domenica 15 marzo 2020

Sostiene Giovanni Dursi ... Sui tempi malsani, contaminati dalle attese

Sui tempi malsani, contaminati dalle attese


«Gli esseri umani sono unici. Come e perché lo siano ha stimolato
per secoli la curiosità di scienziati, filosofi e persino avvocati.
Quando cerchiamo di stabilire una distinzione tra animali ed esseri umani,
nascono controversie e ci si azzuffa sulle idee e sul significato dei dati,
e quando il polverone si placa, ciò che resta è una quantità maggiore
di dati su cui costruire teorie più forti e stringenti.
Stranamente, in questo ambito di ricerca,
idee opposte sembrano essere almeno parzialmente corrette»
Human. Quel che ci rende unici (pag. 9)
Michael S. Gazzaniga, Raffaello Cortina Editore, 2009

Al termine del secondo decennio del XXI secolo, l'umanità è dentro una bolla asociale di silenzio, di coatta “inattività”, di attese imperscrutabili. L'esperienza laica del silenzio, di fronte alla disperazione delle presenti vicende del quotidiano, comporta il passaggio dall'assolutizzazione dell'Ego alla presa di coscienza dell'“identità relativa”.
L'improvvisa e fragorosa fenomenologia del silenzio, come la si può cogliere all’interno della manifestamente precaria dimensione dell'esistenza umana, costringe ad esplorazioni intime le quali, se ben condotte allontanandosi dal risvolto mitico e archetipico di tali investigazioni, aprono alla scoperta o alla presa d'atto della pregnanza “salvifica” del desiderio della ragione, preludio di ineludibili conoscenze. È il cammino che conduce al non-Sé. Una speleologica tendenza psicosociale alla decostruzione, con lo scopo di esplicitare le infinite possibilità di significato e di interpretazione dell'esistenza collettiva méntre la bolla esploderà.
Certo, non si vuole disconoscere lo stato di necessità, le indispensabili precauzioni e la prevenzione possibile, bensì interpretare l'evolversi della situazione epidemiologica ed il carattere peculiare, aggressivo e letale, del contagio virale (ovviamente preoccupati dall'incremento quotidiano, in scala globale, dei casi conclamati da sintomi inesorabili, indubbi, evidenti), in un quadro di riferimento generale che – sensatamente – comprenda anche i plurimi versanti dell'habitat organizzativo della vita collettiva storicamente data, dai quali contemplare la morte (G. D'Annunzio, Aprile 1912), ancor prima che fisica, culturale, insita negli stessi processi tecnici che guidano il funzionamento e le relazioni all’interno del sistema economico egemone, efficacemente pervasivo.
Questa impostazione nella disamina non permette di eludere, preliminarmente, la reale differenza che persiste, non tanto nella percezione del dilagante fenomeno definito “emergenza sanitaria”, ma nel rischio reale di vita che l'alta onda del contagio immette nelle biografie personali.
Sono i lavoratori dipendenti, ancora una volta, ad avere – più vicino di ogni altro - sulle proprie spalle la falce affilatissima che distende la lama indiscriminatamente, essendo ancora considerati un inesorabile sacrificio umano sull'altare della produttività da non interrompere e del profitto da garantire, ad ogni costo.
Inoltre, intorno a questa perversa gestione di un fabbisogno universale di tutele e delle misure di contenimento, fanno capolino becere velleità eugenetiche nelle diverse versioni, da un lato, di evitare le cure necessarie agli anziani colpiti, considerati condannati per età e malattie pregresse e, dall'altro, della “soluzione” messa in campo dall'attuale Governo inglese e dagli epigoni che ritengono di poter accettare un numero certo di decessi oltre il quale si svilupperà “magicamente” la cosiddetta “immunità di gregge”, dando per scontato e indispensabile, tra l'altro in assenza di un vaccino, che si ammalino migliaia di persone per immunizzarne la maggioranza sopravvissuta al contagio.
Altro paradossale aspetto, dell'attuale tempo di vita sociale sospeso, riguarda la comunicazione sociale. Nella società statualizzata contemporanea ove le modalità individuali e gruppali di interazione e comunicazione si moltiplicano – indotte dall'innovazione tecnico-scientifica e da abili strategie di marketing e commercializzazione dei prodotti (obsolescenza programmata 1) - e le telecomunicazioni trovano ulteriore potenziamento e transitano decisamente verso procedure di “inclusione digitale” favorendo l’accesso ai benefici dell’Information and Communicatio Technology da parte di tutte le persone al suo linguaggio alfabetizzate (certo, non è affatto superata la questione del digital divide), oggi sono negate, drasticamente inibite, da provvedimenti normativi ispirati alla tutela della salute pubblica ed all'emergenza sanitaria che obbligano tutti ad estirparle, le primordiali forme di comunicazione – quelle interpersonali vis-à-vis - tipiche delle società senza Stato.

L'interdizione dell'intera gamma dei contatti che solitamente hanno luogo o si svolgono fra persone – empiricamente, l'intensa sollecitazione d'una norma di prossimità - ha un immediato riscontro sulla fenomenologia del controllo sociale e su entrambi i livelli sui quali tradizionalmente si manifesta: il livello della persuasione alla conformità e quello della repressione delle devianze; proprio quest'ultimo – come concepito (2) nella commistione tra emergenza epidemiologica, ordine pubblico e tranquillità pubblica (3) – fornisce la cartina al tornasole di questi tempi malsani, contaminati dalle attese, la prova irrefutabile del passaggio dalla cosiddetta “società disciplinare” a quella dell'introiezione (ideologica) del controllo, dove non è più solo il “potere costituito” ad esercitare la sorveglianza (e punire; rif. a Michel Foucault, Surveiller et punir: Naissance de la prison, 1975), bensì sono le stesse soggettività sociali, portatrici di spavento, unilateralmente informate, frammentate nelle appartate fruizioni e dei social network e delle piattaforme d'intermediazione, ad essere sospinte all'autocensura, all'autocontrollo anche vicendevole, all'incessante omologazione dei comportamenti alle direttive governative emanate.
Pertanto, sembra che l'accentuata plurisecolare civilizzazione (statualizzazione) dell'umano, abbia reciso i legami con gli aspetti, peraltro insopprimibili, biologico-naturali dell'esistenza, sembra che abbia ridefinito la condizione extragenetica, artificiale, “culturale” della riproduzione della vita, proiettandola in una dimensione totalmente asèttica rispondente solo alle regole sopravvivenziali dell’asepsi, come se, di fronte al dramma, la regressione comune al sistema esigenziale primario (rif. a A. H. Maslow 4), agisca inevitabilmente da “modificatore sociale”, con buona pace dell'antica convinzione, non solo aristotelica, secondo la quale l'uomo è un «politikòn zôon» (rif. Aristotele, Τὰ πολιτιϰά, IV secolo a. C.).

Non paia banale ricordare che l'umano ἐγκέφαλος, dotato di una corteccia sempre più vasta e più complessa rispetto agli altri primati, quella porzione anteriore del sistema nervoso centrale, contenuta all’interno della scatola cranica e costituita da cervello, cervelletto e tronco dell’encefalo, che con i 1.300-1.500 grammi di tessuto gelatinoso, composto da 100 miliardi di cellule neurali ognuna delle quali sviluppa in media 10 mila connessioni (l'esistenza di queste connessioni, o sinapsi, fu scoperta alla fine del XIX secolo dal fisiologo inglese Charles Scott Sherrington) con le cellule vicine, non attiva solo l'arcaico romboencefalo. Come, nel XX secolo, L. S. Vygotskij ha dimostrato, sono le funzioni intellettuali superiori ad emergere dalle esperienze sociali, grazie alla efficacia della “zona di sviluppo prossimale”, concetto unificatore dello sviluppo sociocognitivo umano (rif. a Pensiero e linguaggio, 1934).
Per dire che l'essere umano è da tempo immemorabile un ùnikum – fenomeno eccezionale e irripetibile – tale da non poter essere “trattato” in ogni evenienza solo come corpo; è differente inoltre da tutte le altre specie animali per la complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra via che non sia l’ereditarietà biologica, è cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e, come tale, soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico.
L'essere umano non è un tubo digerente, le strutture del cervello rispecchiano la sua filogenesi nella “onnipresente lateralizzazione delle funzioni cerebrali” (op. cit., Michael S. Gazzaniga Human. Quel che ci rende unici, pag 34).
Nel λόγος, inteso come unità di pensiero e linguaggio, di discorso e ragione, risiede la peculiare autonomia del suo essere, nella disponibilità dell’uomo a seguito dell’evoluzione naturale, e diventa effettivamente utilizzabile da parte di ciascuno degli individui come risultato dell’apprendimento sociale. Dietro al λόγος c’è, sempre, ovviamente, la presenza del cervello, un piccolo grumo di cellule gelatinose, con sede nel cranio e che è capace di produrre una quantità di stati mentali superiore al numero di particelle elementari dell’universo conosciuto.

Questo organismo/uomo unitario ora è costretto a ridimensionarsi, colpa della pandemia che corre veloce attraverso i vastissimi territori nazionali e continentali, scindendosi in un essere biologico che non è più e non può più essere, tralasciando la sua “seconda natura culturale”, come analogamente analizzato anni fa da Naomi Klein in Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri (BUR Rizzoli, 2007) che “stabiliva una convincente correlazione fra i disastri climatici, gli “eventi estremi” e le restrizioni della vita democratica, a partire naturalmente dagli Stai uniti” (5).
L'ipotizzato caratteristico agire sociale dell'uomo è qualificato, oltre che dalle attività cooperative volte alla sopravvivenza delle comunità, anche da quelle volte alla riproduzione solidale dell'arco vitale individuale; in altri termini, le risorse antropologiche lavorative e l'ingegno che le esprime sarebbero orientate alla sopravvivenza non solo in quanto individuo, ma anche in quanto specie. L’uomo «politikòn zôon» essendo ontologicamente preprogrammato ad essere depositario di un'identità relativa sociale, definirebbe la produzione e la riproduzione della vita sia secondo il loro contenuto di materialità che in termini di progresso culturale. Coesisterebbero, conseguentemente, sia una produzione sia una riproduzione, al contempo, materiali e sovrastrutturali.
Va constatato che le inibizioni comportamentali (ad esempio le proibizioni di cui alla precedente nota 3 del presente testo) e l'astensione dai contatti fisici nello spazio-tempo sociale (urbano, lavorativo, domestico, affettivo) in atto, sono, insieme, in apparente e reale contrasto con il comune modo di pensare o con le più elementari norme del buon senso, e quindi sono inaccettabili sul piano logico, pratico, morale, ancor più per quanto riguarda i cosiddetti millennials (tra 14 e 18 anni) e i “nativi digitali” spuri (tra 18 e 25 anni) che trovano occasione di sviluppo cognitivo, relazionale, emotivo, etico, proprio nell'integrazione dell'esperienza “virtuale”, del processo di virtualizzazione della socialità (6), con la dimensione biologica dell'esistenza (dalla percezione sensoriale all'ἔρως, dalla fatica all'autoriflessività attuabile grazie alla possibilità di distanziarsi, autosservare e riflettere sui propri modi di essere e sui propri stati mentali “in situazione” pubblica).

La parvenza germinale di un diverso modo di essere del reale – ad alto impatto tecnico elettronico ed immateriale - che, come tale, non sempre costituisce una fuga dalla realtà, ma un potenziamento di forme tangibili di intervento su di essa, pare causare – in questo frangente di autoisolamento, relazionalità coartata e ritiro sociale, all'interno di una evidente riproposizione del “condizionamento operante” (rif. a B. F. Skinner, The Behavior of Organisms: an Experimental Analysis, New York: Appleton-Century-Crofts, 1931; Science and human behavior, New York, The MacMillan Co., 1953; Holland J., Skinner B. F., The analysis of behaviour, New York: Mc Graw Hill, 1961), come strumento strategico del controllo sociale tendente a formare una moltitudine di “personalità evitanti” (7) -, simultaneamente e contraddittoriamente, una deriva verso un troncamento di ogni qualsivoglia riconoscibile comunicazione con il mondo degli altri, non riuscendo ad emergere così alla pienezza ed autenticità dei rapporti sociali, bensì rendendola inessenziale, quasi effimera, ed enfatizzando al contrario l'esclusiva soddisfazione dei bisogni individuali per la sopravvivenza fisica, le necessità “fisiologiche”, fame, sete, sonno, termoregolazione, i primi a dover essere soddisfatti a causa dell'istinto di autoconservazione e, parzialmente, dei bisogni di sicurezza - che aprono oggettivamente alla relazione sociale - quali le occorrenze connesse a protezione, tranquillità, prevedibilità, limitazione/soppressione di preoccupazioni e ansie.
La stessa lettura darwiniana dell'evoluzione umana si contraddistingue nella messa in valore della capacità cosciente, cumulabile e variabile storicamente, di rendersi nella maggior misura possibile indipendente dalla natura, tanto che si potrebbe sostenere paradossalmente che ormai siano nella natura intrinseca dell’uomo la sua volontà, possibilità e capacità di rendersi in parte indipendente dallo stesso ambiente naturale.
I processi attraverso i quali si è arrivati a un tale divenire sono materia per gli antropologi; ciò che qui ci interessa è capire come le due fondamentali attività dell’uomo, la trasformazione della natura e la relazione con gli altri uomini, siano due aspetti inscindibili della definizione stessa di umanità: ciò vuol dire che non è corretto analizzarli separatamente o, meglio, vuol dire che si deve tenere sempre conto della loro interconnessione, della natura costituzionalmente (fondativa) ibrida dell'essere umano. Tanto la forza fisica e i variegati strumenti di trasformazione/valorizzazione della natura e di se stesso, quanto le esperienze, conoscenze e relazioni organizzate tra simili, hanno fatto dell'uomo un soggetto – agente consapevole - di storia, emancipandosi definitivamente dalla mera configurazione biologica e da quell'orizzonte chiuso, limitato, che lo ha rinserrato per millenni, dei bisogni fisiologici, riconducendo in via esclusiva e subordinando al Sé biologico ogni sorta di istanze ulteriori, prescindendo dall'immanenza di altri modi di estrinsecazione dell'umano e di riferimenti extragenetici.
Da questo punto di vista, oltremodo significativa è l'attualissima e accurata riflessione contenuta nel recente volume di Giulio Gioriello e Pino Donghi, “Errore” (il Mulino, 2019)
«Al tempo della società controllata dagli algoritmi, se cadiamo in una situazione imprevista dalla procedura – ciò che legittimamente potrebbe configurarsi come un errore o un'imprecisione che la serie di stringhe non aveva anticipato – in ogni caso l'unica soluzione proposta è “reset e riparti”: siamo capitati in uno stato non programmato e da cui è impossibile (con il programma in essere) ritornare dentro una qualche configurazione gestita, da cui procedere in modo controllato. Nei fatti siamo guidati all'interno di una dimensione da cui l'errore è stato escluso, bandito, non più ammesso. Cercheremo di argomentare che ci siamo abituati, evidentemente male. Ed è anche in virtù (diciamo così!) di questa nuova configurazione dell'esistenza, dove l'errore è inconcepibile – specialmente come vedremo nell'interazione con i medici e la medicina – che tendiamo a considerarlo troppo spesso inaccettabile e scandaloso. L'errore ci sgomenta e ci sconcerta; non può riguardarci. È contro tempo, appunto.
Semmai ci fosse, è bene che se ne occupi il dio-architetto-progettista. Per quanto ci riguarda è meglio iniziare una nuova partita, possibilmente con un gadget nuovo di zecca» (op. cit. p. 13-14).
Dedicato alla “condizione del progresso” il pamphlet sostiene che la la nostra storia genetica ci ricorda come le specie sopravvivano adattandosi all'ambiente a partire da errori “casuali” , talvolta fatali, ma spesso utili e risolutivi. Inoltre, nel mondo dall'I. A., l'anomalia dell'imperfezione è ancora necessaria per avanzare nel cammino della conoscenza. Ne consegue che, come in tutte le attività umane, periodici errori sono inevitabili, di regola non causati dalle azioni di un singolo e tantomeno intenzionali; in secondo luogo, che la meravigliosa macchina biologica della quale siamo dotati come esseri viventi non è più da tempo considerabile distintamente dalla parte extragenetica, “artificiale”, culturale intimamente ed irreversibilmente associata al nostro corpo.
Gli errori umani che procurano danni alla componente anatomo-fisiologica, per questo motivo, in medicina, rari, non augurabili e spesso prevenibili, ma mai inconcepibili, non possono essere affrontati deliberatamente come materia di esclusiva pertinenza sanitaria e normativa.

L'azione politica del concentrare i cittadini negli antri devoniani domestici e, nello stesso tempo, enfatizzare il “distanziamento sociale” come pubblica terapia, svela il tentativo di nascondere un'irresponsabilità (incolpevolezza) basata sull’elemento della scelta di ridurre l'uomo al suo corpo suscettibile di precoce decadimento. Proprio l'inadeguata riflessione sulle circostanze (talora eccessivamente e sbrigativamente valutate, talvolta sottovalutate) degli errori nell’esercizio della relazione sociale, biologico-culturale tout court, finisce per costituire un’insostituibile occasione per il miglioramento delle procedure di riproduzione generazionale della vita, oltre che per la corretta valutazione dell’innegabile originalità della risposta a trattamenti e cure ed eventualmente per risarcire le vittime non occasionali.
A tal proposito, va disapprovato con fermezza il rito puerilmente esorcizzante dell'affacciarsi dai pertugi di casa ascoltando o interpretando il  Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d'Italia (!!!), Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d'Italia, un canto risorgimentale (!!!) scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847 (!!!); una liturgia nazional-popolare o populista che evolve (!!!) nella forma dei flash-mob ("dal sapore di nazionalismo più becereo"; "rubo" la frase a Nicole Della Rocca, eccellente studentessa di Scienze umane) con persone affacciate ai balconi o alle finestre di casa, ispirate anche alle modalità di contestazione adottate dal pubblico su sollecitazione del guru televisivo (tal Howard Beale che minaccia di uccidersi in diretta, incrementando notevolmente gli ascolti ... !!!), come accade in una scena del film Quinto potere (regia di Sidney Lumet, 1976), in un tenersi collettivo per mano che non può essere “vero”. Tutto questo "protagonismo popolare" si palesa nella rimozione sostanziale di quanto accade nel frattempo: il completamento della torsione antidemocratica dello Stato ormai pronto a fare da "cassa di risonanza" di "invocazioni d'azioni di repressione-controllo da parte dell'Esercito e delle forze dell'ordine", ad agire come moltiplicatore di "ansia generalizzata senza alcune mediazione razionale che ha dei risvolti apparentemente schizofrenici (tra intolleranza, diffidenza dell'altro e senso di apparteneza comunitaria)"; cito ancora le puntuali parole di Della Rocca.
Tali diuturne celebrazioni evocano la narrativa deleddiana, basate su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità (come si evince in Grazia Deledda. La vigna sul mare, Treves-Treccani-Tumminelli, 1932), si avvalgono d'una banale sceneggiatura spingendo a recitare con fervore salmi preconfezionati, #stiamotuttiacasa, #insiemecelafaremo, #andràtuttobene ignorando cinicamente i duemila morti circa accertati che, ad oggi, non ce l'hanno fatta e non potranno più – neanche volontariamente - “farcela a stare in casa”.
Il vincolo sociale non può essere ricondotto a relazioni terapeutiche e, prioritariamente, alla segregazione e alla esclusione come sta avvenendo e come sollecitamente si è indotti a pensare e ad agire disciplinatamente. Tale dispositivo panottico di contrasto e di cura – nell'immediato e ciò è innegabile – comporta la trasformazione degli individui da “soggetti di una comunicazione” a prigionieri ovvero “oggetti d’informazione”, la rarefazione sociale, la morte culturale dentro la camicia di forza di Narcisi ammalati, ed una prevista irrefrenabile infantilizzazione dell'umanità (la sindrome neotenica della contemporaneità rigorosamente tematizzata da Paolo Virno in Scienze sociali e «natura umana». Facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione, Rubbettino, 2003) che genera senso collettivo di perenne incompletezza e reiterata insoddisfazione.
Come opportunamente è stato affermato “La relazione con gli altri è … l’unica fonte della propria autostima, la cui perdita, reale o minacciata, è intollerabile e porta all’aumento della distanza tra l’immagine del Sé e l’ideale del Sé […] il Sé ideale … ha bisogno degli altri”. A. Adler docet (rif. a studi 1907-1936).
Prof. Giovanni Dursi © Marzo 2020
Docente M.P.I. di Filosofia e Scienze umane

1 Espressione con cui si fa riferimento al processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie. Tale processo viene attivato dalla produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di funzionalità, e si realizza mediante opportuni accorgimenti introdotti in fase di produzione (utilizzo di materiali di scarsa qualità, pianificazione di costi di riparazione superiori rispetto a quelli di acquisto, ecc.), nonché mediante la diffusione e pubblicizzazione di nuovi modelli ai quali sono apportate modifiche irrilevanti sul piano funzionale, ma sostanziali su quello formale. Il fenomeno era stato rilevato già nel 1957 da Vance Packard in The hidden persuaders (1957, trad. it. 1958).
2 Il riferimento è al DPCM 11 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del Decreto-legge 23 Febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale. (20A01605) (GU Serie Generale n.64 del 11-03-2020) recante ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 sull'intero territorio nazionale.
3 Con particolare riguardo allo spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale, nonché alle sanzioni previste dall’art. 4, comma1, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ 8 Marzo 2020, in caso di inottemperanza (art. 650 C.P. salvo che il fatto non costituisca più grave reato). Il Dispositivo dell'art. 650 Codice penale così recita: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità (1) per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene (2), è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato [337, 338, 389, 509] (3), con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a duecentosei euro (4).
4 A Theory of Human Motivation, 1943; Motivazione e personalità, 1954-1970, Verso una psicologia dell'essere, 1971.
5 A questo proposito, vedere l'articolo di Angelo d’Orsi Lo shock (anti)democratico del virus, MicroMega, 14.03.2020.
6 Rif. a Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
7 Rif. a “[ … ] levitante ha una rappresentazione di diversità e/o di inadeguatezza personale che vive come uno stato di fatto, più o meno doloroso, una realtà con cui confrontarsi nella vita; ha la percezione stabile dell’impossibilità a condividere e/o appartenere al mondo relazionale e sociale”, Popolo, R., Dimaggio, G., Marsigli, N. & Procacci, M., Difficoltà nella percezione del senso di appartenenza: un confronto tra fobia sociale e disturbo evitante di personalità, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 13 (3), 2007, 301-322. Vedere anche: Borgna, E. La solitudine dell’anima, Feltrinelli, 2011).

domenica 8 dicembre 2019

Primo scandaglio sul movimento delle "sardine"

Per movimento sociale impegnato nel rinnovamento della “politica” e della “rappresentanza” si può intendere l'insieme dei soggetti – singole persone o associate, gruppi organizzati o spontanei – attraverso cui la “società civile”, a partire dagli ultimi decenni (anni '80) del Novecento, dal momento della crisi irreversibile del sistema dei partiti di massa reduci dell'esperienza politico-istituzionale democratica post-bellica, viene esprimendo frustrazioni, capacità critica, volontà militanti emergenti e un protagonismo comunicativo-sociale (narrazione contrapposta a quella del “potere” costituito) nonché politico competente (allusioni esplicite alla “democrazia diretta”), strutturando la propria azione cosciente, sia a fini di difesa (rivendicazionismo economico-normativo), sia a fini di costruzione identitaria e d'organizzazione politico-culturale.
La storia recente dei movimenti sociali che interpretano diffuse e variegate esigenze di rinnovamento politico è dunque l'evoluzione del continuo processo di ricomposizione politica delle masse, sin dalla radicale espressione di tornare a contare nei riguardi della autoreferenzialità del ceto politico, per giungere – sempre partendo da questa aurorale determinante coscienza -, in alcuni casi efficacemente (le esperienze che datano dal '68 al '77), ad un antagonismo duale, ad una risoluta dialettica con il governo capitalistico dello sviluppo industriale del modo di produzione e della riproduzione delle correlate forme di vita.
Pertanto, due sembrano essere i limiti intrinseci alle insorgenze attuali della società civile nella porzione di mondo occidentale che si riferisce all'Europa.
In Francia una protesta contro il caro carburante, vede la galassia dei gilet gialli continuare dal 17 Novembre 2018 la lotta e guerriglia cittadina, unificando lentamente i soggetti frammentati dello scontento sociale; pur essendosi presentati alle ultime Elezioni europee di fine maggio ottenendo percentuali deludenti, non hanno intenzione di fermarsi neanche dopo i ripensamenti governativi, senza però evolvere positivamente dal “situazionismo” e dalla logica intrinseca alle “rivolte da stakeholders”, privi, come sembrano essere, di una pianificazione politico-organizzativa che agisca da piattaforma necessaria a costruire alleanze e “neutralità” utili ad autentico progetto di irreversibile mutamento sociale, cioè ad una trasformazione prodotta in un dato periodo storico (capitalismo globale) nella struttura della società. A dimostrazione di ciò, infatti, non è per nulla chiara la direzione di tali lotte e guerriglie cittadine oltre il condivisibile discorso trade-unionistico che alimenta.
In questo caso, il lessico è incerto.
Tensioni e processi sociali conflittuali indotti da una cecità strategica – pur avendo caratteristiche tali da poter diventare un'estesa 'rivolta' popolare -, nel lungo periodo, implodono ed autorizzano il potere ad esercitare violente azioni repressive e di controllo conformistico delle nuove leve di “les révolutionnaires, les qualifiant de casseurs et de fauteurs de troubles peu recommandables”, come ebbe a definire i membri di tale movimento francese l'ex Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Per quanto riguarda le manifestazioni delle “sardine” in giro per l’Italia, il movimento nato a Bologna con l’ormai celebre flash mob di 15mila persone in spasmodica replica ed in attesa dell'esito delle Elezioni regionali dell'Emilia Romagna previste a Gennaio 2020, buone quest'ultime per verificarne l'impatto politico-elettorale a sostegno dell'establishment in crisi di fronte alle spallate della destra, il limite principale è di affermare la complessità sociale foriera di alienazione popolare riconducendo però ad un orizzonte intrasistemico il potenziale eversivo delle disuguaglianze sociali.
Il “soggettivismo” delle “sardine” esemplificato dalle pratiche di piazza e dall'ispirazione ecumenica dei promotori autoconfina, purtroppo, il movimento negli angusti ambiti “generazionali” 1 e nella gretta considerazione della «democrazia reale» come luogo esclusivo di retoriche politiche a confronto dal quale potrebbe scaturire un'agognato cambiamento nelle urne.
Ecco, pensare di sconfiggere il liberismo contemporaneo e/o contrastare la pericolosità e le gravi conseguenze, a dir poco apocalittiche, della cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”, in altre parole, della disintegrazione dell’economia reale, anche limitatamante alla metropoli italiana, con il ripristino della corretta ritualità partecipativo-elettorale e con l'enfasi narrativa della “rappresentanza”, dalla quale, con l'immissione di forze fresche (le stesse migliori “sardine” ?), spontaneamente si genererebbe una democrazia sostenibile sorretta dal modo d'espressione della volontà popolare, vuol dire illudersi e non aver capito la lezione di storia che scaturisce dai 74 anni intercorrenti dal risultati del Referendum istituzionale di domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di Stato da dare all'Italia dopo la fine del regime fascista e della seconda guerra mondiale.
In quest'altro caso, il lessico è ambiguo.
Altra è la prospettiva della rottura degli ordinamenti statuali e giuridici, sociali ed economici di una società e la riconfigurazione radicale degli stessi attraverso un nuovo potere, strutturatosi nel corso di manifestazioni che inducono – queste si – uno squilibrio fra strutture fondamentali del consenso e del potere.
Giovanni Dursi
Docente M.I.U.R. di Filosofia e Scienze umane


1 A questo proposito, va ricordato che la Resistenza al Fascismo nacque in Italia vent’anni prima che negli altri paesi democratici dell’Europa occidentale; lo studio della Resistenza italiana, propriamente detta, e cioè dei venti mesi dell’occupazione tedesca, dal settembre 1943 all’aprile 1945, non può quindi prescindere dall’opposizione al Fascismo nei vent’anni precedenti, in cui essa affonda le sue radici e ritrova i suoi storici precedenti. Ciò evidenzia, inequivocabilmente, che non furono solo i giovani ad opporsi con le armi ai nazi-fascisti, bensì che molti partigiani, sopravvissuti ai conflitti a fuoco, giunsero all'età della maturità con le armi in pugno dedicando l'adolescenza alla Resistenza.

martedì 9 luglio 2019

Articolo censurato - «Da dentro il marxismo – Sulla crisi e superamento della "democrazia" e sulla sollecitazione all'organizzazione politica rivoluzionaria per il comunismo»

Esaminato, da parte dello staff redazionale di una rivista on line con la quale ho collaborato e che “si pone come obiettivo primario la promozione, il sostegno, l’organizzazione e la gestione di iniziative, eventi e manifestazioni culturali e sociali nel pieno rispetto dei diritti umani, del diritto a pari opportunità senza distinzioni di razza, sesso, cultura, religione e salvaguardando l’ambiente” e ritiene di “esserci anche quando il pubblico è una minoranza”, l'articolo che pubblico è stato censurato.

Agendo come una sorta d'ibrida “autorità pubblica” (sul versante della censura politica) e come una “autorità ecclesiastica” (sul versante della censura ideologica), lo scritto non ha trovato spazio nel palinsesto, precludendo il prosieguo della collaborazione, poiché ritenuto eversivo. In questa sede, non intendo replicare; mi limito, per ora, a presentare il testo, al quale ho dato un titolo, minimamente modificato in alcuni passaggi per rendere la lettura più chiara ed arricchito da alcune utili citazioni, ovviamente, senza alterarne i significati teorico-politici, lasciando ad altri il "lavoro sporco" dei sofismi propri dei benpensanti che del capitalismo e dei suoi involucri politici sanno parlarne, ma non osano immaginare come poterlo adeguatamente "criticare" e superare. Sarò grato per ogni eventuale parere. G D

Da dentro il marxismo - Sulla crisi e superamento della "democrazia" e sulla sollecitazione all'organizzazione politica rivoluzionaria per il comunismo

Premesso che l'alleanza sovranista è un ossimoro – non si può dare una solidarietà politica internazionale tra competitor statuali pur in una evidente configurazione globale (empiricamente, non si possono negare affinità “operative” tra Putin, Trump, Erdogan, Orban, Xi Jinping e, via degradando, Bolsonaro e Salvini) e, nel contempo, interpretare in modo esaltato i programmi dei diversi interessi nazionali che rappresentano -, non si può, tuttavia, misconoscere che l'onda nera liberista post-novecentesca, caratterizzata dal sistema post-fordista multinazionale di produzione (organizzato nella forma della serializzazione digitale) e da un'economia biopolitica in grado di manipolare tutte le dimensioni d'espressione dei rapporti sociali (rif. M. Hardt, A. Negri, “Impero – Il nuovo ordine mondiale”, BUR, 2003, con particolare riguardo al Capitolo VI, “La sovranità imperiale”, pagine 175-193), procede indisturbata nel suo consolidamento del potere mondiale e nella sistematica depauperizzazione umana delle classi subalterne.
La “democrazia reale”, svigorita e irreversibilmente logorata, cede la guida della storia a figure marginali, ritenute a torto estinte, altrimenti concrete ed efficaci che scandiscono il passo dell'oca intorno al capezzale del cigno democratico (rif. al balletto di M. Fokine su una composizione di C. Saint-Saens, 1901-1905), agli autoritarismi post-fascisti in grado di vincere gli antichi nemici valorizzando la povertà materialistica e post-materialistica e la massa critica dell'ignoranza, ingredienti indispensabili per le forme legali ed elettorali quanto per le forme illiberali politico-militari d'affermazione e di conquista del potere istituzionale e/o governativo. Il mix delle “forme”, non del tutto storicamente originale, è sotto gli occhi dei popoli assuefatti ad esse e quindi docilmente inclini al “consenso” elettorale ed inesorabilmente piegati alla complicità mistificatoria e violenta: unica alternativa, sul terreno democraticista, si configura l'estraneità e/o ostilità verso il sistema dei partiti. Niente di più.
Considerando la “storia”, frutto di un “disegno razionale”, gli uomini, dopo millenni di adattamento alle forme di vita del capitalismo (ancor prima dell'affermarsi del sistema di produzione industriale del XVIII secolo, prodromi sono le attività dei centri finanziari del Medioevo e del Rinascimento europeo, che lo portarono all’emergere come sistema dominante a partire dal XVI secolo) sono diventati, per dirla con le parole di Umberto Galimberti (rif. a “Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica”, Feltrinelli, 1999; “Il nichilismo e i giovani”, Feltrinelli, 2007), funzionari di apparati tecnici o burocratici, i cui valori sono la funzionalità e l'efficienza con cui si devono compiere le azioni descritte e prescritte dall'apparato di appartenenza nella tempistica prevista, in altri termini, dal sistema di produzione e riproduzione della vita.
Un compito immenso, né regionale né continentale, bensì planetario, considerate le vicende storiche alle spalle, irto di difficoltà, di pericoli, di ostacoli e di incognite, eppure portato al successo, quasi senza colpo ferire. Alla “democrazia reale” il sacrifico umano resistenziale ed emancipatorio ha consegnato un'occasione unica, per plasmare la “storia” e servire le popolazioni, che è stata data a poche generazioni di uomini, dopo un itinerario di millenni, eppure ha fallito.
Lo scarno realismo dell'argomentazione porta a concludere che ciascuna generazione ha il suo problema particolare, concludere una guerra, estirpare le discriminazioni, migliorare progressivamente ed irreversibilmente le condizioni di vita, consolidare la dignità umana, esigendo limiti “dell'umane genti le magnifiche sorti e progressive” pretese senza innescare cambiamenti radicali, considerate oggettive, liberarsi dalle forme di vita dominanti similmente gestite come se fossero ipermercati.
Esigere un sistema politico che conservi il senso della comunità tra gli uomini è oggi fuori dalla portata dal discorso democratico pronunciato dopo i due massacri bellici, fisici e culturali, del Novecento, subito smentito in latitudini non europee. Quel discorso non ha più pregnanza, è un anacronistico, inutile lamento profetico per la generazione attuale che non sa più ascoltare. Lo storytelling della democrazia, non incanta più. La retorica democraticista e la narratologia che ne scaturisce appaiono come obsolescenza dell'organizzazione civile ed istituzionale dei popoli.
Chi ha costruito la caducità della democrazia in Occidente – un albero con radici ammalate - venuta a patti con il capitalismo indefessamente selvaggio, praticato nonostante la legislazione sociale, i diritti civili ed il benessere dinamicizzato (e, proprio per la sua natura negoziabile, cristallizzato in sostanziali diseguaglianze) dalle effimere conquiste salariali, rinculando rispetto all'apertura necessaria di prospettive altre che la storia ha fatto germogliare dal 1917 al 1924 senza repliche universalmente significative, si è assunto la responsabilità di cedere il passo, di deflettere, di cancellare memorie.
È necessario essere capaci di uno sguardo in grado di catturare la vulnerabilità dell'animo umano, in balia di sovrastrutture alienanti, piuttosto che stringerci a coorte, pronti alla morte, è inevitabile considerare l'esperienza democratica un fatto politico “minimo”, “procedurale” (rif. a Norberto Bobbio, “Il Futuro della Democrazia”, Einaudi, 2005 p.4, il quale ammette che “l’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole, primarie o fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure”).
Pertanto, si tratta d'assumere (potremmo dire: costruire), abbracciare totalmente il marxismo, potremmo dire da dentro il marxismo, un'autentica prospettiva totalizzante d'adesione sincera ed incondizionata all'obiettivo del comunismo contro un mondo le cui rivoluzioni industriali ed il saggio di profitto hanno fatto intenzionalmente smarrire per sempre la sua essenza umanistica.
Per comprendere la realtà contemporanea ci si deve dotare di un metodo conoscitivo, certo, ma soprattutto di un'articolazione di pensiero risolutivo della crisi di civiltà maturata agli inizi del XXI secolo, di una prassi che sa svincolarsi dai rivoli di sofismi che impediscono ai comportamenti di avere la meglio sulla declamazione di principi morali.

lunedì 25 marzo 2019

L'essere umano è al centro, con un sole spento che gli gira intorno – Pensieri su Cristo ed i cristiani cattolici

In un intervento pubblico tenuto anni fa ed enfatizzato dalla stampa e dal “circo” mediatico, Karol Wojtyla si è pronunciato sul “silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dall’agire dell’umanità”. Il terrificante messaggio, per la comunità cristiana cattolica, di un dio silente, pronto alla tempestosa collera che abbandona l’umanità al proprio delirio babelico è stato sbrigativamente liquidato dai media come sermone generalista (prodotto immateriale “buono” per stigmatizzare la guerra, la distruzione dell’habitat, il presunto deficit etico nella sessualità, la clonazione).
Crediamo, invece, che l’inquietante messaggio interroghi profondamente tutti gli aspetti della cristianità, oltre a quella parte di mondo laico che fonda i propri valori culturali e morali trascendendo una prospettiva esclusivamente autoidentitaria e autoreferenziale. Papa Wojtyla, consapevole, e noi con lui, della decadenza (nel linguaggio dell’economia, degenerazione iperliberista) che caratterizza l’occidente capitalista, la denuncia come il male attuale che l’umanità non è più in grado di sanare, al limite di un epocale harahiri.
L’annuncio dell’Apocalisse spirituale, preludio della catastrofe planetaria è, non a caso, accompagnata dai ripetuti e condivisibili ultimi interventi dei due papa attuali, l’emerito
Bendetto XVI e Francesco I, a favore della pace. Chi non li farebbe, anche solo vedendo le immagini del martirio sociale e catastrofe urbana di al-Raqqa dove sono avvenute decapitazioni e crocefissioni contrastate con i bombardamenti. Ma le ultime dichiarazioni appaiono, constatati il silenzio e l’assenza di dio, fautori di una pace costruita in nome proprio, in una prospettiva orizzontale totalmente immanente.
Viene aperto, in questo non più “nuovo” millennio, uno scenario filosofico di tipo tolemaico, dove l’essere umano è al centro con un sole spento che gli gira intorno. Nuove e, fino a poco tempo fa, impensabili alleanze sono possibili nella rappresentazione di un improbabile neo-illuminismo che ora sembra accomunare Chiesa cattolica e sinistra no-global. Entrambe sembrano dimenticare che lo straccetto arcobalenico che va da Gino Strada a Don Ciotti ha sostituito la stretta di mano a Pinochet di ieri, che l’intervento in favore della pace di oggi è in contraddizione con l’interventismo espresso da Giovanni Paolo II nell’omelia in occasione del Giubileo dei militari e delle forze di polizia, nel Novembre del 2000, che vogliamo ricordare: «La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente promosso, tenendo conto che gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta del Cristo. Talora questo compito, come l’esperienza anche recente ha dimostrato, comporta iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Intendo qui riferirmi alla cosiddetta “ingerenza umanitaria”, che rappresenta, dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli strumenti di difesa non violenti, l’estremo tentativo a cui ricorrere per arrestare la mano dell’ingiusto aggressore».
Senza entrare nel merito della variabile, nella storia della Chiesa, dell’opportunità politica dei diversi “expedit” o “non expedit”, emerge il dato terribile che la morte di dio, già profetizzata da Nietzsche, è stata questa volta annunciata dal “megafono vaticano“, che utilizza a pieno titolo e a piene mani il sistema dell’informazione multimediale per amplificarsi. È evidente a tutti che il pugno, evocato e giustificato da Francesco I da dare all'eventuale villano colpevole di aver offeso sua madre, fa pendant con le variegate forme di esasperazione magico-misterica, di esaltazione delirante, di nociva intossicazione delle relazioni sociali ahimè testimoniata dai modi di intendere il cristianesimo da parte dei credenti contemporanei.
Certo è che l'autentico cristiano non avverte la necessità di definirsi tale e/o baciato dalla grazia divina; egli opera da cristiano, emulando Cristo, anche nell'epoca della virtualizzazione identitaria schizofrenica indotta da un uso né consapevole né critico dei social network che, a volte, vengono anacronisticamente demonizzati e ripudiati rifugiandosi nella solipsistica penitenziale preghiera. Tali pratiche devote o delle liturgie ad hoc, quasi personali, à la carte, in preda al vaneggiamento della propria simbolica perfezione, autorizza tali pseudocristiani a stigmatizzare ed ossessionare, con i propri angusti codici interpretativi, i portatori del pensiero critico, della laicità costitutiva dell'etica pubblica, dell'ateismo, della razionalità filosofica e scientifica.
Questo rito mistico dell'irrazionalità – molto simile ai roghi accesi dall'Inquisizione per estirpare le eresie detentrici di verità – sta annichilendo i cristiani cattolici che si rifugiano nell'intimismo della preghiera e del dialogo egolatrico con dio; inoltre, vedrà la parte egemone politicamente (destra neofascista) del mondo cattolico imporre la propria “supremazia spirituale” con la violenza argomentativa e della sua influenza istituzionale, celebrare a Verona (dal 29 al 31 Marzo 2019) il XIII World Congress of Families , evento organizzatore del movimento globale antiabortista, antifemminista, anti-LGBTQI e delle azioni contro la tutela dei diritti delle persone.

A latere, viene spontaneo chiedere che, a questo proposito, ognuno parli per sé. Cos’hanno da dire sul silenzio di dio le migliaia di giovani riunite, con cadenze prossime, per un giubileo festoso e rumoreggiante ? E tutti coloro, e crediamo siano tanti, che, nell’ascolto dell’altro e nel silenzio di sé, lottano per la pace attraverso la costruzione di un punto di vista che trascenda il proprio ? Forse è Iannacci, in una sua vecchia canzone che può inconsapevolmente indicarci la soluzione del paradosso teologico di un Verbo muto, di un Lògos afasico quando ricorda che “bisogna avere orecchio, bisogna averne un sacco, tanto, anzi parecchio…”.
L’esperienza dell’ascolto – impossibile agli integralisti e rubato ai mistici del XXI secolo, sordamente impegnati in via esclusiva nel penitenziàgite - è possibile a partire dal silenzio, non di un eventuale dio, ma nostro, mettendo a tacere le chiacchiere rumoreggianti, individuali e collettive, tipiche dell’alienante sistema dominante dell’informazione. Si presentano sempre più come “rumore dei media” che diviene omologante informazione del dominio che tutto cerca di coprire, anche i pensieri più personali e le più intime convinzioni, secondo il modello del Panoptico, la struttura di un edificio ideato da J. Bentham nel corso della seconda metà del secolo XVIII per rispondere alle nuove esigenze di organizzazione e controllo sociale dettate dallo sviluppo dei centri urbani e dalle mutate condizioni di lavoro, entrambi epifenomeni della cosiddetta prima rivoluzione industriale.
Viene da chiedersi se tale incessante rumore di fondo – ciò che, parafrasando Foucault, possiamo intendere come una sorta di “visibilità” come “trappola” della modernità – non sia uno strumento di persuasione alla conformità, che, garantendo spazi identitari di “buonismo”, purché controllato, eterodiretto e collettivo, cerca di mettere in realtà al bando ogni divergente esperienza di libertà individuale e collettiva. Non è il silenzio di dio che preoccupa, tappa obbligata fra l’altro di ogni autentica esperienza spirituale, ma la chiassosità di proclami invadenti e unilaterali sulla nostra personale identità. Inoltre, nella ricostruzione di “fronti”, siano anche ispirati da valori encomiabili come quello della pace – che, in definitiva, si gioca sul terreno economico piuttosto che prepolitico, morale -, c’è sempre il rischio di inceppare in meccanismi identitari di gruppo che, nella riconferma di sé, escludono l’altro.
Esclusione non solo del nemico guerrafondaio, ma anche di qualsiasi verticalità che, al di fuori di noi, concorra ad ispirare le nostra azioni. Se dio tace, parliamo noi, se ci abbandona alla guerra, qualcuno ha sempre un Papa che lavora per tutti. Il rischio vero è che la secolarizzazione della Chiesa cattolica vada di pari passo con la delirante riconferma di sé di chi si pensa nel giusto. Se l’abbandono dell’umanità al suo destino da parte di dio appare motivato dagli avvenimenti degli ultimi anni (non è mai troppo tardi ...), sorge ancora più stridente l’autoesaltazione dei vari e mutevoli “fronti” per la vita. Come se la guerra fosse sempre e comunque voluta da altri e non riguardasse profondamente ciascuno di noi nella sua più intima essenza, nell’aderire o meno ad una concezione del proprio essere al mondo basata sul profitto. Altro che dimensione eterea, altro che il sentire dell'anima ! Consapevolezza, questa dell'adesione alla materialità dell'esistenza, che solo lo sguardo autocosciente, coltivato nel personale spazio interiore che si sforza di cogliere l'obiettività, può far scaturire: forse, in quello spazio, religioso o laico che sia, “dio”, per chi crede in dio, o l’arma della razionalità critica possono parlare ancora. Di fronte al bivio storico Trump – Kim Jong-un, bisogna immaginare quale strada alternativa scegliere.
Giovanni Dursi

sabato 10 febbraio 2018

"Democrazia macerata" - Ripagare con la stessa moneta

L'esaltazione della razza – idea priva di validità scientifica nell'ambito antropologico -, delle caratteristiche di un popolo, della sua potenza travisa il significato del concetto di “nazione” quale comunità stabile, formatasi storicamente, di lingua, di territorio e di conformazione psichica che si manifesta nella comune cultura. Nel fanatismo omicida razzista la “nazione” cessa d'essere un mezzo per ricomporre l'unità dell'umanità ad un livello storicamente adeguato (Mazzini) e diventa un fine in se stesso (Fichte). Da queste premesse derivano le teorie, dottrina ed azione politica che, sviluppate nell'Ottocento (Chamberlain, Gobineau) ed “aggiornate” nel 1925 dal Mein Kampf, fonte ininterrotta di contaminazione dell’umanità ben oltre il 1945, offrono ancor oggi una piattaforma ideologica a tutti i programmi politici delle “destre” coalizzate, che siano già al governo di alcuni paesi europei o che ambiscano ad esso, basati sull'aspirazione a disporre di uno spazio vitale per soddisfare le esigenze di “un popolo” a discapito degli altri. Come è facile constatare con l'episodio di Macerata, quella piattaforma ideologica vede attivi mandanti ed esecutori ed il razzismo nostrano, non essendo affatto regredito, riproporsi inalterato.
In analogia con la mentalità anacronistica e preindustriale del luddismo inglese (caratterizzato dal sabotaggio in fabbrica e distruzione delle macchine), un soldato americano, in un gesto che non era comprensibilmente solo simbolico, gettò nelle fiamme le matrici di piombo 
del pamphlet di Adolf Hitler. Evidentemente, sul lungo periodo, senza alcun risultato culturale e politico vista la sopravvivenza della “mala pianta”, del fascino nefasto che può avere la propaganda fascista impostata sull'odio razziale quando si intendono dirottare sentimenti di protesta e frustrazione degli sfruttati su falsi nemici, quale che sia il rapporto reale fra “potere” e “condizione” delle masse. Pertanto, va posta una domanda aspra, verificato che la pedagogia del “mai più” suggerito dalla memoria storica non insegna a tutti, volendo evitare l'inefficacia d'una posizione, per così dire neoluddista (confondere, sbagliando, gli obiettivi da raggiungere) di lotta politica e culturale al fascismo razzista: può essere considerata in gioco un'ulteriore variabile, con l'intento di liberare definitivamente l'umanità dalla piattaforma ideologica che la tiene ciclicamente sottoscacco, definendo una moratoria etica e giuridica - circoscritta alla fattispecie e temporalmente limitata - per ripagare fascisti e razzisti con la stessa moneta ?