Resistenza e
Costituzione.
di Alberto Berti
Questo è un discorso che
voglio fare soprattutto ai giovani amici di Recsando sapendo che
nelle nostre scuole certi problemi che dovrebbero contribuire alla
loro formazione di cittadini di una repubblica democratica raramente
vengono affrontati e se affrontati lo vengono con estrema
superficialità dando loro scarsissima importanza.
Credo che pochissimi
conoscano la nostra Carta Costituzionale e che ancora meno
siano coloro che si rendono conto di vivere in un paese che ha una
delle costituzioni più avanzate fra quelle esistenti.
In Austria, in Svezia,
negli Stati Uniti, già in quelle che sono le ultime classi delle
scuole elementari, i maestri cominciano a spiegare la Costituzione
che regola i rapporti fra i cittadini ed i poteri dello stato in cui
vivono. Negli Stati Uniti i ragazzi vengono educati a conoscere anche
gli “emendamenti” della loro Costituzione e richiamarsi ad essi.
In Italia, fra qualche
settimana, il 22 dicembre festeggeremo (?) i cinquant’anni
dell’approvazione a grandissima maggioranza della Costituzione
avvenuta nel lontano 22 dicembre 1947 da parte dell’Assemblea
Costituente eletta dal popolo italiano il 2 giugno 1946
assieme al referendum che spazzava via la monarchia savoiarda.
L’approvazione della
Costituzione ha segnato una svolta fondamentale nella storia del
nostro paese, non soltanto per i principi che essa ha posto alla base
dell’ordinamento della società italiana, ma anche per le garanzie
di cui li ha rivestiti e che hanno il loro perno nella qualificazione
della Costituzione stessa come Costituzione rigida.
Cosa vuol dire
Costituzione rigida? Vuol dire semplicemente che i “princìpi” in
essa enunciati non sono modificabili con procedure legislative
ordinarie e, dall’altro lato, che le leggi che sono incompatibili
con quei principi non hanno alcuna validità. Sono da ritenersi
nulle. Anzi, la dottrina costituzionalista e la giurisprudenza della
Corte Costituzionale (anch’essa introdotta nel nostro paese per la
prima volta con la Costituzione) hanno messo in luce la regola
secondo la quale esiste un nucleo di “principi supremi” che non
sono suscettibili di modificazione neppure attraverso i procedimenti
di revisione che la Costituzione stessa prevede. Infatti in questi
ultimi tempi si è parlato molto di revisione della Costituzione, da
parte della Commissione bicamerale appositamente designata, ma se
fate caso, leggendo i giornali, vedrete che essa si è occupata
dell’ordinamento dello Stato, sul sistema delle elezioni di
deputati e senatori, sui compiti attribuiti alle due Camere,
sull’elezione del Presidente della Repubblica, sulle funzioni
pubbliche attribuite a comuni, provincie, Regioni e Stato, eccetera,
quindi la commissione è intervenuta sulla seconda parte della
Costituzione e non sulla prima che enunciava i principi fondamentali
del nostro vivere civile.
Sarebbe opportuno, senza
che io li ripeta qui di seguito, che i miei giovani lettori
leggessero i primi articoli della costituzione in modo da poter
percepire e comprendere, la portata pratica dell’affermazione dei
valori della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia. Il
catalogo delle libertà che la Costituzione enuncia, comprende,
insieme con i classici diritti civili e politici, un complesso di
diritti economici e sociali i quali concorrono a qualificare la forma
di Stato, oltre che come forma di stato di diritto, anche come stato
sociale.
Queste enunciazioni
sviluppano, in particolare, i due princìpi, certamente “supremi”
che troviamo scritti negli articoli 2 e 3, che fondano la libertà
umana e l’esigenza di promuovere in ogni modo possibile
l’eliminazione delle discriminazioni - sia di diritto che di fatto
- che ostacolano la realizzazione dell’eguaglianza dei cittadini.
Adesso, care sandonaute e
sandonauti, occorrerebbe stabilire come la Costituzione italiana sia
nata e perché. Ed allora bisogna riandare a quel meraviglioso
fenomeno popolare che è stata la Resistenza.
Per dare un significato
politico, per stabilire un collegamento tra Resistenza e
Costituzione, penso che sia necessario iniziare ricordando il
discorso di Piero Calamandrei ai giovani milanesi tenuto nel
1955 che si concluse con la forte immagine secondo la quale la
Costituzione veniva presentata come un “testamento”: il
testamento dei caduti della Resistenza.
Calamandrei con il suo
mirabile discorso voleva tenere viva l’attenzione dei giovani sui
valori che la Costituzione aveva codificato e che le vicende
politiche successive rischiavano in qualche modo di appannare.
A più di cinquant’anni
di distanza mi sembra necessario accentuare non tanto il fatto
militare, quanto il forte spessore politico che danno valore alla
Resistenza e alla guerra di liberazione.
Se ci volessimo limitare
a ricordare la Resistenza come un solo fatto militare saremmo oggi
ridotti a celebrarla come vecchi compagni d’armi che si ritrovano,
consumano assieme il rancio, ascoltano qualche ricordo, si salutano
augurandosi di ritrovarsi l’anno successivo.
Se la guerra di
liberazione e la lotta partigiana consistessero soltanto in un evento
di carattere militare, terminata la guerra, il 25 aprile 1945,
si sarebbe potuto dire missione compiuta, non ne parliamo più.
Invece bisogna parlarne, perché la lotta di liberazione del nostro
paese non è stata soltanto un fatto di carattere militare, è stata
un fatto politico, nel senso nobile della parola, e non partitico:
cioè nell’interesse della collettività, del bene collettivo.
Infatti nei territori occupati dai nazisti, diciamocelo francamente,
l’unica vera forma di rappresentanza dell’Italia era data dai
partigiani e da coloro che combattevano per la Libertà.
L’esercito non esisteva
più, si era liquefatto come neve al sole, il paese era in mano ai
nazisti oppressori e chi veramente rappresentava il paese erano i
partigiani, i comitati di liberazione nazionale tant’è vero che
furono costituite delle repubbliche partigiane Carnia,
Montefiorino, Val d’Ossola, dove i loro governi provvisori
emanarono addirittura delle leggi.
Durante quei governi ci
fu una distinzione tra giurisdizione civile e quella penale; ci fu
una distinzione tra reati comuni e reati politici; ci fu una polizia
alle dirette dipendenze della magistratura: tutte cose che hanno
servito a quello che si doveva costruire nel nostro paese. E' da
ricordare che la costruzione politica derivante dalla Resistenza è
stata difficilissima fin dal tempo della Resistenza stessa, perché i
partigiani non avevano alle spalle quello che avevano gli altri
resistenti e combattenti in Europa. I grandi avvenimenti, come la
rivoluzione russa, hanno avuto dei precedenti di carattere culturale
e filosofico. Per la rivoluzione francese abbiamo avuto tutto il
periodo dell’illuminismo, per la rivoluzione russa abbiamo avuto
tutto il marxismo, le sue implicazioni, le culture diverse intorno al
marxismo, le discussioni. In Italia dietro le spalle non c’era
nulla.
Ci fu chi battezzò la
Resistenza come il nostro Secondo Risorgimento. Non sono d’accordo
con quel grande storico che fu Luigi Salvatorelli. Anzitutto perché
al Risorgimento partecipò, anzi lo portò alla vittoria la monarchia
sabauda che non parteciperà alla Resistenza. Il Re che aveva già
tradito lo statuto albertino, che non seppe ripudiare il fascismo,
che non si tirò indietro né davanti alle leggi razziali ne alla
dichiarazione di guerra, di fronte al movimento di Resistenza rimase
freddo ed assente ed i motivi li conosciamo sin troppo bene. Pensava
di rifarsi una verginità e di far dimenticare le sue malefatte
avallando la dichiarazione di guerra alla Germania nazista
presentatagli da Badoglio nell’ottobre del 1943.
La differenza tra
Risorgimento e Resistenza è notevole: i due movimenti sono
paragonabili su un solo piano, quello di liberare l’Italia
dall’occupazione straniera. Per il resto, idee, contenuti,
esercito, lotte, partecipazione, ecc. sono diversissimi.
Il Risorgimento discende
direttamente dalle idee della rivoluzione francese e dalle guerre
napoleoniche che fanno balenare nelle menti più aperte degli
italiani la possibilità e la necessità di riunire dopo tanti secoli
l’Italia in un solo Stato. Quelli che sentono questa necessità e
si prodigano per propagandarla costituiscono un'élite minoritaria
rispetto al resto della popolazione. Si tratta di nobili,
intellettuali, professionisti e studenti. La classe operaia e quella
contadina non sentono e da quei problemi non vengono affascinate.
Anzi, per quel poco che sanno, li odiano. Per loro l’unità
d’Italia significa guerra, carneficine, lutti e miserie di cui
loro, contadini ed operai sono costretti a portarne il peso. Infatti
essi costituiscono la cosiddetta carne da cannone, quella che deve
sacrificarsi sui campi di battaglia. Da ciò deriva il loro odio per
i Bandi di mobilitazione generale, le cartoline precetto di richiamo
alle armi ed in una parola di tutto ciò che ha attinenza con la
guerra.
La Resistenza è una cosa
diversa: non esistono né Bandi di mobilitazione, né cartoline
precetto. Si va in montagna liberamente, spinti da ideali
diversissimi, quando addirittura non saranno i Bandi della repubblica
di Salò a costringere i giovani ad una scelta decisiva.
Ci si ritrova in montagna
giovani e vecchi, operai e contadini, uomini e donne, comunisti,
socialisti, GL, monarchici e persino i cattolici che durante il
Risorgimento erano stati col cuore dalla parte del Papato. Per la
prima volta nella storia d’Italia contadini ed operai partecipano
attivamente alla costruzione del loro futuro e non lo subiscono.
Troviamo formazioni partigiane costituite quasi completamente da
contadini, come nel cuneese, oppure da operai dei cantieri navali
nella Venezia Giulia.
Le donne s’impegnano
in tutte le forme possibili: reperimento di viveri in pianura per
portarli con le gerle in montagna, cucendo indumenti per il parente o
l’amico partigiano, facendo la staffetta da una formazione
all’altra, portando ordini e notizie sia dalla pianura che dalla
città. Come sarebbe stata possibile altrimenti una Resistenza senza
l’aiuto delle donne?
La Resistenza fu infatti,
come la definì Salvemini, una guerra di popolo, né più, né meno
di quello che aveva dichiarato Parri ai primi di novembre del 1943,
quando con Valiani attraversò il confine svizzero per incontrarsi
con i delegati angloamericani i quali dal movimento partigiano si
aspettavano solo sabotaggi ed informazioni e rimasero strabiliati
quando egli affermò ripetutamente che puntava su una guerra del
popolo italiano, condotta da una esercito del popolo: i partigiani. A
quel tempo i partigiani che erano saliti in montagna ammontavano si e
no a qualche migliaio.
Alcuni fatti mi sembrano
importanti da chiarire in quanto di solito vengono dimenticati o
sottovalutati. Man mano che la lotta partigiana aumentava d’intensità
nei territori occupati dai tedeschi essa si conquistò l’ammirazione
ed il rispetto dei comandi alleati, specie dopo l’insurrezione di
Firenze che pose fine alla lotta sanguinosissima combattuta in
Toscana. Nello stesso mese di agosto del 1944 la brigata Rosselli,
comandata da Nuto Revelli, impedì per alcuni giorni nella battaglia
della Val Stura alla 90° divisione corazzata tedesca di accorrere da
Acqui, dove si trovava, a Tolone, valicando il passo della Maddalena,
per bloccare lo sbarco angloamericano avvenuto tra Nizza e Marsiglia.
Nello stesso tempo i garibaldini di Arrigo Boldrini con i mazziniani
di Biasini e Libero Gualtieri combattevano contro i tedeschi sulla
linea gotica.
La guerra di liberazione
nazionale fu senza alcun dubbio una lotta armata contro l’invasore
nazista e contro il fascismo nostrano messosi al suo servizio, ma fu
anche una lotta politica che cominciò al Sud nel territorio già
liberato dagli angloamericani i quali tardavano a ripristinare le
libertà democratiche. In ciò vi era senza alcun dubbio l’interesse
di Churchill che voleva difendere la monarchia sabauda e che la
riteneva un possibile futuro baluardo contro una eventuale minaccia
comunista.
Il congresso del partito
d’azione tenutosi a Bari nel gennaio del 1944, che si espresse in
modi durissimi all’unanimità contro la monarchia sabauda aveva
profondamente turbato Churchill che neanche l’arrivo di Togliatti
dalla Russia nel successivo marzo e la conseguente “svolta di
Salerno” riuscirà a tranquillizzare.
Il fatto politico più
importante fu senza dubbio la creazione dei CLN, i Comitati di
Liberazione Nazionale, che consentirono di dare alla Resistenza
italiana un unico indirizzo politico, un unico comando generale della
lotta partigiana e s’imposero, con loro unitarietà, sia di fronte
alle forze partigiane che li riconobbero come loro emanazione, ma
anche rispetto alle autorità militari angloamericane.
I CLN che discendevano a
grappolo dal centro, Milano, sino al più sperduto paese dove si
lottava per la libertà, vennero riconosciuti dagli alleati, ma
l’azione politica più importante si svolse a Roma.
Qualche giorno prima
della liberazione di Roma, il CLN centrale chiese in forma ultimativa
le dimissioni del generale Badoglio da presidente del consiglio, di
dare pieni poteri legislativi al governo che si sarebbe formato, di
esentare i ministri dal giuramento di fedeltà al Re e di farli
giurare invece nell’interesse supremo della nazione e stabilire con
un decreto legge che al termine della guerra il popolo italiano
avrebbe potuto scegliere la forma statuale che più gli aggradava:
monarchia o repubblica.
Liberata Roma, Badoglio
fu costretto a dimettersi ed il suo successore, Bonomi, ex presidente
del CLN romano, si fece dare pieni poteri legislativi e sulla base
degli stessi emanò il 25 giugno 1944 il decreto che stabiliva sia
l’elezione di una Assemblea Costituente che la scelta
istituzionale, a guerra conclusa, tra Monarchia e Repubblica.
Calamandrei commentò:” siamo usciti dalla legalità statutaria e
siamo entrati nella legalità precostituente.”
A fine estate, sbalordito
dell’opera delle brigate partigiane e dei CLN, il toscano in
particolare e dell’importanza assunta dal movimento partigiano che
era riuscito a creare tre zone libere ed aveva bloccato una intera
divisione corazzata che si stava precipitando a dare manforte alle
guarnigioni tedesche che tentavano di impedire lo sbarco, il Comando
delle truppe alleate, chiese un incontro con il CLN alta Italia
(CLNAI). La delegazione del CLNAI (formata da Parri, Pizzoni, Paietta
e Sogno) che si recò a Roma già da mesi liberata, ebbe dagli
incaricati del generale Wilson e del Maresciallo Alexander il
riconoscimento del diritto di condurre la lotta partigiana, che
costituiva un invito alle popolazioni di sostenere il movimento
partigiano e fu anche firmato un protocollo di accordo col quale le
autorità militari alleate s’impegnavano ad avallare le nomine dei
responsabili amministrativi (Prefetti, sindaci, questori,
provveditori agli studi,ecc.) effettuate dai CLN.
Il successo della
missione romana degli esponenti della Resistenza nel Nord, ancora
occupato dai nazisti fu completato dalla promessa Alleata di
intensificare i lanci paracadutati di armi ed aiuti di vario genere
alle formazioni partigiane.
Il tutto venne raccolto
in un protocollo firmato da entrambe le parti. L’importanza
politica di questo protocollo è notevolissima: eccetto che nel caso
della Jugoslavia, gli alleati avevano sempre trattato con i governi
in esilio delle varie nazioni occupate dai tedeschi. In questo caso
invece trattavano e firmavano documenti direttamente col movimento
partigiano operante nella zona occupata dai nazisti ed ebbe sentore
di quelli che erano i motivi ed i programmi del movimento partigiano.
Udirono Parri dichiarare
senza mezzi termini che si combatteva per costituire una repubblica
democratica che bandisse in quella che sarebbe stata la sua nuova
carta costituzionale ogni tipo di guerra di aggressione, che non ci
sarebbero più state in Italia discriminazioni dovute a razza, fede
religiosa od altro, che l’eguaglianza dei cittadini di fronte alle
leggi dello stato non avrebbe avuto limitazioni, eccetera; tutte cose
che noi poi troveremo scritte tra i principi della nostra
costituzione.
Altro aspetto politico
importante della Resistenza italiana fu l’organizzazione degli
scioperi dei primi di marzo 1944 che bloccarono l’attività di
moltissime fabbriche e di intere città. A Milano si fermarono i
tram, lo sciopero bloccò anche Il Corriere della Sera. Non era
possibile per i nazifascisti nascondere la gravità che da tali
scioperi emergeva. Inoltre fu attraverso l’attività dei
propagandisti politici nelle fabbriche, negli uffici e dappertutto
che in molti cittadini, sino a quel momento disinteressati, si
manifestò il desiderio e la necessità di seguire attentamente le
vicissitudini della politica.
Le fucilazioni e le
deportazioni di scioperanti, operate dai nazisti, i manifesti affissi
nelle strade che annunciavano condanne a morte ottennero solo lo
scopo di fare odiare ancor di più dalle popolazioni fascisti e
nazisti.
Un altro aspetto che non
bisogna dimenticare è l’apporto di idee e programmi che la
Resistenza ha elaborato e consegnato ai futuri reggitori della
politica nazionale. E da quelle idee e da quei programmi che sono
usciti i valori, i principi che sono alla base delle nostra
Costituzione che il 22 dicembre compirà cinquant’anni.
Ricordiamocelo.
San Donato Milanese, 20 Novembre 1997