sabato 3 agosto 2024

- Angela Carini e Imane Khelif nel tritacarne ideologico-mediatico -

La durata temporale delle riprese degli sport da combattimento varia in base al contesto agonistico: nel pugilato amatoriale limite è individuato in 1'30" per la categoria femminile e in 2' per la maschile, mentre negli incontri professionistici ciascun round occupa 3'.


46 secondi è durato l'incontro di pugilato femminile tra l'azzurra Angela Carini e l'algerina Imane Khelif, alle Olimpiadi di Parigi. La pugile napoletana ha abbandonato il ring, dopo aver ricevuto un paio di pugni, sostenendo facesse troppo male.
Il reperto visivo di quei secondi di combattimento, non depongono a favore della tesi sostenuta dall'atleta italiana. È sembrato, piuttosto, di vedere un'insofferenza, una incontenibile smania di agire non in modo tecnico-sportivo. É sembrata l'assunzione di responsabilità d'una protesta.
Non si è assistito a nessun colpo particolarmente violento, a nessuna evidente traccia di superiorità. Quindi è necessario ben interpretare l'accaduto.
Qualcos'altro ha interferito, non tra le combattenti, ma tra i livelli di vertice dello sport mondiale, nella fattispecie il Comitato olimpico internazionale (CIO), l'International Boxing Federation, l'International Boxing Association, la Federazione Pugilistica Italiana (FP), il CONI, incapaci tutti di analizzare la realtà dei fatti, il contraddiottorio andamento delle forme di vita sociali, di ripettare l'emersione ed il continuo esprimersi di diversità biologiche e socio-culturali in tutte le dimensioni antropoliogiche.
Organismi di rilevanza mondiale evidentemente “disattenti”, pregiudizialmente indifferenti alla questione di fondo: l'intersessualità, la cui fenomenologia è accertata nell'ambito degli studi di biologia umana.
La metafisica che si configura come ontologia o «scienza dell'essere» – ciò a cui si allude riferendosi ai sistemi di pensiero oggettivistici o realistici (come quello aristotelico) che individuano il fondamento ultimo delle cose in una realtà che esiste di per sé e che è precedente al pensiero, questa in buona sostanza è la metafisica - non può aver spazio nelle riflessioni sul caso.
Lo sforzo di razionalizzazione umanamente possibile è sancito con chiarezza e definitivamente da I. Kant sostenendo che «[...] ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto, per finire nella ragione, al di sopra della quale non si riscontra nulla di più alto che intervenga a elaborare la materia dell’intuizione e a ricondurla sotto la suprema unità del pensiero [...]” (Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, UTET 1967, pag. 304).
Certo, il rischio di “scacco” [1] al tentativo umano di comprendere come stanno le cose del mondo è ricorrente.
È indubitabile, altresì, che l'epistemologia, studiando i limiti della conoscenza scientifica, consegna un ricco repertorio di ipotesi ed incertezze. Nonostante ciò, la metodicità del “dubbio” non è necessariamente “apertura” all'investigazione, bensì può inclinare verso l'inefficace “soggettivismo” e il dannoso “dogmatismo”, perché prevede d'accettare come vero solamente ciò che è assolutamente evidente, privo di ogni forma di perplessità.
Queste posizioni predispongono a bruciare secoli di rapporti proficui tra Filosofia - «sistematica aperta del sapere» (Antonio Banfi [2]) che genera “domande” - e la Scienza - l'insieme di «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni» (Galileo Galilei [3]) che genera le “risposte”.
Il ricercare autentico della Filosofia è un'indeterminata propensione alla conoscenza – mai del tutto appagata -, tuttavia, ci sono tappe e traguardi che la orientano verso “verità” corroborate dalle indagini scientifiche.
Mettere in discussione tutto oppure «sospendere il giudizio» - epochè, traslitterazione del greco ἐποχή - grazie al quale ci si astiene dall'affermare o dal negare, evitando di assumere come date realtà la cui conoscenza è ritenuta inattingibile, nell'errata convinzione che qualcosa si sottrarrà inevitabilmente al dubbio e si definirà come necessariamente evidente, traccia un cammino metafisico la cui meta è una convivenza con l'inconoscibile, un dare per scontato che l'uomo deficita, quindi sbagla, e nulla può mai affermare di vero.
Ciò vuol dire camuffare le “domande” - essenziali al procedere filosofico e civile dell'umanità – in oziosi orpelli intellettuali, deviare le ricerche verso “datità”, quanto può oggettivamente costituire il supporto dell'attività conoscitiva, considerate preesistenti, forse eterne, sovrumane congetture che sembrano avverarsi, come in una procedura di stampo schopenhaueriano che presume di lacerare in modo salvifico il “velo di Maya”.
Con inclinazioni di questo tipo si torna a dare credito alla metafisica, così come è stato proclamato vero il sistema aristotelico-tolemaico, come ancora oggi si definisce la concezione dell’universo geocentrico (la Terra al centro dell’universo) di Aristotele e Claudio Tolomeo, che fu per molti secoli il sistema cosmologico di riferimento, comunemente accettato per quasi due millenni, incluso il Medioevo e fino al Rinascimento.
Tornando all'intersessualità, la biologia ha constatato che non sempre si manifesta con la coesistenza in uno stesso individuo (intersessuale) di caratteri maschili e femminili più o meno intermedi fra i due.
Secondo la definizione proposta dal genetista tedesco R. Goldschmidt (nel 1915 coniò il termine intersexualität), l’ntersessualità è ben distinta dal ginandromorfismo: in questo (che si verifica specialmente negli insetti) l’individuo è formato da un mosaico di parti aventi corredo cromosomico maschile e, rispettivamente, femminile. Nella intersessualità, invece, tutte le cellule del corpo hanno il corredo cromosomico di un sesso, ma durante lo sviluppo avviene un’inversione per cui l’individuo, che aveva incominciato a svilupparsi come maschio, continua il suo sviluppo nel sesso femminile e viceversa. L’intersessualità è determinata da cause genetiche o fisiologiche (fenotipiche). Le cause genetiche sono dovute a squilibrio fra i geni determinatori della mascolinità e della femminilità.
Pertanto, il tema dibattuto con ansie eccessive, inopportune partigianerie e approcci ponziopilateschi va ricondotto al più ampio contesto delle controverse problematiche dell'identità, delle espressioni di genere e degli orientamenti sessuali, sapendo scientificamente che la persona intersessuale è nata con caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie del corpo maschile o femminile. Inoltre, in realtà esistono diverse forme di intersessualità che possono comprendere variazioni fisiche rispetto ai genitali, alle gonadi, ai marker genetici, agli ormoni, ai cromosomi, agli organi riproduttivi e a tutto l'aspetto somatico del genere sessuale di una persona.

Questo a conferma che il “genere” è un modello di componenti comportamentali, espressive, di ruolo, e di aspettative di natura sociale a cui si può sentire di appartenere e che, conseguentemente, l'identità di genere corrisponde al senso di appartenenza di una persona a uno o più generi, indipendentemente dal suo modo di esprimerlo o esprimerli.
In questo contesto non c'è alcun dubbio che possa susssistere.
Altro aspetto è la gestione “politico-culturale” – non solo in campo sportivo – delle “diversità” che non vuol significare “ambiguità”.
È in questa palese inadeguatezza che bisogna investire capacità d'analisi e di comunicazione culturale per aprire spazi di consapevolezza, evitando di “spettacolarizzare” ciò che è già noto attivando, inopportunamente, il consueto tritacarne mediatico.
02/08/2024                                                         Prof. Giovanni Dursi
 
 
 
Note:
1 - Adolfo Levi, Verità ed errore. Il Problema dell’errore nella storia della filosofia. Dai Presocratici ai contemporanei, Edizioni Victrix, 2016. Giulio Gioriello e Pino Donghi, Errore, il Mulino, 2019.
2 - Antonio Banfi (Vimercate 30 settembre 1886 – Milano 20 luglio 1957), laureatosi a Milano in Lettere (1908, con Francesco Novati) e in Filosofia (1910, con Piero Martinetti), dopo un breve soggiorno in Germania, insegna nei Licei fino al 1931, poi nelle Università di Firenze, Genova e Milano. Tramite un fecondo dialogo con il trascendentalismo kantiano e con la fenomenologia husserliana, elabora un innovativo razionalismo critico, in grado di storicizzare Kant senza hegelianizzarlo, utilizzando anche il relativismo simmeliano, onde indagare l’infinita ricchezza della vita e della cultura. Considerato il «Cassirer italiano», negli anni Trenta formò la “scuola di Milano”, entro la quale la sua lezione, nutrita del dibattito europeo, avviò i suoi allievi a perseguire le inquietudini dei loro propri dèmoni, come emerge anche dalla sua rivista «Studi filosofici» (1940-1944 e 1946-1949). Tra le sue opere principali: Principi di una teoria della ragione (1926), Pestalozzi (1929), Socrate (1943), Galileo Galilei (1949), L’uomo copernicano (1950), La ricerca della realtà (1959, 2 voll., postumo), Esegesi e letture kantiane (1969, 2 voll., postumo) e il fondamentale saggio Sui principi di una filosofia della morale (1934).
3 - G. Galilei, Lettera a madama Cristina di Lorena, in Opere, a cura di F. Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953, pagine 1013-1015.

mercoledì 12 giugno 2024

Elezioni 8 e 9 Giugno 2024 - Offida, case study

 Cos'è questo golpe ? Io so

«Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. [. . . ]
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. [. . .]».

Pier Paolo Pasolini

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Come è noto, l'8 e il 9 Giugno 2024 si sono tenute le Elezioni amministrative parziali per l’elezione di diversi Sindaci e dei Consigli comunali in scadenza di mandato, nei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, programmate in concomitanza con le le decime Elezioni del Parlamento europeo con “suffragio universale” che ha consentito di partecipare a complessivi 51.198.828 elettori, molti dei quali, però, hanno diserato le urne.

Si stima, infatti, che meno di un italiano su 2 ha votato. Un evento di rilevanza storica, visto che per la prima volta in una Elezione di interesse nazionale la soglia del 50% è stata sfiorata, ma non raggiunta. L'astensionismo è la caratteristica prevalente della contemporaneità.


Come spesso è accaduto in passato, per le Amministrazioni comunali, cioé quell'insieme dei cosiddetti Organi di governo dei Comuni che prevedono un vertice monocratico (il Sindaco), un organo collegiale esecutivo (la Giunta) e un organo collegiale assembleare (il Consiglio), essendo “enti di prossimità”, Amministrazioni locali e/o istituzioni rappresentative che i cittadini percepiscono come immediatamente vicine alle loro necessità, il dato dell'affluenza è, in alcuni contesti, relativamente confortante.

In particolare, ad Offida, alle ore 23:00 di Domenica 9 Giugno, ha votato il 69,38% degli aventi diritto, in calo, in verità, rispetto al 2019, anno della precedente analoga Elezione, che ha visto esprimersi il 72,40% del “corpo elettorale”.

La Sezione che ha registrato il maggiore afflusso di elettrici ed elettori è la N. 2 (81,72%), mentre quella con minor numero di votanti è stata la N. 5 (39,30%), decentrata in località Santa Maria Goretti.

Lo scrutinio presenta 3.013 votanti, su 4.343 iscritti nelle Liste elettorali, che hanno deposto nell'urna, insieme ai voti validi, anche 51 schede nulle e 36 schede bianche.

Offida Solidarietà e democrazia” ha ottenuto 1.790 voti, corrispondente al 61,18%, e, conseguentemente 8 seggi in Consiglio comunale e la rielezione di Luigi Massa alla carica di Sindaco.

Obiettivi comuni per Offida”, la lista competitrice, ha ottenuto 1.136 voti, corrispondente al 38,82%, e, conseguentemente 4 seggi in Consiglio comunale.

La stampa locale, legittimamente, parla di “trionfo” per il Sindaco uscente che conquista il secondo mandato superando la soglia del 56,13% della precedente vittoriosa consultazione del 2019, e di débâcle della Lista competitrice la quale, cambiando il candidato Sindaco del 2019, D'angelo Eliano, con Adalberto Massicci, scende nella scelta dei cittadini dal 43,87% all'attuale percentuale.

Che sia chiaro, però, che il decremento di consensi non è dovuto alla “personalità” del candidato Sindaco o alla “qualità” della “squadra” che ha annoverato giovani talentuosi. Tutt'altro. La contrazione di voti rispetto alla precedente tornata elettorale, a nostro giudizio, è in parte considerevole dovuta alla tristemente reiterata pratica del “trasformismo”.

Tale prassi che affligge il sistema politico italiano, è stata inaugurata da A. Depretis (1813–1887). Essa consisteva nel formare di volta in volta maggioranze parlamentari intorno a singole personalità e su programmi contingenti, superando le tradizionali distinzioni tra “destra” e “sinistra”. Di tipo trasformistico fu considerata anche la concessione di favori alle consorterie locali in cambio del sostegno parlamentare praticata da F. Crispi e G. Giolitti.

Anche nel microcosmo contemporaneo di Offida, seguendo le mosse di alcune figure di ex oppositori al Sindaco in carica, nel precedente quinquennio, si nota che essi prima creano un monogruppo, distaccandosi dalla Lista d'opposizione nella quale si è stati eletti per poi proporsi come portatori d'acqua alla ricandidatura del “primo cittadino”, aderendo al programma dell'ex maggioranza contrastata fino ad un certo punto.

Una tradizione, quella del “trasformismo”, che andrebbe definitivamente superata. È lecito porsi la domanda: in cambio di cosa la camaleontica abilità viene messa in campo ? Staremo a vedere.

La “lettura” suindicata dell'esito del voto per il rinnovo degli organi politico-amministrativi comunali è, evidentemente, limitata ai dati meramenti numerici – e non ci si appelli allo stereotipo secondo il quale in “democrazia” i numeri son tutto; sono certamente decisivi, ma non chiarificatori di per sé della dinamica sociale sottostante che genera flussi altalenanti, disaffezione, aggregazioni estemporanee di volontà, differente disponibilità di mezzi e difforme capacità comunicative.

Inoltre, la “lettura numerica” risulta essere non obiettiva, poiché, in realtà, i 1.330 elettori “dispersi” che non si sono recati alle urne, unitamente agli 87 “contestatori” (schede nulle e bianche sono, ufficialmente “voti non espressi”), non sono fantasmi, ma cittadini portatori di diritti ed interessi da considerare.

In buona sostanza, quest'ultimi costituiscono numericamente – allo stato attuale - la “seconda forza politica” della cittadina.

In secondo luogo, questa è l'argomentazione cruciale a mio parere, comparando i risultati offidani delle Elezioni europee con quelle comunali, s'inizia a comprendere davvero la dinamica sociale, la “struttura” che genera e distribuisce “consensi”.

Ciò, probabilmente, può consentire d'aprire l'analisi del voto a prospettive di radicale cambiamento migliorativo del “civismo”, quell'alto senso dei proprî doveri di concittadino che deve detenere chi ricopre incarichi istituzionali di rango rilevante (Sindaco, Assessori, quest'ultimi non necessariamente eletti, Consiglieri comunali, membri dei Consigli d'Amministrazione di Aziende pubbliche) che spinge a trascurare o sacrificare il benessere proprîo o della proprîa “parte” per l’utilità comune.

Pertanto, facendo coincidere, come ipotesi, “Offida Solidarietà e democrazia” con la prevalente “area politica” del PD, i voti ottenuti in Offida sono 888 (32,52%); il Partito democratico, alle elezioni europee è tallonato da Fratelli d'Italia che ha ottenuto 841 voti (30,79%). Il Movimento 5Stelle ottiene 367 voti. Considerando, inoltre, i voti (168) di Forza Italia, (128) Lega e (111) Aleanza Verdi e Sinistra, limitandoci alle maggiori forze politiche, si può evincere un congruo numero di voti “in libera uscita” che gratificano – transitando verso le Elezioni comunali - la Lista del Sindaco rieletto.

Dalla configurazione di quanto ottenuto, alle europee, dai singoli Partiti, si coglie nettamente un dato: che il Sindaco rieletto di Offida è stato prescelto da cittadini ben al di fuori della subcultura politica d'appartenenza.

La “quaestio” può essere interpretata in modo palindromo.

In senso inverso, infatti, ma l'operazione posta in essere mantiene immutato il significato: Il Partito del Sindaco è sostenuto da chi nazionalmente e per l'elezione dei rappresentanti italiani in Europa vota le “destre”, anche le più retrive, quali la Lega che ha candidato a Bruxelles un esponente del revanscismo neofascista. Il bacino dei voti ove il Sindaco “pesca” è costituito da un “campo”, forse indigesto sul piano etico-pilitico, ma senz'altro redditizio.

Se l'ipotesi ha un suo ancoraggio alla realtà dei fatti, si devono porre pubblicamente alcune domande: Perché accade che un votante offidano di Fratelli d'Italia, ad esempio, vota un Sindaco di “sinistra” ? Perchè ciò avviene, peraltro, quando il vento di “destra” - in Europa, con l'attuale Governo, con la Giunta regionale delle Marche - soffia forte ? Che reciproche “convenienze” ci sono in ballo ? Il “mercato” elettorale sta facendo coincidere l'offerta politica di chi gestisce la dimensione territoriale politico-amministrativa con le domande e richieste dei cittadini dipendendo da come essi la “pensano” ? In che modo le odierne difficoltà di bilancio dell'Amministrazione comunale sono correlate alla pressione di infimi o estesi condizionamenti ?

Ancora: L'andazzo ipotizzato costituisce una strategia per stabilizzare il potere locale da parte di un coagulo di interessi che vanno tutelati perpetuando il dominio sulla macchina amministrativa e le sue articolazioni funzionali sul territorio ed impedendo in questa guisa alla cittadina un definitivo slancio civile ?

L’élite economico-politica e culturale locale, mutatis mutandi, ha, fino ai nostri giorni, replicato la gerarchia di comando tipica dell’organizzazione medievale delle vite - un “assolutismo” che prevede privilegi ed esclusione sociale – mai tramontata ?

Una conferma, presumibilmente, è data, ad esempio, dal “personale tecnico-politico” che “nelle parole” si è posto come innovatore, peraltro sempre lo stesso. Domandarsi è lecito se gli “uomini” che hanno inteso rappresentare l'Amministrazione, di fatto, sono stati espressione della “cultura” paternalista, clientelare e concessiva, a volte anche autoritaria in grado di “parlare” di diritti, ma mai di fuoriuscire dalla dimensione retorica top down di chi pretende un mandato dal popolo, ma che per estrazione e formazione, non appartiene al mondo del lavoro in senso stretto (dal latino “fatica”, opera di mano e poi anche d’ingegno, cose fatte o da farsi operando), bensì a quello delle “libere professioni” che è predisposto a “fare cartello” politico-affaristico.

La città è in fase drammaticamente implosiva (aspetto demografico, in primis) perché si è identificata per molto, troppo tempo con l’autoreferenziale “ceto” partitico dirigente la “cosa pubblica”; quest’ultimo ha legato – soggiogandola in modo quasi indolore – la sua comunità di riferimento a vincoli “storici” o consuetudinari rendendo la residenza abitudinale di migliaia di persone nel territorio ed anche la presenza estemporanea dei cosiddetti variegati “city users”, occasione ghiotta per perpetuare lo status quo, per manipolare l’identità dell'Amministrazione e l'erogazione dei servizi pubblici difendendo solo gli interessi di pochi ?

Sappiamo però che una città oligarchica, per definizione, non è una città libera.

Gli “interessi territorialmente e socialmente vasti” coincisero allora e coincidono ancora oggi con “interessi politicamente ristretti” ?

Il “caso” Offida per i trascorsi e per un'auspicabile soluzione di continuità merita attenzione. Si deve evitare una deriva familistico-amorale che ricorda i fasti, da un lato, del modello abruzzese (il riferimento è a Remo Gasperi), dall'altro, del blocco economico-sociale “cooperative-banche e assicurazioni-sindacati-poteri pubblici-Partito” (il “modello emiliano-romagnolo) che ha sposato da decenni l'aziendalismo soffocando le radici egualitarie e solidaristiche della subcultura del movimento operaio.

Nella trasparaenza ricercata, ciascuno faccia la sua parte.

Prof. Giovanni Dursi


giovedì 25 aprile 2024

Quale 25 Aprile ? Il Governo censura il 25 Aprile, come fosse una fiction

In Italia, gli scioperi del marzo 1943, il bombardamento di Roma del luglio e la caduta, nello stesso mese (25.7.1943), del fascismo promuovono il cambiamento.

Crollato il regime, Mussolini fu trasferito in stato di fermo prima a Ponza, poi alla Maddalena, quindi al Gran Sasso; di qui venne liberato dai tedeschi con un colpo di mano e portato in volo in Germania all'indomani dell'8 settembre. Tornò in Italia per raccogliere quel che restava dello sfacelo fascista nella Repubblica sociale italiana, nella quale esercitò le funzioni di capo dello Stato e capo del governo. Installato a Gargnano (sul Lago di Garda), seguì le vicende belliche apparendo raramente in pubblico. Dichiarò come obiettivo la riconciliazione degli italiani e la socializzazione, ma la crisi militare dell'Asse, gli scioperi operai del 1943-44 e il movimento di Resistenza ne evidenziarono la funzione di puntello dell'occupazione tedesca. Al crollo della "linea gotica" si trasferì a Milano (17 aprile 1945) e tentò di contrattare la propria incolumità con il Comitato di liberazione nazionale. In fuga verso Como, in divisa da soldato tedesco, fu arrestato dai partigiani e passato per le armi per ordine del CLN il 28 aprile 1945. Il suo cadavere (insieme a quelli di Claretta Petacci, la donna cui era legato dal 1936, e di altri gerarchi fucilati) fu esposto dai partigiani a Milano in piazzale Loreto, a simbolo della fine del Fascismo.

In effetti, la fine delle ostilità in Italia e quindi la totale liberazione del territorio nazionale sono arrivate il 3 maggio 1945. Si preferì invece orientarsi verso il giorno in cui il (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) chiamò il popolo italiano all’insurrezione nei territori ancora occupati dai tedeschi e al tempo stesso si affermò come un’unica autorità nazionale legittima. Scegliere il 25 aprile significava quindi celebrare non soltanto la fine della guerra e dell’oppressione nazifascista, ma anche riconoscere il valore e l’importanza del movimento partigiano.

La differenza non è da poco: un conto è auspicare la fine della guerra e il ritorno alla normalità, un altro è aderire ai valori e all’iniziativa della Resistenza. In questo senso, l’istituzionalizzazione del 25 aprile, la sua accettazione da parte di tutti gli italiani, si è presentata più ardua rispetto ad altre memorie civili.

Anche a causa d'una idea - la cosiddetta "pacificazione nazionale" - che sterilizzò la lotta di classe.

Il 22 giugno 1946, infatti, entra in vigore il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell'occupazione nazifascista. La legge è stata proposta e varata dal ministro di Grazia e Giustizia del primo governo De Gasperi, Palmiro Togliatti, segretario del PCI.

Egli presentò il provvedimento di clemenza come giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale”.

Ad 80 anni di distanza, l'Italia ha un Governo ed alte cariche istituzionali comprensivi di neofascisti.

Gli italiani, da circa due anni, sono catapultati in una simulazione bellica, in una sorta di Civil War [1], talora ispirata alla ricostruzione di battaglie del passato, eseguita nelle paludate forme del journalism mainstream media.

I cittadini, obtorto collo, sono trattati da spettatori di un'esercitazione strategica che allude sempre più con evidenza a forme repressive, avendo constatato – gli attuali detentori del potere politico - il fallimento del primo livello di controllo sociale costituito da forme di persuasione alla conformità ed alla passività.

Con l’ausilio di mappe politiche simili a liste di proscrizione e strumenti elettronici, l'attuale Governo sta mettendo sul terreno provocazioni politico-giudiziarie consistenti nella ricostruzione di azioni di violenta lotta politica del passato, o nell’invenzione di battaglie di fantasia, usando plastici o tavolieri, nel qual caso si parla di board war game «gioco di simulazione strategica da tavolo», lasciando andare in malora la cura statuale del Paese.

Esponenti del Governo, diuturnamente, in primis Giorgia Meloni, riproducono scenarî reali e sui quali si muovono pedine di cartone o riproduzioni in miniatura di soldati, armi e mezzi bellici per avviare e mantenere alto il livello di “distrazione di massa” le cui caratteristiche corrispondono, nella finzione del gioco, a quelle reali.

Abbiamo già riferito sulle “[...] recenti, presunte, epurazioni RAI, così interpretate, ad imperituro “dileggio” di chi del canone si serve per perpetuare il sistema di potere anche mediatico, quindi di rango costituzionale (ai sensi dell'art. 43 della Costituzione) trattandosi di “servizio pubblico” televisivo, ad esclusivo vantaggio di parte.
Poca dignità in chi pratica – attualmente, la destra di Governo che arriva a detenere, di fatto, sei reti televisive nazionali, il monopolio RAI-Mediaset – lo
spoils system […]” [2].

Così come abbiamo già denunciato la via giudiziaria contro il dissenso, praticata come “[...] una modalità di rapporto che si sta consolidando tra Esecutivo ed intelligencija, quella “giudiziaria” […]” con espliciti intenti intimidatori e di censura, con riferimento particolare, ma non esclusivo, alle querele onerose per diffamazione avanzate da Giorgia Meloni a Roberto Saviano e al Prof. Luciano Canfora [3]. Questo andazzo si sta allargando: sta avvenendo, senza essere esposti ai riflettori, in tanti casi di revanscismo giudiziario contro liberi pensatori, anche a livelli più bassi delle gerarchie sociali.

Dai “giochi di simulazione”, si sta passando a vie di fatto, ad una rivincita negazionista, si sta mettendo a rischio il racconto pubblico delle verità storiche, impedendo di parlare a chi s'azzarda a rievocare i fatti originari della Repubblica democratica italiana.

Antonio Scurati [4] non ci potrà essere in studio a “CheSarà”, programma di Rai3 bloccato da vertici della Rai a 24 ore dalla messa in onda, con il monologo sulla memoria del 25 Aprile, la più importante di altre ricorrenze laiche paradossalmente proprio per il suo carattere al tempo stesso unitario e divisivo: è una celebrazione per la riconquistata democrazia, per la libertà e l'indipendenza nazionale, ma è anche una giornata solenne contro il fascismo, contro la dittatura, contro la guerra.

Il testo del monologo è stato condiviso da Giorgia Meloni sul suo profilo Facebook, 'perché chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno', dichiara tronfia e prosegue: “in un'Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso. Stavolta è per una presunta censura”.

Proprio le sue parole sono allarmanti: in primo luogo, esse evidenziano un atteggiamento di relativizzazione storiografica inaccettabile, alzando a piacimento un polverone ideologico per comparare avvenimenti rilevanti – il presunto ostracismo subito da forze neofasciste, costituzionalmente impedite nell'azione politica - e fatti – quali quelli ascrivibili al periodo resistenziale - che invece riguardano 58 milioni 990mila italiani ai quali l'attuale Governo ha deciso di non rendere conto, preferendo loro i committenti interni ed internazionali.

In secondo luogo, Meloni ignora volutamente il dato che il messaggio televisivo – a fronte di 120 milioni di schermi digitali, di cui oltre 97 milioni connessi - è d'impatto ben superiore alla veicolazione di contenuti tramite i social network, che caratterizza la fruizione in modo marcatamente individuale, personalizzata, e, tipicamente, in mobilità di non tutto il potenziale target di cittadini-elettori. Proprio la moltiplicazione degli schermi ha segnato, negli anni, la riconferma del mezzo televisivo quale medium più utilizzato per essere informati.

Se ne può concludere, che la censura da parte del potere politico ha due risvolti: uno eclatantemente epurativo, soppressivo, eversivo, l'altro subdolamente manipolatotorio, da gioco di simulazione “delle tre carte”.

La grande cavalcata della maggioranza partitica al Governo del Paese verso il cosiddetto “premierato” [5], passa anche da queste sgrammaticature costituzionali.

Il Presidente della Repubblica sarà ridotto a un notaio che esegue gli ordini del Capo del Governo. La maggioranza parlamentare, assicurata non come rappresentanza reale del voto degli elettori, ma dal meccanismo maggioritario, potrà di fatto dominare ogni nomina parlamentare nella Corte Costituzionale, nel Consiglio Superiore della Magistratura e nella stessa elezione del Presidente della Repubblica, che quindi non rappresenterà più l’unità nazionale. Anche il venire meno della rappresentatività più larga possibile di questi organi di garanzia, costituisce un rischio per la stabilità dell'assetto democratico. Stabilità del governo, stabilità del Paese, stabilità della democrazia non coincidono, né sono assicurate dalla elezione diretta del “premier”.

L’unica cosa che viene assicurata è il suo potere personale. L’esasperata personalizzazione della politica è la malattia non la cura: una democrazia è più forte se è più partecipata. Come si fa a non essere d'accordo con l'A.N.P.I. ?

Il 25 Aprile va ricordato, ogni anno. Ricordato in tutti i suoi aspetti a valenza storica: nei 20 mesi in cui si sviluppa la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – i quali non esitano, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell'esercizio della brutalità –, infieriscono nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane. Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l'analisi dettagliata che ha prodotto l'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – sono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell'arco cronologico che va dal Luglio 1943 al Maggio 1945.

Si è certi che la Meloni, rintanata nel suo protettivo polverone ideologico, ha sottoposto ad oblio questi fatti. Di questo oltraggio ne dovrà rispondere.

25/04/2024 Giovanni Dursi

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1 Intenzionale citazione del film di Alex Garland, in questi giorni nelle sale, che descrive come gli U.S.A. siano devastati da un conflitto interno visto da due fotoreporter.

2 G. Dursi, Spoils system RAI e legge del contrappasso, mentinfuga.com, 23 Maggio 2023.

3 G. Dursi, Governo Meloni: la via giudiziaria contro il dissenso, mentinfuga.com, 15 Febbraio 2024.

4 Scrittore italiano (1969). Ricercatore presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM), ha affiancato all’attività accademica la scrittura letteraria.

5 P. Esposito, Quer pasticciaccio brutto del premierato, mentinfuga.com, 4 Aprile 2024; S. Bonfiglio, Il “premierato elettivo” e la clausola “anti-ribaltone”, mentinfuga.com 9 Febbraio 2024.