giovedì 31 marzo 2011

Il linguaggio della guerra

Diventa sempre più difficile oggi parlare di altro che non sia il tema della guerra. Diventa quasi impossibile, ad esempio, parlare di problemi contrattuali e vertenziali, quasi che si possa apparire come degli egoisti che non pensano ad altro che al proprio "meschino particulare". Eppure è proprio vero il contrario, ed è ciò che si deve invece fare, seppure con una necessaria coscienza più allargata, ovvero "di classe" e globale.Il vocabolario della guerra, il suo linguaggio è fatto apposta proprio per coprire la voce e le parole dei lavoratori, perchè sono essi i bersagli di ogni guerra dei padroni. La solita guerra (di classe) che i padroni, incessantemente, rivolgono ai lavoratori cambia talvolta di forma, mai di sostanza.
La politica è guerra senza spargimento di sangue; la guerra è politica con spargimento di sangue. Siamo portati a credere che non esista alcun nesso tra questioni ritenute "sindacali" (come leggi di precarietà, abbassamento di diritti e di salari, licenziamenti e chiusure di fabbriche, etc...) e guerre combattute con ordigni bellici. E' questo, in soldoni, il pensiero dominante in ogni paese. Chi indica in Roma ladrona l'origine delle sue sofferenze, chi negli immigrati, chi negli impiegati pubblici, e chi ancora negli operai improduttivi, mente sapendo di mentire. Costoro sanno che l'origine della povertà, in un mondo ricco di ogni bene di consumo, non è altri che il Capitale e la sua legge del Profitto. E' sempre il Capitale che ordina e riordina, a suo esclusivo vantaggio, le leggi che regolano i diritti (borghesi), i contratti e le stesse gerarchie tra i vari paesi, anche tra quelli imperialisti. Laddove non è sufficiente la mediazione "politica", il Capitale non esita ad adoperare i mezzi bellici, e lo fa indipendentemente dal fatto che il Presidente Supremo (a stelle e strisce) sia un reazionario petroliere texano o un raffinato fighetto democratico di colore. E' sempre il Profitto a dettare le regole, le parole e le azioni. Non comprendere ciò equivale a non vedere la foresta dietro l'albero. La crisi di un modello. Siamo anche portati a credere che non possa esistere altro modello sociale che non sia quello "occidentale e democratico", e che tutto ciò che non vi si conformi sia destinato, prima o poi, a doverlo fare. Siamo portati a credere che ciò avvenga "naturalmente", magari perché ritenuto "vantaggioso" per chiunque, compresi i "buoni selvaggi" che ancora ignorano tanta bontà. Siamo convinti che quel modello sia l'incarnazione della Civiltà e del Progresso quando non anche la Fine della Storia. Invece, in buona parte del pianeta terra, questo modello viene rifiutato esplicitamente o, magari, applicato appena un po' diversamente, ovvero con "correttivi" e varie "interpretazioni" locali. Peccato che oggi, in piena crisi di quel modello di accumulazione capitalistica, anche ogni più piccola "variazione" rappresenti una seria minaccia ad un ordine imperialista che, proprio in virtù di questa crisi, non può che reggersi su una mera supremazia militare (con buona pace della "diplomazia" politica...) e sulla rapina di ogni fonte energetica. Ergo, il warfare state (lo stato di guerra permanente) è il paradigma di ogni ambito civile e sociale del nuovo millennio. Anche nel più misero e ridotto contratto di lavoro.Il battito d'ali di una farfalla in Giappone può produrre una tempesta in Occidente. In Giappone si è avuto il più disastroso evento naturale che la mente umana ricordi (seppure non manchino ipotesi più inquietanti e, per questo, definite "complottiste"...). Un terremoto devastante ed uno tsunami di proporzioni gigantesche ha spazzato buona parte del paese causando molte migliaia di vittime (ancora imprecisate) e danni sicuramente superiori a quelli della Seconda Guerra Mondiale. Eppure il popolo giapponese, uso ad una consolidata tradizione di operosità ed efficienza, è già in grado di rimediare - a tempi da record - a gran parte di questi danni, dimostrandoci che i danni della natura, per quanto tragici, sono comunque arginabili. Dove, purtroppo, non si potrà porre rimedio (non in maniera efficace, almeno...) sarà ai danni causati dalla mano dell'uomo, ovvero al suo delirio nucleare. Sarà questo, infatti, il punto dolente che rimarrà per secoli a venire, avvelenando acque e terre giapponesi, ma non solo giapponesi... I destini di ogni popolo sulla faccia della Terra non sono mai stati così intrecciati come nell'era della moderna "globalizzazione". Non perchè, come su detto, ciò sia avvenuto per un naturale e pacifico sviluppo delle relazioni umane, quanto piuttosto per la violenza delle leggi di un Capitale alla ricerca incessante di nuovi mercati e nuove aree di sfruttamento. Uno sfruttamento che, come si sa, non si limita all'estrazione di plus valore dal lavoro umano, bensì si estende allo sfruttamento selvaggio della natura e si fa beffe di ogni limite ecologico. Ebbene, il nucleare è l'apoteosi del sogno di dominio del Capitale. Una centrale nucleare racchiude in sè il massimo di concentrazione e di intensità di investimento finanziario e tecnologico; il massimo di controllo politico e militare di un apparato, a tutti gli effetti paragonabile ad un'arma di distruzione di massa, gestito da una ristrettissima tecnocrazia a livello mondiale. Una centrale nucleare è il controllo totale di un intero paese e condiziona i destini - ecologici ed economici- di tanti altri paesi, non necessariamente confinanti o vicini. Mutatis mutandis, sono essi i veri e propri "padroni del vapore" del terzo millennio. E sono e saranno sempre più loro a voler dettare le regole, anche se dovessero - temporaneamente, si badi! - mettere nel cassetto ogni ipotesi di nuovi impianti nucleari. Il petrolio. Ricchezza per i paesi imperialisti, disgrazia per chi lo possiede. Seppure sarà l'acqua il liquido sempre più prezioso e futuro bene che scatenerà guerre di conquista, non si esaurisce certo oggi la lotta per il possesso del liquido infiammabile oggi più importante per i cosiddetti "paesi civili", il petrolio. Chi lo possiede, e magari lo gestisce anche a vantaggio del popolo del suo paese, è agli occhi dei paesi occidentali, ovvero delle loro multinazionali petrolifere, un pericoloso dittatore che va eliminato. Lo si fa e lo si farà col pretesto di "aiuti umanitari" e con l'esportazione di tanta "democrazia", ma il conto di tanto aiuto lo si farà pagare con barili di oro nero. Oggi alla Libia, domani probabilmente a Iran e Venezuela. Anche in quei paesi "canaglia", si sa, governano despoti e dittatori...Anche qui, ci scommettiamo fin da adesso, assisteremo al sostegno unanime e trasversale di TUTTI i partiti parlamentari (ma anche ex-parlamentari, come ha già dimostrato Vendola con la sua SEL...) per "armarsi e partire". La "politica" estera, soprattutto quando la dettano gli USa, non ammette defezioni. La "politica" interna, invece, si può benissimo fare anche solo con mignotte, nani e ballerine...Chi ci guadagna? Già la domanda è schifosa nella sua brutale formulazione, tanto è distante da una sia pur minima etica. A nostro avviso, infatti, è già orribile ipotizzare una guerra "per guadagno" ma noi, come sempre, non facciamo testo poichè "utopisti". E allora la facciamo: chi ci guadagna da questa (o anche dalle altre) guerra? Chi di voi, tra chi ci legge, pensa sinceramente di poter trarre qualche profitto da tutto ciò? Noi siamo sicuri solo di pochissime cose, una tra tutte è la convinzione che la guerra fa bene ai padroni, ma la pagano i lavoratori. In denaro ed in sangue. Facciamo sentire la voce di noi lavoratori, nell'esigere contratti dignitosi per salario, diritti e dignità. Per una società dove sia il lavoro ed il benessere di tutti il bene più prezioso. NO alla guerra dei padroni! Ripetiamolo in ogni occasione, in ogni manifestazione, in ogni sciopero a venire! ...e guardiamoci da politicanti e pacifinti. Il loro interesse coincide con la nostra disgrazia. By Proletaria VoxA seguire, sul blog http://blog.libero.it/VoceProletaria
Appuntamenti all'insegna della solidarietà.
Con i lavoratori della Verlicchi. Di VAG 61 - Bologna.
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Solidarietà di Ascanio Celestino e Un Ponte Per... Di Un ponte Per...
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Sindacato e sindacalismo.
Marciare uniti o marcire sul posto? Di Lavoratori Autoconvocati.
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Piaggio: ora viene il bello! Di Comunisti Uniti - Pisa.
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Università.
Decleva in minoranza nel suo Senato. Dal Senato Accademico - Università Statale di Milano.
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La guerra. Di ieri e di oggi, mai passata da ogni presente.
No alla guerra nel mediterraneo. Di "La FLC che Vogliamo".
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056168.html
Iscritti CGIL contro la guerra. Di iscritti CGIL.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10059011.htmll
12^ anniversario dei bombardamenti sulla Yugoslavia. Di Alessandro Di Meo.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041980.html
La guerra in Libia e la fabbrica del falso. Di Marisa...
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041955.html
La Libia, la sinistra e la guerra imperialista. Di Domenico Moro.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042008.html
La sconfitta dell'Italia in Libia. Di Pietro Ancona.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056301.htm

Le tragedie per mano umana.
Giappone e Libia: due disastri umanitari. Di Kiyul Chung.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042022.html

La satira.
Il giustiziere della notte. Di Alessandra Daniele.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056348.htm

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