domenica 23 gennaio 2011

Venerdì 28 Gennaio: Sciopero generale dell'antagonismo antisistema

Quella del 28 gennaio prossimo è la data scelta dalla FIOM (i metalmeccanici della CGIL) per scioperare contro gli accordi capestro di Marchionne a Mirafiori e Pomigliano: questi accordi riguardano tutti, visto che intaccano democrazia, rappresentanza, contratto nazionale e diritto di sciopero, legalizzando gli attacchi ai diritti dei lavoratori portati avanti negli ultimi 20 anni.TUTTI POSSONO SCIOPERARE IL 28 GENNAIO: per quel giorno, infatti, il sindacalismo di base ha indetto lo sciopero generale di tutte le categorie del lavoro pubblico e privato, per chi vorrà essere “concretamente” a fianco dei metalmeccanici, contro la brutalità dell’aut aut deciso da Marchionne: vuoi lavorare o vuoi conservare i diritti sopravvissuti in questi ultimi anni? Se per lavorare si deve “volontariamente” accettare il ricatto di condizioni di lavoro di tipo schiavistico forse è giunto il momento di dire BASTA e di dirlo come se quella stessa proposta fosse fatta a tutti. Per questo il 28 gennaio non vogliamo lasciarli soli contro Marchionne. Questa volta non proponiamo uno sciopero per rivendicare diritti e aumenti contrattuali per un singolo settore lavorativo . Oggi proponiamo di dare allo sciopero un significato preciso: dire NO al ricatto di Marchionne e a tutto ciò che a cascata ne potrà venire. I 2120 operai di Mirafiori hanno avuto il coraggio di rinunciare ad una promessa di lavoro, noi chiediamo di rinunciare ad una giornata di lavoro per dire che non vogliamo contribuire a far passare nel silenzio e nella rassegnazione questo ulteriore attacco alla condizione lavorativa dei dipendenti pubblici e privati. Se ammalarsi a Mirafiori diventa una colpa da pagare a suon di euro, se scioperare comporterà sanzioni disciplinari fino al licenziamento, chi può seriamente pensare che anche altrove non si possa pensare di fare altrettanto? Di questo passo cosa può impedire a lorsignori di applicare per tutti i lavoratori e per tutti i settori gli stessi meccanismi imposti da Marchionne contro i contratti nazionali, contro i diritti e contro la dignità di chi lavora? Un’attacco, portato dal padronato e dal governo, che arriva dopo quello alla scuola e università con i decreti Gelmini, dopo il collegato lavoro, dopo il blocco degli stipendi e del turn over nel pubblico impiego .Tutto questo necessita di una risposta forte e incisiva, per questo anche a Livorno va cercata la più ampia e convinta mobilitazione , collegando la risposta a questo ulteriore , alla situazione di una città che vive la crisi in modo drammatico con la perdita di posti di lavoro, la cassaintegrazione e la disoccupazione. Per questo Venerdi 28 gennaio insieme ai metalmeccanici, indetto dall’insieme dei Sindacati di base, dagli studenti ,da movimenti sociali ci sarà una giornata di sciopero generale con CORTEI DI LAVORATORI E STUDENTI, una prima fase di costruzione dei Comitati popolari di resistenza e cittadinanza attiva (CPRCA http://cprca2010.ning.com/) in lotta per il diritto al lavoro e la ripresa dell'antagonismo antisistema

giovedì 13 gennaio 2011

Rabbia all'epoca della "politica palindroma"

L'Impero non ha alternative sociali al suo interno. Il tempo imperiale prevede uno “sviluppo umano” (http://www.conflittidimenticati.it/cd/docs/3464.pdf - http://hdr.undp.org/en/ - http://www.conflittidimenticati.it/cd/a/32736.html) che decreta la morte, solo per alcuni. Straziante, incomparabilmente più d'ogni logos violato, morire di stenti. Morire di freddo, di fame, di cure, d'assenza di relazioni, d'assenza di lavoro e dignità. La “razionalità” umana risiede nella violenza, imperniata nella nozione di polemos. Altra indole omicida si rintraccia nello sterminio di bisogni agonistici ed antagonistici, espressione utopistica (utopia deriva dal greco οὐ – non - e τόπος – luogo) di ciò che deve e può essere ancora realizzato. La parola "rabbia" deriva dal sanscrito "rabbahs", che significa "fare violenza". Quindi, c'è liberazione dal neocapitalismo globale nel determinato esercizio delle soluzioni di continuità, delle rotture, della inconciliabile dualità nel corpo sociale. “L'intima natura delle cose ama nascondersi” (Fr. 123). Essa va incessantemente ricercata, aprendosi dall'Uno al Tutto e facendo ritorno dal Tutto all'Uno, per il tramite di un pensiero e di un cammino che siano istantaneamente e simultaneamente dimoranti nel Tutto e nell'Uno. Questo è lo schema euristico e, insieme, ermeneutico della filosofia di Eraclito. Esso consente di strappare dall'oscurità e rendere intelligibili alcuni enunciati eraclitei centrali, particolarmente vicini al tema che va sottoposto a investigazione:
a. "Non si riconoscerebbe la parola giustizia, se non esistesse l'ingiustizia” (Fr. 23);
b. “Tutto è a un tempo concordia e discordia” (Fr. 51);
c. “Polemos di tutte le cose è padre, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi” (Fr. 53);
d. “L'armonia invisibile val più della visibile” (Fr. 54);
e. “Si deve sapere che la guerra è comune e che la giustizia è contesa, e che tutto accade secondo contesa e necessità” (Fr. 80).
Rabbia. Unilaterale, perché altrimenti si snatura. La rabbia è una zoonosi, causata da un virus appartenente alla famiglia dei rabdovirus, genere Lyssavirus. Colpisce animali selvatici e domestici e si può trasmettere all’uomo e ad altri animali attraverso il contatto con saliva di animali malati, quindi attraverso morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre. Il cane, per il ciclo urbano, e la volpe, per il ciclo silvestre, sono attualmente gli animali maggiormente interessati sotto il profilo epidemiologico. “Marchionne può andare dove gli pare, ma la FIAT tirata avanti con gli incentivi degli italiani rimarrà qui, perché ce la possiamo prendere con la forza. La fabbrica e i capitali accumulati. Son nostri. NOSTRI”, scrive P. M.. Condivido. Penso negli stessi termini. La rabbia va esercitata per essere “vera”. Come nell'alto Medioevo, in un contesto che media intensamente "cristianesimo primitivo" e "comunismo primitivo", oggi il tema del dominio viene ripreso e coniugato in un rapporto di implicazione diretta con “etiche” contrapposte. La lotta della classe operaia è indissolubilmente legata alle esigenze unilaterali antagoniste dell'autovalorizzazione, non della “democrazia” che reprime la “rabbia”. Il “regime democratico” stabilisce il dominio, le gerarchie di comando, rende eterno lo sfruttamento, anestetizza l'intelligenza collettiva dentro narcotiche “forme di vita”, castra l'insorgenza della “comunità”, determina l'alienazione della “rappresentazione”. L'autentica ricchezza trasformativa, la principale risorsa eversiva dell'attuale dominante sistema sociale va identificata non nel capitale materiale, bensì' da quello sociale. È il livello di “conoscenza” e “coscienza” delle moltitudini, nel vivo della conflittualità senza riserve politico-culturali, a caratterizzare la possibilità di rivolta antisistema. È il livello di “conoscenza” e “coscienza” delle moltitudini a ridefinire gli effetti da sclerosi metafisica di quanti non condividono la “rabbia”, unica energia generatrice d'allusione concreta alle pratiche comuniste di “soggetti” che continuano a lavorare per costruire l'iniziativa rivoluzionaria. Ma con chi e in che modo ripercorrere la strada intrapresa della”rabbia” per il comunismo nella metropoli italiana del capitalismo globale? Dentro il movimento rivoluzionario non è mai mancato lo spazio per la critica e l'autocritica, il dibattito seguito alle sconfitte inflitte all'insubordinazione sociale dalla fine degli anni '70 ad oggi è stato profondo e condotto in termini tali da non poter essere liquidato come una prassi formale e non sostanziale nella ridefinizione di una strategia rivoluzionaria. Un confronto serrato, ma sempre interno al campo della rivoluzione. Alcuni pseudo«storici», invece, pensano chiaramente ad altro referente, l'unico capace di valorizzare adeguatamente la loro smania di ricostruzione delle vicende dell'insubordinazione sociale. Pensano alla putrida sponda partitica. E non è certo voler forzare o stravolgere il loro pensiero affermare che questo referente è quel “sistema dei partiti” che promette – invariabilmente, palindromicamente - solo lacrime sangue. È nei fatti. È nella recente storia economica e sociale. In quanto pseudo«storici» i nostri non hanno fretta di ribellarsi, si limitano a ”comunicare” lo sdegno, in attesa di migliori momenti, a “ricercare” in modo fabulatorio la “connessione con il popolo”. Un variegato arco di forze erede della “storica e nuova sinistra” si mostra impotente di fronte alla “crisi” di ristrutturazione del modello capitalistico di sfruttamento e riproduzione dei rapporti sociali. Pronti ed interessati, velleitariamente quanto vigliaccamente, a porre un'opzione politica sul futuro dell'operazione «massacro sociale». Miserie. “Rabbia” contro la “miseria” e le “miserie”. La “rabbia” non può essere abiurata, dalla “rabbia” non ci si può dissociare, pena l'azzeramento identitario, la compartecipazione da attori non protagonisti alla “spettacolo”. È per evitare simili confusioni che a qualcuno di loro pare sia promessa una ulteriore legittimazione del loro “parlare” del movimento rivoluzionario. Le loro preoccupazioni, vendere la “rivolta”, vendere una consulenza storico-politica. Al di fuori del dibattito fra rivoluzionari, aprioristicamente pronti ad ogni qualsivoglia “trattativa” con il “potere”. La loro presunzione e la smania di protagonismo sono davvero cattive consigliere: costoro non rappresentano nessuno se non le loro ambizioni. La loro furbizia di aspiranti politicanti potrà coinvolgere altri, non certo l'antagonismo rabbioso che si riconosce nella validità strategica dell'esercizio della “rabbia” per il comunismo, non certo coloro che non collaborano alla costruzione di un mosaico esaltato dal capiate come il massimo della democrazia: accettare subalternità a vita nel sistema di sfruttamento vigente. Basta osservare con un po' di onesta attenzione per comprendere il presente della situazione sociale e per sapere quale futuro si prepara a danno dell'esistenza delle moltitudini in rivolta. Se si lascia correre.

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giovedì 6 gennaio 2011

Lettera aperta al Segretario generale della FIOM

Distintissimo Maurizio Landini, Le scrivo perché parte del “popolo del 16 Ottobre”. Intendo comunicare con Lei per esprimere convinta partecipazione e consapevole disponibilità personale nel supportare la FIOM mentre affronta lucidamente un duro scontro con l'Impresa (nella fattispecie, la new company FIAT) che si fa Stato (decretazione di “regole” aziendali fuori l'ordinamento costituzionale ed il diritto del lavoro). Spero sinceramente che la Sua organizzazione – dopo il 9 Gennaio e l'esito del referendum previsto per il 13 e 14 – possa conservare l'intransigenza necessaria ad un'autentica salvaguardia della dignità e dei diritti acquisiti dei lavoratori metalmeccanici. La retorica politica solidaristica, da un lato, e, dall'altro, le inqualificabili affermazioni di dirigenti nazionali di alcuni partiti d'opposizione inneggianti all'accordo – palesemente illegittimo - imposto dall'ad FIAT Marchionne, poiché secondo loro, in ultima istanza, garantirebbe sviluppo delle produzioni, occupazione e partecipazione agli utili aziendali, preoccupano tanti lavoratori dipendenti, non solo impiegati nell'industria, che da tempo non sono rappresentati dal “ceto” partitico e sindacale. Tuttavia, la scossa c'è stata. A Roma, il 16 Ottobre. La “scossa” del 16 Ottobre deve trovare, in queste giornate di lotta e di resistenza, il suo naturale sbocco. L'embrione di unità della soggettività antagonista generata dalle lotte sociali si è palesato, certo risentendo della caoticità dell'insorgenza rivendicativa, ma – senza alcun dubbio – presentandosi come obiettivo segno d'una seria ripresa della capacità di contrasto all'incedere della “dittatura dell'impresa” e del protagonismo popolare che ripropone l'orizzonte del “beni comuni”, in primis il lavoro. Questa scossa, auspicata e coprodotta, è indotta da condizioni materiali che divaricano irreversibilmente il coagulo di interessi del capitale globale (la commistione – in sede governativo-parlamentare - di interessi pubblici e fatti privati è l'espressione più facilmente decodificabile dell'attuale prioritario ruolo che svolge il “complesso politico-industriale-finanziario” nella configurazione del dominio sociale) da un lato, e, dall'altro, una reazione delle “classi subalterne” – nel vivo del quotidiano scontro sociale – che “vede” necessarie l'autorganizzazione e l'autonomia politica, mentre sedimenti di conoscenza critica ed elaborazione teorico-politica vengono condivisi e fatti “corpo” nelle concrete “forme di vita” e di “cittadinanza attiva”. Da questo punto di vista, anacronistiche e fuorvianti sembrano quei “laboratori politici” (ad esempio, le “fabbriche” vendoliane e/o pdessine) che tentano di recuperare questo “potenziale antisistema dello sfruttamento” (quindi, autenticamente rivoluzionario), ovviamente depurato da imbarazzanti “presenze democraticiste”, dirigendolo verso un impotente riflusso partitico-legalista orientato a beneficio unico di un “ceto politico” che intende riciclarsi, sopravvivendo a se stesso ed incapace di autocritica.
Come docente MIUR, vedo perniciose attitudini, anche nella riorganizzazione in atto della pubblica amministrazione, in generale, e delle “attività lavorative della conoscenza” (istruzione, formazione, ricerca, cultura), a ridefinire i rapporti di lavoro su input proveniente da ragioni di bilancio e conseguente gestione autoritaria della gerarchia di comando, spesso anche in assenza di reali competenze gestionali. In particolare, i provvedimenti dei Ministri Tremonti, Brunetta e Gelmini, sono tendenzialmente lesivi non solo della condizione materiale di chi percepisce uno stipendio già da tempo inadeguato, ma anche della stessa possibilità di occupazione stabile e di eventuale fuoriuscita “garantita” dal lavoro, avendo reso “evanescente” perfino il trattamento di quiescenza. Inoltre, minando le basi del Welfare universalistico a solo vantaggio della rendita e del profitto, l'attuale Governo provvede alla desertificazione delle forme di vita orientate alla coesione sociale e si accanisce contro i cittadini che esprimono bisogni sociali non negoziabili essendo essi ormai privi di credibili tutele politiche e/o sindacali. La convergenza di intenti tra Impresa e Stato sta modificando ulteriormente i fragili assetti della “democrazia incompiuta” italiana, mettendone a rischio la stessa precaria stabilità, laddove il dissenso verso le politiche economico-sociali governative manifestato generosamente dalla società civile e dai lavoratori, è immediatamente represso in coerente sintonia con il desiderio di ConfIndustria di “contrastare l'opposizione all'ammodernamento del Paese” (dal discorso d'insediamento della Presidente Marcegaglia). A mio parere, i casi dei contratti / capestro di Pomigliano e Mirafiori, presto flessibilmente replicabili in altri stabilimenti del FIAT GROUP (ad esempio, alla SEVEL della Val di Sangro), sono il sintomo più evidente di un degrado non solo delle relazioni sindacali, bensì di relazioni sociali rese “perverse” e “polimorfe” dall'egoismo del capitale industriale e finanziario.
Il conseguente terremoto politico-sociale per i lavoratori dipendenti non “si risolve” con una militanza nella “sinistra” (PdRC, PdCI, SEL, FdS) con evidenti segnali di continuità con il fallimentare recente passato; tali “sigle” sono restate sul mercato della politica a contendersi elettori, ponendosi come obiettivo massimo rieleggere deputati, senatori o consiglieri, negoziare presenze nelle Giunte comunali, provinciali o regionali, collocare “amministratori” negli enti subordinati, confondendo il consenso elettorale con un improbabile riequilibrio dell'assetto di potere e pretendendo di ridare attualità politica ai tipici valori della “sinistra” togliattiana-divittoriana della “democrazia progressiva”.
In realtà, archiviate queste arcaiche manovre, è fondamentale insistere sulla linea dell'edificazione di nuove istituzionalità popolari, distanti / diverse da quelle articolazioni statali ove la “rappresentanza” perpetua subalternità, soggioga le masse popolari, crea devastanti distorsioni nella “democrazia costituzionale”; l'autonomia politica deve – viceversa – conquistare e difendere spazi per esercitare i “diritti” dei giovani, donne, precari, disoccupati, cassaintegrati, operai, artigiani, autoimprenditori delle conoscenze, lavoratori autonomi che oggi mal sopportano la storica iniquità dell'ennesima crisi del modello capitalista di sviluppo.
Le lotte di resistenza e di attacco alla “tenaglia” confindustriale-sindacale che impone l'agenda politica al Paese, manifestano una consapevolezza “altra” della crisi che chiede a tutti i suoi protagonisti una rinnovata determinazione nella capacità popolare di dare autorevole voce – senza mediazione partitica – ai “bisogni sociali” (reddito, Welfare, cultura, ambiente, multiculturalità, …) e del “lavoro” che sono nel suo DNA. Questa sollecitazione non può non essere colta dalle donne e dagli uomini liberi con l'entusiasmo che deriva dal riappropriarsi della propria esistenza. Per chi ha vissuto e vive la difficile battaglia della libertà individuale e collettiva dal gioco del capitale – non distinguendo, in modo miope ed asfittico, il “locale” dal “globale”, come purtroppo in alcune componenti dell'area “neocivica” si è ottusamente evidenziato, causando ulteriori “sconfitte” e dispersione di energie trasformative -, questo presente in piazza, sui tetti, nelle occupazioni e presidi, questo presente della “mobilitazione in proprio” delle masse popolari non può che avere come orizzonte e meta l'affermazione di un nuovo modello sociale, del “linguaggio” della comunanza, temi veri delle “proposte politiche” veicolate dalle lotte. Lo scenario è necessariamente più ampio di quello delle pseudostrategie di partito.
I transfughi dei partiti di “sinistra”, compresi i pdessini in libera uscita per una breve, “eccitante” stagione, che hanno frequentato modalità autonome ed alternative d'organizzazione e produzione di eventi politico-sociali, constatando il “blocco mortale” e l'evanescenza dell'opposizione – non solo PD - alla presenza berlusconiana, oggi, percependo il sentore d'una repressione (annunciata da tempo dalla ConIndustria, come prima adetto, per bocca della Presidente Marcegaglia) di tipo cileno, tornano sui loro passi, ad una “casa madre”, ad un'autoreferenzialità ed un interclassismo incapaci di “scegliere” la parte del popolo (ad esempio, sull'acqua: il PD si è forse schierato raccogliendo le firme per la difesa di quel bene pubblico essenziale ? E sul petrolio e il nucleare ? E per il lavoro ?), immaginando di occupare posti ed apparire seriosi e compìti in TV.
L'urto del 16 Ottobre, dunque, è stato prodotto ed ha provocato un'iniziativa unitaria dell'antagonismo sociale. Ora, in queste ore, va suscitata la voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune. La FIOM ed il sindacalismo di base possono fare molto in questa prospettiva. Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema dellosfruttamento sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole - non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo. Concludo, rendendo pubblico il personale auspicio d'una mia militanza politico-culturale che sia partigiana della lotta FIOM e per lo sciopero generale di solidarietà del 28 Gennaio. Ringrazio per l'eventuale considerazione.
Bologna, 6 Gennaio 2011
Giovanni Dursi, docente MIUR di Filosofia e Scienze sociali
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Una proposta per agire insieme
1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale. In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2. Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel o al PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire. Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”. Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, contropotere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3. La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali. “Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione. La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità politico-amministrativa nuove ad ambiti istituzionali socio-territorialialmente “partecipati”, imponendo socialmente l'agenda politica. È il territorio è lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni ambito territoriale provinciale può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio. Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio d'appartenenza . . . . .
Tutti sono invitati ad avviare un discorso pubblico su questi temi.
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman

venerdì 24 dicembre 2010

Tutto L'Amore Che Ho - Video Ufficiale

... fino al confine estremo delle mie speranze ... contro il male e le sue istanze ... avrei rischiato la mia vita in mare aperto ...

Gli "accordi separati" per Mirafiori, primi provvedimenti del "Governo Marchionne"

L'atto di “insediamento” del “Governo” Marchionne, nel corso della deriva politico-istituzionale che vede l'Impresa farsi Stato, è rappresentato dalla messa in pratica della logica del “ricatto” (“intesa con tutti i Sindacati, o niente investimenti in Italia”) e dall'adozione del “provvedimento” che contempla la nascita della newco di Mirafiori con Chrysler fuori da ConfIndustria e dal contratto nazionale di lavoro. Il “premier” Marchionne ha chiesto ed ottenuto dalla Presidenza confindustiale “mano libera” nelle controversie sindacali e nella riconfigurazione delle linee di politica industriale. Non “condividendo” il punto di vista Fiom-CGIL e desiderando sbarazzarsi dell'intransigenza operaia, il “nuovo” partito-azienda definibile “FIP” (Fabbrica Italiana di Profitti) detta l'agenda al paese mentre consolida l'internazionalizzazione della produzione di auto con l'avvio miliardario di una nuova fabbrica in Pernambuco, in Brasile, grazie agli incentivi fiscali, previsti per la regione NordEst, dal Governo di Luiz Inacio Lula da Silva. Il business industriale trova sempre occasione per ampliare i margini di guadagno delle imprese; sempre a discapito della popolazione di Stati, in questo caso 2000 con diverso “orientamento politico”, che, nelle stesse ore nelle quali le “multinazionali ad elevato impatto CO2” ridisegnano forme di dominio industriale e commerciale su scala planetaria, con “contrita” coscienza ambientale, siglano a Cancun un accordo su taglio alle emissioni e danno il via libera al “Fondo verde” per i Paesi in via di sviluppo. Viceversa, il “manifesto” politico al quale il “neopremier” Marchionne sta lavorando, titolabile prosaicamente “FIAT nel mondo”, si compone di un breve testo, di un aforisma che sintetizza i principi ispiratori: gli affari sono affari, competition is competition ! Lo smantellamento degli accordi e la soppressione di posti di lavoro, questi gli obiettivi realmente perseguiti, sono la smentita più evidente alla bolla di sapone con la quale Marchionne fa giocare, come foche con i pallini sul naso, i sindacalisti “collaborazionisti”: la “fantastica” joint venture che avrebbe dovuto gestire il piano di investimenti per raddoppiare la produzione dello stabilimento torinese; in realtà, qualora ridiscenda con i piedi per terra, la newco andrà oltre il “modello Pomigliano” attraverso un accordo quadro esclusivo per il settore auto. Marcegaglia e Marchionne da New York, annunciano il lieto evento: il parto che da alla luce “FederAuto”; “soluzione giusta” secondo la Marcegaglia, che ha dato il via libera alla lesione dei diritti ed all'annullamento del contratto nazionale, memore del suo personale intendimento espresso il giorno dell'insediamento presidenziale: “è necessario intervenire contro chi si oppone alla modernizzazione del Paese”; questo si prefisse la signora a quel tempo; questo trova inveramento nell'opera del sodale Marchionne. Il “fascinoso” Marchionne ha sedotto la Presidentessa modellando l'originale contratto proposto ai Sindacati secondo le esclusive profittevoli esigenze produttive e di “governabilità” (leggasi: comprimere il “costo del lavoro” e reprimere il conflitto) degli stabilimenti. “La macchina mi serve”, avrebbe detto languidamente Marchionne alla già intenerita signora, capo degli imprenditori industriali italiani che attendono di fare altrettanto; l'amorevole richiesta, tradotta nel linguaggio del capitalismo ricattatorio, così recita: “consenso” sindacale ad evitare impedimenti di “varia natura in fabbrica” in cambio dei soldi “promessi” per investire in Italia (oltre un miliardo di euro per il “piano Mirafiori”), ricordando che, in fondo, ci sono tantissimi siti produttivi e la FIAT, “gruppo” di 240mila dipendenti, in Italia ha sotto contratto meno di un terzo della sua manodopera. Nel frattempo gli operai del “gruppo” si ricompattano nelle lotte di resistenza “disdettando”, in alcuni casi, l'appartenenza ai sindacati “collaborazionisti” Fim-Uilm, Fim-Cisl favorevoli alla newco, e preparandosi ad una nuova stagione di mobilitazione e di scontro contro la delocalizzazione delle produzioni e la cancellazione dei diritti acquisiti.







L'instabilità generata dalla conflittualità operaia è l'unica “variabile” indipendente, non governabile da Marchionne, il quale, ovunque presenti soluzioni “liquidazioniste” del contratto nazionale, dei diritti e del lavoro (rischiosa la situazione della SEVEL di Atessa destinata alla fine anticipata degli accordi FIAT-PSA nel 2014 anziché nel 2017, con in ballo 6200 posti di lavoro in azienda ed oltre 2000 dell'indotto nella sola Val di Sangro), troverà pane per i suoi denti, pur addestrati ad azzannare alla giugulare i lavoratori, nello sciopero generale e con l'unità antagonistica delle lotte sociali contrastanti il “regime FIAT”. Così si da vita alla vera “opposizione” politica.


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martedì 21 dicembre 2010

Imàgo

In senso concreto, guardo la forma esteriore di quel corpo che mi sta di fronte; anche gli altri sensi la percepiscono, ma la vista ha il sopravvento. Non è l'immagine d'una cervia altera e bella (Poliziano). So che il concetto non preesiste all'oggetto allo stesso modo della fatal quïete / tu sei l'immago (Foscolo). Piuttosto, è come l'immagine della voce, l'eco, un prolungamento infinito di raggi che convergono. Non è filtrata, manipolata, mediata da mezzi tecnici. Un'occhiata che mette le carte in tavola, un'azione, un'espressione chiara, definitiva. Partecipo ad una prova di forza tra me e il “mondo”. Uno showdown. Verità sto cercando. In me ed altrove. Work in progress, quell'infinita serie di relazioni instaurate o dileguantesi. Tra loro, emerge l'immagine, prima a me invisibile, come di un soggetto che si forma in uno stato di emulsioni fotografica e che è resa evidente dal processo di sviluppo. Andando incontro, plasticamente si “realizza”. Supero di slancio le fila di maschere funebri degli antenati, manufatte in cera o materia preziosa, ai lati del mio andare, così permanentemente disposte per meglio averne “memoria”, custodite fin'ora gelosamente e venerate. Ora, guardo una riproduzione esatta, non solo estremamente simile, è quel che è. Manifestazione percepibile con nettezza di un elemento non più astratto, indefinibile. Ho idea precisa della forma condivisa di vita, della società contemporanea, della potenza scatenata, della gioia artefatta, del soffocamento subito. È lì ad evocare la “realtà”. Si staglia minacciosa, incombente, greve. Preme come una montagna di sabbia che entra in gola e negli occhi, come l'impatto di corpo morto che tutto tocca e copre, come quella sozza imagine di froda (Dante, Inferno XVII, 7).Al contrario, esprimo vita, efficacemente cammino, impavido. Sono all'ultimo stadio nella metamorfosi, corrispondo alla perfezione di me. Non ho più solo una rappresentazione mentale, una visione interiore delle cose, persone, situazioni che si discosta dall'attualità. Non prendo parte al mercato dei prodotti della fantasia. Non ho una visione. Nel corpo e nelle mente, all'unisono, ho potenza e forza immaginativa, non suppongo, non prevedo, non do vivacità ad una narrazione. Si tratta d'una vigorosa affermazione che spazza via l'ideazione, l'invenzione, quell'escogitare con la mente che mi ha reso mutilo. Non credo, non “penso”, non suppongo né presumo. Corro, energicamente mi batto, mi scaglio virilmente, affondo le mani, stringo. Uccido. Libero dalle illusioni di un tempo che irrefrenabilmente scorre. Libero dalle gabbie semantiche e dalle intuizioni, dal riscuotimento di lampi o campanelli immaginarii nel pieno della notte (Morante). Il mio campo d'azione non separa il reale dal simbolico e dall'immaginario. Il mio fondamento è la conoscenza che ho di molte cose (De Sanctis), non mi nutro del possesso dell'apparenza, dei simulacri, delle contraffazioni, delle approssimazioni. Convergo nella rabbiosa polifonia e sono me stesso.
[Il testo è dedicato, con autentico affetto, a tutti coloro che vivranno, riuniti, coraggiosamente e serenamente il 22 Dicembre 2010 – G. Dursi]
Nota:
“Il latino imaginor viene accomunato dai grammatici tardo-antichi ad "imito", ma in realtà il verbo indica un'attività più sottile della mente, simile al greco φαντάζω, che vuol dire "mi mostro" ma anche "inganno" (cfr. φάντασμα). Può essere usato anche con il significato di plasmare (cfr. Lattanzio: "…terram digitis suis imaginatam…"Lact. 5, 13, 21). Il sostantivo del verbo imaginor è imago. Da alcuni filologi è ricondotto ad imito (contrazione di imitago); ma se gli esiti di verbi analoghi come aemulo e simulo sono aemulatio e simulatio, quello di imito è imitatio che ha una valenza diversa da quella più intima e propria di imago.
Imago ha differenti significati ma tutti di carattere quasi esoterico. Imagines erano i fantasmi (cfr. φαντάζω- φαντάσματα), le apparizioni illusorie; e quindi imagines erano anche l'eco ed il riflesso dello specchio. Infine imagines majorum erano le statuine modellate nella cera a raffigurazione dei defunti.”

venerdì 10 dicembre 2010

Nell'intimo: voglia di comunismo

Quella porta socchiusa, il minimo indispensabile per intravedere, per rendersi disponibili agli altri, ma non a tutti, per ritrarsi quando ci si sente “invasi”, quando si è intossicati dal nocivo fumo dell'omologazione che ci rende “testimoni e vittime di lutti culturali” (Pasolini). La sfera intima non può contenere la “vita sociale” nella sua interezza. A me capita così. Le “donne”, gli “amici”, i “figli”, gli “allievi”, i “genitori”, i “compagni”, mi riempiono la vita, ma non tutti entrano nell'intimo, anzi, quasi tutti restano fuori dall'uscio, prossimi all'intimità, in attesa, forse, ma all'esterno. Non è miope esclusione; è un lento venire alla luce come un'apparenza che muore. Coloro che si approssimano all'uscio, sono interfacce arricchenti, gradevoli, esemplari della mia personalità, espressioni preziose di dignità, tenerezza, dedizione, di sapere e saper fare, di incantevoli gesti di pìetas. La soglia da attraversare, però, è un passo decisivo, non da tutti, che rende unica la persona, perché non è preceduto, accompagnato o seguito da nessun altro ardente, prepotente “amore” di quel tipo. Con l'andare degli anni, ho scoperto che nell'intimo conservo tracce di intenso coinvolgimento, quasi un humus di un florido giardino. Un'emozionante inclinazione alla predilezione. La rarità di presenze, nella stanza che accoglie pochi intimi, non allude affatto ad aridità d'animo, bensì alla capacità di comprendere il “valore” dell'altro e di farsi conoscere in modo autentico e disinteressato perché “l'amor non fa bollir la pentola”. Ecco, l'intima frequentazione, si distanzia dal fluire incessante di relazioni pur significative, impegnative o importanti per sé che scandiscono l'esperienza umana. La peculiare natura dell'intimo si mostra anche nella sua fenomenologia: risiede nel “sentire comune”, un dato primordiale indispensabile per far si che il legame possa sbocciare, crescere, interamente “occuparti”. Né le convinzioni, né la razionalità condivisa, né le similari prassi possono rappresentare il “sentire comune” che risiede nell'esclusivo spazio concesso e conquistato, insieme. L'appartenenza che descrivo non è “quella ottusa, becera, volgare che governa il nostro presente e vira ogni giorno di più in ipocrisia strafottenza, corporativismo” (da “Il coraggio di appartenere solo a se stessi” di E. D'Errico, Corriere delle Sera, giovedì 9 Dicembre 2010, pag. 53). Penso addirittura che questa dimensione d'esclusività alluda ad una ereticale radicalità nella forma di vita prescelta – in ogni “scelta” c'è la libertà – che sostanzialmente discosta l'aggregazione sociale coatta alla quale, volenti o nolenti, siamo tutti indotti, da quel ritmo vulcanicamente vitale, da quel fuoco interiore che è alimentato da raro umano combustibile. Gli ideali, i valori, la morale avvicinano, ma quasi mai rendono unico ciò che è duale, separato. Viceversa, la “fusione” avviene nello spazio delimitato dal voler essere “veri”, poiché non lo si è spontaneamente né “socialmente”. Questo alone di “verità” (al plurale, ovviamente) ci accompagna nei sentieri che percorriamo, nelle comunità solidali, nelle responsabilità collettive che assumiamo, tanto da essere sempre “diversi”, da parlare un linguaggio “altro” che – è bene che qualcuno si rassegni – non sarà mai agevolmente decodificabile, mai assimilabile del tutto, se non inoltrandosi nell'arduo cammino dell'intimità ricercata. Tendenzialmente intimi, questo è ciò che si da nella generalità delle pur serie relazioni instaurate nel corso esistenziale; altro è “entrare” nella recondita e riservata stanza.Questo eccezionale evento – al di là d'una greve “quantità” di rapporti sentimentali, erotici, socio-culturali, bio-politici, generazionali, filiali che possono darsi – contraddistingue quella trasformazione/emancipazione (possibile) in corpore vili dell'essere umano, traviato dal meccanismo di riproduzione “finalizzata” della forma di vita capitalistica alla quale è incatenato, nel caratteristico autonomo procedere, nel libero incedere verso un felice ed irreversibile “cambiamento del mondo”, impossibilitato a realizzarsi se non esprimendo una novella, netta “ideologia” di rapporti umani “fuori mercato”: voglia di “comunismo” per essere partigiani di inalienabile vita. C'è, dunque, un altro “modo”. Come c’è un altro “mondo”, che quel modo evoca e crea.
[Nota “a margine” di “Gaber – L'illogica utopia”, G. Harari, ChiareLettere, 2010]

venerdì 3 dicembre 2010

Némesi e genesi


Sistemate le cose, a piacimento temporale d'ogni protagonista di questa maleodorante stagione politica, aspettando il momento opportuno per la massima valorizzazione Cicero pro domo sua, chiusi acqua luce e gas di quel degenerato immobile “potere”, l'ultimo Governo Berlusconi – con stanco sorriso sardonico sulla bocca del “capo”, chirurgicamente sistemata, e dei proni comprimari – lentamente s'accomoda fuori, apprestandosi a rimirar macerie dall'ovattata dorata dimora dell'autopensionamento ed a spartire il bottino. Con buona pace delle “opposizioni” parlamentari e aspiranti tali, impotenti nei confronti del motu proprio governativo. Non è un farsi da parte, anche a causa di spallate altrui non pervenute, è solo un giro di giostra che prelude alla discesa dal cavallo del cosiddetto “berlusconismo”, dopo un troppo lungo accanimento politico, tanto gratificante per il “complesso politico-affaristico” da esso incarnato, quanto devastante per la vita pubblica nell'incessante spoliazione subita. Il 14 dicembre, alla Camera dei Deputati ed al Senato, andrà in onda l'ultima puntata intitolata “Appagamento (del “Governo” leggasi P2; rif. http://www.socialmente.name/index.php?mod=12&idli=26&idli_co=2 – Impotenza (dell'opposizione)” d'una fiction mai originale nel copione, la cui “regia” oggi sceglie attori che rivendicano il primo piano, ma formati alla stessa “scuola di recitazione”: Montezemolo, Marchionne, Draghi, seguiti già dal nugolo confindustriale di mosche cocchiere, saltimbanchi mediatici, retori, oratori e giullari ridanciani, già impegnati in iniziatiche odi all'epico “capitale” che vuol fare da sé.
Alcuni presumono che all'inarrestabile evento negativo in corso, ad una situazione siffatta, debba seguire periodi eccessivamente fortunati a titolo di giusta compensazione, come la campagna di Russia fu per Napoleone. Gli stessi “ottimisti” (per ufficio), addirittura sostengono l'esistenza d'una giustizia riparatrice di torti e delitti, non dei responsabili – accompagnati da salvacondotti che il “sistema”, a Camere in seduta congiunta e a “reti televisive” unificate, ha deciso di concedere “per servizi resi”, come nel caso Andreotti -, bensì dei loro “discendenti” che al “trono” aspirano. Secondo costoro, sedicenti “sinistri”, interverrà Némesis, dea greca delle giustizia distributrice. Riassorbire il malcontento, il disagio sociale, le ostilità verso il “potere” usando illusionisticamente tecniche neokeynesiane di regolazione politica del “ciclo” – apparentemente fuori controllo, in permanente deregulation – risultano in questo momento, agli occhi degli “oppositori alleati”, azioni di grande efficacia. Gli “oppositori alleati” tra loro, del resto, si intendono: eminenze grigie “democratiche” ogni dì ribadiscono l’idea d'una “collaborazione – senza impressionarsi – con Fini e anche con Casini, poiché sono molte le idee comuni tra me (è D’Alema a parlare !) e il Presidente della Camera, a partire dall’immigrazione. Da anni (è sempre D’Alema a chiarire come stanno le cose !) il dialogo tra noi è approfondito perché basato sui contenuti”; riferendosi a Vendola, conclude: “le primarie sono diventate una resa dei conti tra partiti … non c’è bisogno di slanci eccessivi” (rif. intervista a “la Repubblica” del 24.11, a cura di Laura Pertici). In fondo, anche "noi" (sostengono sempre nel PD),"abbiamo una Banca” (Fassino, intercettato in conversazione telefonica con Consorte).
Il movimento antagonista, antisistema, è gattopardescamente giocato, da tal genìa di “buoni malfattori”, interamente entro il “dinamismo” dell'iniziativa capitalistica che sta cambiando la sua guida politica ricostruendo equilibri di forza continuamente, continuamente “recuperando” gli impatti di “rottura” sistemica. Rumors annunciano che la diffusione sociale della precarietà si contrasta con il “reddito di cittadinanza”, che alla disoccupazione si risponde con “flessibilità e formazione”, che la crisi del Welfare si risolve con la lotta antiburocratica, che l'integrazione dei migranti va “regolata” … ben guardandosi dal mettere in discussione la “razionalità capitalistica”, le profittevoli logiche imprenditoriali, i santuari del denaro, officiando il rito del “politicamente corretto”. Al contrario, la radicalità dell'intenzione rivoluzionaria e della funzione riorganizzativa del movimento antagonista antisistema non passa da un “nuovo” Governo o da elezioni politiche anticipate; è oggettivamente determinata dalla ristrutturazione mercantile della “vita” di miliardi di esseri umani e della conseguente immodificata stratificazione sociale e ritrova e rinnova soggettivamente la sua genesi nell'identificazione di un nemico da abbattere internazionalmente: il capitale [http://cprca2010.ning.com/].
Dicembre 2010, Giovanni Dursi

martedì 16 novembre 2010

“Avatar” di partito e dittatura del proletariato

Abbiamo scritto della nostra partecipazione alla lotta politica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/lelettore-ha-votato] ultratrentennale, discreta, generosa, mai – consapevolmente – leaderistica [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/manifesto-per-3punto0 - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/inventare-informazione-creare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/il-dire-e-il-fare - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sapere-potere-e-semiosfera]; abbiamo fornito contributi d'analisi e “presenza”, nell'ultima, troppo lunga, stagione caratterizzata dalla regressione autoritaria e dall'instaurata egemonia politico-culturale delle “destre”, per certi versi alimentata da sofisticate tumorali modalità, letali per la “democrazia italiana” [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/facebook-e-soluzione-cilena-1]; abbiamo anche – quantomeno dal '77, cioè dal significativo pronunciamento dell'autonomia politico-organizzativa del variegato movimento antagonista – preso le distanze, anzi, non abbiamo mai avuto a che fare con le prassi della sinistra parlamentare e con la storia delle organizzazioni sindacali e partitiche del movimento operaio, con quel mutageno andamento del PCI che diviene PD, secondo la logica della “democrazia progressiva”. Ebbene, forti esclusivamente della “coerenza pensiero-azione” e del conseguente rigore etico e culturale, forti d'una formazione e militanza individuale e/o collettiva che fanno riferimento al marxismo-leninismo, abbiamo – mai verticisticamente, bensì insieme ad altre donne ed altri uomini condividendo con essi entusiasmi e preoccupazioni – pazientato, parlato, scritto, collaborato a tante ipotesi programmatiche e ad azioni politico-rivendicative interne a un'opposizione sociale di massa al dominio capitalistico-borghese; abbiamo ricercato, quando necessario, oneste “alleanze e neutralità” sul piano politico-organizzativo … Ebbene, siamo ancora indubitabilmente convinti che è nel conflitto che va ricercata ed individuata un'identità autenticamente alternativa ai profili di “sinistra” di alcune proposte politico-mediatiche – perché pare che non ci possa essere più comunicazione sociale su contenuti politici che non sia obbligatoriamente banalizzata inserendola nel frullatore televisivo, nello spettacolare palinsesto dell'acquario elettrico-elettronico, nella vetrina che scompone enfatizzandone l'impatto, come un prisma la luce, l'immagine, l'attoriale performance ed addirittura i toni audio dai contenuti da trattate pubblicamente non più così “importanti” - che, in questo scorcio d'epoca [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/cognizione-politica-bottomup - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/io-narrante-e-coscienza - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/a-bologna-come-altrove-in] sembrano affascinare, ipnotizzare e, purtroppo, convincere lavoratori e cittadini appartenenti alle “classi subalterne” [Confrontare “Proletari senza rivoluzione : storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950”, Renzo Del Carria, Roma, Savelli, 1979 - Contents: 1860-1892, dalle insurrezioni in Sicilia alla crisi del partito operaio - 1892-1914, dalla fondazione del PSI alla Settimana rossa - 1914-1922, dalla prima guerra imperialista alle giornate di Parma - 1922-1948, dalla marcia su Roma all'attentato a Togliatti - 1950-1975, dal "miracolo economico" al "compromesso storico" (2. ed.)]. Non possiamo assistere passivamente all'omologante deriva in corso, del resto ispirata ad una reciproca legittimazione tra “partiti” espressione del potere economico-politico e culturale, establishment mai messo in discussione dentro una continuità/stabilità strutturale del dominio e gerarchia sociale imposta dal capitale e sapientemente declinata, dal 1945 ad oggi, dalle “sinistre” come “interclassismo”. Perché non ribellarsi – ora, al tramonto d'una intera “classe dirigente” velleitariamente “riformista”, “democraticista”, autoreferenziale, non più utile al lavoro sporco di “mediazione sociale per il consenso” (elettorale), considerato che è l'Impresa a farsi Stato [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/fabbrica-italiana-di-profitti - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/governo-impresa-conflitto - http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/sergio-marchionne-gli] - ed entusiasticamente resistere e combattere per edificare ex-novo una società libera [http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/dopo-il-16-ottobre-uscire] ? Non è poi impossibile inventarsi soluzioni praticabili per liberarsi dalle pastoie della “politica delle deleghe e del voto” o, più semplicemente, attualizzare l'unica “variabile” che la storia ha prodotto e consegnato alle generazioni a venire, soppressiva del sistema capitalista di produzione e riproduzione sociale: la sperimentazione comunista, nella concreta, breve esperienza degli anni intercorsi dal 1917 al 1924, in Russia. La voglia collettiva di stare realmente sul territorio, di continuare a realizzare iniziative a sostegno delle mobilitazioni di interesse comune è manifesta.Vista anche la possibilità imminente di elezioni ed il rischio di subire ancora, da parte di alcuni, il fascino del “democraticismo partitico” (con decisioni prese come sempre altrove, in primis a Roma), pare opportuno indicare con nettezza l'estraneità ed ostilità verso “giochi” improduttivi quando non dannosi, dotando il “movimento popolare di resistenza e per la cittadinanza attiva” di “luoghi” propri di rappresentanza e di autodifesa democratica. Nelle circostanze date, è possibile la creazione di stabili organismi popolari e di lotta espressi direttamente dai lavoratori e dai cittadini, quali spazi di partecipazione alle decisioni nell'esclusivo interesse delle comunità sociali e territoriali, cellule base della democrazia di massa da cui far generare l'organizzata nuova struttura pubblico-istituzionale che, in tale forme, può costituirsi; nel contingente, tali organismi popolari di lotta possono svilupparsi come strumento rivendicativo e luogo privilegiato d'intervento politico dei soggetti antagonisti. Si può auspicare, in particolare, la fondazione della strategia politica antisistema sull'egemonia socio-territoriale di Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva quali strumenti di contropotere alternativo all'apparato statale vigente. Accendere il dibattito su questi temi alla luce del sole – discussione non fra pochi, ma ampio - porterà finalmente all'individuazione d'una linea comune delle pratiche antagoniste, ben riconoscibile ai soggetti delle diffuse rivolte le quali, per questa guisa, potranno trasformarsi in decisioni concrete di respiro duraturo [http://cprca2010.ning.com/profiles/blogs/lt-unaltra-opposizione-e?xg_source=activity]. Pensiamo, senza curarci della disperata ironia di chi è impegnato nei retrobottega dei partiti in agonia ad organizzar “primarie” o a sermonar per accreditarsi un 7-8% del “buon” elettorato, che sia la dittatura del proletariato e nessuna politica “progressista”, “riformista”, “democraticista” a poter emancipare i popoli dal loro inferno in terra. Il “sistema dei partiti”, sedicente democratico, fuoriuscito dalla lotta armata partigiana, non ha prodotto condizioni di vita favorevoli all'uguaglianza ed alla libertà costitutive d'ogni organizzazione sociale non oppressiva. C'è da assumersi la responsabilità d'un cambio di passo, di un mutamento di linguaggio, di un intento antagonista che disegni, progetti ed attivi una rottura del quadro politico strutturale, del putrescente sistema sociale e delinei l'orizzonte di un'effettiva ed agibile rete di contropotere. L'unica azione politicamente utile per le masse popolari non può che essere antisistema, per spezzare l'irritante riproposizione di avatar politici privi di dignità che inutilmente tentano ancora di oscurare la grandezza morale degli uomini sulle gru. Tutte le nostre risorse, intellettuali e fisiche, tutti i nostri modesti sforzi saranno dedicati a questa impresa di rottura sociale e politica. La base delle “democrazia” non è la “libertà d'espressione” - prevalentemente di élite contrapposte -; è la realizzazione “in terra” d'una società ove "l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!".
Giovanni Dursi, Novembre 2010"Quest'ultimo boccone di vita è stato per me finora il più duro da masticare ed è pur sempre possibile che io ne rimanga soffocato [ . . . . . ] Se non riesco ad inventare l'espediente alchimistco di trasformare anche questo fango in oro, sono perduto" - Lettera di Nietzsche a Overbeck, relativa alla rottura con Lou Salomè e con Paul Rèe

sabato 6 novembre 2010

Sapere, potere e semiosfera

Sussiste un'analogia di struttura tra l'accumulazione della ricchezza, socialmente prodotta ed appropriata privatamente, e l'elaborazione monadica dei “materiali informativi” sulla realtà; l'incremento indefinito di conoscenze – soggettivisticamente prodotte – rende plausibile e socialmente operativo il nesso sapere-potere. Al di fuori di un”interlocuzione sociale” stabile e d'una condivisa costruzione delle “verità” sulle contraddittorie forme di vita, al di fuori d'una autentica “conoscenza collettiva”, non sono mai attendibili cognizioni proposte nella e dalla forma gerarchica del “lavoro intellettuale” realmente sussunto nell'organizzazione sociale capitalista. Ciò accade anche quando, individualmente e nelle sembianze di “falsa coscienza”, ci si propone come artefici di pensiero antagonista, alternativo alle diffuse conoscenze compatibili con l'assetto di potere; anzi, in questa guisa, si esprime proprio l'oggettiva separazione tra “chi sa o presume di sapere” e il referente sociale per il quale immagina di rappresentarne e, nel contempo, configurarne l'“esterna coscienza”. Le conoscenze – anche quelle autoprodotte e detenute da un singolo individuo – sono immerse “in un continuum semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione”: è proprio questo continuum che rende possibile la vita sociale, di relazione e comunicazione, ed è chiamato da Jurij Michajlovič Lotman (1922 -1993) semiosfera. “La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi” (passo tratto dal saggio intitolato appunto La semiosfera, 1984, in Lotman 1985, Venezia, Marsilio p. 58). Altro è identificare nel proprio operato e praticare quella schizofrenica separazione tra la possibile acquisizione ed il possesso di conoscenze e nozioni fatte proprie attraverso lo studio, l'informazione, l'applicazione e l'apprendimento, da un lato, e l'esperienza sociale, quell'insieme di pratiche – piuttosto che un apparato concettuale fabbricato teoricamente – che scaturiscono dall'aver visto, provato, esperimentato insieme ad altri e che generano il patrimonio culturale della collettività, dall'altro. A proposito, va ricordato che nella teologia cristiana, la “sapienza” è un attributo divino che si identifica con il Verbo o Figlio; tale concezione revisiona l'idea del tardo giudaismo, secondo la quale la “sapienza” è manifestazione di Dio (che “sa”) come creatore ed ordinatore provvidenziale del mondo (che “non sa”), confluendo nelle teologia cattolica che l'annovera tra i sette doni dello Spirito Santo in grado di conferire (a coloro che “non sanno”) la grazia del discernimento delle “realtà soprannaturali”.

lunedì 1 novembre 2010

Facebook e "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali

Da un lato, "la cultura come ecosistema, dove tutto è in relazione, territorio d'incontro, luogo senza confini geografici per una lettura trasversale delle informazioni, per l'approfondimento e la conoscenza", dall'altro, stanno predisponendo la "soluzione cilena" alle contraddizioni sociali con interventi straordinari di contrasto alla logica open source e del social networking;giusto per conoscenza ... visto che moltissimi utilizzatori di Facebook (e affini) continuano ingenuamente a credere che i loro dati su Facebook non siano pubblici e non "perseguibili"... Da L'Espresso - "Una bomba sui cittadini della rete" di Alessandro Gilioli - "Il patto tra Facebook e il Viminale è un attentato ai diritti dei cittadini digitali. E la prova che gli utenti non possono essere spettatori passivi in un rapporto diretto tra le corporation di Internet e i governi locali. Nel nostro Paese abbiamo assistito negli ultimi anni a un'escalation di norme e di proposte di legge per rendere l'accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato. Proprio in questi giorni, ad esempio, l'Agcom sta valutando come rendere operativa l'odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo Romani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv». Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta 'caccia all'internauta' che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l'aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l'effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l'altro giorno Maroni ha promesso di "superare" il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell'identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera). Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo (RIPORTATO DI SEGUITO) è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei "netizen", i cittadini della Rete. Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l'internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte. Aspettiamo quindi urgenti chiarimenti dalla Polizia Postale e dal ministero degli Interni, da cui dipende. E non basta certamente una smentita rituale, perché le notizie pubblicate nell'articolo di Florian provengono da fonti certe e affidabili. Da un punto di vista politico, inoltre, la cosa è davvero grottesca: mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste dai magistrati, contemporaneamente il ministero degli Interni si arroga il diritto di intercettare i nostri contenuti e i nostri dialoghi su Facebook senza alcun mandato della magistratura. Viene il sospetto che questa differenza di trattamento sia dovuta al fatto che i politici, i potenti e i mafiosi non comunicano tra loro sui social network, e quindi il loro diritto alla privacy venga considerato molto più intoccabile rispetto a quello dei normali cittadini che invece abitano la Rete. Allo stesso modo, aspettiamo chiarimenti urgenti sul secondo socio del 'patto cinese' firmato a Palo Alto: Facebook, che da un po' di tempo ha aperto uffici in Italia con tanto di responsabili e dirigenti. Per prima cosa, Facebook ha l'obbligo di rendere pubblico l'accordo firmato con il nostro Ministero degli Interni, perché riguarda tutti noi, cittadini italiani e al contempo cittadini di Facebook. A cui quindi i vertici del social network devono non solo immediate scuse, ma garanzie precise che questo patto diventi al più presto carta straccia e che i diritti degli utenti vengano concretamente ripristinati e garantiti. Il social network fondato da Zuckerberg, si sa, è uno straordinario strumento di socializzazione, di promozione di cause sociali e potenzialmente di crescita e confronto di tutta una società. Ma si va manifestando ultimamente anche come una dittatura in cui le pagine e i gruppi vengono bannati in modo in modo arbitrario e insindacabile: e adesso come un informatore di polizia di cui non ci si può più in alcun modo fidare. Più in generale, quanto accaduto dimostra che i mondi virtuali di cui oggi siamo cittadini (inclusi YouTube, Google, Second Life etc) devono iniziare a rispondere in modo trasparente ai loro utenti. E gli accordi privati con i governi sono esattamente all'opposto di questa trasparenza."
"La polizia ci spia su Facebook" di Giorgio Florian - "Un patto segreto con il social network. Che consente alle forze dell'ordine di entrare arbitrariamente e senza mandato della magistratura in tutti i profili degli utenti italiani. Lo hanno appena firmato in California (28 ottobre 2010). Negli Stati Uniti, tra mille polemiche, è allo studio un disegno di legge che, se sarà approvato dal Congresso, permetterà alle agenzie investigative federali di irrompere senza mandato nelle piattaforme tecnologiche tipo Facebook e acquisire tutti i loro dati riservati. In Italia, senza clamore, lo hanno già fatto. I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale. Questo perché, spiegano alla Polizia Postale, la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo rea le. Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa. Intenti forse condivisibili, ma che di fatto consegnano alle forze dell'ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l'autorizzazione di un pubblico ministero. In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook. Ma siamo certi che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy? In realtà, ormai da un paio d'anni, gli sceriffi italiani cavalcano sulle praterie di bit. Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati. Sempre più persone conducono in Rete una vita parallela e questo spiega perché alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali. Con la differenza che proprio per l'enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui è molto facile finire nel mirino dei cybercop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l'amicizia a qualcuno che graviti in ambienti "interessanti" per le forze dell'ordine. A Milano, per esempio, una sezione della Polizia locale voluta dal vicesindaco Riccardo De Corato sguinzaglia i suoi "ghisa" nei gruppi di twriter, allo scopo di infiltrarsi nelle loro community e individuare le firme dei graffiti metropolitani per risalire agli autori e denunciarli per imbrattamento. Le bande di adolescenti cinesi che, tra Lombardia e Piemonte, terrorizzano i connazionali con le estorsioni, sono continuamente monitorate dagli interpreti della polizia che si insinuano in Qq, la più diffusa chat della comunità. Anche le gang sudamericane, protagoniste in passato di regolamenti di conti a Genova e Milano, vengono sorvegliate dalle forze dell'ordine. E le lavagne degli uffici delle Squadre mobili sono ricoperte di foto scaricate da Facebook, dove i capi delle pandillas che si fanno chiamare Latin King, Forever o Ms18 sono stati taggati insieme ad altri ragazzi sudamericani, permettendo così agli agenti di conoscere il loro orga nigramma. Veri esperti nel monitoraggio del Web sono ormai gli investigatori delle Digos, che hanno smesso di farsi crescere la barba per gironzolare intorno ai centri sociali o di rasarsi i capelli per frequentare le curve degli stadi. Molto più semplice penetrare nei gruppi considerati a rischio con un clic del mouse. Quanto ai Carabinieri, ogni reparto operativo autorizza i propri militari, dal grado di maresciallo in su, ad accedere a qualunque sito Internet per indagini sotto copertura, soprattutto nel mondo dello spaccio tra giovanissimi che utilizzano le chat per fissare gli scambi di droga o ordinare le dosi da ricevere negli istituti scolastici. Mentre, per prevenire eventuali problemi durante i rave, alle compagnie dei Carabinieri di provincia è stato chiesto di iscriversi al sito di social networking Netlog, dove gli appassionati di musica tecno si danno appuntamento per i raduni convocando fans da tutta Europa. A caccia di raver ci sono anche i v enti compartimenti della Polizia postale e delle comunicazioni, localizzati in tutti i capoluoghi di regione e 76 sezioni dislocate in provincia."