", non divergono affatto, avanzando "ricette" buone solo per rigenerare il sistema d'appropriazione privata di beni e servizi socialmente prodotti. In questa situazione, la riflessione critico-sociale-politica – ma non solo – deve porsi l'inevitabile questione di quali siano le condizioni, i temi, i soggetti capaci di rompere questa spirale perversa e riaprire il fronte di una prassi sociale non ingenua, bensì lungimirante, rivoluzionaria, efficacemente antisistema. Si possono porre qui almeno tre questioni. 1. La contemporaneità come “luogo di manifestazione” delle contraddizioni capitalistiche, l’unico nella storia dell’umanità nel quale sia stato posto con forza il tema dell’emancipazione antisitema. La prospettiva illuminista di una liberazione sulla scia di uguaglianza, fratellanza e libertà non può dare alcun frutto poiché, tenendo ferma l’idea di una possibile liberazione di massa, non si può evitare la consapevolezza degli errori commessi dalla”sinistra tradeunionistica” in questi secoli di modernità capitalistico-borghese, e va considerato “falso sapere” non solo il fanatismo religioso e l’irrazionalismo mitologico, ma anche – il pronunciamento della Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno è chiaro, in proposito – la presunzione delle classi dominanti di porsi come depositarie di sapere assoluto e definitivo, astorico, presunzione che ha assunto nel Novecento forme diverse e terribili, come le ideologie assolutizzanti, il totalitarismo nazi-fascista, l’assolutizzazione del ruolo sociale dell'impresa, ecc., sia sul piano concreto delle forme e delle esperienze sociali sia sul piano culturale e della formazione e riproduzione delle forme di vita sociali. Nonostante questi aspetti deleteri, e partendo proprio dalla necessità di evitare ogni assolutizzazione, rimane aperto il compito di “una critica della ragione attraverso la ragione” e quello di “stabilire prospettive da cui il mondo si dissesti, si estranei, riveli le sue fratture e le sue crepe” (Adorno). Occorre quindi una ripresa critica della critica interna alla prospettiva borghese, che sappia andare oltre una possibile resa davanti ai drammi che la modernità stessa ha prodotto, oltre il lavacro etico, poiché anche i proletari sono fagocitati e si muovono nell'universo unico dell'esitenza come il capitale vuole sia vissuta. 2. Il mantenimento – critico – delle prospettive di emancipazione presenti nel progetto rivoluzionario antisistema implica in prima battuta il superamento della retorica post-moderna e l'attualizzazione del marxismo-leninismo. La fine delle grandi narrazioni è anch’essa una grande narrazione. E, in quanto tale, ha prodotto essa stessa una “ideologia”. L’idea di un individuo riflessivo, capace di reggere sulle proprie spalle il peso di scelte – e di contraddizioni – che il sistema sociale non sa più affrontare, può costituire la premessa per una nuova fuga dalla libertà, d'una eternizzazione delle forme di vita capitalistiche. La deregolamentazione e la privatizzazione dei compiti e dei doveri propri della Società/Impresa può costituire un onere tragico per la gran parte dei soggetti subalterni e un eccesso di individualizzazione può produrre il peggior conformismo sistemico. Anzi, se finisce con l’essere la base per nuovi modelli sociali e di consumo – per lo più irraggiungibili –, costituisce un nuovo modello di conformismo. Dobbiamo perciò essere consapevoli che queste forme di disintegrazione sociale producono un vuoto alle volte più pericoloso del pieno che lasciano alle loro spalle; che la società dell’effimero e della disgregazione, del momento e della contingenza, è la condizione e il risultato di una nuova forma di potere e di dominio. Nessun rimpianto per un pieno al quale non bisogna assolutamente tornare, ma, al tempo stesso, nessuna indulgenza per un vuoto che annichilisce le stesse capacità di resistenza e di cittadinanza attiva. 3. Un elemento perciò fondamentale di analisi può essere costituito dal concetto di legame sociale. Oggi – sulla base forse di quanto sopra detto – assistiamo ad un ritorno di comunità, ad un nuovo bisogno di appartenenza, ad una rinnovata necessità di radicamento e di radicale trasformazione sociale. La “crisi” è madre di tutto ciò, come opportunità di autentica trasfomazione sociale. Accanto a situazioni di tipo reattivo – come possono essere nuove le forme di comunitarismo religioso, localistico, etnico, ecc. – emergono però al tempo stesso forme di comunità – e di legame sociale – che tentano di costruire momenti di solidarietà sociale non esclusiva e totalizzante, ma soprattutto embrionali forme organizzate di antagonismo anticapitalista. Possiamo fare gli esempi di nuove forme di movimenti sociali per i "beni comuni", di comunità di consumo equo e solidale, di associazioni di quartiere e di volontariato e servizio civile, di partecipazione collettiva, tutte portatrici, in modo più o meno esplicito e consapevole, di momenti di critica sociale e di emancipazione. Accanto ad essi si sta coagulando, aggregando una intenzionalità di lotta rivoluzionaria per il potere politico guidata da coscienti avanguardie comuniste. Una riflessione sulla natura e sulle condizioni del legame sociale nell'attuale situazione storica appare dunque il miglior modo per porre la questione della critica al capitalismo nell'epoca della globalizzazione. In questa prospettiva, non vorremmo riproporre il tema della critica alla prima esperienza stocia dell'accumulazione capitalsistica, che diamo per acquisita. Neppure riproporre una riflessione sul ruolo che vecchi soggetti (partiti, sindacati, ecc.) possono avere in chiave critica. Attualmente, il compito di costruire un ordine sociale nuovo e migliore deve ancora conquistare il centro dell’attuale agenda della maggior parte del mondo antagonista che trascura di “tematizzare” appropriatamente la questione del “potere”. Occorre invece riproporre con forza questa prospettiva in una nuova direzione, consapevoli che nemmeno un’ora del nostro lavoro sarebbe utile se non servisse in qualche modo alla rivoluzione sociale per il comunismo, alla socializzazione comunista.