venerdì 22 aprile 2011
venerdì 15 aprile 2011
venerdì 1 aprile 2011
Roma, il 2 e 3 aprile 2011 - Terza Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti - Centro congressi Cavour - Via Cavour, 50/A
Ben scavato vecchia talpa! Dalla crisi di civiltà del capitalismo una nuova opportunità per i comunisti - 3° Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti
ROMA 2-3 Aprile 2011
http://www.contropiano.org/it/archivio-news/editoriale/item/500-la-3°-assemblea-nazionale-della-rete-dei-comunisti
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/ManifestoPolitico3AssRete.pdf
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/3AssembleaNazReteComunisti.pdf
Corpi

Il dato primordiale – al quale necessariamente risalire e sul quale doverosamente riflettere – è il corpo messo a repentaglio, non certo un'ambivalente “rivolta precaria cognitiva” che unificherebbe, con la presunta consapevolezza d'una forte “rappresentazione teorica”, gli ambiti sociali e, di risulta, politici euromediterranei. Come sostenuto da alcuni filosofi (R. Bodei) “... Il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto con il mondo … l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo. Seguendo questa concezione, corpo ed anima non sono separati. Pure ammettendo che tale separazione ci sia, il corpo può fungere da veicolo per la crescita e per la grandezza dell’anima ...”. Già F. Nietzsche in ”Ecce homo” affermava “Che si sia imparato a disprezzare gli istinti primari della vita; che si sia finta l'esistenza di un'anima, di uno spirito, per fare andare in rovina il corpo; che si sia imparato a considerare come qualcosa di impuro ciò che è il presupposto della vita, la sessualità”.
Certo è significativo che i sommovimenti gravidi di cambiamenti “reali” accadano dopo l'appropriazione di tecniche e forme universali nella comunicazione sociale in grado di mobilitare le coscienze da parte di popoli oppressi. Ciò che contraddistingue la fenomenologia delle rivolte arabe e ne configura andamenti ed esiti prossimi, non è però la “modalità” aggregativa e potenzialmente rivoluzionaria del presunto valore aggiunto della “conoscenza” incorporato nell'uso proprio – critico, sociale, mobilitativo – delle risorse della “rete”. Viceversa, è la “datità” del corpo messo a repentaglio, è l'esistenza in vita messa in gioco a dare prospettiva, significato, drammatica autenticità ai comportamenti adottati. Forme di lotta radicali, tanto irriducibili ad ogni ipotetico disegno teorico-politico quanto necessarie, per andare oltre gli angusti liberticidi limiti di civiltà: la morte fisica, unica seria posta in gioco. Il presente impone di dotarsi di adeguati strumenti concettuali per affrontare i nuovi ambiti di ristrutturazione sociale che caratterizzano i conflitti emergenti, la storia di chi esce rabbioso da putride stive, i “vissuti” individuali e collettivi dentro la crisi organizzativa del capitale globale. È il sentire corporeo l'elemento comune alla molteplicità dei fenomeni relazionali ed affettivi (passioni, sentimenti, emozioni, stati d’animo) della travagliata contemporaneità. Il corpo è l'elemento mutogeno, ma comune, imprescindibile che non deve “lasciar valere alcuna datità” ulteriore che non permetta di conoscere in modo rigoroso l’esperienza umana, le pratiche agite, i significati attribuiti all’esperienza, le teorie costruite sui vissuti. Significa prestare attenzione ad ogni oggetto non nelle sue qualità ideali, ma nei suoi tratti individuali specifici e questi oggetti non sono altro che i corpi.
Negli ultimi anni l'ICT ha artificializzato non poco le relazioni sociali, se non per tutti, almeno per tanti; aver dato uno sguardo al mondo attraverso la “rete” ed essere usciti da un’ottica ristretta tribale o di comunità locale non corrisponde obbligatoriamente ad una liberazione a portata di mano o ad una auspicata, quanto inconsistente, democratizzazione dei rapporti sociali. Non a caso i “nativi digitali” ed i competenti teorici della cognizione reticolare sembrano trascurare la persistenza dell'esclusione dal “mondo di InterNet” di miliardi di persone dalla fruizione libera e consapevole di informazioni. Il movimento anti digital divide deve essere ancora inventato, non è una priorità da parte di chi cerca intelligentemente di contrastare la dittatura politico-cognitiva dei regimi oligarchici (in occidente quanto altrove insediati) che si traduce, sul versante storico, in brutali repressioni attuate dall’esercito, dall’aviazione e, se del caso, dai mercenari, che hanno già causato migliaia di morti, mutilati, feriti nelle piazze e nelle strade, da decenni, non solo di Bengasi e di Tripoli. Per questi motivi, non si tratta solo di condannare il massacro in corso, assumendo urgentemente tutte le iniziative necessarie a salvaguardare la vita e la sicurezza della popolazione in rivolta e in fuga dai massacri; la pace e la stabilità in tutto il Mediterraneo, si potranno raggiungere solo con l’instaurazione delle democrazia popolari, con il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali che sono alla base di ogni sviluppo sociale e condizione per risolvere anche il problema delle migrazioni senza accoglienza. Essere oggi a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e dei disoccupati che in questi giorni stanno riempiendo le piazze per chiedere democrazia, libertà, dignità e lavoro ovunque nel mondo martoriato dal capitalismo globale che mercifica l'esistenza alla stessa stregua del petrolio, vuol dire assumere la visione integrale del corpo quale unico, ultimo strumento di liberazione effettiva. Corpi nudi, dunque, poiché insofferenti ormai alla morte civile, mentre rischiano la mera persistenza biologica. Gli insorti di Bengasi qualcuno pensa siano strumentalizzati e certamente i servizi segreti occidentali sono nel teatro di guerra; troppe armi per una rivolta la cui forza autentica è nella generalizzazione dell'intifāda come estremo, irrimediabile sacrificio umano per le comunità a venire. Fermare i carri armati, qui vuol dire esserne calpestati. L'estraneità timorosa che provano gli osservatori europei nell'assistere a questi eventi, la loro lontananza determinata dalla non comprensione delle dinamiche interne ai paesi arabi islamici chiusi per le masse ad ogni possibile contatto con altre culture foriere di forme avanzate di partecipazione, sono le spie rivelatrici di uno status che deriva dall'appartenere al cosiddetto mondo “opulento” e “liquido”; questo status non permette più di superare l'omologato istinto di conservazione individuale e collettiva in modo tale da compromettere il senso proprio dell'esistere quali soggetti subalterni. Le rivolte dei corpi morituri per rigenerare “vita” nella metropoli capitalistiche del terzo millennio non si verificano e per quanto pronti le nuove generazioni al gioco della testimonianza critica, della protesta, delle prassi di lotta rivendicativa, della contrarietà alle politiche governative, per quanto alfieri d'una inedita partecipazione da protagonisti ai circuiti globali dell'informazione, non insorgono mostrando impulsi etici, pre-politici assimilabili ai partigiani della metà degli anni '40 del Novecento che guerreggiarono contro il nazi-fascismo. I partigiani hanno avuto lo stesso scatto interiore, la stessa saldezza, la stessa triste gioia di vivere rischiando la morte degli odierni impavidi rivoltosi arabi. Ai morti di allora e di oggi che si deve il ritorno nella storia della speranza. Il debito contratto con quei corpi sepolti è inestimabile. C'è qualcosa che accomuna la Resistenza armata europea scaturita dal secondo conflitto mondiale alla rivolta dei popoli arabi, al di là di ovvie diversità di contesto e di epoca, e non è un'analoga composizione sociale ancora da decodificare né, tantomeno, una comoda immaginazione sociale (produttiva di convegni, conferenze, rassegne telematiche, gruppi di discussione su InterNet, articoli, flash mob) contro la sofferenza che di per sé possono rappresentare la via di uscita dalle plurime forme del dominio capitalista sulla vita di miliardi di uomini. La prossimità sociale delle due coste del mar Mediterraneo non serve più di tanto a far circuitare la ribellione e la rivolta; servono corpi che si scagliano contro, serve immolarsi. Questa realtà atroce e ultima, pur avendo diverse originarie antropologie e datazioni, è sostanzialmente ancora tutta attuale per il tipo di problematica affrontata: quella della liberazione umana.
Saper rinunciare alla vita non è la stessa cosa della semplice denuncia dei tentativi di un suo smantellamento economico-sociale, svuotamento spirituale o alienazione perenne. È il vero “processo di costituzione” della socialità. Per chi sopravvive. Grazie a chi non c'è più, a corpi ormai immoti, sublimi e coraggiosi.
giovedì 31 marzo 2011
Il linguaggio della guerra
Diventa sempre più difficile oggi parlare di altro che non sia il tema della guerra. Diventa quasi impossibile, ad esempio, parlare di problemi contrattuali e vertenziali, quasi che si possa apparire come degli egoisti che non pensano ad altro che al proprio "meschino particulare". Eppure è proprio vero il contrario, ed è ciò che si deve invece fare, seppure con una necessaria coscienza più allargata, ovvero "di classe" e globale.Il vocabolario della guerra, il suo linguaggio è fatto apposta proprio per coprire la voce e le parole dei lavoratori, perchè sono essi i bersagli di ogni guerra dei padroni. La solita guerra (di classe) che i padroni, incessantemente, rivolgono ai lavoratori cambia talvolta di forma, mai di sostanza.
La politica è guerra senza spargimento di sangue; la guerra è politica con spargimento di sangue. Siamo portati a credere che non esista alcun nesso tra questioni ritenute "sindacali" (come leggi di precarietà, abbassamento di diritti e di salari, licenziamenti e chiusure di fabbriche, etc...) e guerre combattute con ordigni bellici. E' questo, in soldoni, il pensiero dominante in ogni paese. Chi indica in Roma ladrona l'origine delle sue sofferenze, chi negli immigrati, chi negli impiegati pubblici, e chi ancora negli operai improduttivi, mente sapendo di mentire. Costoro sanno che l'origine della povertà, in un mondo ricco di ogni bene di consumo, non è altri che il Capitale e la sua legge del Profitto. E' sempre il Capitale che ordina e riordina, a suo esclusivo vantaggio, le leggi che regolano i diritti (borghesi), i contratti e le stesse gerarchie tra i vari paesi, anche tra quelli imperialisti. Laddove non è sufficiente la mediazione "politica", il Capitale non esita ad adoperare i mezzi bellici, e lo fa indipendentemente dal fatto che il Presidente Supremo (a stelle e strisce) sia un reazionario petroliere texano o un raffinato fighetto democratico di colore. E' sempre il Profitto a dettare le regole, le parole e le azioni. Non comprendere ciò equivale a non vedere la foresta dietro l'albero. La crisi di un modello. Siamo anche portati a credere che non possa esistere altro modello sociale che non sia quello "occidentale e democratico", e che tutto ciò che non vi si conformi sia destinato, prima o poi, a doverlo fare. Siamo portati a credere che ciò avvenga "naturalmente", magari perché ritenuto "vantaggioso" per chiunque, compresi i "buoni selvaggi" che ancora ignorano tanta bontà. Siamo convinti che quel modello sia l'incarnazione della Civiltà e del Progresso quando non anche la Fine della Storia. Invece, in buona parte del pianeta terra, questo modello viene rifiutato esplicitamente o, magari, applicato appena un po' diversamente, ovvero con "correttivi" e varie "interpretazioni" locali. Peccato che oggi, in piena crisi di quel modello di accumulazione capitalistica, anche ogni più piccola "variazione" rappresenti una seria minaccia ad un ordine imperialista che, proprio in virtù di questa crisi, non può che reggersi su una mera supremazia militare (con buona pace della "diplomazia" politica...) e sulla rapina di ogni fonte energetica. Ergo, il warfare state (lo stato di guerra permanente) è il paradigma di ogni ambito civile e sociale del nuovo millennio. Anche nel più misero e ridotto contratto di lavoro.Il battito d'ali di una farfalla in Giappone può produrre una tempesta in Occidente. In Giappone si è avuto il più disastroso evento naturale che la mente umana ricordi (seppure non manchino ipotesi più inquietanti e, per questo, definite "complottiste"...). Un terremoto devastante ed uno tsunami di proporzioni gigantesche ha spazzato buona parte del paese causando molte migliaia di vittime (ancora imprecisate) e danni sicuramente superiori a quelli della Seconda Guerra Mondiale. Eppure il popolo giapponese, uso ad una consolidata tradizione di operosità ed efficienza, è già in grado di rimediare - a tempi da record - a gran parte di questi danni, dimostrandoci che i danni della natura, per quanto tragici, sono comunque arginabili. Dove, purtroppo, non si potrà porre rimedio (non in maniera efficace, almeno...) sarà ai danni causati dalla mano dell'uomo, ovvero al suo delirio nucleare. Sarà questo, infatti, il punto dolente che rimarrà per secoli a venire, avvelenando acque e terre giapponesi, ma non solo giapponesi... I destini di ogni popolo sulla faccia della Terra non sono mai stati così intrecciati come nell'era della moderna "globalizzazione". Non perchè, come su detto, ciò sia avvenuto per un naturale e pacifico sviluppo delle relazioni umane, quanto piuttosto per la violenza delle leggi di un Capitale alla ricerca incessante di nuovi mercati e nuove aree di sfruttamento. Uno sfruttamento che, come si sa, non si limita all'estrazione di plus valore dal lavoro umano, bensì si estende allo sfruttamento selvaggio della natura e si fa beffe di ogni limite ecologico. Ebbene, il nucleare è l'apoteosi del sogno di dominio del Capitale. Una centrale nucleare racchiude in sè il massimo di concentrazione e di intensità di investimento finanziario e tecnologico; il massimo di controllo politico e militare di un apparato, a tutti gli effetti paragonabile ad un'arma di distruzione di massa, gestito da una ristrettissima tecnocrazia a livello mondiale. Una centrale nucleare è il controllo totale di un intero paese e condiziona i destini - ecologici ed economici- di tanti altri paesi, non necessariamente confinanti o vicini. Mutatis mutandis, sono essi i veri e propri "padroni del vapore" del terzo millennio. E sono e saranno sempre più loro a voler dettare le regole, anche se dovessero - temporaneamente, si badi! - mettere nel cassetto ogni ipotesi di nuovi impianti nucleari. Il petrolio. Ricchezza per i paesi imperialisti, disgrazia per chi lo possiede. Seppure sarà l'acqua il liquido sempre più prezioso e futuro bene che scatenerà guerre di conquista, non si esaurisce certo oggi la lotta per il possesso del liquido infiammabile oggi più importante per i cosiddetti "paesi civili", il petrolio. Chi lo possiede, e magari lo gestisce anche a vantaggio del popolo del suo paese, è agli occhi dei paesi occidentali, ovvero delle loro multinazionali petrolifere, un pericoloso dittatore che va eliminato. Lo si fa e lo si farà col pretesto di "aiuti umanitari" e con l'esportazione di tanta "democrazia", ma il conto di tanto aiuto lo si farà pagare con barili di oro nero. Oggi alla Libia, domani probabilmente a Iran e Venezuela. Anche in quei paesi "canaglia", si sa, governano despoti e dittatori...Anche qui, ci scommettiamo fin da adesso, assisteremo al sostegno unanime e trasversale di TUTTI i partiti parlamentari (ma anche ex-parlamentari, come ha già dimostrato Vendola con la sua SEL...) per "armarsi e partire". La "politica" estera, soprattutto quando la dettano gli USa, non ammette defezioni. La "politica" interna, invece, si può benissimo fare anche solo con mignotte, nani e ballerine...Chi ci guadagna? Già la domanda è schifosa nella sua brutale formulazione, tanto è distante da una sia pur minima etica. A nostro avviso, infatti, è già orribile ipotizzare una guerra "per guadagno" ma noi, come sempre, non facciamo testo poichè "utopisti". E allora la facciamo: chi ci guadagna da questa (o anche dalle altre) guerra? Chi di voi, tra chi ci legge, pensa sinceramente di poter trarre qualche profitto da tutto ciò? Noi siamo sicuri solo di pochissime cose, una tra tutte è la convinzione che la guerra fa bene ai padroni, ma la pagano i lavoratori. In denaro ed in sangue. Facciamo sentire la voce di noi lavoratori, nell'esigere contratti dignitosi per salario, diritti e dignità. Per una società dove sia il lavoro ed il benessere di tutti il bene più prezioso. NO alla guerra dei padroni! Ripetiamolo in ogni occasione, in ogni manifestazione, in ogni sciopero a venire! ...e guardiamoci da politicanti e pacifinti. Il loro interesse coincide con la nostra disgrazia. By Proletaria Vox
A seguire, sul blog http://blog.libero.it/VoceProletaria
Appuntamenti all'insegna della solidarietà.
Con i lavoratori della Verlicchi. Di VAG 61 - Bologna.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10059022.html
Solidarietà di Ascanio Celestino e Un Ponte Per... Di Un ponte Per...
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056339.htmll
Sindacato e sindacalismo.
Marciare uniti o marcire sul posto? Di Lavoratori Autoconvocati.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056151.html
Piaggio: ora viene il bello! Di Comunisti Uniti - Pisa.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056249.html
Università.
Decleva in minoranza nel suo Senato. Dal Senato Accademico - Università Statale di Milano.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056267.html
La guerra. Di ieri e di oggi, mai passata da ogni presente.
No alla guerra nel mediterraneo. Di "La FLC che Vogliamo".
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056168.html
Iscritti CGIL contro la guerra. Di iscritti CGIL.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10059011.htmll
12^ anniversario dei bombardamenti sulla Yugoslavia. Di Alessandro Di Meo.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041980.html
La guerra in Libia e la fabbrica del falso. Di Marisa...
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041955.html
La Libia, la sinistra e la guerra imperialista. Di Domenico Moro.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042008.html
La sconfitta dell'Italia in Libia. Di Pietro Ancona.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056301.htm
Le tragedie per mano umana.
Giappone e Libia: due disastri umanitari. Di Kiyul Chung.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042022.html
La satira.
Il giustiziere della notte. Di Alessandra Daniele.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056348.htm
sabato 26 marzo 2011
Resist26! JOIN US ON MARCH 26TH IN LONDON!
Resist26! JOIN US ON MARCH 26TH IN LONDON! from Resist26 on Vimeo.
sabato 19 marzo 2011
Uomini precari




Le onde S, onde “secondarie”, muovono la roccia perpendicolarmente alla loro direzione di propagazione; sono “onde di taglio”. Le onde “superficiali” sono generate dal combinarsi delle onde P e delle onde S; sono quelle che provocano i maggiori danni. Nei terremoti, le onde di Rayleigh muovono le particelle secondo orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione, come avviene per le onde in acqua. Led onde di Love, muovono invece le particelle trasversalmente alla direzione di propagazione, ma solo sul piano orizzontale. Onde terrificanti che rendono precaria la vita. Tutto ciò è noto da tempo. In queste ore, Germania e Svizzera bloccano i programmi atomici; gli USA, presi in controtendenza rispetto alle intenzioni di un potenziamento del piano energetico da uranio per emancipare il paese dalla dipendenza da petrolio, pensano ad una revisione del piano originario. Durevoli o meno questi ripensamenti politici non saranno forieri di un'economia che metta al centro le tematiche della diseguale distribuzione planetaria del reddito e dello “sviluppo umano” in grado di rompere radicalmente con la concezione tradizionale dello sviluppo come “crescita economica”, proponendo un paradigma di sviluppo che riguarda non tanto la crescita della ricchezza di una nazione, bensì l'ambiente nel quale le persone possono esprimere in pieno il loro potenziale. Il concetto di ”sviluppo umano” è stato ideato dall'economista pakistano Mahbub ul Haq insieme a Sir Richard Jolly. Compare per la prima volta nel 1990 all'interno del primo Rapporto sullo Sviluppo Umano dell'Undp, il quale afferma da subito: "questo rapporto si occupa della gente e del modo in cui lo sviluppo ne amplia le scelte. Si occupa di questioni che vanno al di là di concetti quali crescita del PNL, reddito e ricchezza, produzione di beni e accumulazione di capitale. La facoltà di una persona di avere accesso a un reddito rappresenta una di queste possibilità di scelta, ma non la somma totale delle aspirazioni umane" (Human Development Report, 1990). Un processo che si fonda su quattro pilastri specifici: eguaglianza (lo sviluppo umano consiste in un ampliamento delle opportunità a beneficio di ogni essere umano); sostenibilità (il processo di sviluppo deve essere capace di garantire la riproduzione del capitale fisico, umano e ambientale utilizzato); partecipazione (i processi economici, sociali e culturali attivati per promuovere lo sviluppo devono osservare la partecipazione dei beneficiari stessi); produttività (all'interno del processo economico di sviluppo ognuno deve avere la possibilità di partecipare alla di produzione dei redditi e di incrementare la propria produttività). Poiché il concetto consiste nell'ampliamento delle scelte, il fondamento stesso del processo è la libertà. Se non vi è libertà, infatti, non è possibile disporre di scelte. Per questo Amartya Sen afferma: "lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali di cui la gente può godere". L'Indice di Sviluppo umano (HDI, Human Development Index) non è la panacea, ma un discreto inizio, un efficace contrasto alla precarietà, mentre si continua a blaterare di localizzazione dei siti per impianti nucleari di “ultima generazione” e di come trattare le scorie radioattive, poiché le priorità apprezzate dai sacerdoti del PIL continuano ad essere legate al momento particolarmente difficile per il mercato delle fonti d'energia, non per l'umanità, evidentemente. Le reali preoccupazioni dei governanti sono solo l'incremento dei prezzi del petrolio e l'allungamento di ombre oscure sulla sicurezza e sulla continuità di indispensabili prossimi approvvigionamenti, vedendo nei processi di destabilizzazione politica in atto dal Nord Africa al Golfo persico un micidiale bivio fra costi del barile in crescita e gravi pericoli connessi all'alternativa nucleare. A meno che non si apra una prospettiva di conveniente business delle energie rinnovabili. Accogliendo l'invito di Jeremy Rifkin, si potrebbe creare una rete diffusa di piccoli impianti la cui resa sarebbe superiore e i cui costi sarebbero inferiori ad una gran quantità di centrali nucleari. L'incombente pensiero economico incentrato sul PIL, ritarderà le decisioni dei Governi occidentali nel compiere scelte di rinuncia al controllo centralizzato della produzione di energia; banco di prova d'una ipotetica “nuova sensibilità” potrebbe essere il Consiglio europeo del 24 e 25 Marzo prossimi, nel quale Capi di Stato e di Governo dovrebbero formalizzare un'intesa sulla riforma della governance economica, sulla revisione del patto UE di stabilità e crescita e sulla stretta sui debiti pubblici con l'adozione di sanzioni. È prevedibile assistere ad una passerella di smemorati, all'indecoroso spettacolo di tagli a tutela dei margini di profitto, all'indiscussa liturgia del PIL e della precarietà delle genti. Forse si discuterà di guerra ONU - NATO, di quei "giorni difficili" evocati dal Presidente Napolitano Una politica che mai prende decisioni a favore dei popoli è una politica da rottamare. Per evitare la precarietà eterna.
giovedì 17 marzo 2011
A scuola di rivolta - Franco "Bifo" Berardi all'Accademia di Brera, Milano
A scuola di rivolta - Franco Berardi Bifo | Through Europe from Through Europe on Vimeo.
A scuola di rivolta - Franco "Bifo" Berardi all'Accademia di Brera . . .
"Vorrei parlare di una cosa che tutti sappiamo ma che nessuno sembra avere la spudoratezza di dire: e cioè che il tempo dell'indignazione è passato e chi si indigna già comincia ad annoiarci, comincia a parerci ogni giorno di più l’ultimo difensore di un sistema marcio, di un sistema privo di dignità, privo di sostenibilità, privo di credibilità. Noi non ci dobbiamo più indignare, noi dobbiamo insorgere - I would like to talk about something that everybody knows, but that, so it seems, no one has the boldness to say. That is, that the time for indignation is over. Those who get indignant are already starting to bore us. Increasingly, they seem to us like the last guardians of a rotten system, a system without dignity, sustainability or credibility. We don't have to get indignant anymore, we have to revolt" by Franco "Bifo" Berardi
Giovanni Dursi: "Sinceramente, dubito che l'insurrezione vada "spiegata" ... Non bisogna essere considerati "prezzolati", per affermare che esiste un'analogia di struttura tra l'accumulazione indefinita di ricchezza (materiale ed immateriale), socialmente prodotta, in poche mani e il monadismo intellettuale, per quanto suggestivo, visionario e sollecitatore di trasformazione sociale esso sia ...A proposito di Franco Fortini, è stato detto: "Non stupisce al riguardo la sua opinione sulle neoavanguardie letterarie italiane, che tacciò di estremismo neosurrealista per via del loro uso strumentale (questo sì, cinico) e parodistico del linguaggio, non riconoscendo in loro quella funzione demiurgica che intendevano avere sulla società, e rintracciandovi piuttosto una manifestazione dell’irrazionalismo borghese" ... Non so se la questione meriti attenzione; altresì penso, convintamente, a quanto Fortini ci ha donato a proposito del bistrattato "comunismo": “Il combattimento per il comunismo è il comunismo. È la possibilità (scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani viva in una contraddizione diversa da quella odierna.” Questo io "so". Tutto il resto è noia. http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/antagonismo-di-classe
Ho 53 anni e da 53 anni non strumentalizzo nessuno. In tutte le cose, ci metto la faccia. ne prendo, tante; a volte, mi riesce di darle. Il mio intervento + contenuti link - a leggerlo bene - entra nel merito. Poichè NON parlo di "nomadismo", bensì di "monadismo intellettuale" (improprio riferimento a G. W. Leibniz, lo ammetto), le riflessioni "contro" sono ... e poi non parlo di (ridicoli) complotti, ma di interiorizzazione di ruoli, di pratiche omologate dannose alla "causa", di pervasiva modalità di "intelligere" come fan tutti. Pur apprezzando tanto il "pensiero ribelle", in quanto tale, non concordo affatto sul "come" questo dispendio di energia segnica si traduce in "rivoluzione" ... Insomma, un altro discorso, un altro codice. Una bella citazione da un articolo uscito su L'Espresso del 20 febbraio 1983 di Leonardo Sciascia dice: "Ogni intellettuale è una monade. E c’è la monade con porte e finestre, e c’è la monade chiusa. E nessuno dovrebbe azzardarsi a giudicare che la monade chiusa merita ostracismo e disprezzo mentre da coltivare, da preferire e da privilegiare è la monade aperta. Ci sono monadi spalancate che sono del tutto cieche, e monadi chiuse che vedono tutto”; belle parole, non c'è nulla da eccepire, grazie. Sciascia non è mai stato un "ribelle". “Dateci una organizzazione e capovolgeremo la Russia”.

lunedì 14 marzo 2011
Antagonismo di classe, questione irrisolta - Lottare per l'esistenza



DOCUMENTO / PROPOSTA
Piattaforma per la costruzione dei Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale . In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati. Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, potere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica o della “cultura”. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema neoistituzionale che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della “cittadinanza” conferendo autonomia e responsabilità amministrativa nuove ai territori sociali “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. I territori regionali, da provincia a provincia, sono lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni provincia può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio regionale . . . . [http://cprca2010.ning.com/]
SIETE TUTTI INVITATI AD AVVIARE UN DISCORSO PUBBLICO SU QUESTI TEMI
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman
NB: Il testo può essere arricchito, emendato, integrato, sviluppato ...
Primi firmatari, a suo tempo proponenti: Giovanni Dursi, Oscar Marchisio
martedì 8 marzo 2011
8 MARZO: FINE ALLE VIOLENZE SESSUALI

8 MARZO: ANCHE IN ITALIA LA CAMPAGNA DI AMNESTY INTERNATIONAL PER CHIEDERE AL GOVERNO DEL NICARAGUA DI PORRE FINE ALLA VIOLENZA SESSUALE. OLTRE 14.000 STUPRI IN 10 ANNI - In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, la Sezione Italiana di Amnesty International promuove in Italia la campagna mondiale dell’organizzazione per i diritti umani per chiedere al governo del Nicaragua di porre fine alla violenza sessuale, dilagante nel paese. Tra il 1998 e il 2008, 14.337 donne e ragazze hanno denunciato di aver subito violenza sessuale.



Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361 - 348-6974361 - e-mail: press@amnesty.it
Leggi tutti gli altri comunicati stampa all’indirizzo:
http://www.amnesty.it/archivio-tutte-news-comunicati.html
http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3008
http://www.amnesty.it/donne_nicaragua
lunedì 7 marzo 2011
"Nuova Panda schiavi in mano"

Il libro contiene i primi risultati di un lavoro di conricerca che ha coinvolto lavoratori e rappresentati sindacali dello stabilimento Fiat Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. Tale progetto è nato nell’ambito di un gruppo di studio (Gruppo Lavoro) costituitosi presso il Centro per la riforma dello Stato (Crs), composto da studiosi con provenienza disciplinare e professionale diversa, precari della ricerca impegnati nel selvaggio mercato delle collaborazioni all’interno dell’economia della conoscenza. All’attività di ricerca del gruppo hanno contribuito a vario titolo figure importanti tra cui il filosofo Mario Tronti (Presidente del Crs) e l’economista Alfredo Saad Fhilo, professore di economia politica dello sviluppo presso la «School of Oriental and African Studies» (Soas) dell’Università di Londra.

MERCOLEDì 9 MARZO ORE 17 SALA MERCEDE, Via della Mercede 55 R O M A
Presiede MARIO TRONTI Introduzione MICHELA CERIMELE
Intervengono MAURIZIO LANDINI ALFREDO REICHLIN NICHI VENDOLA
http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article223
http://www.centroriformastato.org/crs2/IMG/pdf/la-catena-spezzata-2.pdf
Date: di lotte e di memorie - Facciamo sul serio uno sciopero generale che pesi nella vita sociale e politica dell’Italia


Per il momento ci fermiamo qui, e lasciamo spazio ad un comunicato di Giorgio Cremaschi sempre relativo al 6 Maggio, che qui di seguito riproduciamo. Naturalmente ritorneremo sull'argomento, ma fin da ora poniamo qui un interrogativo: cosa c'entrano UIL e CISL col prossimo Primo Maggio? Anche su questa data intendiamo parlare... Da Proletaria Vox
A seguire: Dalla lettura di Gramsci, un importante contributo per l'azione sindacale dei comunisti. Da leggere assolutamente!
I comunisti e il Sindacato di Classe. Di Comunisti Uniti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955544.html

http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955479.html
8 Marzo di lotta a Trento. Di Lavoratrici ORVEA.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9955508.html
8 Marzo, giornata internazionale di lotta. Di UdB/CUB.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962147.html

http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962085.html
La memoria di Bologna...
11 Marzo, Bologna, Francesco Lorusso. Di Proletaria Vox.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962042.html
Continua la deriva neoconcertativa di questa sigla...
La firma meschina di USB in CAI. Di CUB Trasporti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962066.html
Affari internazionali, letture „di classe“.
Dal Wisconsin al Nord Africa...Di Valerio Evangelisti.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/9962514.html
Uno sciopero generale chiaro e forte contro Governo e Confindustria
di Giorgio Cremaschi, 03.03.2011
La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ha annunciato che lo sciopero generale è convocato per il 6 maggio. E’ la peggiore delle decisioni migliori.

I fatti parlano chiaro. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha riaperto lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, rivendicando per le imprese la “flessibilità in uscita”, visto che quella in entrata è anche troppa. C’è del metodo in tutta questa follia. La rivendicazione della libertà di licenziamento mette il suggello finale a un’aggressione al contratto, ai diritti, allo Statuto dei lavoratori, alla stessa Costituzione, che ha avuto un’accelerazione con l’aggressione di Marchionne ai diritti dei lavoratori Fiat.
D’altra parte è evidente che se si vuol far pagare tutti i costi della crisi ai lavoratori e se la crisi continua, al di là delle chiacchiere, l’attacco ai diritti del lavoro, al salario, alle libertà, assieme a una nuova offensiva sulle privatizzazioni e contro lo stato sociale, sono l’unica strada per fare soldi.
Il punto è che questa linea reazionaria del padronato italiano è oggi il cemento di un blocco di potere politico e sindacale che governa il paese. Spesso si dice che non c’è più la concertazione, non è vero, semplicemente il blocco concertativo è oggi formato dal governo, da una serie di poteri forti, dalla Confindustria, dalla Cisl e dalla Uil. Da esso è esclusa l’opposizione politica, che non se ne è ancora accorta, e la Cgil, che spera ancora che non sia così.
Eppure l’ultimo contratto del commercio nel quale le aziende hanno volutamente inserito norme come il recepimento del collegato lavoro, che sembrano fatte apposta per impedire in ogni caso anche alla più moderata delle Cgil la firma, quest’ultimo accordo separato dovrebbe dimostrare che il blocco politico, economico e sindacale che governa oggi l’Italia è intenzionato a continuare nell’emarginazione della Cgil e di tutto ciò che in qualche modo non rientra nei suoi disegni. Pare, a questo punto, che la segreteria della Cgil abbia finalmente superato le riserve e gli indugi e si appresti ad annunciare la fatidica data dello sciopero generale. Se così sarà, sarà un fatto positivo, che prende atto della realtà. Il più grande sindacato italiano, proclamando lo sciopero generale, si trova però di fronte a due scelte di fondo. La prima è che è evidente che questo sciopero non potrà essere indirizzato solo contro Berlusconi, ma anche contro la Confindustria e inevitabilmente contro il blocco di potere di cui Cisl e Uil fanno parte. Sarà quindi uno sciopero che dovrà costruire uno schieramento alternativo a quello che oggi costruisce gli accordi separati, il collegato lavoro, le deroghe contrattuali, la negazione delle libertà sindacali e dei diritti individuali delle lavoratrici e dei lavoratori. Sarà uno sciopero sindacale ma anche politico, nel senso che è anche politico il blocco di potere contro cui si scende in lotta. Dovrà anche però essere uno sciopero in grado di mostrare la forza di tutto quel mondo del lavoro, di tutto quel paese, che oggi si oppone ai disegni autoritari di Berlusconi, Marchionne e del loro blocco di potere. Dovrà quindi essere uno sciopero fatto per fermare il paese, chiaro nelle controparti e altrettanto nelle intenzioni di riuscita. Non quindi uno sciopero di 4 ore o simili, per qualche manifestazione, ma uno sciopero completo, di tutta la giornata lavorativa, di tutte le categorie, che ci provi davvero a far sentire il peso del lavoro che non ci sta nella vita politica italiana. Se questa sarà la scelta lo sciopero generale si incontrerà inevitabilmente con tutti i movimenti di lotta, che in questi mesi hanno risposto all’attacco ai diritti. Dagli studenti, ai movimenti sociali, a quelli civili e democratici. Parlerà necessariamente alla mobilitazione eccezionale delle donne contro l’attacco alla dignità della persona. Dovrà quindi essere uno sciopero generale forte e aperto, in grado di proporre un blocco sociale e civile alternativo al blocco politico ed economico che governa il disastro attuale dell’Italia. Su questo bisogna insistere ora, anche di fronte a incertezze, ambiguità e minimizzazioni con cui si vuol già derubricare un’eventuale decisione della Cgil. Facciamo sul serio uno sciopero generale che pesi nella vita sociale e politica dell’Italia.