Visualizzazione post con etichetta Trasformazione sociale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Trasformazione sociale. Mostra tutti i post

venerdì 26 agosto 2022

“Politica” ed elezioni. Lettera aperta ai “leader” d’opposizione governativa di ”sinistra”

Ancora una volta si procede in ordine sparso. I residui atomi di quello che fu il movimento proletario rivoluzionario, sembrano rianimarsi, con le migliori intenzioni, in prossimità delle Elezioni politiche. Pare che per costoro per costruire una società “nuova” sia utile e doveroso transitare da una elezione all’altra, cercare il consenso necessario (dal termine latino, consensus, "conformità dei voleri"), giocare ai duri e puri, finendo così, in ultima istanza, con il legittimare il regime democratico capitalista. Sembra che la contesa con il comando capitalista si dispieghi esclusivamente nelle proposizioni antiliberiste ed antifasciste, nella comunicazione sociale di una presunta diversità (alimentata da un infinito elenco di diritti negati e dalla contrarietà al non rispetto delle stesse leggi; potrebbe essere altrimenti nella società capitalista ?) che, tuttavia, non allude ad una identità politica-organizzativa antisistema. Anzi. L’indifferenza alle variabili rivoluzionarie di un processo antagonista vengono del tutto riassorbite dalla retorica e dalle buone ragioni, ma senza mai mettere in discussione l’assetto di potere, le contraddizioni di base sulle quali si impone e rinnova costantemente la storica divisione in classi del corpo sociale che vede il proletariato del XXI secolo ancora in catene, subalterno ed impotente. Risulta evidente che ogni concezione comunista nell’edificazione d’una società migliore è stata accantonata, resa effimera, laddove si espunge la variabile organizzativa rivoluzionaria, il fattore politico della difesa di classe, quindi non solo giuridica e tradeuninista.

A queste obiezioni minime, si ripeterà - volendo giustificare l’agire militante in un ambiente democratico capitalista - la giaculatoria secondo la quale “non ci sono le condizioni”. Bleffando, se non mentendo a se stessi, perché le “condizioni” si costruiscono secondo strategie e tattiche, analizzando e valutando le “situazioni”, orientando le coscienze, testimoniando con il “fare”, dirigendo verso scopi condivisi la lotta di classe, mettendo anche a repentaglio quelle misere sicurezze che condannano alla subalternità i proletari, certamente non mendicando “spazi” radio-televisivi, interviste sulla stampa di regime o occupandosi di “costume”, come pare accadere a tal punto che il megafono dell’opposizione governativa oggi è nelle mani degli influencer.

L’idea del consenso ad un programma politico, ad una lista elettorale, ad rassemblement disoggettività plurali, distinte, con annessa “valorizzazione” di personalità tutt’altro che comuniste scelte come leadership ha la lieve consistenza di un perverso gioco che non prevede la vittoria, semmai qualche “tribuno del popolo” baciato dalla fortuna. Questa esperienza elettorale, in verità, viene periodicamente utilizzata soprattutto per definire l'accordo su di un determinato ordine sociale, sulle regole che presiedono al funzionamento delle istituzioni che lo governano. Benché il consenso elettorale entri in gioco anche rispetto a obiettivi specifici che caratterizzano le politiche (di natura economica, assistenziale, ambientale ecc.), come sempre accade, anche in questa circostanza ci si focalizza soprattutto sulle modalità e il grado di partecipazione popolare che riguardano l'esercizio del potere, il contenimento della violenza nei rapporti sociali, la legittimazione dell'autorità, insistendo particolarmente sui dispositivi politici e istituzionali finalizzati al sostegno dei diversi regimi politici capitalisti, in primo luogo quelli ad impianto democratico, e dando risalto all'opinione pubblica, ai modi con cui si determina, all'influenza dei mezzi di comunicazione di massa.

È un circolo vizioso. Ancora una volta, dunque, qs'assiste allo svogliato risveglio del dibattito pubblico – dopo gli anni dedicati alla pandemia e mesi, ora, ai riposizionamenti geopolitici, alle conseguenti deflagrazioni militari e alle convulsioni per l'accesso alla materie prime – come ideological mainstreamche vuole intendere la “politica”, in Italia, alla maniera di un esclusivo e spettacolare evento elettorale. 

Tutti, come capita ai tifosi delle squadre di calcio, si ringalluzziscono in prossimità della “partita” più importante, quella delle settembrine elezioni politiche per il rinnovo (rinnovo ???) del Parlamento della Repubblica italiana.

Tutti ne parlano, tutti fanno a gara nel fornire la formazione imbattibile, tutti impegnati a scegliere e ad indossare la casacca “stilisticamente” giusta della squadra vincente per favoleggiare nei comizi, nelle convention o in sobrie conventicole. Tutti intenti a scrivere in bella calligrafia (in verità, a riscrivere) programmi ed a confezionare promesse. Dopo l'allenamento delle recenti amministrative, tutti pronti a fare spallucce alle sconfitte subite prevedendo rivincite o quantomeno pareggi. L'importante è giocare, the show must go on.

Addirittura capita che alcuni hanno intrapreso il percorso del cartello elettorale dell’Unione popolare (ma non si era già giunti al “Potere al popolo”?), forse ignari che con la stessa denominazione ha agito un partito politico di orientamento liberal-democratico e nazionalista attivo in Belgio, nella comunità fiamminga, dal 1954 al 2011, ma sicuramente coscienti di operazioni simili effettuate nel passato, di un tristissimo déjà-vu, perché convinti che si possa fare come Jean-Luc Mélenchon in Francia che, con La France Insoumise ha costruito un discreto successo inventandosi all'occorrenza una coalizione di “sinistra” la Nup (Nouvelle Unione Populaire écologiste et sociale) che riunisce momentaneamente coriandoli multicolori estranei al tradizionale establishment economico-politico, subculture politiche eterogenee.

Come tratto unitario delle esperienze in fieri è certamente il rinculo politico-culturale; infatti c'è un evidente smarrimento scientifico-sociale, politico ed organizzativo che porta tutti i contendenti nell'agorà elettorale ad appoggiarsi alla general-generica parola “popolo”.

Il termine, come è noto, fornisce storicamente origine, in campo politico-elettorale, al lemma “populismo” usato per designare tendenze o movimenti politici sviluppatisi in differenti aree e contesti nel corso del 20° secolo. Tali movimenti presentano alcuni tratti comuni, almeno in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e a un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi (prevalentemente tradizionali), in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Infatti, Fratelli d'Italia sta costruendo le sue fortune (stando ai sondaggi) proprio sulla reiterata allusione agli “italiani” (quali non è dato sapere), alla Nazione, alla strategia della xenofobia utile a costruirne un'identità che faccia da collante, bypassando le sussistenti oggettive gerarchie sociali e le fondamentali differenziazioni di classe.

Inoltre, tra questi tratti comuni ha spesso assunto particolare rilievo politico la tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa (su questo punto, per certi versi, non ci sarebbe nulla di censurabile in una conseguente e radicale critica alla “democrazia reale”, o “incompiuta”, che dir si voglia, a quanto si è palesato dal 1943 al 1948 con la rottura dell'unità antifascista e, successivamente, con i decenni di degrado civile che portano ai nostri giorni), privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader mediaticamente carismatici a organizzazioni politiche da tempo presenti sulla scena politica ed a esponenti del ceto partitico tradizionale.

Il fenomeno contagia indistintamente ogni attuale “offerta” del mercato politico, indotto da una situazione economico-sociale in rapido mutamento peggiorativo per le masse a causa del passaggio da una economia capitalista incentrata sullo “sviluppo” industriale e tecnico ad una fase economica di perdurante “crisi” e di penuria e da sistemi politici a partecipazione “surrogata” della masse a sistemi che registrano una estesissima estraneità/ostilità civica ed una contestuale sopravvivenza di privilegi che integrano l'astensionismo.

Ecco, dunque, la presentazione di slogan populisti da parte di capipartito che si confezionano addosso l'abito del “portavoce delle esigenze del popolo”, attraverso l’esaltazione dei valori nazionali, senza aver mai reciso i legami con il passato, tanto meno dimostrare di aver intenzione di avviare una autentica revisione (patetiche, a questo proposito, le interviste che vogliono sollecitare il “pentimento” da parte di esponenti di Fratelli d'Italia; quest’ultimi retoricamente affermano non esserci spazio per i “nostalgici del Fascismo” in quanto loro stessi, generazionalmente o no, sono la plastica evidenza che in una democrazia in disfacimento c'è ancor più spazio per la “destra”), di propugnare l’instaurazione con esso popolo di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali; tuttavia, ad elezioni effettuate, “passata la festa, gabbato lo santo”.

La politica non riguarda più da anni il rito folcloristico ed alienante delle elezioni; la mobilitazione coscienziale e pratica delle masse va incentivata ogni giorno, ricostruendo il tessuto comunitario di classe, dotandosi degli strumenti teorico-politici necessari ad agire “contro” il vigente sistema e non per farne parte.

Spesso tale cosiddetta “partecipazione elettorale”, vivacemente incentivata da gruppi e gruppuscoli che fanno campagna promozionale di qualche lista per poi ritirarsi nell'inedia a leccarsi le ulteriori ferite, sollecita il potere, depositario del monopolio delle forza, a consolidare il mantenimento di un elevato, devastante, controllo sociale, anche grazie al "libero voto".

Altrimenti. Altrimenti risvegliare pensieri in ristagno, zampilli di vita rivoluzionaria, integrale, senza remore fuoriuscire dal circo della "politica partitico-elettorale" ... altro che affabulazioni, a suo tempo, vendoliane, bertinottiane ed oggi demagistriane ed affini !

Creare le condizioni della scissione sociale. Ogni mediazione si è palesata come storicamente fallimentare. I cosiddetti “gradualismo” e “riformismo” hanno drammaticamente fallito. Non può esserci compatibilità tra diritti e sfruttamento. Ogni ragionamento geopolitico deve fare i conti con questa oggettività. Inoltre, la “rivoluzione” dei rapporti sociali non è una questione solo per giovani, come se a 60 e passa anni, non si voglia o non si possa più procedere individualmente e collettivamente alla trasformazione sociale. Che i giovani dimostrino di saper effettuate scelte, senza riserve o garantite autotutele. Che gli “esperti” continuino un difficile cammino di liberazione, troppo presto ingombro di passi falsi, da alcuni abbandonato per seguire attraenti menzogne sirèniche.

Certi stolti vedono la critica delle parole qcome unico strumento orientativo per la coscientizzazione di massa ed efficace auspicio (??? ?? .) di cambiamenti. Per costoro questa è “azione politica” ! Stolti !

Viceversa, avviamo seriamente la discussione sul “comunismo possibile”. Un background comune è costituito dall’esperienza storico-politica del proletariato rivoluzionario, dai testi marxiani (in particolare, le opere scritte tra il 1845 e il 1847 e la Prefazione del 1859 a Per la critica dell'economia politica), leniniani e marx-leninisti sulle tematiche di fondo: “base” (realtà economico-sociale costituita dal sistema materiale di produzione e consumo), sovrastrutture (sistema delle relazioni ulteriori che si generano – bedingt - dalla fondamentale contraddizione capitale-lavoro - ne sono causalmente determinate - a garanzia della riproduzione della formazione economico-sociale dominante), trasformazione collettiva (politica di classe ed organizzazione rivoluzionaria) e fuoriuscita dal modo di produzione e consumo capitalista ed estinzione dello Stato. Questo patrimonio culturale va messo in relazione con l'attuale situazione dell'antagonismo sociale alla “crisi” ristrutturativo-globale del capitalismo delle multinazionali, poiché è sempre in agguato la spinta ideologica degenerativa che vede nella “teoria” un dogma (fantasmi retorici si aggirano tra le fila degli anticapitalisti) e nelle “prassi” sociali della lotta tra le classi una rappresentazione astorica (oscillante tra il poco dignitoso tradeunionismo e velleitarismi insurrezionali). Conseguentemente, saranno approfonditi gli aspetti storici (bilancio del movimento comunista mondiale) e teorico-politici legati alle fasi della transizione, alla “dittatura del proletariato” e al “dominio politico di classe” per meglio definire una strategia politica frutto della convergenza tra conoscenza scientifica e comportamenti sociali coscienti, veicoli realmente efficaci della trasformazione collettiva. Privi di un programma del genere, si realizza solo “cattivo teatro”. Che si parta da uno spazio libero di discussione teorico-politicamente creativa e di condivisione di esperienze antagonistico-sociali e trasformative. Un'impresa collettiva, un invito a fuoriuscire dall'ortodossia democraticista che si auto-riferisce e dalla “miseria della Filosofia”.

Prof. Giovanni Dursi

Docente M. I. di Filosofia e Storia

domenica 15 marzo 2020

Sostiene Giovanni Dursi ... Sui tempi malsani, contaminati dalle attese

Sui tempi malsani, contaminati dalle attese


«Gli esseri umani sono unici. Come e perché lo siano ha stimolato
per secoli la curiosità di scienziati, filosofi e persino avvocati.
Quando cerchiamo di stabilire una distinzione tra animali ed esseri umani,
nascono controversie e ci si azzuffa sulle idee e sul significato dei dati,
e quando il polverone si placa, ciò che resta è una quantità maggiore
di dati su cui costruire teorie più forti e stringenti.
Stranamente, in questo ambito di ricerca,
idee opposte sembrano essere almeno parzialmente corrette»
Human. Quel che ci rende unici (pag. 9)
Michael S. Gazzaniga, Raffaello Cortina Editore, 2009

Al termine del secondo decennio del XXI secolo, l'umanità è dentro una bolla asociale di silenzio, di coatta “inattività”, di attese imperscrutabili. L'esperienza laica del silenzio, di fronte alla disperazione delle presenti vicende del quotidiano, comporta il passaggio dall'assolutizzazione dell'Ego alla presa di coscienza dell'“identità relativa”.
L'improvvisa e fragorosa fenomenologia del silenzio, come la si può cogliere all’interno della manifestamente precaria dimensione dell'esistenza umana, costringe ad esplorazioni intime le quali, se ben condotte allontanandosi dal risvolto mitico e archetipico di tali investigazioni, aprono alla scoperta o alla presa d'atto della pregnanza “salvifica” del desiderio della ragione, preludio di ineludibili conoscenze. È il cammino che conduce al non-Sé. Una speleologica tendenza psicosociale alla decostruzione, con lo scopo di esplicitare le infinite possibilità di significato e di interpretazione dell'esistenza collettiva méntre la bolla esploderà.
Certo, non si vuole disconoscere lo stato di necessità, le indispensabili precauzioni e la prevenzione possibile, bensì interpretare l'evolversi della situazione epidemiologica ed il carattere peculiare, aggressivo e letale, del contagio virale (ovviamente preoccupati dall'incremento quotidiano, in scala globale, dei casi conclamati da sintomi inesorabili, indubbi, evidenti), in un quadro di riferimento generale che – sensatamente – comprenda anche i plurimi versanti dell'habitat organizzativo della vita collettiva storicamente data, dai quali contemplare la morte (G. D'Annunzio, Aprile 1912), ancor prima che fisica, culturale, insita negli stessi processi tecnici che guidano il funzionamento e le relazioni all’interno del sistema economico egemone, efficacemente pervasivo.
Questa impostazione nella disamina non permette di eludere, preliminarmente, la reale differenza che persiste, non tanto nella percezione del dilagante fenomeno definito “emergenza sanitaria”, ma nel rischio reale di vita che l'alta onda del contagio immette nelle biografie personali.
Sono i lavoratori dipendenti, ancora una volta, ad avere – più vicino di ogni altro - sulle proprie spalle la falce affilatissima che distende la lama indiscriminatamente, essendo ancora considerati un inesorabile sacrificio umano sull'altare della produttività da non interrompere e del profitto da garantire, ad ogni costo.
Inoltre, intorno a questa perversa gestione di un fabbisogno universale di tutele e delle misure di contenimento, fanno capolino becere velleità eugenetiche nelle diverse versioni, da un lato, di evitare le cure necessarie agli anziani colpiti, considerati condannati per età e malattie pregresse e, dall'altro, della “soluzione” messa in campo dall'attuale Governo inglese e dagli epigoni che ritengono di poter accettare un numero certo di decessi oltre il quale si svilupperà “magicamente” la cosiddetta “immunità di gregge”, dando per scontato e indispensabile, tra l'altro in assenza di un vaccino, che si ammalino migliaia di persone per immunizzarne la maggioranza sopravvissuta al contagio.
Altro paradossale aspetto, dell'attuale tempo di vita sociale sospeso, riguarda la comunicazione sociale. Nella società statualizzata contemporanea ove le modalità individuali e gruppali di interazione e comunicazione si moltiplicano – indotte dall'innovazione tecnico-scientifica e da abili strategie di marketing e commercializzazione dei prodotti (obsolescenza programmata 1) - e le telecomunicazioni trovano ulteriore potenziamento e transitano decisamente verso procedure di “inclusione digitale” favorendo l’accesso ai benefici dell’Information and Communicatio Technology da parte di tutte le persone al suo linguaggio alfabetizzate (certo, non è affatto superata la questione del digital divide), oggi sono negate, drasticamente inibite, da provvedimenti normativi ispirati alla tutela della salute pubblica ed all'emergenza sanitaria che obbligano tutti ad estirparle, le primordiali forme di comunicazione – quelle interpersonali vis-à-vis - tipiche delle società senza Stato.

L'interdizione dell'intera gamma dei contatti che solitamente hanno luogo o si svolgono fra persone – empiricamente, l'intensa sollecitazione d'una norma di prossimità - ha un immediato riscontro sulla fenomenologia del controllo sociale e su entrambi i livelli sui quali tradizionalmente si manifesta: il livello della persuasione alla conformità e quello della repressione delle devianze; proprio quest'ultimo – come concepito (2) nella commistione tra emergenza epidemiologica, ordine pubblico e tranquillità pubblica (3) – fornisce la cartina al tornasole di questi tempi malsani, contaminati dalle attese, la prova irrefutabile del passaggio dalla cosiddetta “società disciplinare” a quella dell'introiezione (ideologica) del controllo, dove non è più solo il “potere costituito” ad esercitare la sorveglianza (e punire; rif. a Michel Foucault, Surveiller et punir: Naissance de la prison, 1975), bensì sono le stesse soggettività sociali, portatrici di spavento, unilateralmente informate, frammentate nelle appartate fruizioni e dei social network e delle piattaforme d'intermediazione, ad essere sospinte all'autocensura, all'autocontrollo anche vicendevole, all'incessante omologazione dei comportamenti alle direttive governative emanate.
Pertanto, sembra che l'accentuata plurisecolare civilizzazione (statualizzazione) dell'umano, abbia reciso i legami con gli aspetti, peraltro insopprimibili, biologico-naturali dell'esistenza, sembra che abbia ridefinito la condizione extragenetica, artificiale, “culturale” della riproduzione della vita, proiettandola in una dimensione totalmente asèttica rispondente solo alle regole sopravvivenziali dell’asepsi, come se, di fronte al dramma, la regressione comune al sistema esigenziale primario (rif. a A. H. Maslow 4), agisca inevitabilmente da “modificatore sociale”, con buona pace dell'antica convinzione, non solo aristotelica, secondo la quale l'uomo è un «politikòn zôon» (rif. Aristotele, Τὰ πολιτιϰά, IV secolo a. C.).

Non paia banale ricordare che l'umano ἐγκέφαλος, dotato di una corteccia sempre più vasta e più complessa rispetto agli altri primati, quella porzione anteriore del sistema nervoso centrale, contenuta all’interno della scatola cranica e costituita da cervello, cervelletto e tronco dell’encefalo, che con i 1.300-1.500 grammi di tessuto gelatinoso, composto da 100 miliardi di cellule neurali ognuna delle quali sviluppa in media 10 mila connessioni (l'esistenza di queste connessioni, o sinapsi, fu scoperta alla fine del XIX secolo dal fisiologo inglese Charles Scott Sherrington) con le cellule vicine, non attiva solo l'arcaico romboencefalo. Come, nel XX secolo, L. S. Vygotskij ha dimostrato, sono le funzioni intellettuali superiori ad emergere dalle esperienze sociali, grazie alla efficacia della “zona di sviluppo prossimale”, concetto unificatore dello sviluppo sociocognitivo umano (rif. a Pensiero e linguaggio, 1934).
Per dire che l'essere umano è da tempo immemorabile un ùnikum – fenomeno eccezionale e irripetibile – tale da non poter essere “trattato” in ogni evenienza solo come corpo; è differente inoltre da tutte le altre specie animali per la complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra via che non sia l’ereditarietà biologica, è cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e, come tale, soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico.
L'essere umano non è un tubo digerente, le strutture del cervello rispecchiano la sua filogenesi nella “onnipresente lateralizzazione delle funzioni cerebrali” (op. cit., Michael S. Gazzaniga Human. Quel che ci rende unici, pag 34).
Nel λόγος, inteso come unità di pensiero e linguaggio, di discorso e ragione, risiede la peculiare autonomia del suo essere, nella disponibilità dell’uomo a seguito dell’evoluzione naturale, e diventa effettivamente utilizzabile da parte di ciascuno degli individui come risultato dell’apprendimento sociale. Dietro al λόγος c’è, sempre, ovviamente, la presenza del cervello, un piccolo grumo di cellule gelatinose, con sede nel cranio e che è capace di produrre una quantità di stati mentali superiore al numero di particelle elementari dell’universo conosciuto.

Questo organismo/uomo unitario ora è costretto a ridimensionarsi, colpa della pandemia che corre veloce attraverso i vastissimi territori nazionali e continentali, scindendosi in un essere biologico che non è più e non può più essere, tralasciando la sua “seconda natura culturale”, come analogamente analizzato anni fa da Naomi Klein in Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri (BUR Rizzoli, 2007) che “stabiliva una convincente correlazione fra i disastri climatici, gli “eventi estremi” e le restrizioni della vita democratica, a partire naturalmente dagli Stai uniti” (5).
L'ipotizzato caratteristico agire sociale dell'uomo è qualificato, oltre che dalle attività cooperative volte alla sopravvivenza delle comunità, anche da quelle volte alla riproduzione solidale dell'arco vitale individuale; in altri termini, le risorse antropologiche lavorative e l'ingegno che le esprime sarebbero orientate alla sopravvivenza non solo in quanto individuo, ma anche in quanto specie. L’uomo «politikòn zôon» essendo ontologicamente preprogrammato ad essere depositario di un'identità relativa sociale, definirebbe la produzione e la riproduzione della vita sia secondo il loro contenuto di materialità che in termini di progresso culturale. Coesisterebbero, conseguentemente, sia una produzione sia una riproduzione, al contempo, materiali e sovrastrutturali.
Va constatato che le inibizioni comportamentali (ad esempio le proibizioni di cui alla precedente nota 3 del presente testo) e l'astensione dai contatti fisici nello spazio-tempo sociale (urbano, lavorativo, domestico, affettivo) in atto, sono, insieme, in apparente e reale contrasto con il comune modo di pensare o con le più elementari norme del buon senso, e quindi sono inaccettabili sul piano logico, pratico, morale, ancor più per quanto riguarda i cosiddetti millennials (tra 14 e 18 anni) e i “nativi digitali” spuri (tra 18 e 25 anni) che trovano occasione di sviluppo cognitivo, relazionale, emotivo, etico, proprio nell'integrazione dell'esperienza “virtuale”, del processo di virtualizzazione della socialità (6), con la dimensione biologica dell'esistenza (dalla percezione sensoriale all'ἔρως, dalla fatica all'autoriflessività attuabile grazie alla possibilità di distanziarsi, autosservare e riflettere sui propri modi di essere e sui propri stati mentali “in situazione” pubblica).

La parvenza germinale di un diverso modo di essere del reale – ad alto impatto tecnico elettronico ed immateriale - che, come tale, non sempre costituisce una fuga dalla realtà, ma un potenziamento di forme tangibili di intervento su di essa, pare causare – in questo frangente di autoisolamento, relazionalità coartata e ritiro sociale, all'interno di una evidente riproposizione del “condizionamento operante” (rif. a B. F. Skinner, The Behavior of Organisms: an Experimental Analysis, New York: Appleton-Century-Crofts, 1931; Science and human behavior, New York, The MacMillan Co., 1953; Holland J., Skinner B. F., The analysis of behaviour, New York: Mc Graw Hill, 1961), come strumento strategico del controllo sociale tendente a formare una moltitudine di “personalità evitanti” (7) -, simultaneamente e contraddittoriamente, una deriva verso un troncamento di ogni qualsivoglia riconoscibile comunicazione con il mondo degli altri, non riuscendo ad emergere così alla pienezza ed autenticità dei rapporti sociali, bensì rendendola inessenziale, quasi effimera, ed enfatizzando al contrario l'esclusiva soddisfazione dei bisogni individuali per la sopravvivenza fisica, le necessità “fisiologiche”, fame, sete, sonno, termoregolazione, i primi a dover essere soddisfatti a causa dell'istinto di autoconservazione e, parzialmente, dei bisogni di sicurezza - che aprono oggettivamente alla relazione sociale - quali le occorrenze connesse a protezione, tranquillità, prevedibilità, limitazione/soppressione di preoccupazioni e ansie.
La stessa lettura darwiniana dell'evoluzione umana si contraddistingue nella messa in valore della capacità cosciente, cumulabile e variabile storicamente, di rendersi nella maggior misura possibile indipendente dalla natura, tanto che si potrebbe sostenere paradossalmente che ormai siano nella natura intrinseca dell’uomo la sua volontà, possibilità e capacità di rendersi in parte indipendente dallo stesso ambiente naturale.
I processi attraverso i quali si è arrivati a un tale divenire sono materia per gli antropologi; ciò che qui ci interessa è capire come le due fondamentali attività dell’uomo, la trasformazione della natura e la relazione con gli altri uomini, siano due aspetti inscindibili della definizione stessa di umanità: ciò vuol dire che non è corretto analizzarli separatamente o, meglio, vuol dire che si deve tenere sempre conto della loro interconnessione, della natura costituzionalmente (fondativa) ibrida dell'essere umano. Tanto la forza fisica e i variegati strumenti di trasformazione/valorizzazione della natura e di se stesso, quanto le esperienze, conoscenze e relazioni organizzate tra simili, hanno fatto dell'uomo un soggetto – agente consapevole - di storia, emancipandosi definitivamente dalla mera configurazione biologica e da quell'orizzonte chiuso, limitato, che lo ha rinserrato per millenni, dei bisogni fisiologici, riconducendo in via esclusiva e subordinando al Sé biologico ogni sorta di istanze ulteriori, prescindendo dall'immanenza di altri modi di estrinsecazione dell'umano e di riferimenti extragenetici.
Da questo punto di vista, oltremodo significativa è l'attualissima e accurata riflessione contenuta nel recente volume di Giulio Gioriello e Pino Donghi, “Errore” (il Mulino, 2019)
«Al tempo della società controllata dagli algoritmi, se cadiamo in una situazione imprevista dalla procedura – ciò che legittimamente potrebbe configurarsi come un errore o un'imprecisione che la serie di stringhe non aveva anticipato – in ogni caso l'unica soluzione proposta è “reset e riparti”: siamo capitati in uno stato non programmato e da cui è impossibile (con il programma in essere) ritornare dentro una qualche configurazione gestita, da cui procedere in modo controllato. Nei fatti siamo guidati all'interno di una dimensione da cui l'errore è stato escluso, bandito, non più ammesso. Cercheremo di argomentare che ci siamo abituati, evidentemente male. Ed è anche in virtù (diciamo così!) di questa nuova configurazione dell'esistenza, dove l'errore è inconcepibile – specialmente come vedremo nell'interazione con i medici e la medicina – che tendiamo a considerarlo troppo spesso inaccettabile e scandaloso. L'errore ci sgomenta e ci sconcerta; non può riguardarci. È contro tempo, appunto.
Semmai ci fosse, è bene che se ne occupi il dio-architetto-progettista. Per quanto ci riguarda è meglio iniziare una nuova partita, possibilmente con un gadget nuovo di zecca» (op. cit. p. 13-14).
Dedicato alla “condizione del progresso” il pamphlet sostiene che la la nostra storia genetica ci ricorda come le specie sopravvivano adattandosi all'ambiente a partire da errori “casuali” , talvolta fatali, ma spesso utili e risolutivi. Inoltre, nel mondo dall'I. A., l'anomalia dell'imperfezione è ancora necessaria per avanzare nel cammino della conoscenza. Ne consegue che, come in tutte le attività umane, periodici errori sono inevitabili, di regola non causati dalle azioni di un singolo e tantomeno intenzionali; in secondo luogo, che la meravigliosa macchina biologica della quale siamo dotati come esseri viventi non è più da tempo considerabile distintamente dalla parte extragenetica, “artificiale”, culturale intimamente ed irreversibilmente associata al nostro corpo.
Gli errori umani che procurano danni alla componente anatomo-fisiologica, per questo motivo, in medicina, rari, non augurabili e spesso prevenibili, ma mai inconcepibili, non possono essere affrontati deliberatamente come materia di esclusiva pertinenza sanitaria e normativa.

L'azione politica del concentrare i cittadini negli antri devoniani domestici e, nello stesso tempo, enfatizzare il “distanziamento sociale” come pubblica terapia, svela il tentativo di nascondere un'irresponsabilità (incolpevolezza) basata sull’elemento della scelta di ridurre l'uomo al suo corpo suscettibile di precoce decadimento. Proprio l'inadeguata riflessione sulle circostanze (talora eccessivamente e sbrigativamente valutate, talvolta sottovalutate) degli errori nell’esercizio della relazione sociale, biologico-culturale tout court, finisce per costituire un’insostituibile occasione per il miglioramento delle procedure di riproduzione generazionale della vita, oltre che per la corretta valutazione dell’innegabile originalità della risposta a trattamenti e cure ed eventualmente per risarcire le vittime non occasionali.
A tal proposito, va disapprovato con fermezza il rito puerilmente esorcizzante dell'affacciarsi dai pertugi di casa ascoltando o interpretando il  Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d'Italia (!!!), Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d'Italia, un canto risorgimentale (!!!) scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847 (!!!); una liturgia nazional-popolare o populista che evolve (!!!) nella forma dei flash-mob ("dal sapore di nazionalismo più becereo"; "rubo" la frase a Nicole Della Rocca, eccellente studentessa di Scienze umane) con persone affacciate ai balconi o alle finestre di casa, ispirate anche alle modalità di contestazione adottate dal pubblico su sollecitazione del guru televisivo (tal Howard Beale che minaccia di uccidersi in diretta, incrementando notevolmente gli ascolti ... !!!), come accade in una scena del film Quinto potere (regia di Sidney Lumet, 1976), in un tenersi collettivo per mano che non può essere “vero”. Tutto questo "protagonismo popolare" si palesa nella rimozione sostanziale di quanto accade nel frattempo: il completamento della torsione antidemocratica dello Stato ormai pronto a fare da "cassa di risonanza" di "invocazioni d'azioni di repressione-controllo da parte dell'Esercito e delle forze dell'ordine", ad agire come moltiplicatore di "ansia generalizzata senza alcune mediazione razionale che ha dei risvolti apparentemente schizofrenici (tra intolleranza, diffidenza dell'altro e senso di apparteneza comunitaria)"; cito ancora le puntuali parole di Della Rocca.
Tali diuturne celebrazioni evocano la narrativa deleddiana, basate su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità (come si evince in Grazia Deledda. La vigna sul mare, Treves-Treccani-Tumminelli, 1932), si avvalgono d'una banale sceneggiatura spingendo a recitare con fervore salmi preconfezionati, #stiamotuttiacasa, #insiemecelafaremo, #andràtuttobene ignorando cinicamente i duemila morti circa accertati che, ad oggi, non ce l'hanno fatta e non potranno più – neanche volontariamente - “farcela a stare in casa”.
Il vincolo sociale non può essere ricondotto a relazioni terapeutiche e, prioritariamente, alla segregazione e alla esclusione come sta avvenendo e come sollecitamente si è indotti a pensare e ad agire disciplinatamente. Tale dispositivo panottico di contrasto e di cura – nell'immediato e ciò è innegabile – comporta la trasformazione degli individui da “soggetti di una comunicazione” a prigionieri ovvero “oggetti d’informazione”, la rarefazione sociale, la morte culturale dentro la camicia di forza di Narcisi ammalati, ed una prevista irrefrenabile infantilizzazione dell'umanità (la sindrome neotenica della contemporaneità rigorosamente tematizzata da Paolo Virno in Scienze sociali e «natura umana». Facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione, Rubbettino, 2003) che genera senso collettivo di perenne incompletezza e reiterata insoddisfazione.
Come opportunamente è stato affermato “La relazione con gli altri è … l’unica fonte della propria autostima, la cui perdita, reale o minacciata, è intollerabile e porta all’aumento della distanza tra l’immagine del Sé e l’ideale del Sé […] il Sé ideale … ha bisogno degli altri”. A. Adler docet (rif. a studi 1907-1936).
Prof. Giovanni Dursi © Marzo 2020
Docente M.P.I. di Filosofia e Scienze umane

1 Espressione con cui si fa riferimento al processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie. Tale processo viene attivato dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di funzionalità, e si realizza mediante opportuni accorgimenti introdotti in fase di produzione (utilizzo di materiali di scarsa qualità, pianificazione di costi di riparazione superiori rispetto a quelli di acquisto, ecc.), nonché mediante la diffusione e pubblicizzazione di nuovi modelli ai quali sono apportate modifiche irrilevanti sul piano funzionale, ma sostanziali su quello formale. Il fenomeno era stato rilevato già nel 1957 da Vance Packard in The hidden persuaders (1957, trad. it. 1958).
2 Il riferimento è al DPCM 11 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del Decreto-legge 23 Febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale. (20A01605) (GU Serie Generale n.64 del 11-03-2020) recante ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sull'intero territorio nazionale.
3 Con particolare riguardo allo spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale, nonché alle sanzioni previste dall’art. 4, comma1, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ 8 Marzo 2020, in caso di inottemperanza (art. 650 C.P. salvo che il fatto non costituisca più grave reato). Il Dispositivo dell'art. 650 Codice penale così recita: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità (1) per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene (2), è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato [337, 338, 389, 509] (3), con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a duecentosei euro (4).
4 A Theory of Human Motivation, 1943; Motivazione e personalità, 1954-1970, Verso una psicologia dell'essere, 1971.
5 A questo proposito, vedere l'articolo di Angelo d’Orsi Lo shock (anti)democratico del virus, MicroMega, 14.03.2020.
6 Rif. a Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
7 Rif. a “[ … ] levitante ha una rappresentazione di diversità e/o di inadeguatezza personale che vive come uno stato di fatto, più o meno doloroso, una realtà con cui confrontarsi nella vita; ha la percezione stabile dell’impossibilità a condividere e/o appartenere al mondo relazionale e sociale”, Popolo, R., Dimaggio, G., Marsigli, N. & Procacci, M., Difficoltà nella percezione del senso di appartenenza: un confronto tra fobia sociale e disturbo evitante di personalità, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 13 (3), 2007, 301-322. Vedere anche: Borgna, E. La solitudine dell’anima, Feltrinelli, 2011).