sabato 22 maggio 2010

Certa politologia al servizio del massacro sociale

Certa politologia (in questo caso mi riferisco all'editoriale di Angelo Panebianco “La fine del socialismo della spesa” sul Corriere della sera il 18 u. s. in edicola) con il gusto per il dettaglio estrapolato ad arte per compiacere l'ansia consumistica apprenditiva dell'audience giornalistica, sembra considerare i lettori bisognosi solo di comode sintesi, non di documentata analisi, da usare come slogans spendibili nei dibattiti da bar sport. Per questa scuola di pensiero, la “nuda verità” va evitata, come del resto il bigotto, integralista cattolico Buttiglione va sostenendo, poiché le verità vanno “pudicamente vestite”. Panebianco sostiene che il peculiare welfare europeo non è altro che un “costoso sistema pubblico” di protezione sociale che la crisi economica attuale si incarica di cancellare. Il politologo dell'Ateneo bolognese conviene sulla inevitabilità di un “ridimensionamento” dei sistemi di welfare e – questo è puro baccano politico-mediatico -, quindi, sul definitivo accantonamento in soffitta del “socialismo, in tutte le sue diverse sfumature e varianti”. Panebianco, guardando la foresta, vede una somma di singoli alberi. Pensa all'epifenomeno craxista confondendolo per "socialismo". Consiglio al docente, un'utile rilettura estiva de “Dialektik der Natur” per evitare di cadere nuovamente nel doppio errore (il primo, insito nell'idealismo) di utilizzare le conoscenze come pretesti per fornire un'interpretazione globale della realtà e (il secondo errore insito nel materialismo volgare ) di voler liberare la conoscenza dai pregiudizi speculativi in virtù di uno neoscientismo sociale che pensa di poter fare a meno anche d'una dose minima di empirismo. Refrattario alla “dialettica materialistica” come “metodo scientifico” per fare ricognizione seria della realtà storico-sociale, Panebianco finisce per presentare il socialismo politico e sindacale novecentesco solo come artefice della dispendiosa espansione dei sistemi di welfare e, conseguentemente, beneficiario ultimo del consenso popolare sostenuto dalla spesa pubblica. La ridistribuzione della ricchezza socialmente prodotta (“l'accesso alle prestazioni sociali dello Stato”, scrive Panebianco) sarebbe la causa del deficit e d'una dilatazione dei “diritti” (l'autore dell'editoriale, infastidito, attribuisce al lessico socialista l'abominio dei diritti che rinvia ad un principio di uguaglianza). Poiché siamo in presenza di “scarsità di risorse”, oggi il socialismo – considerato il bancomat del popolo bisognoso di prestazioni - “finisce per perdere gran parte della sua ragione sociale”, questa la conclusione del politologo. In realtà, questa suggestiva quanto parziale ricostruzione della mission socialista (la fenomenologia socialista, nelle variegate esperienze d'organizzazione sociale collettivistica, comprende tanto il “luddismo” - pur interprete d'una mentalità arcaica e preindustriale – quanto i soviet russi fino al '24, per giungere alla rivoluzione culturale maoista ed alla tutt'ora resistente Cuba) è comoda argomentazione per sostenere la tesi della necessità dello smantellamento del welfare “istituzionale-redistributivo” in grado di fornire servizi di tipo universalistico al di fuori del mercato, sulla base del bisogno puro e semplice, constatata una persistenza della povertà indotta dal capitalismo (altro che socialismo spendaccione) che mette in luce l'incapacità del mercato di realizzare un'allocazione di servizi alla persona ed alla comunità tali da raggiungere tutti gli strati sociali subalterni. In realtà, Panebianco dichiara la sua preferenza per i sostenitori del welfare austerity, la versione attuale del modello “residuale” che vede attivare interventi di protezione ex-post solo quando i canali naturali e tradizionali di soddisfacimento dei bisogni (nuclei familiari, reti ed imprese sociali) non siano stati in grado di far fronte a determinate esigenze; in altri termini, insegnare ai cittadini come fare a meno del welfare, come i “conservatori” sanno fare “per cultura politica e insediamenti elettorali” (sostiene Panebianco). Traduco: perseguire il massacro sociale subordinando i principali meccanismi pubblici di distribuzione delle risorse alla logica clientelare complessiva che si vuole regolatrice del sistema politico della “democrazia reale” . Si teorizza, criminalizzando un ipotetico socialismo europeo, una pratica discriminatorio-corporativistico-clientelare, questa sì della spesa, spacciata per “difesa dei conti pubblici”. Per fortuna che il conflitto c'è, utile a spazzar via queste strategie foriere di dannose misure di politica sociale antipopolari e selettive ad esclusivo beneficio dei malfattori che tramano per mutamenti istituzionali e legislativi.

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