giovedì 23 giugno 2011

La storia . . . di chi “non ha tempo per gli altri”

Vi racconto la storia . . . di chi “non ha tempo per gli altri”.
Il modo d'essere d'una persona rispetto ad un'altra caratterizza le relazioni, interpersonali e/o sociali. Il “mio” modo d'essere ed il “tuo” creano legami, rapporti tra due menti e due corpi. Ci si avventura nella reciproca cognizione che non è affatto solo concettuale. Tutt'altro. Si tratta d'una sorta di permanente riferimento reciproco, un evento sociale che, nella sua espressione più elevata, genera “vita”. Il “modo d'essere” concorre a causare, dunque, legami, vincoli affettivi, amicali, conflittualità, ma anche relazioni economico-sociali, politico-culturali … Anche, più specificamente, legami – per così dire – d'affari, quintessenza della coatta socialità capitalistico-borghese. L'insieme dei rapporti sociali, dei rapporti che instauriamo con altre persone, è contaminato da questa “forma” fondativa – strutturale - dei “modi d'essere” individuali e collettivi nell'attuale formazione capitalistico-globale. Le “pubbliche relazioni” agiscono come una matrice di tutte le altre “forme” di convivenza, inglobate, risucchiate nel contesto di attività tendenti a creare una buona opinione intorno ad una persona, un'istituzione, un'impresa, un'opera di ingegno . . . Tendenzialmente, la commistione che risulta tra diverse modalità relazionali, fa si che le persone coinvolte siano – in ultima istanza – considerate alla stessa stregua di soggetti economici in competizione, accomunati da transazioni economiche profittevoli. In sostanza, il “modo d'essere” si trasforma in un “modo d'avere”, merce o carne umana poco importa. L' "altro", in questa dinamica estraniante, diviene utile o meno, piuttosto che interessante o indifferente … Pur lavorando, pur gestendo l'esistenza nelle sue responsabilità più impegnative (penso alla paternità o maternità), pur partecipando alle lotte sociali, pur rivendicando insieme ad altri il rispetto dei diritti, a me capita di avere del tempo per gli altri, perché intenzionalmente faccio spazio nella mia vita quotidiana agli altri. Il mio ombelico può attendere, come il mio conto in banca.
Mi capita – ciò mi dona gioia – di aprire gli occhi solo quando “guardo” gli altri che mi chiedono “tempo”. Avere tempo per gli altri è essere autenticamente liberi dagli impacci del business. Non avere “tempo” per gli altri, viceversa, denuncia con clamore l'essere remissivi, sottomessi addirittura alla logica del potere che esalta il self made man (o woman), per negare la socialità non avvezza a genuflettersi alla suprema omologante volontà di lucro.
La morale della storia risiede in ciò: non c'è alcun tormento in chi anela al benessere comunitario, alla giustizia sociale che non sono davvero tali se trattasi di benessere solo “mio”, di giustizia "al singolare". Non propugno un neo-francescanesimo che andrebbe perseguito, bensì una reale promozione civile ed un saldo contrasto alle drammaticamente anacronistiche derive di costume di quei tanti, troppi che “non hanno tempo per gli altri”.
Questo mutamento nell'approccio sociale, questa indistinzione tra le originariamente variegate relazioni umane, determinano una diuturna strumentalizzazione, uno sfruttamento continuo, vera e proprio tentativo d'alienazione degli “altri”, distinti e distanti come esseri umani, ma presi in considerazione unicamente come meri “interessi”.
Il linguaggio che usiamo svela l'arcano, quando arriviamo – spesso fagocitati dal “sistema” vigente, in altre circostanze, consapevolmente – ad affermare all'altro “non ho tempo per te”. Non avere tempo è una menzogna e, trincerandosi dietro di essa, si palesa la propria identità. Non avere tempo per gli altri, vuol dire ammettere che si ha “interesse” solo agli affari, al denaro, sancisce il trionfo dell'egolatria materialistica. Non puoi non avere tempo per gli altri senza contestualmente dimostrare l'infimo spessore etico che ti riguarda, l'azzeramento dell'umano in te. “Non ho tempo” per te, dichiarazione inequivocabile di presunto “possesso” personale del tempo rilascita da propagandisti del tempo “proprietario”, “privato”, “solo mio”, come la “roba” che mi circonda, che acquisto, come il lavoro che svolgo eseguendo compiti, come la casa che abito chiudendo la porta blindata, come l'arte che produco e che vendo. “Non ho proprio tempo” è l'epifania di quella “liquidità” della quale qualcuno ha scritto.

1 commento:

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