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domenica 8 dicembre 2019

Primo scandaglio sul movimento delle "sardine"

Per movimento sociale impegnato nel rinnovamento della “politica” e della “rappresentanza” si può intendere l'insieme dei soggetti – singole persone o associate, gruppi organizzati o spontanei – attraverso cui la “società civile”, a partire dagli ultimi decenni (anni '80) del Novecento, dal momento della crisi irreversibile del sistema dei partiti di massa reduci dell'esperienza politico-istituzionale democratica post-bellica, viene esprimendo frustrazioni, capacità critica, volontà militanti emergenti e un protagonismo comunicativo-sociale (narrazione contrapposta a quella del “potere” costituito) nonché politico competente (allusioni esplicite alla “democrazia diretta”), strutturando la propria azione cosciente, sia a fini di difesa (rivendicazionismo economico-normativo), sia a fini di costruzione identitaria e d'organizzazione politico-culturale.
La storia recente dei movimenti sociali che interpretano diffuse e variegate esigenze di rinnovamento politico è dunque l'evoluzione del continuo processo di ricomposizione politica delle masse, sin dalla radicale espressione di tornare a contare nei riguardi della autoreferenzialità del ceto politico, per giungere – sempre partendo da questa aurorale determinante coscienza -, in alcuni casi efficacemente (le esperienze che datano dal '68 al '77), ad un antagonismo duale, ad una risoluta dialettica con il governo capitalistico dello sviluppo industriale del modo di produzione e della riproduzione delle correlate forme di vita.
Pertanto, due sembrano essere i limiti intrinseci alle insorgenze attuali della società civile nella porzione di mondo occidentale che si riferisce all'Europa.
In Francia una protesta contro il caro carburante, vede la galassia dei gilet gialli continuare dal 17 Novembre 2018 la lotta e guerriglia cittadina, unificando lentamente i soggetti frammentati dello scontento sociale; pur essendosi presentati alle ultime Elezioni europee di fine maggio ottenendo percentuali deludenti, non hanno intenzione di fermarsi neanche dopo i ripensamenti governativi, senza però evolvere positivamente dal “situazionismo” e dalla logica intrinseca alle “rivolte da stakeholders”, privi, come sembrano essere, di una pianificazione politico-organizzativa che agisca da piattaforma necessaria a costruire alleanze e “neutralità” utili ad autentico progetto di irreversibile mutamento sociale, cioè ad una trasformazione prodotta in un dato periodo storico (capitalismo globale) nella struttura della società. A dimostrazione di ciò, infatti, non è per nulla chiara la direzione di tali lotte e guerriglie cittadine oltre il condivisibile discorso trade-unionistico che alimenta.
In questo caso, il lessico è incerto.
Tensioni e processi sociali conflittuali indotti da una cecità strategica – pur avendo caratteristiche tali da poter diventare un'estesa 'rivolta' popolare -, nel lungo periodo, implodono ed autorizzano il potere ad esercitare violente azioni repressive e di controllo conformistico delle nuove leve di “les révolutionnaires, les qualifiant de casseurs et de fauteurs de troubles peu recommandables”, come ebbe a definire i membri di tale movimento francese l'ex Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Per quanto riguarda le manifestazioni delle “sardine” in giro per l’Italia, il movimento nato a Bologna con l’ormai celebre flash mob di 15mila persone in spasmodica replica ed in attesa dell'esito delle Elezioni regionali dell'Emilia Romagna previste a Gennaio 2020, buone quest'ultime per verificarne l'impatto politico-elettorale a sostegno dell'establishment in crisi di fronte alle spallate della destra, il limite principale è di affermare la complessità sociale foriera di alienazione popolare riconducendo però ad un orizzonte intrasistemico il potenziale eversivo delle disuguaglianze sociali.
Il “soggettivismo” delle “sardine” esemplificato dalle pratiche di piazza e dall'ispirazione ecumenica dei promotori autoconfina, purtroppo, il movimento negli angusti ambiti “generazionali” 1 e nella gretta considerazione della «democrazia reale» come luogo esclusivo di retoriche politiche a confronto dal quale potrebbe scaturire un'agognato cambiamento nelle urne.
Ecco, pensare di sconfiggere il liberismo contemporaneo e/o contrastare la pericolosità e le gravi conseguenze, a dir poco apocalittiche, della cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”, in altre parole, della disintegrazione dell’economia reale, anche limitatamante alla metropoli italiana, con il ripristino della corretta ritualità partecipativo-elettorale e con l'enfasi narrativa della “rappresentanza”, dalla quale, con l'immissione di forze fresche (le stesse migliori “sardine” ?), spontaneamente si genererebbe una democrazia sostenibile sorretta dal modo d'espressione della volontà popolare, vuol dire illudersi e non aver capito la lezione di storia che scaturisce dai 74 anni intercorrenti dal risultati del Referendum istituzionale di domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di Stato da dare all'Italia dopo la fine del regime fascista e della seconda guerra mondiale.
In quest'altro caso, il lessico è ambiguo.
Altra è la prospettiva della rottura degli ordinamenti statuali e giuridici, sociali ed economici di una società e la riconfigurazione radicale degli stessi attraverso un nuovo potere, strutturatosi nel corso di manifestazioni che inducono – queste si – uno squilibrio fra strutture fondamentali del consenso e del potere.
Giovanni Dursi
Docente M.I.U.R. di Filosofia e Scienze umane


1 A questo proposito, va ricordato che la Resistenza al Fascismo nacque in Italia vent’anni prima che negli altri paesi democratici dell’Europa occidentale; lo studio della Resistenza italiana, propriamente detta, e cioè dei venti mesi dell’occupazione tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non può quindi prescindere dall’opposizione al Fascismo nei vent’anni precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi storici precedenti. Ciò evidenzia, inequivocabilmente, che non furono solo i giovani ad opporsi con le armi ai nazi-fascisti, bensì che molti partigiani, sopravvissuti ai conflitti a fuoco, giunsero all'età della maturità con le armi in pugno dedicando l'adolescenza alla Resistenza.

domenica 1 maggio 2016

Il PRIMO MAGGIO

La scelta della data non fu certo casuale: si optò per il 1° maggio perché tre anni prima, nel 1886, un corteo operaio svoltosi a Chicago era stato represso nel sangue. A metà del 1800, infatti, i lavoratori non avevano diritti: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, e spesso morivano sul luogo di lavoro. Il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò 3 giorni e culminò, il 4 maggio, col massacro di Haymarket: una vera e propria battaglia in cui morirono 11 persone. 
Perché il 1° maggio. Festa del lavoro o dei lavoratori ha una lunga tradizione. Il Primo maggio nasce infatti a Parigi il 20 luglio del lontano 1889. L’idea venne lanciata durante il congresso della Seconda Internazionale, che in quei giorni era riunito nella capitale francese. Durante i lavori venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa a otto ore.
Oltreconfine. L’iniziativa superò i confini nazionali e divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il 1° maggio del 1890 registrò un’altissima adesione. Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi. Naturalmente Cuba, Russia, Cina, ma anche Messico, Brasile, Turchia e i Paesi dell’Ue. Non lo è, invece, negli Stati Uniti. Abolito dal fascismo. Nel 1923, sotto il fascismo venne abolito il 1° maggio e la festa dei lavoratori confluì nel Natale di Roma (21 aprile), leggendaria data di fondazione della Capitale, nel 753 a. C. Nel 1947 infine la festa del lavoro e dei lavoratori divenne ufficialmente festa nazionale.

giovedì 25 dicembre 2014

Inside the revolutionary process. Inevitably, today !

Perché mimetizzare le cicatrici ? Il potere cerca di nascondere la devastazione materiale e cerca di contrastare la depressione emotiva dei popoli, auspicando che le “genti” passino la vita surrogando i bisogni reali. Le fila dei “malcontenti” s'ingrossano; timidezze estreme, autolesionistiche, vanno incontro, lasciandosi fagocitare del tutto, al trionfo proprietario delle relazioni umane. Il potere racconta la vita di miliardi di persone come favola archetipa, come un'eterna partita alla tombola. Alcuni, collaborativi, possono permettersi di sorridere alla sconfitta e fanno archeologia culturale pensando alla “democrazia reale” come unico, intangibile orizzonte sociale; altri, scelti dalla vita, piuttosto che messi in condizione d'effettuare una scelta di vita, si dedicano al conflitto, ad essere “partigiani”, avanguardia non della tecnica, scontatamente – per i guru della “rete – imprescindibile, ma in quanto depositari della “prospettiva” storica. Come se non si sapesse che i "filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo" (rif. 11° Tesi su Feuerbach). Non sono gli scandali e la corruzione pubblica e privata a far crollare le Istituzioni, lo Stato perché essi sono parte integrante della “democrazia reale” nella versione eurostatunitense. La post-modernità non s'annuncia o s'avvera con le rivolte delle moltitudini, organizzate anche grazie alla pervasiva presenza dei social media nel conflitto, al di fuori dell'Occidente economicamente avanzato e tecnologicamente dotato, perché essa è dentro la visione fallimentare della “democrazia reale”, frutto avvelenato del rigenerato capitalismo delle multinazionali. Tant'è, dopo la rivolta, la rottura dell'ordine costituito e la deriva liberatrice sono ricondotte a subalternità della “nuova” integralista forma del potere. Le “crisi” che scompaginano i blocchi sociali, che permettono d'evadere dalle “trincee” del persistente conflitto sociale, devono essere vissute come una “crisi” di sistema che non può più essere ricompresa nella fisiologica, gattopardesca ristrutturazione degli assetti gerarchici nel corpo sociale, non sono contenute dall'ideologia del “riformismo” borghese e della “democrazia reale”. Si è in presenza d'una crisi “ontologica” del sistema capitalistico di vita. Non basta alludere all'azione del “riformare” i comportamenti delle classi contrapposte o indurre gli individui a camminare rettamente sul filo della moralità pubblica; queste illusioni parlano il linguaggio dell'inganno, creano ulteriori trincee e ghetti che non parlano al mondo reale. Necessario, viceversa, è riformulare la “novitas”, attualizzarla, renderla possibile, agire come mai in precedenza. Il conflitto deve esprimere un sentimento, drasticamente, irreversibilmente, "antidemocratico" (nel chiaro significato di contrarietà antagonistico-duale alle varianti storiche della "democrazia realizzata") e postresistenziale che sia in grado d'avviare la riorganizzazione politico-organizzativa del proletariato per il suo potere esclusivo e per la costituzione di nuove forme d'istituzionalità autenticamente popolare. Ciò che non è nelle previsioni del capitalismo delle multinazionali – il concreto rinnovamento/ribaltamento della società – è vincente; il prevedibile, suscettibile di repressione e stigmatizzazione culturale, il già visto può solo essere archiviato, soddisfacendo autoreferenzialmente le anime belle della retorica, sociologica, ideale congettura rivoluzionaria. Stellarmente e storicamente distanti dai velleitarismi insurrezionalisti e dell'insubordinazione di testimonianza è il processo politico-organizzativo del proletariato rivoluzionario. La società capitalistico-borghese, d'illuministica derivazione, è in procinto di fallire; non basta, però, pensare che essa crolli senza colpo ferire. Non basta pensare al fallimento dei postulati egualitari, dell'uguaglianza formale davanti alla legge; tale stagione, troppo subdolentemente lunga, ha prodotto atroci impedimenti per l'emancipazione politico-culturale delle masse subalterne e la liberazione degli uomini dal giogo schiavistico del lavoro sottoposto alla proprietà privata dei mezzi di produzione, a sua volta causa dell'appropriazione personale della ricchezza socialmente generata. L’economia borghese considera il sistema capitalistico come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e distribuire la ricchezza mentre è soltanto uno dei tanti modi possibili. Il lavoratore, nella società capitalistica, vive in una situazione di alienazione perché la proprietà privata lo ha trasformato in uno strumento di un processo impersonale di produzione che lo rende schiavo, senza alcun riguardo ai suoi bisogni. Il proprietario della fabbrica, il capitalista, utilizza il lavoro di una certa categoria di persone, i salariati, per accrescere la propria ricchezza secondo una dinamica che va descritta in termini di sfruttamento e di logica del profitto. La disalienazione dell’uomo dipenderà allora dal superamento della proprietà privata e dalla costruzione del comunismo.
L’unico modo di abbattere la società alienante sarà la rivoluzione proletaria. Il lavoro è creatore di civiltà e cultura ed è ciò che rende l’uomo tale. In ogni società vi sono le forze produttive ed i rapporti di produzione. Le forze produttive sono gli uomini che producono ed anche il modo come producono ed i mezzi di cui si servono per produrre (ad esempio: salariati; industria; azienda e macchinari). I rapporti di produzione o di proprietà sono invece le relazioni che si formano tra gli uomini nei processi di produzione e che, in concreto, consistono nel possesso o meno dei mezzi di produzione (la "relazione" capitale / lavoro necessita la contrapposizione tra capitalisti e proletari). Ora, le forze produttive e i rapporti di produzione costituiscono la struttura della società, che è definita dal modo di produrre e distribuire ricchezza, ossia dall’economia. Quindi, l’economia è la struttura o la base della società, sopra cui vi sono molteplici sovrastrutture (diritto, politica, arte, religione, filosofia ecc.), che sono espressioni dipendenti dalla struttura economica. In altri termini, è la struttura economica che determina le condizioni di vita sociale, come le leggi di uno Stato, le forme artistiche, le religioni, le filosofie e non viceversa. E' il materialismo storico a ritenere che le forze motrici della storia sono di natura materiale, cioè socio-economica e non spirituale o astratta. Le forze produttive, in relazione al progresso tecnologico, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione (che esprimendo rapporti di proprietà, tendono a voler rimanere statici): ne segue periodicamente una serie di crisi e di conflitti. Nel capitalismo moderno la fabbrica, pur essendo proprietà di un capitalista o di un gruppo di azionisti, produce, grazie al lavoro comune di operai, tecnici, impiegati, dirigenti, ma se sociale è la produzione della ricchezza, sociale dovrebbe essere anche la distribuzione della stessa: il che significa che il capitalismo porta in sé la base del suo superamento. Il comunismo è lo sbocco delle contraddizioni intrinseche al modo di produzione capitalistico e di riproduzione dei rapporti sociali; nella storia ogni formazione economica e sociale è un gradino di un processo che porta al comunismo, società libera dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, inteso come forma di società in cui l’uomo, vincendo l’alienazione, si pone come padrone del proprio destino. "Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti" (L’Ideologia tedesca). Il carattere dialettico della teoria rivoluzionaria proletaria si manifesta nella storia, intesa come un processo dominato dalla forza della contraddizione e che mette capo ad un risultato finale che può essere realizzato dalla soggettività organizzata politicamente. La dialettica non è entità spirituale, bensì materiale ovvero economico-sociale e consiste nel possibile, auspicabile passaggio dalla società capitalistica a quella comunista. Storicamente, vi saranno pochi capitalisti che deterranno tutto il potere, e la maggioranza di proletari sfruttati (rif. all'"economia politica", alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto). I proletari sfruttati prendono coscienza di classe e sono, in particolare, i comunisti, "l’avanguardia cosciente ed organizzata del proletariato", che devono guidare la rivoluzione della classe sfruttata. La rivoluzione proletaria abbatte le istituzioni dello Stato borghese ed in primo luogo la proprietà privata dei mezzi di produzione. Cancellando la proprietà privata, eliminando la divisione del lavoro e il dominio di una classe sull’altra, vi sarà una nuova epoca nella storia del mondo. Vi sarà la dittatura del proletariato che, a differenza delle altre dittature, sarà la dittatura della maggioranza degli oppressi sulla minoranza degli oppressori. Essa sarà una fase di transizione e durerà solo fino all’avvento completo del comunismo e cioè quando non vi sarà più lo Stato: lo Stato, infatti, essendo lo strumento di potere della classe sociale più potente, non avrà più ragione di esservi, poiché non vi sarà più divisione tra le classi e sfruttamento di una sull’altra. Altra cosa rispetto al contrasto fra la liberté e le “libertà”, fra l'uguaglianza formale e quella materiale, altra cosa rispetto al tentativo di dare “concretezza” politica e giuridica alle elevate emozioni della “fraternità”. La strada verso la servitù richiede le maniere concilianti; la strada per la libertà ne postula di più dure. Le pantomime, le ambiguità e le messinscene possono soddisfare le esigenze di un movimento nel quale i proletari hanno semplicemente il ruolo di stupide bestia da soma. Le pantomime, le messinscene e le ambiguità ripugnano alla rivoluzione proletaria e da quella sono totalmente respinte ! Presupposto fondamentale, lo sganciamento dalla globalizzazione, dagli U.S.A. e da questa Europa, nonché la fine della pestifera dicotomia destra/sinistra, modo infallibile di dividere il popolo potenzialmente riaggregabile su basi ideologiche e paleo-ideologiche.

sabato 1 novembre 2014

Appunti sulla legge di stabilità ...

Orizzonte . . . Che sia il lavoro o i lavoratori, la tassazione o gli investimenti, i saperi o l’istruzione, la salute o l’ambiente, l’energia o la sicurezza alimentare, c’è un unico pensiero che nasce prima della crisi e si rafforza con la crisi: “Lasciare libera l’impresa e i benefici ricadranno anche sulla società”. Recentemente un Ministro italiano ha addirittura sostenuto che il bene dell’impresa coincide con il benessere della società. Intanto, la sovranità popolare sancita dalla Costituzione è condizionata, ridotta o addirittura annullata sia sul provvedimento che negli strumenti democratici che promuovono le e ne regolano l’applicazione. Questa è la base del Trattato Transatlantico di Partenariato per la protezione del commercio e gli investimenti (TTIP). Ogni incontro d'organizzazione antagonista può essere l’occasione per ragionare insieme a tutti i soggetti interessati a costituire COMITATI della campagna STOP-TTIP. . . . Pensieri ricorrenti . . . Con la legge di stabilità 2015 Keynes finisce definitivamente in soffitta. La logica che ispira il governo renziano è appesa alla speranza degli investimenti privati garantiti da decontribuzione e lavoro “usa e getta”. Senza intervento pubblico, quasi inesistenti i margini di ripresa. Mer­co­ledì notte il con­si­glio dei mini­stri ha varato una «legge di sta­bi­lità» 2015 che segnerà molti anni a venire. Ci sono cose attese, ed altre meno attese, ma quello che non cam­bia è la filo­so­fia e il segno di tutti i prov­ve­di­menti di que­sto governo. Il Def 2014 di aprile era ancora un retag­gio del governo Letta, anche se il mini­stero dell’Economia era pas­sato dalla Banca d’Italia (Sac­co­manni) diret­ta­mente all’Ocse (Padoan). Il Def abbas­sava di molto le stime di cre­scita del dicem­bre 2013 ma era ancora fidu­cioso per un 2014 di ripresa del Pil, men­tre per l’occupazione si sarebbe dovuto atten­dere un poco di più. Si scom­met­teva tutto su inve­sti­menti pri­vati ed espor­ta­zioni, con con­sumi pri­vati in sta­gna­zione e inve­sti­menti pub­blici in caduta libera. Sap­piamo invece come sta andando. Pre­vi­sioni errate, come peral­tro Fmi, Ocse, Bce e Ce ave­vano avver­tito: il Pil quest’anno dimi­nui­sce rispetto al 2013, le espor­ta­zioni nette lan­guono, gra­zie peral­tro al con­te­ni­mento delle impor­ta­zioni, inve­sti­menti pri­vati e pub­blici sono in pic­chiata, e i con­sumi pri­vati rista­gnano nono­stante il bonus di 80 euro. La «nota di aggior­na­mento» al Def ha poi sem­pli­ce­mente foto­gra­fato lo stato di depres­sione, reso cre­di­bili le stime del Pil per il 2014, man­te­nuto però sopra le righe quelle al 2015, tanto che la Banca d’Italia ha osser­vato che la cre­scita pre­vi­sta, pur mode­sta, pecca comun­que di troppo otti­mi­smo. Anche sui conti pub­blici — aggiu­stati verso la soglia deficit/Pil del 3% e spo­stato al 2017 il rag­giun­gi­mento degli obiet­tivi di medio ter­mine — la Banca d’Italia esprime per­ples­sità, data l’entità otti­mi­stica dei risparmi pre­vi­sti sugli inte­ressi del debito. Almeno la Nota è one­sta su un punto: pre­vede una pres­sione fiscale non minore negli anni a venire, anzi nel breve con­ti­nuerà ad aumen­tare. La Nota con­te­sta anche, in modo gar­bato ma deciso, le stime dell’«output gap», ovvero la dif­fe­renza tra red­dito effet­tivo e red­dito poten­ziale, per invi­tare la Com­mis­sione ad essere molto cauta nel valu­tare (tra­duci: «minac­ciare d’infrazione») l’inadempienza del governo rispetto il Fiscal Compact. Tut­ta­via con la legge di sta­bi­lità 2015, la «verità» gover­na­tiva viene rista­bi­lita, e si rea­lizza una sana inie­zione di otti­mi­smo per l’economia reale. L’aumento del deficit/Pil al 2,9% con­sente meno tasse su imprese e lavoro (Irap, decon­tri­bu­zione assun­zioni, bonus 80 euro) ma con minori spese per inve­sti­menti pub­blici e auto­no­mie locali, quindi ser­vizi. Il rischio non è solo una redi­stri­bu­zione della domanda piut­to­sto che una domanda aggiun­tiva, quanto una sosti­tu­zione di domanda certa con domanda incerta. Il governo vara una grande azione di fidu­cia col­let­tiva per­ché ora non ci sono scuse: «Con­su­mate e inve­stite a più non posso, che dal pan­tano usci­remo solo gra­zie a voi». Nep­pure si fa leva sulla domanda estera, che il modello bava­rese è in crisi pro­fonda anche nella mani­fat­tura centro-settentrionale. Tutto si gioca sul ter­reno della ripresa degli «spi­riti ani­mali» degli impren­di­tori che, affran­cati da un governo che intende dele­gi­fe­rare su tutto e di più (dallo Sblocca Ita­lia al Jobs Act). Dovreb­bero inve­stire tutto ciò che hanno rispar­miato e gua­da­gnato negli anni della crisi, magari inde­bi­tan­dosi se neces­sa­rio, ban­che per­met­tendo. E dovreb­bero assu­mere flotte di lavo­ra­tori con il discount, con­tri­buti sociali zero e licen­zia­mento facile entro i tre anni allo sca­dere della pro­mo­zione, garan­tirà il Jobs Act. Il governo è con­sa­pe­vole che la crisi che per­corre il paese è pro­fonda, lam­bendo la depres­sione. Per essere one­sti, l’Italia è in depres­sione dal 2008, e gli ita­liani pure son depressi. Nono­stante lo sce­na­rio eco­no­mico accer­tato da tutti gli isti­tuti inter­na­zio­nali, il governo rimane però fidu­cioso su alcune misure, e non potrebbe essere diversamente. Il pila­stro delle poli­ti­che ren­ziane è quello di sti­mo­lare gli inve­sti­menti. Senza inve­sti­menti (è il refrain di Filippo Tad­dei) il paese non può uscire dalla crisi. Come non essere d’accordo. Ma il pro­blema è chi deve fare gli inve­sti­menti e per­ché inve­stire. Il governo non ha solo sot­to­li­neato che la spesa pub­blica è inef­fi­ciente, sulla qual cosa ci si potrebbe anche lavo­rare, ma è pure inef­fi­cace, quindi più che inu­tile è dan­nosa per­ché drena risorse che il pri­vato use­rebbe al meglio. Quindi se non si ri-avviano gli inve­sti­menti pri­vati non si uscirà dalla crisi. Ma gli inve­sti­menti pri­vati sono pesan­te­mente con­di­zio­nati dalle aspet­ta­tive. Renzi parla di «fidu­cia», che non è pro­prio un sino­nimo, che il governo intende ali­men­tare via ridu­zione del costo del lavoro, delle tasse e un incre­mento dei con­sumi; financo l’ipotesi di uti­liz­zare il Tfr rien­tra in que­sta logica. Il taglio delle spese e delle tasse pro­duce un effetto limi­tato? Vero. La carta canta, soprat­tutto per le tasse, un poco meno per la spesa, a dir il vero, che è domanda certa. Ma non è que­sto il punto. Se lo sce­na­rio di ridu­zione delle tasse e del costo del lavoro è cre­di­bile, l’«austerità espan­siva» assieme alla «pre­ca­rietà espan­siva» nel tempo darà i suoi frutti. Come inter­pre­tare, diver­sa­mente, le mira­bo­lanti pro­ie­zioni di cre­scita di lungo periodo della ridu­zione delle tasse e delle pri­va­tiz­za­zioni di par­te­ci­pate pub­bli­che? Un bel problema. Key­nes è in sof­fitta. La sua idea era che lo Stato inter­venga per fare cose che il pri­vato non fa, e nella crisi sono molte le cose che il pri­vato non fa. Inve­stire, ad esem­pio. Ma per Renzi lo stato si deve riti­rare, anche nella crisi, e lasciar fare al privato. Nel frat­tempo sono spre­cate risorse pub­bli­che che potreb­bero avere ben altra desti­na­zione, magari favo­rendo quei pic­coli inter­venti di ripri­stino ambien­tale che sareb­bero essen­ziali dato lo stato di salute del nostro ter­ri­to­rio. Si potreb­bero usare le risorse per indu­stria­liz­zare la ricerca pub­blica e pri­vata, per aumen­tare la pro­dut­ti­vità del capi­tale inve­stito, cioè inter­ve­nire sul punto più debole dell’industria ita­liana. Poi inve­stire in cono­scenza, anche nei luo­ghi di lavoro, per­ché l’innovazione non è solo tec­no­lo­gica ma anche orga­niz­za­tiva e riguarda qua­lità e con­di­zioni di lavoro, fles­si­bi­lità fun­zio­nale che sostiene la pro­dut­ti­vità. Ma il governo non si cura affatto di ciò; il lavoro è decli­nato solo in fles­si­bi­lità di mer­cato, quella dei rap­porti di lavoro «usa e getta». Il pro­blema è la filo­so­fia di fondo che guida l’azione del governo. Lo stesso Jobs Act è lo spec­chio fedele delle policy gover­na­tive. Noi creiamo le con­di­zioni per la cre­scita, voi dateci una mano con gli investimenti. Ma lasciare oggi la solu­zione dei pro­blemi ai cosid­detti «capi­tani corag­giosi» è un azzardo. Avrebbe anche un senso se aves­simo un capi­ta­li­smo dallo «sguardo lungo», ma l’industria ita­liana da anni ha dato prova di «sguardo molto corto». . . . Qualche appunto condiviso sul Piano governativo di stabilità (documento di programmazione economica e finanziaria prodotto dal Governo) . . . La legge di stabilità, insieme alla legge di bilancio, costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica. Essa sostituisce la legge finanziaria e rispetto a quest'ultima prevede novità sia in ordine ai tempi di presentazione sia in merito ai contenuti. Il disegno di legge di stabilità viene presentato in Parlamento entro il 15 ottobre (in passato era il 30 settembre), un mese dopo la data di presentazione della Decisione di finanza pubblica. La modifica dei termini di presentazione dei due documenti tende ad avvicinare il momento della programmazione a quello di definizione della manovra di finanza pubblica. Nel corso della seconda parte della XVI legislatura, in concomitanza con l'acuirsi delle tensioni sui debiti sovrani dell'area dell'Euro, è emersa a livello comunitario l'esigenza di prevedere negli ordinamenti nazionali ulteriori e più stringenti regole per il consolidamento fiscale e, in particolare, di introdurre, preferibilmente con norme di rango costituzionale, la "regola aurea" del pareggio di bilancio. Con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 è stato pertanto introdotto nella Costituzione, in coerenza anche con quanto disposto da accordi internazionali quali il c.d. Fiscal compact, il principio dell'equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio. L’obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo non discende dalle disposizioni dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria, ma da impegni previsti da strumenti di diversa natura introdotti nel quadro della nuova governance economica europea. Il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo; tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all’obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5% del PIL; gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall’obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine; qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60%, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5%, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell’1% del PIL; nel caso di deviazioni significative dal valore di riferimento o dal percorso di aggiustamento verso di esso, le parti contraenti dovranno attivare un meccanismo di correzione automatica, che includa l’obbligo per la parte contraente interessata di attuare le misure per correggere la deviazione entro un determinato termine temporale. Il principio del pareggio è contenuto nel novellato articolo 81, il quale stabilisce, al primo comma, che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi - avverse o favorevoli - del ciclo economico. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 81, alla regola generale dell’equilibrio di bilancio è possibile derogare, facendo ricorso all’indebitamento, solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che ai sensi dell’articolo 5 della legge costituzionale possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso all'indebitamento connesso a eventi eccezionali, il secondo comma dell’articolo 81 prevede che esso sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. A corredo del principio del pareggio di bilancio, il nuovo terzo comma dell’articolo 81 prevede che ogni legge - ivi inclusa la legge di bilancio, che in virtù della riforma acquista un carattere sostanziale - che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 81, alla regola generale dell’equilibrio di bilancio è possibile derogare, facendo ricorso all’indebitamento, solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali, che ai sensi dell’articolo 5 della legge costituzionale possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso all'indebitamento connesso a eventi eccezionali, il secondo comma dell’articolo 81 prevede che esso sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. A corredo del principio del pareggio di bilancio, il nuovo terzo comma dell’articolo 81 prevede che ogni legge - ivi inclusa la legge di bilancio, che in virtù della riforma acquista un carattere sostanziale - che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. . . . La ferocia della retorica politica ... Come già a suo tempo ampiamente denunciato, le 80 euro riconfermate - ma sempre ad una platea ristretta - verranno riprese dal governo con gli aumenti dell'Iva e benzina che saranno scaricati sui prezzi dei beni di consumo. Viene liquidato il Tfr in busta paga. Questo apparente aumento salariale viene fatto utilizzando gli stessi soldi dei lavoratori e tornerà allo Stato con l'aumento dei prezzi, bollette, tasse per le masse popolari - tra l'altro, a differenza di come avevano annunciato all'inizio, il Tfr sarà sottoposto a tassazione ordinaria, quindi c'è una perdita. Niente soldi per la stabilizzazione dei forestali. Per i padroni, invece, azzeramento dei contributi per tre anni per i nuovi assunti (insieme alla libertà di licenziamento) e riduzioni di tasse. I tagli alle Regioni, non verranno certo fatti sulle spese della "casta", ma verranno scaricati sui servizi essenziali, a partire dalla sanità, e quindi sulle masse popolari. Vale lo stesso la questione dei tagli ai ministri che verranno pagati prima di tutto dai lavoratori - questo si unisce al blocco dei contratti fino a dicembre 2015. Ma c'è da dire che al Ministero della Difesa viene data solo una sforbiciata... Anche cose che vengono presentate come positive - vedi il bonus bebè - viene esteso anche ai redditi medio-alti (togliendo quindi più soldi ai redditi bassi). Ma la cosa più scandalosa è che mentre vengono dimezzati i fondi per le calamità naturali (vedi Genova...) questo decreto nello stesso tempo con­fer­ma ric­che dota­zioni per opere di devastazione territoriale e fatte contro le popolazioni, come il Mose e la Tav. Si liberalizzano le trivellazioni, si conferma la libera circolazione dei rifiuti e un uso intensivo degli inceneritori, «Più ince­ne­ri­tori, rifiuti che viag­giano per l’Italia per ali­men­tare impianti ormai obso­leti, segre­tezza dei dati, espro­pri coatti e con l’uso dell’esercito se qual­cuno osa opporsi all’incenerimento», Inol­tre, resta in piedi la pos­si­bi­lità per il governo di auto­riz­zare opere rite­nute stra­te­gi­che anche con­tro il parere delle Regioni. ... Punti principali oppure . . . Due miliardi per ammortizzatori e cig in deroga - Stanziati 2 miliardi per l'anno 2015 per finanziare gli ammortizzatori sociali "inclusi gli ammortizzatori sociali in deroga, i servizi per il lavoro e le politiche attive, quelli in materia di riordino dei rapporti di lavoro". No taglio sconti, ma rincaro Iva e della benzina - Dal 2016 un aumento di due punti dell'Iva, per le aliquote ora al 10 e al 22%. Un ulteriore punto scatterebbe nel 2017. Previsto come garanzia anche il rincaro dell'accisa sulla benzina al 2018. Confermati 80 euro - Il bonus Irpef diventano strutturali ma si trasforma in detrazione (nel bilancio dello Stato passano da maggiore spesa a minore entrata). La platea resta immutata, 10 milioni di italiani tra gli 8mila e i 26mila euro di reddito. Tfr in busta paga, tasse ordinarie - Il Tfr potrà essere liquidato mensilmente in busta paga tra il marzo 205 e il giugno 2018 su richiesta del lavoratore. Ma non ci sarà riduzione fiscale ma gli importi saranno sottoposti a tassazione ordinaria. La richiesta sarà irrevocabile fino al 2018. Tasse su rendite fondi pensioni - Con uno stretto legame all'operazione Tfr, la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione "dal periodo d'imposta 2015" passa dall'11 al 20%. Sui redditi da rivalutazioni dei fondi per il Tfr la tassazione passa invece dall'11 al 17%. Sconto neo-assunti sale a 8.060 euro - Sale la soglia per l'azzeramento triennale dei contributi sui neo-assunti: si passa dai 6.200 euro della bozza agli 8.060 ora previsti, è quanto prevede la bozza finale che stanzia 1 miliardo l'anno tra 2015 e 2017 e 500 milioni per il 2018. Dovrebbero essere circa 790mila i contratti per cui i datori potranno usufruire della decontribuzione piena, mentre per altri 210mila si potrà beneficiare dello sgravio sino al tetto degli 8060 euro. Salta intervento forestali - Saltano i 140 milioni, previsti nelle prime bozze, per i forestali calabresi. Restano invece 100 mln per Lsu di Palermo e Napoli. Via costo lavoro dall'Irap, assorbe sconto 10% - Il costo del lavoro sarà dedotto del tutto dall'imponibile dell'Irap a partire dal 2015. La legge di Stabilità che cancella lo sconto del 10% previsto per il 2014 per la stessa imposta. La modifica, comunque, non cancella la riduzione sugli acconti di fine anno delle imprese, che troveranno poi incremento nel saldo del 2015. Salta riforma maturità - Risorse per la stabilizzazione dei precari (1 miliardo il prossimo anno, 3 a dal 2016). Salta invece la riforma delle commissioni per gli esami di maturità, che arriverà con un provvedimento successivo. Regioni, tagli per 4 miliardi - Le Regioni contribuiranno con 4 miliardi. Si tratta ancora sulla composizione dei tagli. Oltre 6 miliardi di tagli dai ministeri. Tagli semi-linear - Per i ministeri arrivano anche tagli lineari, con una riduzione delle proprie dotazioni di circa 1 miliardo nel 2015. La Difesa taglia 500 milioni. Contratti statali, ancora uno stop - Contratto del pubblico impiego congelato fino a dicembre 2015. Magistrati, avvocati, procuratori dello Stato, personale militare e delle Forze di polizia, diplomatici sono esclusi dal blocco degli scatti. Individuate 4 priorità per opere ferroviarie - Nuove risorse arrivano per finanziare alcune opere ferroviarie. Ne vengono individuate quattro con priorità: l'Alta velocità Brescia-Verona (1,5 mld); l'Alta velocità Verona-Padova (1,5 mld), il terzo valico Milano-Genova (400 milioni) e il tunnel del Brennero (570 mln). Mentre vengono dimezzati i fondi per Genova e L'Aquila. La Com­mis­sione Bilan­cio ha dimez­zato i fondi stan­ziati per le cala­mità natu­rali e in dota­zione alla Pro­te­zione civile: sono pas­sati da 100 milioni (somma frutto di un emen­da­mento di Sel) a 50. Dimez­zate, quindi, anche le risorse desti­nate agli allu­vio­nati di Genova e agli abi­tanti dell’Aquila. Invece stanziati 500 milioni sia per la Tav che per il Mose. Libe­ra­liz­za­zioni rispetto alle tri­velle; con­fer­mato l'OK anche per la libera cir­co­la­zione dei rifiuti, che dovranno andare a forag­giare ince­ne­ri­tori Bonus mamme su richiesta - Per tutti i nati (o adottati) dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 arriva un bonus da 960 euro l'anno, 80 euro al mese, fino al terzo anno (di età o di adozione) con limite a 90mila euro di reddito familiare (che non vale dal quinto figlio in su). Intervento che per le fasce medio basse (fino a 26mila euro) si somma al bonus Irpef, visto che il bonus è esentasse. Va richiesto all'Inps. Per il 2015 anche fondo da 298 milioni per altri interventi a favore della famiglia. Ecobonus - Prorogato per il 2015 lo sconto al 65% per gli interventi di efficienza energetica, valido anche per i condomini, così come quello per le ristrutturazioni che si ferma però al 50%. Ok anche al bonus mobili-elettrodomestici Fisco, novità per i minimi - Addio a forfettini e forfettoni. Per artigiani e micro-imprese arriva il forfait unico al 15% per sostenere 900mila partite Iva. Non ha più il limiti di tempo e di età, ed è esteso a ricavi fino a 40mila euro (secondo i settori). Fondi per la giustizia - Arriva un fondo ad hoc. Le risorse raddoppiano l'anno successivo per poi arrivare a quota 120 milioni nel 2017. Le spese per i tribunali non saranno più a carico dei Comuni ma dello Stato (stanziati 250 milioni). Agenzia Entrate aiuta auto-correzioni - I controlli fiscali avranno l'obiettivo di aiutare il contribuente all'auto-correzione e concentrare il contrasto su frodi e contribuenti meno collaborativi. Arriva il "ravvedimento lunghissimo" e semplificazioni per adempimenti Iva. Rai vende immobili - La Rai "può cedere sul mercato attività immobiliari e quote di società". Fs investirà risorse da cessioni sulla rete ferroviaria. . . . CHE SUCCEDE NELLA SCUOLA CON LA LEGGE DI STABILITA'? (Da Il Manifesto) - "Il governo festeg­gia il ritorno dei finan­zia­menti dopo anni di tagli..., prima tran­che per sta­bi­liz­zare i 148 mila docenti pre­cari delle gra­dua­to­rie di esau­ri­mento. Ma nella bozza della legge di sta­bi­lità... ci sono tut­ta­via tagli alle sup­plenze e all’organico del per­so­nale Ata; al per­so­nale coman­dato e, soprat­tutto, il rin­novo del blocco del con­tratto al 2015. Il con­tri­buto offerto all’altare della spen­ding review da Viale Tra­ste­vere dovrebbe valere un sesto dei tagli com­ples­sivi chie­sti da Renzi e da Padoan a tutti i mini­steri (148 milioni di euro su 1 miliardo e 17 milioni nel 2015). L’università taglierà gli acqui­sti per 34 milioni nel 2015 e 32 nel bien­nio suc­ces­sivo. Gli ate­nei «vir­tuosi» si divi­de­ranno 150 milioni di euro aggiun­tivi per la quota «pre­miale» riser­vata a chi dimo­stra di essere «per­for­ma­tivo» secondo le regole del sistema di valu­ta­zione. Nella scuola è pre­vi­sta la ridu­zione del per­so­nale sco­la­stico pari a 2.020 per­sone, pari a una ridu­zione di spesa da 50,7 milioni di euro a par­tire dal pros­simo anno sco­la­stico. Una stretta che con­ti­nua da anni: a que­sto set­tore del per­so­nale sono stati tagliati 47 mila posti. Con­fer­mato il blocco dei con­tratti e quello degli scatti di anzia­nità. Ciò pre­para la loro eli­mi­na­zione quando sarà appro­vata la riforma Renzi-Giannini che intro­durrà gli «scatti di com­pe­tenza» riser­vati solo al 66% dei docenti «meri­te­voli»... Sono state eli­mi­nate le sup­plenze brevi di un giorno per i docenti e fino a sette per il per­so­nale Ata. La mag­gio­ranza dei 148 mila neo-assunti con­fluirà nell’organico fun­zio­nale, rispon­derà ai presidi-manager e verrà spe­dito a coprire le sup­plenze sul ter­ri­to­rio pro­vin­ciale di riferimento. Senz’altro più cospi­cui i risparmi che il governo otterrà con­fer­mando il blocco del con­tratto e degli auto­ma­ti­smi sti­pen­diali al 2015. Que­sta misura vale per tutto il pub­blico impiego. Sta qui il teso­retto che finan­zierà la prima tran­che dell’assunzione di massa nella scuola. Per il per­so­nale sco­la­stico il con­tratto è bloc­cato dal 2009. Un record. Nella legge di sta­bi­lità sono stati stan­ziati inol­tre 200 milioni di euro per le scuole pari­ta­rie, a saldo del con­tri­buto da 472 milioni di euro pre­vi­sto per il 2014. È sal­tata la norma che impo­neva i com­mis­sari interni all’esame di matu­rità per un rispar­mio da 147 milioni di euro... Non ci sono inter­venti per il diritto allo stu­dio, come richie­sto dai 100 mila stu­denti che hanno mani­fe­stato in 90 città il 10 otto­bre scorso..." La principale criticità di fondo della prima Finanziaria Renzi-Padoan, che è però anche un suo punto di forza, è prima di tutto di carattere filosofico: è un insieme di misure che impongono agli italiani di vivere qui ed ora, che invitano ad utilizzare nel presente quello che è stato messo da parte per il futuro, che fanno spendere oggi quello che si pagherà domani. Non solo perché la manovra per 11 miliardi sarà finanziaria in deficit, ma anche perché lo ha detto e ripetuto il Presidente del consiglio: occorre cambiare verso, tornare ad avere fiducia, spendere ora e subito per sopravvivere e arrivare a vedere il futuro. Di qui una legge di stabilità che «ha una buona impostazione», ma che tuttavia ha bisogno di una messa a punto su qualche capitolo. Sia di spesa che di entrata. A cominciare dall’aumento della tassazione sulla previdenza integrativa passando per il nuovo regime fiscale per le partite Iva. Fondi pensione, sale l’aliquota Tra tutti gli interventi fiscali questo è quello che meno pesa sul bilancio delle famiglie nell’immediato. Si tratta tuttavia, per semplificare, di una sorta di tassa sulla pensione futura, visto che l’aliquota sul rendimento dei fondi pensione è stata portata dall’11,5 al 20%. Una direzione, si potrà dire, già presa dal governo Renzi visto che a luglio c’era stato un mini-inasprimento dell’aliquota salita dall’11 all’11,5%. Tuttavia, il salto imposto dalla legge di stabilità è penalizzante per la previdenza integrativa tanto più che ormai si è quasi esaurito il passaggio dal retributivo al contributivo. Il ministro dell’economia Padoan ha domenica ricordato che «l’adeguamento della tassazione sui fondi pensione è inferiore ad altre categorie. Si collega a una filosofia di adeguare il trattamento ai valori medi europei. Non stiamo svantaggiando i fondi pensione». Le cose stanno così solo in parte: se il governo con la manovra ha portato l’aliquota che grava sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%, va tuttavia ricordato che sui titoli di stato pesa una aliquota al 12,5%. E che su questo tema ci sia la possibilità di una parziale correzione lo ha ammesso il sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta secondo cui «l’aumento ha un senso se stiamo parlando di rendite finanziarie, ma secondo me questi fondi vanno messi nel campo della previdenza». «Se passa l’aumento della tassazione al 20% – ha dichiarato Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione – si rafforza un segnale di sfiducia verso il secondo pilastro. Il doppio handicap, cioè la possibilità del Tfr in busta paga e l’alto livello del fisco, spingono il sistema all’eutanasia. Si tratta di un neo in una manovra orientata alla crescita, ma si disconosce che il risparmio previdenziale possa essere reinvestito nel paese». Quanto possa pesare la misura è difficile a dirsi, ma è possibile che sia soggetta a revisione in sede parlamentare: secondo i consumatori di Adusbef e Federconsumatori varrebbe 14 euro a testa in media mentre una cifra più alta si ricaverebbe dall’aumento dal 20 al 26% della tassazione delle rendite finanziarie per le Casse di previdenza delle professioni. Un fulmine a ciel sereno per le Casse di previdenza privata che si aspettavano in verità un’armonizzazione con i fondi pensione, come avviene in Ue. Partite Iva, spunta la clausola A sorpresa nella legge di stabilità è spuntato un intervento a favore delle partite Iva che prevede una riduzione di 800milioni di euro per 900mila partite Iva con ricavi compresi tra i 15mila e i 40mila euro. Un regime forfettario al 15% che eviterebbe il ricorso ai commercialisti. Oggi il regime dei minimi fissa l’asticella a 30mila euro per tutti, mentre nella manovra sarebbe fissato a 15mila per i professionisti e a 40mila per commercianti all’ingrosso e al dettaglio. Ne guadagnerebbero artigiani e commercianti. A spiegare che non c’è obbligatorietà nell’adesione è stato il consigliere economico di Renzi, Gutgeld, secondo cui nella manovra è inserita una clausola di salvaguardia per quelle partite Iva che aderiranno al nuovo regime: se le regole in vigore fossero più vantaggiose di quelle che scatteranno nel 2015, il contribuente potrà scegliere di restare nel vecchio sistema. Tfr in busta paga, quanto mi costi La criticità legata alla richiesta di avere il Tfr in busta paga che dovrà essere triennale e sottoposta a tassazione ordinaria è annullata dal fatto che sarà volontaria. La salvaguardia e le coperture Il rischio è che se la speding review non riuscirà a produrre i 15 miliardi di tagli inseriti in Finanziaria, scatterà la clausola di salvaguardia (inserita per tranquillizzare l’Europa) che produrrà dal 2016 un rincaro dell’Iva con effetti pari a 239 euro per famiglia. E ancora sono previsti aumenti alle accise per i carburanti e il taglio delle detrazioni fiscali da 4 mld. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato una manovra da 30 miliardi di euro basata su una riduzione fiscale per complessivi 18 miliardi finanziata da un significativo aumento del deficit e da corposi tagli lineari, oltre che da coperture piuttosto incerte e le consuete misure una tantum. La legge di Stabilità preannunciata da Renzi all’assemblea di Confindustria di Bergamo corregge l’impostazione “leggera” della Nota di aggiornamento del Def, che aveva confermato le misure adottate col Decreto Irpef (il bonus da 80 euro e il taglio del 10% dell’Irap) con una spending review da 5 miliardi di euro per coprire le spese indifferibili, come le missioni militari o altri impegni di bilancio. Su diversi quotidiani trapelano i numeri della nuova manovra, che però non sarebbero stati concordati con i tecnici del ministero del Tesoro. Una replica di quanto visto con il decreto Irpef, e che probabilmente renderà particolarmente complessa la composizione della legge di Stabilità. La somma di 18 miliardi di riduzione fiscale rimarcata da Renzi si raggiunge grazie ai 10 miliardi che vale la conferma del bonus degli 80 euro, a cui addizionare un nuovo taglio da 6,5 miliardi dell’Irap, di cui verrebbe cancellata la componente lavoro, e l’incentivo da 1,5 miliardi di euro per i contratti a tempo indeterminato. Sgravi fiscali in linea con le indicazioni europee di ridurre il costo del lavoro tramite spending review, ma che andrebbero finanziati con tagli alla spesa pubblica particolarmente complessi. Gli enti locali dovrebbero effettuare risparmi per circa 5 miliardi di euro, i ministeri per più di 7. La spesa previdenziale non dovrebbe essere toccata, mentre il conto potrebbe esser particolarmente pesante per la Sanità. L’ammontare complessiva della manovra vale infatti 30 miliardi di euro, e l’aumento del deficit previsto per il 2014 copre solo 11,5 miliardi di euro. Il resto andrebbe reperito con la compressione della spesa, anche se dalla presidenza del Consiglio circolano altre coperture, come il gettito da 3,4 miliardi di euro dal contrasto all’evasione fiscale, o nuove tasse una tantum. La  riduzione delle detrazioni e delle agevolazioni fiscali, che equivarrebbe a aumento delle tasse, sarà minimo, a quanto finora trapelato. La manovra appare una sfida  a metà all’Europa. In teoria c’è la classica ricetta consigliata dalle autorità comunitarie, il taglio della spesa pubblica improduttiva per finanziare la riduzione del costo del lavoro via minore tassazione, ma le coperture appaiono incerte. Nell’audizione alla Camera di ieri Banca d’Italia ha valutato come ottimistiche diverse previsioni della Nota di aggiornamento del Def, che renderebbe assai difficile il rispetto degli impegni comunitari. La manovra di Renzi è di tipo espansivo, con una correzione minima del deficit di bilancio strutturale. Non è scontato che la Commissione dia il via libera ad un simile impianto, visto che il nostro paese è gravato dal secondo debito pubblico dell’eurozona, pari a più del 130% del Pil. La congiuntura appare inoltre in peggioramento a livello mondiale, e le stime su crescita e metriche di indebitamento potrebbero essere riviste al ribasso. Matteo Renzi ha detto di voler rispettare il 3%, ma se la contrazione del Pil supererà lo 0,3% previsto dal Governo questo obiettivo difficilmente potrà essere raggiunto. L’UE sarebbe così obbligata a iniziare una procedura per deficit eccessivo, per sanzionare il mancato rispetto del Patto di stabilità e crescita. Entro domani il Consiglio dei Ministri dovrà inviare le line guide della legge di Stabilità alla Commissione, che avrà 15 giorni di tempo per approvarla, oppure per chiedere correzioni. Nella riunione dell’eurogruppo di ieri le critiche dei ministri finanziari dell’area euro si sono concentrate sulla manovra di bilancio della Francia, ma rimangono forti preoccupazioni verso l’Italia a causa del suo mancato impegno per la riduzione del debito. . . . Un attimo di respiro teorico ... Deficit spending Manovra economica con la quale un paese decide di finanziare la spesa pubblica in disavanzo. Il finanziamento in deficit può avvenire in due modi: — con la creazione di base monetaria; — con l'emissione di titoli di Stato . Il ricorso all'uno o all'altro strumento trova numerose giustificazioni di carattere pratico e teorico. La creazione di base monetaria presenta indubbi vantaggi: — un costo praticamente nullo; i semplici costi di stampa della carta (quando vigeva l'obbligo della Banca d'Italia (v.) di finanziare lo scoperto del Tesoro sul conto corrente di Tesoreria obbligo che dal 1981 non sussiste più, il costo era comunque molto modesto poiché il tasso di interesse era pari all'1%; — un effetto espansivo massimo sul reddito, dovuto al fatto che oltre all'operare del moltiplicatore occorre considerare l'aumento degli investimenti dovuto al ribasso del tasso d'interesse, infatti, un aumento della base monetaria comporta una riduzione del saggio di interesse. Nel lungo periodo, però, il finanziamento con base monetaria provoca inflazione. Per ciò che concerne, invece, l'emissione di titoli di Stato per finanziare la spesa pubblica, essa è stata da sempre oggetto di animate discussioni tra i fautori del debito e i sostenitori delle imposte. Già Ricardo aveva affrontato il problema della scelta fra debito e imposta finendo con il concludere che il ricorso ad essi era sostanzialmente equivalente per il sistema economico (Equivalenza ricardiana): se la spesa pubblica è finanziata con l'emissione di titoli, ogni anno sarà necessario pagare imposte aggiuntive per la copertura degli interessi. Per un cittadino razionale, dunque, non dovrebbe esservi alcuna differenza fra le due forme di finanziamento della spesa. Lo stesso Ricardo, però, finiva col dubitare che gli operatori fossero tanto razionali da cogliere correttamente la sostanza del problema e suggeriva, da un punto di vista più politico che economico, di ricorrere comunque al pareggio del bilancio. Per Keynes, invece, il finanziamento della spesa pubblica con il debito accresce il livello di attività e perciò il reddito nazionale. I monetaristi ribattono, dal canto loro, che il debito pubblico ha effetti distorsivi (Crowding out), in quanto dirotta risorse dal settore privato a quello pubblico. Nel caso di finanziamento della spesa pubblica mediante ricorso al debito pubblico, infatti, lo Stato dovrà offrire tassi d'interesse competitivi per poter collocare i propri titoli presso gli operatori privati. Ciò comporterà un aumento generalizzato della struttura dei tassi d'interesse e, di conseguenza, una riduzione negli investimenti privati. Inoltre, gli elevati tassi interni attrarranno capitali esteri, rivalutando il cambio e riducendo le esportazioni. Il tutto si tradurrà in una contrazione della domanda aggregata e, dunque, del reddito. Il sistematico ricorso al deficit spending, poi, può comportare, nel lungo periodo, problemi di sostenibilità del debito pubblico . La possibilità di un effetto di spiazzamento è riconosciuta anche dai keynesiani . Essi sostengono, però, che gli investimenti sono poco sensibili alle variazioni del saggio d'interesse, cosicché il crowding out ha una portata relativamente limitata. . . . Alla lotta . . .

domenica 24 novembre 2013

… non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù ...

Ciascun individuo è tale poiché instaura relazioni con la realtà circostante. Il costante “riferirsi” all'altro da se, per definire il profilo stesso di soggettività, rende oggettivamente permeabile il confine del cosiddetto “ego” e l'esperienza della connessione scandisce di fatto l'esistenza individuale/collettiva. Nella transizione dal XVIII e XIX secolo la natura dell'interazione sociale storicamente determinata emerge culturalmente a coscienza e grazie a ciò Tocqueville ritenne la “massa” come moltitudine indifferenziata al suo interno, di aggregato omogeneo, in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo. L'industrializzazione e l'urbanizzazione connessa nei paesi occidentali più progrediti sono fenomeni d'esordio della società di massa. Nel XX secolo il quadro si raffina e completa in termini di omologazione: “Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi pieni di ospiti. I treni pieni di viaggiatori. I caffè pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici piene di ammalati […]. La moltitudine improvvisamente si è fatta visibile […]. Prima, se esisteva, passava inavvertita, occupava il fondo dello scenario sociale; adesso s’è avanzata nelle prime linee, è essa stessa il personaggio principale. Oramai non ci sono più protagonisti: c’è soltanto un coro” (Josè Ortega Y Gasset, “La ribellione delle masse”, 1930). La gran parte delle persone vive in agglomerati urbani, medi e grandi. Gli esseri umani sono a più stretto contatto condizionante fra loro. Maggiore disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione, di informazione pur con discriminazioni economiche d'accesso che ne differenziano sostanzialmente le condizioni di vita. Le relazioni sociali non si basano più sulle piccole comunità tradizionali. Le dimensioni etniche tendono a precipitare nel “globale”. Le relazioni sociali dipendono in una prima fase di affermazione del capitalismo dalle grandi istituzioni nazionali (apparati statali, partiti, associazioni, sindacati …), nella più recente dalle imprese multinazionali che sovradeterminano la vita di ciascuno. La subalternità dell'individuo è totale ed irreversibile.
Le organizzazioni capitalistiche che sovrintendono alla produzione ed al consumo di massa pesano sulle scelte di vita collettive e su quelle individuali. Si passa inevitabilmente dall’autoconsumo al circolo dell’economia di mercato. I valori tradizionali d'appartenenza lasciano il passo a nuovi modelli generali di mentalità e comportamenti eteroprodotti e “venduti” come indispensabili a ciascuno concorrendo a formare nuove dimensioni psicologiche e percettive inducendo alterazione etica ed annientamento del pensiero critico. Oggi il fronte delle innovazioni tecnologiche, di nuovi settori produttivi (informatica ed elettronica in primis, ma anche la chimica) trovano occasioni di imposizione di correlati stili di vita. La Cina s'affianca alla tradizionali potenze industriali, la Germania e gli Stati Uniti. Assistiamo ad uno sviluppo tumultuoso generalizzato della produzione in tutti i settori che devono innovare per sopravvivere nella competizione globale. L’indice di produzione industriale e quello del commercio raddoppiano fino alla fase di finanziarizzazione improduttiva, fino al collasso del sistema d'appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta (crisi della fine del primo decennio del XXI secolo). I prezzi dei beni e servizi (compresi quelli erogati dal Welfare), che prima calavano costantemente, cominciano a crescere. Non crescono, viceversa, i salari (assolutamente meno dei prezzi), il PIL dei paesi industrializzati e la popolazione in questi paesi subisce la stagnazione e l'imperio aziendalista. Per conseguenza, l'allargamento del mercato comprime la domanda di beni e servizi di massa, essendo le classi subalterne depauperate (mediante la leva fiscale) ed impoverite materialmente non avendo retribuzioni sufficienti a riprodurre la forza-lavoro. Non nascono cicli di produzione industriale di nuovi beni di consumo e le reti commerciali di vendita e distribuzione (negozi, grandi magazzini, vendita per corrispondenza, rateizzazione e finanziamenti, pubblicità) sono diventati non-luoghi dell'alienazione di massa; la stagnazione della produzione induce una razionalizzazione produttiva che si sostanzia in tagli di servizi e personale. Dal 1913, quando a Detroit, negli stabilimenti Ford nasceva la prima catena di montaggio, ad oggi, si è passati dall'introduzione di nuovi metodi di produzione di massa (parcellizzazione del lavoro, taylorismo di cui in F.W. Taylor, “Principi di organizzazione scientifica del lavoro”, 1911) al neoschiavismo che ha fatto tramontare l'epoca dei consumi di massa, dei prezzi differenziati e competitivi, degli alti salari, del fordismo.
Di quella stagione resta solo la “massificazione”. L'uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali, schizofrenica mobilità e stratificazione sociale. La classe operaia già divisa nella trade-unionistica distinzione fra manodopera generica e lavoratori qualificati (aristocrazie operaie) rifluisce verso zone sempre più ampie di disoccupazione e precarietà aumentando consistentemente l'inadeguatezza nel conflitto organizzato. È soggiogata alla volontà ristrutturativa del capitalismo. Il cosiddetto ceto medio non aumenta la sua consistenza con i lavoratori autonomi e nuove professioni che ci si inventa (la mortalità delle Partite I.V.A. ne è la dimostrazione) per non essere triturati dalla crisi; i dipendenti pubblici e gli addetti del settore privato che non svolgono attività manuali (tecnici, commessi, impiegati…) stanno scomparendo a causa della privatizzazione selvaggia che può fare a meno di dipendenze a tempo determinato e di contrattualizzazione; scompaiono anche i “colletti bianchi” creando fenomeni di contrapposizione tra borghesia impiegatizia e proletariato per reddito “non garantito”, sterilizzando l'autonomia degli individuo in termini di usi, costumi e aspirazioni e organizzazione/progettazione esistenziale.
La contrarietà ai sindacati a in generale alle organizzazioni di massa pare essere l'unica difesa alla spoliazione in atto. L'individualismo, la rispettabilità dell'appropriazione selvaggia di proprietà private (criminalità tout court), la fine del risparmio familiare, il riproporsi virulento di un senso subalterno della gerarchia sociale, forme risorgenti di ignoranza patriottistica diventano forme evidenti, sempre più importanti (poiché incidono nel disegnare opzioni di dominio sulle coscienze individuali), di percorsi personali e collettivi di fuoriuscita dalla “crisi”col crescere della società globale di massa rappresentati da caotici flussi migratori. Destinatari non più di beni di consumo, di diritti politici (elettorato di massa) che ne potrebbero far oscillare le simpatie, ora progressiste ora conservatrici, i diseredati del XXI secolo hanno un'unica alternativa: o soccombere o emanciparsi perseguendo con convinzione l'obiettivo dell’organizzazione ed intraprendendo la battaglia politica collettiva che produce di per sé più diritti; all'omologazione subalterna va opposta la solidarietà e lo spirito di classe, l'internazionalismo, fondamentale coll'espansione dello sfruttamento globale; il proletariato torna ad essere il motore del progresso perché lotta per i diritti collettivi e per la ridistribuzione del reddito si unisce e si concretizza nella lotta per il potere politico conquistato mediante rivoluzione sociale. La società di massa e “democratica” non è lo stesso della società socialista.
L'attuale soggezione dell’uomo e della sua attività creatrice a una volontà e a una decisione esterna, questa privazione della responsabilità personale della capacità autonoma di partecipazione e decisione, questa rimane per Karl Marx la suprema offesa che il capitalismo infligge all’uomo, per cui solo nel comunismo egli vedrà la piena realizzazione umana. In una risposta, sia pure scherzosa, data a un questionario postogli dalle sue figlie, egli dice che la sua idea dell’infelicità è la sottomissione, che il difetto che gl’ispira maggiore avversione è la servilità, che uno dei suoi due eroi preferiti è Spartaco, e uno dei suoi tre poeti preferiti è Eschilo, il cantore di Prometeo, che lo stesso Marx aveva chiamato “il più nobile dei santi e dei martiri del calendario filosofico” e di cui ricordava nella sua tesi di dottorato le parole rivolte al messaggero di Zeus: “Io, t’assicura, non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù. Meglio d’assai lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero di Giove”. La rivoluzione socialista rappresenta appunto per Marx la aspirazione a liberare l’umanità da ogni forma d’alienazione, di feticismo, di reificazione, di dominio del prodotto sul produttore, a fare cioè di ogni uomo un soggetto partecipe e cosciente del destino comune, anziché, oggetto dominato dall’esterno (dal passato, dall’ideologia, dalla merce, dal padrone, dai rapporti sociali, dal potere estraneo, dalla burocrazia, dall’organizzazione, ecc.). Il superamento delle differenze fra città e campagna, fra lavoro intellettuale e materiale sono viste in questa direzione. L’affermazione che l’emancipazione del proletariato debba essere opera del proletariato stesso, e di un proletariato cosciente va nella stessa direzione.
La concezione comunista del mondo è, come ogni scienza, opera degli uomini. I comunisti la devono non solo applicare. Prima ancora la devono elaborare e sviluppare all’altezza dell’opera che devono compiere: per costruire un grattacielo occorre una scienza delle costruzioni più sviluppata di quella necessaria per costruire una casetta. Per questo diciamo che essere marxisti non significa fare l’esegesi delle opere di Marx e degli altri dirigenti del movimento comunista (“cosa ha veramente detto Marx”, ecc.). Sono marxisti quelli che elaborano dall’esperienza la scienza della lotta della classe operaia che si emancipa dalla borghesia costruendo la società comunista. Il movimento comunista cosciente e organizzato non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista, neanche durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, quando per effetto della prima crisi generale del capitalismo la borghesia stessa aveva sconvolto i suoi ordinamenti nei singoli paesi e il suo sistema di relazioni internazionali e precipitato tutto il mondo in ben due guerre mondiali complessivamente durate più di 30 anni (1914-1945), principalmente perché i comunisti non hanno elaborato la concezione comunista del mondo all’altezza del compito che dovevano svolgere. Gli interessi della borghesia e del clero congiuravano con l’ignoranza naturale (conforme cioè alla loro natura di classi oppresse) in cui le classi dominanti tengono le classi oppresse (“lei non è pagato per pensare”, “qui non si fa politica”, ecc. ecc.) e con la pigrizia e il dogmatismo di tanti comunisti pur onestamente devoti alla causa della rivoluzione che tuttavia riducevano il marxismo all’esegesi dei testi e a una fede religiosa nei dogmi, mentre nell’azione pratica, pur eroica, si orientavano a naso, secondo il senso comune (cioè nei limiti di proteste e lotte rivendicative). Va superata – tra l'altro - l’inerzia teorica del movimento comunista dei paesi imperialisti e il suo venir meno ai compiti suoi propri. Così come è al primo posto dell'ordine del giorno della storia l'organizzazione politica del proletariato rivoluzionario.