sabato 27 ottobre 2012

Il Flash Mob di Frankenstein

Anche i docenti delle scuole di molte province italiane, istituti superiori e “comprensivi”, sono in stato d’agitazione e ogni giorno si riuniscono in assemblee, presso le sedi scolastiche o sindacali, considerando i recenti provvedimenti dell’attuale esecutivo, che si sommano ai danni procurati alla scuola pubblica anche dai Governi precedenti, altamente nocivi per l’istruzione pubblica costituzionalmente “tutelata”. Chiedono lucidamente il ritiro del DDL 953, vera e propria controriforma delle istituzioni scolastiche, l’abolizione di tutti i finanziamenti alle scuole private, compresi i recenti 223 milioni di euro elargiti, il rinnovo dei contratti, scaduti ormai da oltre 3 anni, il ripristino degli scatti di anzianità, scippati dal Governo Berlusconi e non restituiti da quello attuale, l’annullamento della farsa del prossimo concorso a cattedre, che chiude la porta in faccia a migliaia di docenti precari, l’assunzione di tutti gli insegnati precari e il pagamento delle loro ferie non godute, lo stop ai tagli “lineari” mascherati da “razionalizzazioni”, che da anni stanno massacrando il Welfare in tutti i comparti che intervengono nella “protezione sociale universalistica” comprendente anche il sistema scolastico ed universitario delle conoscenze. I docenti impegnati nella mobilitazione, come iniziativa comune a tutti gli istituti, intendono procedere al blocco di tutte le attività aggiuntive, da mettere in atto con le forme e i tempi che le assemblee delle singole scuole riterranno più opportune, fino al ritiro completo e definitivo dei commi 42, 43, 44, 45 e 46 dell’art. 3 del DDL di “stabilità”, che, considerando carta straccia il contratto di lavoro, vuole portare a 24 le ore di lezione settimanale a parità di stipendio, preannunciando un radicale peggioramento delle relazioni didattiche e dell’apprendimento degli studenti. A ben guardare questo fermento, si ha l’impressione – rassicurante – che anche l’anacronistico ed inadeguato “mondo scolastico”, in questo caso rappresentato dagli insegnanti e dal personale tecnico, amministrativo ed ausiliario, sia ancora vivo e capace di reazione all’incedere della “crisi” e, soprattutto, in grado di contrastare le “ricette” predisposte dall’UE e dai Governi nazionali dei Paesi membri per far fronte al disfacimento della “democrazia economica” basata sui profitti. Verrebbe da dire, meglio tardi che mai e non solo per ribaltare una stereotipata percezione sociale del docente che lo raffigura obsoleto e scarsamente produttivo. I docenti che collettivamente organizzeranno coordinamenti cittadini e provinciali, proponendo anche appuntamenti pubblici e manifestazioni di piazza – compreso uno sciopero generale e generalizzato - saranno sospinti a cercare sinergie di lotta con altri segmenti del lavoro messi in difficoltà dal combinato disposto “crisi” e “risposte governative” alla “crisi”.
Nel contempo la “vertenza scuola” dovrà rapidamente abbandonare il “paradigma economicista” e giuridico-rivendicativo poiché – come accade nell’opera di Mary Shelley – il movimento degli insegnanti, come novello Frankenstein rianimato dal fulmine, deve ripensare in fretta al suo ruolo per essere in sintonia con un progetto di società, ad un tempo, giusta e autenticamente innovativa. Il movimento non deve generare una creatura mostruosa risorta perché “pungolata dalla fame” e dall’inevitabile difesa di sacrosanti diritti per tornare, appagata, nel suo tran tran quotidiano, bensì deve accettare la sfida decisiva: trasformarsi in comunità professionale apprezzata e doverosamente valorizzata non solo stipendialmente. Negli ultimi anni, sociologi quali Pierre Bourdieu, James Coleman e Robert Putman hanno osservato che le reti sociali hanno forti effetti sulla produttività, e hanno coniato il termine di capitale sociale. L’attuale movimento degli insegnanti, unitamente agli studenti, può costruire quel capitale sociale che nasce nelle relazioni aggregative fra le persone. Esso dissemina conoscenze e competenze perché dà accesso al capitale umano tra tante, diverse persone. È dimostrato che le società che hanno bassi livelli di capitale sociale, hanno più alti livelli di disuguaglianze economiche. In Professional capital di M.Fullan e A. Hargreaves (Marzo 2012), si legge che il capitale sociale è la chiave per trasformare la professione docente. Poiché i comportamenti sono forgiati più dai gruppi che dai singoli, team coesi anche senza persone di particolare talento rendono molto di più di gruppi con superstar che non sanno funzionare collegialmente. La scuola attuale, “sistema di incoerenze” (P. Romei), può guardare al successo di qualsiasi innovazione solo se punta ad incrementare il capitale sociale che si sviluppa all' interno di ogni scuola e nel rapporto con l'esterno (sia i genitori, sia la comunità territoriale, sia le altre agenzie formative). Si tratta di un bridging social capital, secondo la definizione di Putnam, un capitale sociale che getta ponti, non un bonding social capital, escludente e racchiuso fra gli addetti ai lavori. È il momento di lottare, certo, ma di lottare per obiettivi ambiziosi e professionalmente adeguati. Il capitale decisionale è l'essenza del professionismo: comporta saper prendere decisioni in contesti complessi e in innumerevoli situazioni che presentano problemi e casi diversi. Collegialità né burocratica né ritualistica, ma informale e generosa. Il capitale decisionale comporta che qualificati professionisti decidano insieme. Come i giudici, che dopo molti anni di pratica sanno analizzare, insieme ad altri, un'ampia gamma di casi, così gli insegnanti professionisti sanno valutare insieme ai colleghi le diverse situazioni e prendere decisioni conseguenti. Le evidenze, le prove, i dati, sono indispensabili, ma non sono mai incontrovertibili. Nell'insegnamento, come nella legge, è la capacità di giudicare che alla fine fa la differenza. Occorre pertanto saper leggere i dati, saperli interpretare, e quindi saper decidere azioni conseguenti e coerenti. Il professionismo postmoderno comporta una modificazione profonda della collegialità, non ritualistica, non burocratizzata, non standardizzata. Le culture collaborative necessitano di un alto tasso di informalità, nel senso che occorre investire nelle relazioni e in “generose” collaborazioni, senza le quali la collegialità rimane asfittica. In questa visione viene chiamato in causa lo scopo morale ed etico della professione. Va detto che una grande spinta in questo senso viene dalla tecnologia digitale, che sta già di per sé cambiando le relazioni e le collaborazioni. Queste ultime diventano, per l'appunto, più “generose”, come dice Clay Shirky in Surplus cognitivo (2010). Nel 2009, sono state investite più di 100 milioni di ore volontarie per sviluppare wikipedia. È quindi evidente che la comunicazione digitale ci rende più generosi, perchè mettiamo a disposizione di tutti le nostre conoscenze e le condividiamo con il mondo. Se si immagina la stessa cosa realizzata dai migliori docenti si può ben intravedere l'enorme arricchimento collettivo fatto di condivisione e dialogo, che la rete consente. Quindi, non più folgorati come Frankenstein che intravede il pane messo a repentaglio, ma predisporsi – insieme a tanti – a trasformare l’insegnamento-apprendimento in eventi cognitivi con valore aggiunto di natura sociale. Silvia Faggioli ha curato la traduzione e l'adattamento di una documentazione su una positiva esperienza americana di flipped learning. Un'esperienza nata per caso e per necessità: la mancanza di fondi per comperare i libri di testo ha indotto gli insegnanti a sostituirli con video delle proprie lezioni messe su youtube. Di lì il passo verso la flipped classroom è stato brevissimo. Quegli stessi insegnanti hanno indicato non solo una soluzione “tecnica”, hanno contribuito a blindare la “democrazia culturale”.
Perché di questo trattasi, altro che Flash Mob di Frankenstein. Nota a cura di Giovanni Dursi, docente M.I.U.R. di Scienze sociali, Ottobre 2012

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