giovedì 26 agosto 2010

Governo, impresa, conflitto capitale-lavoro e "autonomia politica"

Il combinato disposto Impresa/Governo, messo in pratica dall'ad FIAT Marchionne e dal ministro del Tesoro Tremonti, sta producendo i suoi devastanti effetti nel permanente conflitto capitale-lavoro. Federmeccanica, si prepara a derogare dal Contratto Nazionale dei metalmeccanici, inserendo norme ad hoc per il settore automobilistico sulla scia dell'accordo separato di Pomigliano. Martedì 7 settembre il Comitato direttivo di Federmeccanica formalizzerà le sue intenzioni, rinviando il tavolo con i Sindacati di categoria. L'obiettivo è quello di definire una normativa specifica per il settore auto con deroghe al C. N. dei metalmeccanici. La presidente di ConfIndustria, Marcegaglia, forte dello scontato aiuto da parte del “Governo amico” che procede nell'introdurre anomalie normative nell'ambito delle leggi che regolamentano le “relazioni industriali”, spiega come “è possibile fare deroghe al Contratto Nazionale, introducendo un contratto ad hoc per l'auto”. Immediatamente d'accordo si dichiara la Fim-Cisl con il Segretario Giuseppe Farina che spinge per “una specializzazione settoriale” ammettendo la generalizzazione in atto dell'accordo tipo generato per Pomigliano in tutti gli stabilimenti FIAT, a partire dalla triplicazione delle ore di straordinario comandato: da 40 a 120 all'anno. Tremonti, nel frattempo, si mostra in perfetta sintonia con il padronato, sordo al richiamo del Presidente Napolitano e mentre volta la faccia dall'altra parte quando i tre operai di Melfi, legittimamente reintegrati al lavoro da un'ordinanza cautelare del Giudice competente, illegalmente la FIAT non riammette alla catena di montaggio. Il Ministro sostiene la proposta di collegare gli stipendi agli utili delle imprese anche non rispettando i “diritti acquisiti” perché “una certa qualità di diritti e regole non possiamo più permetterceli”, oltre a riproporre la scelta nucleare a causa dell'impatto negativo sul PIL dell'import d'energia. Dal canto suo, Marchionne dichiara apertamente che in Italia le fabbriche sono meno produttive che in alti paesi, ammettendo implicitamente che i minor margini di profitto nel Paese sono determinati dallo sfruttamento intensivo della manodopera che la FIAT realizza in altre nazioni laddove nelle sue fabbriche sono inesistenti tutele sindacali e redditi socialmente sostenibili, evocando delocalizzazioni ulteriori nello scenario – addirittura – d'una auspicata abrogazione del conflitto capitale-lavoro nell'attuale epoca. Considerato che anche il P.D. (Damiano) considera “possibile l'individuazione di specifiche normative per i diversi settori industriali, per quanto riguarda il regime dei turni, la prestazione straordinaria e l'organizzazione del lavoro”, la classe operaio, il mondo del lavoro dipendente e del non-lavoro non hanno altra strada che l'autonomia politico-organizzativa che possa effettivamente contrastare questo gioco al massacro nell'indifferenza sostanziale anche di chi si dichiara dalla parte dei lavoratori, attardandosi però a leccare il culo al maggior partito d'opposizione parlamentare. Il conflitto reale nella società di adesso è tra chi è capace e consapevole di governare queste lotte e chi invece subisce i ricatti della subalternità. C'è chi continua a “dialogare” con il P. D. attardandosi in diatribe e polemiche perfino personali, quindi fuorvianti; c'è chi, apprendista stregone che si esercita con il pallottoliere, verifica ipotesi alchemiche mescolando risicate percentuali elettorali e residuali spezzoni di partito, peraltro appesantiti da sindrome del leader. Incapaci di percepire “altro”, procedono immemori di quanto già “No logo” di Naomi Klein ci ha fatto meglio comprendere … Da Seattle all'esperienza di Bologna Città Libera e del neocivismo, dall'egemonica estensione planetaria del liberismo selvaggio negli anni '80 alla “marea nera” obamiana, la “politica” espressa dal sistema dei partiti nelle sue forme novecentesche endogene alle compatibilità capitalistiche, ha fallito nei tentativi d'emancipazione e rivendicazione economico-normativa (“sinistra”) ed ha aggiornato la ferocia del dominio (“destra”) nel perseguire quote di profitto ad ogni costo (umano, ambientale, culturale). Mentre il ceto politico dirigente nazionale P. D. ed i suoi cloni locali trattano, dopo tanta umiliante anticamera, con le forze governative (da ultimo, D'Alema che “chiede” a Letta) e pensano di affidarsi al turpiloquio televisivo per “riconquistare” attenzione popolare, si assiste alla deroga – nel permanente stato di incoerenza, l'efettivo “brand democratico”, nel quale si dibattono il P. D. e gli “estimatori” esterni al partito - da ogni elementare prassi d'opposizione parlamentare, continuando a frenare, boicottare, imbrigliare le lotte sociali per il salario, occupazione e diritti. C'è chi pensa, dentro e fuori l'area “democratica” ormai parte integrante della “Gomorra istituzionale”, che è sufficiente “farsi vedere” o dichiarare “solidarietà” con i soggetti che si oppongono all'incedere della crisi per “aver cambiato pelle”. Insomma, l'indole moderata d'ogni prassi partitica funziona solo dove le sirene d'Ulisse hanno la meglio sugli sprovveduti di turno che, semplicemente, danno credito agli “infiltrati” P. D. nei movimenti. Sono maturi i tempi – per gli intellettualmente onesti – dell'abbandono al suo destino della “politica” per intraprendere/riprendere il percorso della trasformazione sociale, assumendone le responsabilità che derivano dalla conoscenza della contraddittoria realtà sociale e che hanno come meta una processualità antisistema. Tali responsabilità impegnano tutte e tutti nello strutturare l'antagonismo – in tutte le sue manifestazioni – permettendo all'individuo ed alle comunità territorialmente dislocate d'accumulare conoscenze sulla loro realtà per trasformarla in funzione dei propri bisogni. Interpretare correttamente il proprio mondo sociale – liberandosi d'ogni appartenenza politica e/o sindacale -, immagazzinare informazioni condividendole e tradurle in azioni di resistenza ed assalto: questo lo scenario dell'autorganizzazione dei propri comportamenti ed il possibile adattamento al nuovo vissuto autodeterminato dei propri schemi mentali. L'assunto ad impossibilia nemo tenetur (“alle cose impossibili, nessuno è tenuto”), va ribaltato semanticamente: alle cose possibili, siamo tutti chiamati.
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