sabato 4 giugno 2011

"Uomini contro" - Un contributo di idee per "ripensare" il 2 Giugno

C’è un film dell’ormai lontano 1970 intitolato “Uomini contro”, ambientato sulle pietraie del Carso durante il primo conflitto mondiale. È narrata la vicenda dei giovani Tenenti Sassu, Ottolenghi, Santini e Avellini. Per chi non lo ha mai visto, “rovino” subito il finale: moriranno tutti. Uccisi dall’incapacità dei loro superiori, in special modo di quella del Generale Leone, infarcito e traboccante di quella retorica della guerra giusta, vittoriosa, eroica, “sola igiene del mondo” come la definirà qualcuno. È un film contro la guerra. Contro tutte le guerre. E, soprattutto, contro il ben pensare della vittoria del 4 novembre, del Piave e degli eroi morti in trincea. Toccò nel profondo “Uomini contro” e fece storcere il naso alle Forze Armate dell’Ital! ia degli Anni Settanta. Il regista, Francesco Rosi, si documentò a lungo prima di girare il film, riproducendo nei minimi particolari scenari e costumi. Senza addentrarci troppo nella trama, basti sapere che la visione di “Uomini contro” può far rinascere in noi quel senso di attaccamento all’Italia ormai da tempo svanito: non un senso di invasamento o di estremismo, di persone pronte a sacrificarsi per il suolo natio, ma un senso di pietà e d’amore verso quei 650.000 soldati che non fecero più ritorno a casa. Il film ci mostra, infatti, il lato più umano dei soldati, “morti di fame che combattono contro altri morti di fame”, dirà il Tenente Ottolenghi durante un assalto ad una postazione austriaca: giovani contadini strappati alla loro terra, alle loro case e alle loro famiglie e mandati a combattere una guerra per loro sconosciuta. Pochi sapevano chi era l’Arciduca Francesco Ferdin! ando assassinato a Sarajevo il 28 giugno 1914, pochissimi riuscivano a comprendere i delicati equilibri internazionali che tale attentato causò in Europa. Forse non lo sapevano nemmeno i capi di stato e di governo della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa. C’è una scena nel film che colpisce al cuore, che ti porta il groppo alla gola: la decimazione. Soldati che da troppo tempo si trovavano in prima linea verranno fucilati perché chiedevano un periodo di riposo. Mangiavano in gavette arrugginite sotto il fuoco dell’artiglieria, dormivano in mezzo ai pidocchi e ai topi, nel naso l’odore della carne in putrefazione. E i generali seduti comodamente al caldo. Chi non si sarebbe ribellato. Per questo, sono film come “Uomini contro”, che fanno comprendere la nostra storia, spesso dimenticata e ignorata negli archivi di qualche ricercatore. Per questo motivo può unire gli Italiani più un film antimilit! arista come “Uomini contro”, piuttosto che le narrazioni ipocrite di un’ipocrita epopea: un sentimento nazionale non scaturito dalle vittorie e dal passaggio del Piave il 24 maggio, ma dalle vicende umane dei protagonisti del film. Da quei protagonisti della storia che hanno vissuto sulla propria pelle gli assalti alla baionetta, i bombardamenti, le sofferenza della trincea.
Nessuno di loro voleva essere un eroe, dato che gli eroi sono spesso persone morte. E, forse, non lo voleva essere nemmeno Enrico Toti, il bersagliere che scagliò la stampella contro gli Austriaci sul Carso se avesse potuto vedere come sarebbe stata ridotta l’Italia quasi 100 anni più tardi.

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