domenica 8 luglio 2012

Contro l'“Auschwitz diffusa” - “Finchè la violenza dello Stato sarà chiamata giustizia ...”

11 anni per “accertare” che lo Stato italiano, nei suoi reparti di polizia il cui compito è di reprimere le illegalità, nel Luglio 2001 a Genova durante il G8 ha sospeso la cosiddetta “democrazia” per un lasso di tempo necessario ad uccidere (Carlo Giuliani) ed a sperimentare la “soluzione cilena” (alla scuola “Diaz”, è ormai verificato anche sul piano processuale che sono avvenuti tentati omici, torture, violenze fisiche) contro le espressioni dell'antagonismo e dell'opposizione al “regime” dell' “Impresa globale” (63 i feriti, molti in maniera grave e permanente come il giornalista inglese Mark Covell, 93 gli arrestati in modo illegale rimasti in carcere tre giorni senza poter comunicare con nessuno).
In una fase di crisi profonda e prolungata del capitalismo globale – i cui prodromi si rintracciano alla fine degli anni '90 – la caratteristica fondamentale del controllo sociale non è tanto quella d'essere dedito al contenimento delle proteste e delle ribellioni proletarie dirottandole verso logiche trade-unionistiche rivendicative con sindacati e partiti compiacenti, quanto quella di sedare, “dominare” ed estirpare le insorgenze antagoniste ed insubordinazioni popolari organizzate con gli strumenti della violenza militare e della mistificazione (giudiziaria, mass-mediatica, politica) delle contraddizioni sociali, contribuendo all'opera di “disciplinamento” con ogni mezzo delle masse popolari ed alla subordinazione totale delle forze produttive.
Si tratta di uno step importante del progetto realizzativo dell' “Auschwitz diffusa” che comporta l'impadronirsi di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa si estraneano, prevedendo l'offerta di azioni inglobanti, istituzionalizzanti, alcune più penetranti di altre: la coercizione psico-fisica, fino alla morte dell'oppositore. Questo carattere inglobante o totale è garantito dalla repressione militare nell’impedimento, forzato all'estremo, allo scambio sociale e all’uscita dal mondo del capitale globale, concretamente fondato e percepibile nelle stesse strutture fisiche dell’“Auschwitz diffusa”: porte sfondate, mura abbattute, filo spinato, reclusioni, pestaggi, esecuzioni sommarie, brutalità quale unico codice di riferimento, silenzio delle coscienze.
La conferma, da parte della Cassazione, della responsabilità dei vertici della polizia alla catena di comando (solo diciassette i dirigenti che escono compromessi da questo esito processuale che comporta anche la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni che si ripercuoterà sulla carriera professionale dei poliziotti di rango perché si apriranno i procedimenti disciplinari finora congelati in attesa del verdetto) a Genova, il 22 luglio del 2001, la notte del blitz violento e dell’arresto illegale dei no-global alloggiati alla scuola “Diaz” durante il G8, nulla aggiunge a quanto era già noto sul versante processuale.
Infatti, è stata così sostanzialmente confermata, nella parte più rilevante, quella relativa alla catena di comando, la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Genova il 18 maggio del 2010.
I “condannati” definitivamente dalla Cassazione hanno firmato i verbali falsi che “giustificavano” le aggressioni e la repressione accusando le vittime di aver opposto resistenza accoltellando un agente e nascondendo molotov. Feccia. Ora, certo, va esercitato il diritto al risarcimento contro il quale si era battuta l’Avvocatura dello Stato. La Suprema Corte, invece, ha dichiarato prescritte le condanne a tre anni di reclusione (comunque coperti dal condono) per otto caposquadra del settimo reparto della celere di Roma, accusati di lesioni.
C'è un'ambivalenza: mentitori prezzolati si, servi del potere si, ma non riconosciuti giudiziariamente autori di violenze poiché sono prescritti i reati. Pertanto, di quale giustizia si può parlare ? Di formale atto riparatorio e risarcitorio, si può dire, ma non si può affatto affermare che “giustizia” è stata fatta. Piuttosto va illustrato come lo Stato, nei suoi riti giudiziari sanzionatori, non è in grado di ripristinare quella giustizia sociale che già nella materialità delle condizioni di produzione e di vita è negata ai più. La violenza psico-fisica subita a Genova, divenuta luogo privilegiato dela progetto “Auschwitz diffusa”, e l'alterazione dei comportamenti socio-politici, indotta generazionalmente, dei giovani partecipanti a quelle giornate di protesta e lotta non trovano “riparazione” dalla tardiva sentenza poiché quanto è stato fatto dagli organi repressivi (secondo la logica: colpirne centinaia per “educarne” migliaia), è prassi funzionale all'assetto di potere vigente, prassi che non è stata debellata semplicemente “accantonando” picchiatori e torturatori. Analoghi fatti precedenti e seguenti agli eventi genovesi lo dimostrano.
Se qualcuno pensa che con delle “scuse” ai cittadini “che hanno subito danni, ma anche a quelli che, avendo fiducia nell’Istituzione-Polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza”, si possa salvare la faccia immaginando di mettere una pietra sopra su quanto accaduto, si sbaglia di grosso.
Le strutture dell'attuale ordine economico-sociale mondiale, per quanto forti e distruttive, sono costruzioni umane: possono e devono essere cambiate, secondo i principi di una giustizia sociale che promuova la vita libera di tutti; “finchè la violenza dello Stato sarà chiamata giustizia ...”.

Nessun commento:

Posta un commento