giovedì 16 giugno 2011

Commento sull'esito referendario

Provo a ragionare sull’esito referendario. A seggi chiusi, il quorum è superato con un’affluenza alle urne che, negli istant poll, già oscillava addirittura tra il 54,5 e il 59,5% consentendo ai SI di traguardare una percentuale oscillante tra il 93 ed il 97% della scelta espressa dagli elettori. Ora i risultati si sono stabilizzati [http://referendum.interno.it/], ma l’esito politico si conferma come altamente positivo. Comportamenti elettorali, certo, ma adottati in un’allarmante situazione di “crisi a più dimensioni” che continua a devastare la coesione sociale, avvelenata da una incontrollata deriva politico-culturale del “ventennio berlusconiano”. Il successo referendario è l’onda lunga e carsica d’una parte del “corpo sociale” che non si arreso alla ristrutturazione autoritaria del dominio capitalista nella metropoli italiana. La resistenza (operaia, studentesca, dei soggetti antagonisti presenti nella società civile) e la clandestinità comportamentale (incardinata nella palese estraneità ed ostilità verso il “sistema dei partiti” ed i “santuari” del potere), ha reso ai cittadini tutti la consapevolezza della praticabilità di “politiche generative” del “nuovo” di cui una prima manifestazione – dal 2008-2009 al 2011 - sono stati (per quanto variegati e non tutti autentici) i “coriandoli” del “neocivismo”. La marcia nel deserto non è però finita e non si esaurisce nella contraddittoria esperienza del neocivismio. In buona sostanza, c’è altro accanto all’idea di recidere i cordoni ombelicali con le rantolanti “organizzazioni del consenso”, vecchie e nuove, anche della “sinistra” che annovera tra le sue fila tanto Pietro Ichino quanto la FIOM-CGIL. Il dato importante da considerare è questo: nel corpo sociale si è diffuso un coinvolgente ripensamento in atto del “governo dei beni comuni” materiali ed immateriali. Certo, l’acqua, il sole, l’aria pulita e la potenza del vento, ma anche l’istruzione e la salute pubbliche, i diritti al reddito, alle “protezioni sociali” (che ritorni universalistico il Welfare !)ed alla conflittualità, la condivisione delle conoscenze e delle sue veicolazioni tecniche. Il largo fronte delle vertenze sociali ha aperto una stagione politica costituente: c’è chi pensa che il “movimento antagonista” non debba rifluire nella miope e strumentale ricerca di nuovi equilibri sociali ed in nuovi “accordi” interclassisti a garanzia di stabili profitti e status quo; c’è chi propugna, fatta propria la logica antisistema, l’attuazione del progetto d’edificazione di istituzionalità popolari sulla base di nuove forme di cittadinanza attiva che superino le antinomiche espressioni dell’attuale “democrazia reale”. La distanza irreversibile non è tra il Governo in carica ed il Paese, bensì sussiste tra una “moltitudine” (masse popolari senza più gli ancoraggi delle appartenenze politico-sindacali e/ dell’ordinamento sociale e classista tradizionale) e lo Stato. S’assiste al concreto riaffermarsi dell’autonomia politico-organizzativa dell’autentico (a-ideologico) antagonismo che riprende la sua marcia amalgamando, poco a poco, chi lotta, sedimentando “comunità” nei territori. Siamo di fronte alla crisi radicale della “politica alienata ed estraniante della rappresentanza e della delega”. In altri termini, la fenomenologia sociale innescata dalla “crisi” è inequivocabile pronunciamento di soggetti dispersi fuoriusciti dal post-fordismo di maniera, tipico della “piccola trasformazione italiana” (Bonomi), inabissatisi quando si è affermato il “capitalismo molecolare”, successivamente, quello “delle reti e dei flussi” (che ha in Marchionne la migliore tra le truffaldine figure), per riemergere ora come unico, attrezzato argine alla contaminazione e lacerazione dei “populismi armati” (quello di territorio come Lega Nord ed affini; quello dell’individualismo proprietario, tecnocratico, giustizialista; quello “dolce” di un “potere” che ricerca “connessioni” con il popolo …). Dentro una lacerante scomposizione sociale ormai in metastasi, si realizza un’aggregazione di luoghi sociali e territori che reagisce alla subalterna omologazione politico-telecratica, che rifiuta la morte cognitiva, che resetta il blocco implosivo delle rappresentanze (verso il basso, ripensando il “consenso”, verso l’alto, progettando “contropotere”). Le infrastrutture normative, sofisticato risultato del sistematico picconamento al quale è stato sottoposto da decenni lo “Stato di diritto”, messe in opera dall’egolatria insita dal “berlusconismo”, oggi devono fare i conti con autonomi movimenti sociali e di pensiero. Con forza, nuove istituzionalità irrompono sulla scena del conflitto sociale perseguendo la soddisfazione dei “bisogni”, esprimendo responsabilizzazione nella “progettualità sociale”, organizzando la gestione comunitaria delle “conoscenze” e delle I.C.T.. Non si sogna più la “comunità”, la si conquista, valorizzando il “conflitto” piuttosto che accettare la “mediazione” ed unificandosi, superandole la frammentazione originaria, le esperienze di contropotere.

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