domenica 6 febbraio 2011

Organizzare l'unità contundente

C'è una battaglia da portare avanti anche se il secondo step (dopo il 16 Ottobre romano, quando si è palesato l'embrione d'unità della soggettività antagonista generata dalle lotte sociali), lo sciopero degli operai metalmeccanici del 27 e 28 gennaio, registra una vittoria nella mobilitazione e nella condivisione della coscienza critica che l'anima. C'è da organizzare l'unità contundente della soggettività antagonista. Intanto, migliaia di tute blu manifestano contro l'Impresa che si fa Stato disdettando il contratto nazionale di categoria e puntando ad “accordi” che schiavizzano gli operai. La lucida determinazione operaia ha favorito la convergenza nelle piazze italiane, da Torino, Milano a Lanciano [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/avamposto-sevel-gruppo-fiat-e], di lavoratori, studenti, precari, sindacalismo di base, associazioni, centri sociali con precise, coincidenti rivendicazioni non solo di natura economico-normativa. Alcuni consigli comunali hanno approvato mozioni pro-lavoratori scioperanti.Perché ? Perché il “problema” agitato dalla FIOM è un problema di tutti. La commistione salario/cittadinanza non è più un obiettivo delegato alle rappresentanze politiche o sindacali, il “futuro” lo si scrive insieme, nel conflitto, svuotando le fabbriche ed altri luoghi di lavoro, abilitandosi nella prassi delle lotte alla costruzione di nuove istituzionalità popolari. Lo scenario che vede riavvicinare la FIOM ai diversi settori della società italiana non è solo quello della realtà economica del settore industriale e delle imprese impegnate a recuperare – intensificando la sfruttamento ed umiliando i lavoratori - produzione e profitto; le piazze hanno reso esplicito che la subalternità subita dal 1945 – come lavoratori e cittadini - può essere contrastata e superata riappropriandosi della propria soggettività, esercitando autovalorizzazione politico-organizzativa. Questa embrionale emergente eversione sociale è in perfetta sintonia con la “rabbia” guerrigliera antistatuale che è esplosa in Egitto, dal Cairo ad Alessandria, da Suez ad Assuan, con centinaia di morti, migliaia di feriti, arresti di massa, blackout delle “rete”. Popolazione in rivolta da giorni, come in Tunisia, in Giordania, in Algeria, in Albania, incendiate da manifestazioni che non si fermeranno con l'elargizione, da parte dei regimi, dopo l'uso del “bastone”, di “carote” quali possono essere “nuovi governi”. Al di là dell'ozioso gioco delle metàfrasi, in Italia gli operai delle industrie metallurgiche e meccaniche, segnalano l'emergenza d'una autonomia popolare antisistema che va ben oltre le evanescenti ipotesi politico-elettorali partorite dalla testarda attività di riciclaggio di vecchi e nuovi arnesi partitici. Se è vero che “la classe operaia e il movimento cognitario saranno forse ora capaci di ricostituire un tessuto di autonomia solidale”, non è affatto chiaro come “la forza stessa del collasso finanziario, il suo riproporsi in presenza di una crescente insurrezione euro-mediterranea porterà al crollo del dogma neoliberista”, (Franco “Bifo” Berardi) al netto dell'immaginazione e calandosi nello scontro sostenuto non solo con le armi della “critica”. Allo stesso modo per così dire ambiguo, non si può certo condividere l'idea secondo la quale sussisterebbero analogie "tra la situazione attuale e quella precedente la Comune di Parigi, almeno dal punto di vista dell’organizzazione del proletariato, delle classi subalterne e dei cittadini liberi”, ma “nessuna analogia col modello bolscevico” non riproponibile poiché “niente di comunista o socialista quindi, tutto di comune e sociale” (Bruno Giorgini) sarebbe perseguibile. Altri punti di vista e polimorfe modalità di resistenza all'incedere della crisi del capitalismo globale - viceversa da quanto affermato ne "Le cose e noi" [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/le-cose-e-noi-un-testo-di] – forniscono il significato di quanto sta accadendo nel teatro europeo-mediterraneo; certo non sta nel replicare già sperimentate "alternative di costume" divaricando il marxismo, il leninismo, il comunismo (volutamente confuso con la storia dell'URSS dal 1924 in poi) dalla "libertà", che si “interpreta” la cogente fenomenologia, né tantomeno si esprime adeguatamente la potenzialità contundente del “movimento” della sovversione. Da visioni e gestioni "proprietarie", quando non autoreferenziali, di luoghi d'elaborazione teorica, di "contenuti teorico-politici" e mezzi di comunicazione anche dell'antagonismo, si rischia d'arrivare al "pensiero unico della trasformazione sociale". Sostituendo - con un impianto categoriale, interpretativo dello stato presente di cose, che ha mostrato, da tempo e nei fatti, scarsa produttività politico-organizzativa, cioè trasformazione persistente a beneficio delle masse popolari - il tema antico, certo, del "potere" e della liberazione con quello del pervasivo rivendicazionismo di beni comuni e dell' "estetica rivoluzionaria", si finisce con il convenire, in qualche forma, con l'illusoria argomentazione, indotta dalla "democrazia reale", della fine della lotta fra le classi, "fine" variamente declinata, e dell'inessenzialità dell'organizzazione rivoluzionaria. Dopo gli “urti” registrati nei paesi europei e mediterranei, dunque, si sta producendo in verità un'iniziativa tendenzialmente unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente uniti sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa.Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo. Questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte.

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