mercoledì 8 giugno 2011

Quello che conta

Quello che conta - di Francesco Marchianò
Il successo della sinistra nelle recenti elezioni amministrative è stato accompagnato, come spesso accade, da numerosi commenti di politici, giornalisti e osservatori. Uno dei refrain più gettonati è stato che la sinistra ha vinto grazie alle primarie e ai leader. Ma è stato davvero così? Dire che sono le primarie a far vincere un sindaco, un presidente di regione o, addirittura, un un presidente del consiglio è di per sé un’affermazione indimostrabile. In diversi Paesi si stanno diffondendo, o sono utilizzate da anni, le primarie e, com’è ovvio che sia, il candidato da essi selezionato può vincere o perdere. Per esempio, lo sfidante di Obama, McCain ha vinto le primarie del Partito Repubblicano, eppure è stato sconfitto. In Europa, sia Walter Veltroni che Ségoléne Royal hanno vinto le primarie, eppure sono stati sconfitti. Pertanto non c’è un nesso che lega le selezione per mezzo delle primarie con la vittoria, anzi, come nel caso delle amministrative di Napoli, esse possono essere la causa di una prematura e mortificante sconfitta. L’elogio delle primarie è accompagnato da un corollario, anch’esso discutibile, quello dell’effetto leader. La vittoria nelle amministrative da molti è stata spiegata con l’apporto del leader. Anche qui però non tutto è lineare. Se nelle recenti amministrative vi è stato effetto leader, questo è avvenuto prevalentemente nella città di Napoli, dove il voto per De Magistris al primo turno ha di gran lunga superato, quasi doppiandolo, quello delle liste che lo appoggiavano. Nel secondo turno vi è stato, sì, un vero e proprio plebiscito, ma senza l’apporto dell’altra coalizione di sinistra e del Terzo polo, questo risultato non si sarebbe raggiunto. Al primo turno, infatti, De Magistris, aveva raccolto 128.303 voti; l’altro sfidante di centrosinistra Morcone, 89.280, e il candidato del Terzo Polo Pasquino, 45.449. Sommando questi tre candidati si arriva a 263.032 voti, ossia qualche centinaio in meno dei 264.730 che De Magitris ha conquistato al ballottaggio. Senza i voti della coalizione sarebbe dura anche per Masaniello. Se, invece, guardiamo al Nord, più che effetto leader, dovremmo parlare di effetto partito. A Torino e Milano, infatti, ciò che ha contribuito alla vittoria è stato l’esito del Partito Democratico che ha conquistato ovunque dei risultati ben più grandi delle previsioni. Si pensi che i sondaggi davano il Pd a Torino al 28%, e invece ha raccolto il 34,5%, e a Milano tra il 21% e il 23%, e invece ha conquistato il 28,6%. I due candidati sindaci, che comunque hanno avuto i loro meriti, hanno raccolto certamente dei voti in più delle liste che li appoggiavano (com’è naturale che sia in elezioni dirette) ma non in maniera rilevante. Pisapia e Fassino presentano entrambi indici di personalizzazione positivi ma contenuti, anzi, stando ai dati, Piero Fassino ha un effetto leader (indice di personalizzazione: 0,128) maggiore di quello di Pisapia (indice di personalizzazione: 0,122). Un vittoria è sempre il frutto di più fattori, ma, in questo caso, il successo del Pd non può passare inosservato, anche perché è la prima volta, da quando è nato, che riesce a vincere. I leader hanno il loro peso e la loro influenza, ma da soli non bastano. Per questo occorre guardare con più realismo all’apporto sostanziale che partiti e coalizioni riescono a dare. Francesco Marchianò - 8 Giugno 2011

http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article249

sabato 4 giugno 2011

Un Altro Mondo Possibile - Grecia 2011 - Italia 2012 ? Uscire dalla crisi con la decrescita, con il fascismo o con la rivoluzione ?

Oggi i mercati festeggiano il nuovo prestito alla Grecia che porterà nuovi tagli, impoverimento, disoccupazione ... nuovo debito! La società greca continua a scendere in piazza, a contestare il "sistema" ... mentre i nostri media (per evitare di darci "cattivi esempi"?) la ignorano ... senza alcuna eccezione. Non possiamo aspettarci che chi è causa della crisi sia in grado anche solo di pensare a delle soluzioni ... mentre è benissimo in grado di manipolare l'opinione pubblica, reprimere con la forza chi vuole un vero cambio, infiltrare provocatori e fomentare la violenza. La Grecia di oggi è simile all'Argentina del 2001 e potrebbe essere molto simile all'Italia del 2012 (con o senza Berlusconi) .... e allora osserviamo ciò che succede in Grecia, ascoltiamo chi propone soluzioni "rivoluzionarie" e pacifiche per opporsi a soluzioni violente ed autoritarie.
Osserviamo la Grecia di oggi, leggiamo la storia Argentina, Boliviana e Islandese di ieri... e ORGANIZZIAMO la RESISTENZA nelle nostre singole vite, nei nostri nuclei famigliari, nelle nostre città. Cerchiamo di "fare" qualcosa, piuttosto che - solo - in dignarci. Uno degli slogan "NoGlobal" era "un mondo migliore è possibile "... ieri questo slogan non aveva "appeal" perchè in molti eravamo convinti di vivere nel mondo migliore possibile. Oggi ne siamo ancora così convinti? Da megachip.info
La Grecia in cerca di un nuovo agorà di Karin Munck.
Un piccolo gruppo di studiosi e sostenitori della decrescita ha accompagnato Serge Latouche in un giro di conferenze a Creta e ad Atene. L’idea nasce dall’architetto e archeologo di passione Piero Meogrossi di Roma, che da alcuni anni cerca di portare Latouche in Grecia per coinvolgerlo in un affascinante progetto sulla decrescita a Lentas, paesino affacciato su un mare splendido, dimenticato dal mondo.
In fondo si tratta di riportare le idee della decrescita a Creta, dove in qualche modo quei temi hanno avuto origine. La decrescita è infatti da molti considerata come figlia dalla «phronesis», la saggezza greca che, nel corso della storia, è stata violentata dal «logos», cioè dalla razionalità e dal calcolo economico, che ne hanno fatto perdere le radici.
Prima di definire le date del viaggio, riceviamo varie messaggi da parte di Giorgos Kallis [greco, ricercatore all’Università autonoma di Barcellona] e collaboratore di Giorgos Lieros [veterinario, impegnato in vari movimenti ambientalisti ad Atene], che propongono una conferenza sulla decrescita al Politecnico di Atene. Insomma, non solo Creta, ma anche il centro del paese – ci spiegano – cerca soluzioni alla crisi attraverso i temi della decrescita. Un po’ sorpreso da tanta insistenza, Serge Latouche accetta la proposta.
Già all’aeroporto di Atene incontriamo i primi attivisti in compagnia di alcuni giornalisti e fotografi. Vogliono intervistare Latouche, in modo da poter uscire subito con articoli e servizi per far precedere la conferenza al Politecnico con un vasto «tam tam» informativo. Ripartiamo quindi per Heraklion, la capitale di Creta, dove ci aspetta Costas Manidakis con alcuni amici. Volti noti, sorridenti, degni di un film di Pier Paolo Pasolini. A parte il solito «kalimera, kalimera», molti ci dicono qualche parola in italiano. Costas ha studiato geologia a Modena, parla perfettamente italiano ed è da sempre un sostenitore della decrescita. Durante la dittatura dei colonnelli, da giovane si è ritirato in uno dei luoghi più abbandonati di Creta, Lentas. È lui ad aver organizzato con altri gli incontri conviviali con la società civile cretese, la conferenza all’università ! di Heraklion e una passeggiata con esperti di archeologia. La sera siamo invitati a cena con alcuni intellettuali cretesi in una casa tipica della media borghesia europea. Molti parlano italiano, anche loro hanno studiato a Modena, Bologna e Roma e si respira un’atmosfera di «solidarietà mediterranea». Le donne, attivissime, architetti e urbanisti, hanno preparato una cena profumatissima con le specialità dell’isola. Senza tanti preamboli si entra subito nel vivo del tema della serata, che poi sarà il tema centrale di tutti gli incontri pubblici e privati: il debito e il disastro sociale ed economico della Grecia. Un debito complessivo di 110 miliardi di euro: tutti pensano che il governo non abbia saputo difendere il paese dal gioco al massacro imposto da banche, Fondo monetario internazionale e Unione europea. La maggior parte della popolazione valuta la politica economica di Papandreou negativamente e molti sono convinti che il Fondo mone! tario dovrebbe essere cacciato dal paese. Ci dicono che solo un quarto della popolazione vuole ripagare il debito, mentre l’altra parte chiede di ritrattarlo. Quasi tutti sono convinti che la Banca centrale europea abbia molte responsabilità nel disastro economico greco e una parte della popolazione è favorevole alla fuoruscita dall’euro e un ritorno alla Dracme.
Il debito di Islanda e Ungheria
Latouche cita subito l’esempio dell’Islanda, di cui nessuno parla. Spiega come l’Islanda abbia deciso attraverso due referendum popolari di non rimborsare più il suo debito. «Non è vero che il debito deve essere ripagato per forza – dice Latouche – Una politica nuova, che purtroppo spesso viene proposta soltanto dalla destra, come in Ungheria, ha deciso di far pagare il debito alla banche. Non sarà né facile e né indolore, ma rispetto alla barbarie che stanno preparando i nostri governi sarà forse necessaria». Di fronte alla preoccupazione per l’euro, Latouche parla anche dell’Argentina che per superare la crisi ha usato le monete locali, i creditos o patacones, che hanno funzionato per assicurare la sopravivenza attraverso un’economia locale. Qualcuno accenna addirittura della possibilità di una fuoruscita della Grecia dall’Ue. Le analis! i e le parole di Latouche sembrano in qualche modo attese e sperate. Non pagare il debito, no alla austerità imposta, sì alla moneta nazionale e sì all’uscita dall’Ue, sembravano idee troppo radicali, ma alla luce degli ultimi avvenimenti saranno probabilmente le uniche proposte concrete per ritrovare il senso della cittadinanza ed evitare il collasso e la dissoluzione della società. Ci lasciamo quindi incuriositi: quale sarà la reazione del pubblico greco a queste proposte radicali della decrescita? Ci diamo appuntamento con i nostri nuovi amici alla prima conferenza pubblica ad Heraklion.
Noi intanto partiamo per Lentas, il piccolo villaggio di Costas, dalla parte opposta dell’isola. Creta sembra il paradiso terrestre. Una vegetazione rigogliosa, piccoli campi di ortaggi ben curati, vigneti, antichi olivi e nella montagna pecore arrampicate ovunque si confondono con le spoglie rocce. Paesi piccoli un po’ melanconici, nascosti in vallate, abbandonati da uomini e donne, in cerca di «fortuna» altrove. Con Piero, nostro amico archeologo e Costas, visitiamo Cnosso, Festo e Gortyna, tre siti archeologici di un fascino sconvolgente. La passeggiata ci distrae per qualche ora dalla Grecia disastrata e abbandonata dai mercati finanziari internazionali, anche se le rovine degli imperi passati potrebbero essere una bella metafora del crollo del mondo al quale stiamo assistendo.
Latouche è stato invitato ad Heraklion dal rettore Janis Pallikaris, un personaggio unico. È un medico oculista, inventore dell’uso del laser per la correzione della miopia, diffuso oggi in tutto il mondo, un candidato premio Nobel. Dice di essere un grande stimatore delle idee di Latouche ed è felice di introdurlo al pubblico. La sala è gremita: ambientalisti, amministratori pubblici, docenti dell’università, in prima fila anche l’arcivescovo di Creta. Tutti seguono attenti e preoccupati la relazione che comincia con l’analisi della società della crescita, «una società che vive soltanto per la crescita economica», cioè l’aumento del Pil. «La cosa peggiore che possa accadere a questa società è la non crescita, o la crescita negativa, nella quale oggi ci troviamo». La situazione della Grecia è l’ultimo esempio evide! nte. I governi si sono indebitati con le banche straniere per proseguire le loro opere faraoniche e adesso decidono di far pagare al popolo il debito obbedendo alle ingiunzioni dei mercati finanziari internazionali.
Le otto «R» della decrescita
Latouche propone quindi il progetto della decrescita, come via possibile per uscire dalla crisi e per evitare che la società cada nella disperazione e nella dissoluzione. Il progetto della decrescita viene raccontato attraverso le «otto R», tutte ugualmente importanti per entrare in un vero circolo virtuoso di cambiamento. Le tre «R» più strategiche sono quello della «rivalutazione» , la «R» della riduzione e la «R» della «rilocalizazione» [perché riguarda direttamente e da subito la vita quotidiana e il lavoro di milioni di persone]. Latouche dice che la decrescita rinnova la vecchia formula degli ecologisti: pensare globalmente, agire localmente. Se infatti l’utopia della decrescita implica un pensiero globale, la sua realizzazione può essere avviata a livello locale. Il progetto di decrescita locale comprende due elementi interdipendenti: l&rsq! uo;innovazione politica e l’autonomia economica. Tutti intuiscono che la decrescita è si una provocazione, ma anche una trama per una nuova concezione della politica per una società alternativa, la politica dell’«abbondanza frugale» che permette di ricostruire una società fondata sulla riduzione della dipendenza dal mercato.
Latouche alla fine propone anche per la Grecia la reinvenzione dei commons [i beni comuni, spazio comunitario] e dell’autorganizzazione di «bioregioni» o ecoregioni, entità spaziale omogenee che potranno coincidere con le realtà geografiche, sociali e storiche, rurale o urbane. Dalle domande del pubblico e dai tanti dibattiti con persone della società civile, è evidente come anche in Grecia si stia formando una vera propria resistenza di sinistra, che mette insieme trasversalmente movimenti, pezzi dei partiti di sinistra e verdi. Una resistenza che abbraccia gli operai delle fabbriche, le insegnanti delle scuole pubbliche, docenti universitari e dipendenti pubblici, ma anche pensionati e casalinghe: una rete costruita su grande battaglie civili per la difesa del bene comune.
Tutto questo è ancora più evidente ad Atene. Giorgos Lieros, tra i promotori dell’incontro, dice che loro «sono ben consapevoli che in Grecia non si tratta soltanto di una crisi per il debito e di una crisi finanziaria, ma piuttosto del fallimento dell’idea di sviluppo che il paese persegue da trent’ anni. Per questo chiediamo il cambiamento del paradigma economico e sociale». Di certo, sono sempre di più quelli che in Grecia conoscono le idee della decrescita e sono convinti che il paese è maturo per questa sfida.
Atene, tra crisi e decrescita
Ci avviciniamo ad Atene. Dall’alto la città resta bellissima, sembra una grande tovaglia ricamata nei colori della sabbia che si stende sul Mediterraneo, larga, solare, apparentemente tranquilla. A differenza di molte altre città europee, non ci sono i grattacieli delle compagnie petrolifere e delle banche, nulla fa sembrare Atene dall’alto al centro del dibattito mondale per il disastro economico. Ma già all’aeroporto i colori cambiano: veniamo subito accompagnati da un gruppo di militanti verdi che cercano di trasformare il vecchio aeroporto in un bioparco per la popolazione con orti e spazi pubblici verdi, dal momento che Atene è una delle città con meno verde pro capite al mondo. La costruzione del nuovo aeroporto, costruito in occasione delle Olimpiadi del 2004, oltre a essere una delle cause del grande debito pubblico della Grecia, ha lasciato un enorme deserto di cemento qua! si nel centro della città. Si resta davvero shoccati visitando questa immensa area dell’aeroporto abbandonata da quasi dieci anni, in balia dei politici indecisi, che adesso dicono di aspettare i soldi degli emirati Arabi per costruirci il Las Vegas di Atene. Progetti folli, decisi naturalmente sulla testa dei cittadini, nonostante il sindaco di Atene sia stato eletto grazie ai voti delle liste civiche di sinistra. L’area é supersorvegliata, sembra di entrare a Chernobyl, e non appena cerchiamo di fare qualche foto, nonostante fossimo accompagnati anche da un parlamentare, siamo cacciati brutalmente dalla sorveglianza. Nel centro storico si nota la presenza della polizia un po’ ovunque. Giorgos Kallis dice che il debito creato dal governo «giustifica oggi qualsiasi politica di tagli alla cultura, alla sanità e ai servizi sociali». Via libera alla distruzione dei contratti di lavoro, i sindacati e riduzione del salario fino al quaranta percento. Privatizzazione di edifici pubblici e svendita di proprietà dello stato. Aumentano le tariffe dei servizi e dei trasporti. Tagli ai contributi alle famiglie bisognose, taglio agli aiuti ai disoccupati, licenziamenti nella pubblica amministrazione, la disoccupazione reale è già più del venti percento. «Si è ormai entrato in una recessione permanente, una dichiarazione di guerra continua verso gli strati più deboli – aggiunge Giorgos – Il popolo risponde con scioperi e manifestazioni».
Il rischio di una svolta a destra
Secondo Giorgos Kallis e altri oggi il pericolo di una svolta a destra in Grecia è di nuovo presente. Molti gruppi di estrema destra danno la caccia ai migranti. Lo schema è diffuso in tutta Europa. Anche ad Atene lo straniero è il nemico. Si cerca di scatenare la guerra tra poveri per distrarre attenzione «dai veri responsabili, le banche e il governo, incapace e corrotto. Si cerca di denigrare i movimenti della società civile, i verdi e il Partito comunista, che in Grecia hanno ben individuato nel capitalismo globale la prima causa del dissesto sociale ed economico del paese. In futuro la violenza dei fascisti potrà giustificare un colpo di stato, se il parlamento non riuscirà a garantire la convivenza democratica», avverte Giorgos.
Per l’incontro con Latouche presso il mitico Politecnico di Atene [dove cominciò la rivolta nel 14 novembre 1973 contro i colonnelli], ci sono molte persone. Scritte ovunque, qualche bandiera, qualche banchetto di solidarietà con i popoli insorti del Nord Africa. Il Politecnico sembra un grande centro sociale. Una sala a forma di anfiteatro, già gremito di giovani e anziani, seduti su vecchi banchi sgangherati, ormai pronti per nuove rivoluzioni. Ci sentiamo subito a casa.
Prende parola Giorgos Kallis. Improvvisamente una ragazza si alza e se ne va urlando. Dopo ci spiegheranno che aveva proposto lo spostamento dell’assemblea in strada, in solidarietà con un altro ragazzo migrante aggredito nel pomeriggio da un gruppo di fascisti. «La crisi è stata uno shock, ma non è solo finanziaria ed economica – dice Latouche nel suo intervento – Siamo di fronte a una crisi ecologica, sociale, culturale, una vera crisi di civiltà, cominciata in realtà negli anni Settanta. Finirà solo nel 2050, quando avverrà l’esaurimento delle risorse energetiche fossili. Quindi la sola possibilità auspicabile è la costruzione di una società di sobrietà condivisa, di decrescita, che passa attraverso un cambiamento dei paradigmi, una nuova spartizione della ricchezza, insomma per l’uscita dal capitalismo». Per questi motivi, Latou! che dice che la crisi può aiutare anche la Grecia: «L’alternativa esiste già, ma è spesso poco visibile. L’alternativa non è l’austerità né il rilancio tradizionale dell’economia ma l’uscita della società della crescita. Siamo sotto la minaccia di una deflazione mondiale, e la speculazione contro gli stati soffoca continuamente l’emergere di una vera alternativa». In un secondo momento, Latouche descrive una possibile filosofia della decrscita e accenna brevemente ad alcune idee per un programma politico, per soffermarsi su un punto importante, il lavoro. Dice Latouche: «Non è vero che lo sviluppo produce e crea lavoro, anzi la concorrenza e l’automazione distruggono i posti di lavoro. Bisogna trovare una via d’uscita dato che non ci sarà una ripresa del lavoro, diventerà una risorsa scarsa, dobbiamo condividerlo. Lavorare meno per lavorare tutti. Dobbiamo pretendere il reddito di cittadinanza. Bisogna fare pressione sugli stati, attraverso programmi politici. Dobbiamo chiedere anche la riduzione dell’orario di lavoro per dare occupazione a tutti». La proposta di lavorare meno per lavorare tutti e vivere meglio viene accolta con un grande applauso.
Latouche parla anche, brevemente, dell’Europa: «L’euro è pilotato dalla Bce, e non lascia alcuna possibilità per attuare una autonoma politica monetaria e di bilancio. Gli stati europei si sono lanciati in una concorrenza fiscale al ribasso, senza attuare vere riforme e oggi sono vittime dei propri numerosi errori, difficilmente riparabili. L’Europa sta già crollando. I governi si affannano a varare molti piani per salvare i propri paesi ma non esiste un piano per salvare l’Europa». Chiude, infine, proponendo l’idea dell’«abbondanza frugale, l’unica via d’uscita, dato che la nostra società di oggi, non è una società di abbondanza vera, ma soltanto una società di frustrazioni. L’unica possibilità per creare abbondanza vera è la frugalità. Se sappiamo tutti limitare i nostri bisogni allora possiamo s! oddisfarli. Dobbiamo combattere la mercantilizzazione del mondo, l’arricchimento di pochi a spese di milioni di poveri. Il mercato globale non sta distruggendo solo il tessuto sociale ma anche la natura e gli ecosistemi al livello mondiale. La società della crescita nega l’essere umano stesso, la sua condizione umana». Il dibattito prosegue con diverse domande e altri interventi. Quando usciamo dal Politecnico è quasi mezzanotte. Una signora ci lascia un biglietto, in cui si legge: «Grazie per averci portato la Speranza».
Lo sciopero generale dell’11 maggio
Il giorno dopo, l’11 maggio, è in programma il viaggio di ritorno a casa. Siamo dispiaciuti di non poter partecipare al grande sciopero generale nazionale, previsto proprio quel giorno. Ma arriva la buona notizia: la partenza del nostro aereo è rimandata a causa dello sciopero. Decidiamo subito di sostenere i compagni greci del Workers militant front, promotori della sciopero. Il corteo parte proprio nel nostro quartiere di fronte al museo di arte antica. Arrivano decine di miglia di persone con striscioni, di tutti i colori, enormi, in sui si legge: «No al debito! No alla privatizzazione! No alla disoccupazione! Burocrati andate a casa!». «Più servizi sociali!». «No alle misure anti-operaie del governo!». «No all’Unione Europea dei capitalisti! No al Fondo Monetario Internazionale! No alla BCE, la plutocrazia del paese!». «No al terrorismo dei padroni! No al cap! italismo, No all’Imperialismo!». «No alla flessibilità e alla precarietà! No ai sindacati corrotti che trattano con i padroni sulla nostre pelle!». «L’Operaio può fare a meno dei padroni!». «La barbarie non può essere umanizzata! Si alla resistenza! Si alla salute! Si al autonomia! Si alla vita!». «Noi la crisi non la paghiamo!». «Vogliamo una società senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Dopo pochi giorni dalla Grecia ci arriva un messaggio di Giorgos: dice che la giornata dello sciopero generale si è conclusa male per colpa di alcuni infiltrati che hanno provocato l’attacco da parte delle forze speciali della polizia. Ci sono stati molti feriti gravi. Nel centro di Atene ci sono di nuovo i gruppi di fascisti in azione, sono responsabili di veri pogrom, con i quali vengono aggrediti i migranti e chi solidarizza con loro. E dai giornali leggiamo che i progetti di privatizzazione continuano per permettere una ristrutturazione soft della Grecia…

[Karin Munck, «obiettrice della crescita», medico, è stata per molti anni direttrice artistica e scientifica del Prix Leonardo, festival internazionale del film scientifico e ambientale. Dal 2003 accompagna Serge Latouche documentando la nascita del movimento internazionale della decrescita].

Fonte: http://www.carta.org/2011/05/la-grecia-in-cerca-di-un-nuovo-agora/.

"Uomini contro" - Un contributo di idee per "ripensare" il 2 Giugno

C’è un film dell’ormai lontano 1970 intitolato “Uomini contro”, ambientato sulle pietraie del Carso durante il primo conflitto mondiale. È narrata la vicenda dei giovani Tenenti Sassu, Ottolenghi, Santini e Avellini. Per chi non lo ha mai visto, “rovino” subito il finale: moriranno tutti. Uccisi dall’incapacità dei loro superiori, in special modo di quella del Generale Leone, infarcito e traboccante di quella retorica della guerra giusta, vittoriosa, eroica, “sola igiene del mondo” come la definirà qualcuno. È un film contro la guerra. Contro tutte le guerre. E, soprattutto, contro il ben pensare della vittoria del 4 novembre, del Piave e degli eroi morti in trincea. Toccò nel profondo “Uomini contro” e fece storcere il naso alle Forze Armate dell’Ital! ia degli Anni Settanta. Il regista, Francesco Rosi, si documentò a lungo prima di girare il film, riproducendo nei minimi particolari scenari e costumi. Senza addentrarci troppo nella trama, basti sapere che la visione di “Uomini contro” può far rinascere in noi quel senso di attaccamento all’Italia ormai da tempo svanito: non un senso di invasamento o di estremismo, di persone pronte a sacrificarsi per il suolo natio, ma un senso di pietà e d’amore verso quei 650.000 soldati che non fecero più ritorno a casa. Il film ci mostra, infatti, il lato più umano dei soldati, “morti di fame che combattono contro altri morti di fame”, dirà il Tenente Ottolenghi durante un assalto ad una postazione austriaca: giovani contadini strappati alla loro terra, alle loro case e alle loro famiglie e mandati a combattere una guerra per loro sconosciuta. Pochi sapevano chi era l’Arciduca Francesco Ferdin! ando assassinato a Sarajevo il 28 giugno 1914, pochissimi riuscivano a comprendere i delicati equilibri internazionali che tale attentato causò in Europa. Forse non lo sapevano nemmeno i capi di stato e di governo della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa. C’è una scena nel film che colpisce al cuore, che ti porta il groppo alla gola: la decimazione. Soldati che da troppo tempo si trovavano in prima linea verranno fucilati perché chiedevano un periodo di riposo. Mangiavano in gavette arrugginite sotto il fuoco dell’artiglieria, dormivano in mezzo ai pidocchi e ai topi, nel naso l’odore della carne in putrefazione. E i generali seduti comodamente al caldo. Chi non si sarebbe ribellato. Per questo, sono film come “Uomini contro”, che fanno comprendere la nostra storia, spesso dimenticata e ignorata negli archivi di qualche ricercatore. Per questo motivo può unire gli Italiani più un film antimilit! arista come “Uomini contro”, piuttosto che le narrazioni ipocrite di un’ipocrita epopea: un sentimento nazionale non scaturito dalle vittorie e dal passaggio del Piave il 24 maggio, ma dalle vicende umane dei protagonisti del film. Da quei protagonisti della storia che hanno vissuto sulla propria pelle gli assalti alla baionetta, i bombardamenti, le sofferenza della trincea.
Nessuno di loro voleva essere un eroe, dato che gli eroi sono spesso persone morte. E, forse, non lo voleva essere nemmeno Enrico Toti, il bersagliere che scagliò la stampella contro gli Austriaci sul Carso se avesse potuto vedere come sarebbe stata ridotta l’Italia quasi 100 anni più tardi.

venerdì 3 giugno 2011

QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - ASSEMBLEA PUBBLICA NAZIONALE

Si invita a partecipare all'Assemblea pubblica "QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE" per ricordare Oscar Marchisio. Più di un anno fa, Oscar Marchisio se ne andava per sempre. In viaggio lo è sempre stato, quasi per abituarci alla sua assenza e ad imparare a far da soli. Ora sono cambiate le capacità / volontà permanenti del suo ricordo da parte di ciascuno di noi, orgogliosi di averlo conosciuto, frequentato, "usato" intellettualmente e politicamente, capacità / volontà collettive di conservare e far fruttificare i frammenti del suo agire come lasciti individuali da ricomporre. Ricordarlo, dunque, come se dovesse tornare a donarci ancora i "prodotti" della sua mente, gli stimoli "a fare" del suo prezioso operare teorico-politico e culturale. Dal punto di vista politico-programmatico - refrattario alla deriva "commerciale" del sistema dei partiti, sempre più assortito [http://www.socialmente.name/ ] - Oscar Marchisio, anche in occasione delle elezioni amministrative '09, ha guardato con sincero interesse ed "occhio critico" all'esperienza di Bologna Città Libera, constatando la reale "logica concorrenziale" sussistente tra il "mercato mainstream" e post-neo organizzativo delle "sinistre" contrapposto ad "etichette" più o meno "indipendenti" (ad esempio, la tendenza neocivica insita in B.C.L.) e di leadership eterno-emergenti. In mezzo, una marea di "soggetti" che o muoiono dopo le prime "battaglie" pubbliche - avvezzi solo alla virtualità reticolare - o emigrano verso "mercati" che meglio remunerano (sottobosco del mondo sindacale, politico, culturale, mediale). La "TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO" è - a contrario - una sincera espressione di rifiuto di tali melmosi andazzi. E' una raccolta di energie (donne e uomini liberi che si incontrano nelle autentiche relazioni territoriali e sociali antagonisticamente orientate contro la "società del capitale" e si autodeterminano) che hanno il polso della "situazione" e manifestano la coraggiosa volontà di industriarsi nel costruire un'alternativa forma di vita popolare - umile e forte - dal respiro strategico ed efficace nel risultato, inaridendo definitivamente le visioni e le prassi dei mesterianti ed aspiranti stregoni.
Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in giuoco è la libertà d'esistere.

DATA IPOTIZZATA: 31 Ottobre 2011, tutto il giorno
Luogo: Città nell'area metropolitana bolognese
Via: Ubicazione in corso di individuazione
Sito web: http://cprca2010.blogspot.com/ - http://cprca2010.ning.com/ -
Telefono: 3393314808 (per primi contatti, preferibili sms di presentazione)
Tipo di evento: Assemblea pubblica
Organizzato da: Giovanni Dursi (costituendo Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva - CPRCA)

mercoledì 25 maggio 2011

REFERENDUM 12 e il 13 giugno 2011

Il 12 e il 13 giugno 2011 si terrà in Italia un referendum suddiviso in 4 quesiti: uno riguarda il legittimo impedimento, istituto giuridico che permette all'imputato, in alcuni casi, di giustificare la propria assenza in aula, due riguardano la privatizzazione dell’acqua e uno ruota attorno al ritorno dell’energia nucleare in Italia.
Trattandosi di referendum abrogativo, ai cittadini verrà chiesto di abrogare o meno alcune norme esistenti, o loro parti, riguardanti le tematiche di cui sopra.

Più semplicemente, ogni quesito sarà del tipo “vuoi abrogare la norma x?”. Rispondendo “No” si esprimerà la proprio volontà affinché la norma rimanga vigente, al contrario, rispondendo “SI’”, si opterà per la sua abrogazione. Affinché le votazioni siano valide si deve raggiungere il quorum: è necessario, cioè, che vada a votare il “50% + 1” degli aventi diritto (circa 25 milioni di italiani).

Cos’è il referendum
La parola referendum riprende il gerundio latino del verbo refero, "riferisco" (nella frase ad referendum, "[chieder dei documenti, ecc.] per riferire")[1], e indica comunemente lo strumento attraverso cui il corpo elettorale viene consultato direttamente su temi specifici; esso è uno strumento di democrazia diretta, consente cioè agli elettori di fornire - senza intermediari - il proprio parere, o la propria decisione, su un tema oggetto di discussione.

I referendum in Italia
I referendum in Italia sono di numerose forme.
Solo le tipologie contemplate dalla Costituzione italiana ammontano a quattro: il referendum abrogativo di leggi e atti aventi forza di legge (articolo 75), quello sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale (articolo 138), quello riguardante la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni (articolo 132 comma 1), quello riguardante il passaggio da una Regione ad un'altra di Province o Comuni (articolo 132 comma 2). Inoltre è previsto, all'articolo 123 comma 1, che gli statuti regionali regolino l'esercizio del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione.
Nel 1989 una legge costituzionale ha consentito che, in occasione delle elezioni del Parlamento europeo, si votasse anche per un referendum consultivo sul rafforzamento politico delle istituzioni comunitarie.
Altri referendum a livello comunale e provinciale sono poi previsti da fonti sub-costituzionali.
Il 2 giugno 1946 si svolse in Italia il primo referendum istituzionale con il quale i cittadini furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia.

Quando, come e dove si vota
I referendum si terranno in tutta Italia Domenica 12 giugno dalle 8 alle 22 e Lunedì 13 giugno dalle 7 alle 15.

Si voterà nel proprio Comune di residenza, nella sezione elettorale indicata sulla propria tessera elettorale.

Gli elettori dovranno esibire al presidente del seggio la tessera elettorale ed un documento di riconoscimento e riceveranno da un componente del seggio 4 schede di diverso colore ognuna con un quesito e due caselle con su scritto “SI’” e “NO” sulle quali bisognerà apporre una croce: per votare “SI’”, e quindi per abrogare la norma oggetto del quesito, bisogna barrare la casella del “SI’”. Viceversa, per votare “NO” e mantenere la norma già esistente, bisogna barrare la casella del “NO”.

Calendarizzazione e critiche
La legge vuole che i referendum abrogativi si tengano in una data compresa il 15 aprile e il 15 giugno e comunque non prima che siano passati almeno 365 giorni dallo svolgimento dell'ultimo suffragio nazionale.

In un primo momento, era stato proposto l'accorpamento del referendum al primo o al secondo turno delle elezioni amministrative del 15-16 maggio 2011, poi, il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha optato per la divisione delle due consultazioni dichiarando che il referendum si sarebbe svolto il 12 e 13 giugno “secondo una tradizione italiana che ha sempre distinto le due date”.

La scelta è stata critica dai comitati promotori e dall’opposizione sia per l’evitabile spesa che va dai 300 ai 400 milioni di euro, sia perché vista come un tentativo di non fare raggiungere il quorum necessario, 50% + 1 degli aventi diritto al voto, vista lo collocazione del referendum poco distante dalle elezioni amministrative che inoltre, in alcune parti d’Italia dove si andrà al ballottaggio, si svolgeranno in due turni.


Primo quesito (Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione)
Volete voi che sia abrogato l'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?

Viene chiesto se abrogare del tutto la norma sulla privatizzazione dell’acqua.

Votare “SI’” per abrogare la norma (lo Stato prenderebbe di nuovo in mano la gestione dei servizi idrici, togliendola ai privati).

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa.


Secondo quesito (Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma)
Volete voi che sia abrogato il comma 1 dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», limitatamente alla seguente parte: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito»?

Viene chiesto se abrogare o meno una norma limitatamente alla parte riguardante la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.

Votare “SI’” per abrogare questa parte della norma che permette il profitto/guadagno, e non soltanto il recupero dei costi di gestione e di investimenti, nell’erogazione del bene Acqua potabile.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa e che chi eroga il servizio idrico ne tragga un profitto.


Terzo quesito (Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme)
“Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Diposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributarla, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare?”.

Il quesito è stato abbreviato in quanto molto lungo e articolato. Anche qui si tratta di abrogazione parziale di una parte del Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito poi con modificazioni nella Legge n. 133 del 6 agosto 2008.

Votare “SI’” per abrogare questa parte della norma che consente il ritorno delle centrali nucleari in Italia.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa che non consente la costruzione di tali impianti sul territorio nazionale.

La costruzione di centrali nucleari in Italia era consentita fino al 1987, anno successivo al tristemente noto disastro di Cernobyl e nel quale si tennero referendum sull’argomento. In quell’occasione circa l’80% dei votanti si di rivelò contrario all’utilizzo dell’energia atomica, le 3 centrali funzionanti vennero chiuse e altre non ne vennero più costruite.


Quarto quesito (Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale)
Volete voi che siano abrogati l'art. 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, e l'art. 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante «Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza», quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 13-25 gennaio 2011 della Corte costituzionale?

Come anticipato prima, il quesito è stato proposto dall’IdV ed è stato autorizzato dalla Corte di Cassazione dopo la dichiarazione di parziale incostituzionalità della norma in questione.

Votare “SI’” per abrogare i sopracitati articoli e se si è contrari, quindi, al fatto che alte cariche dello Stato, come Presidente del Consiglio e Ministri, per esempio, possano. Laddove citati, non presentarsi in Tribunale adducendo a impegni di governo.

Votare “NO” se si desidera che rimanga vigente l’attuale normativa-scudo nei confronti del sistema giudiziario.


Qualunque sia la nostra posizione sugli argomenti oggetto dei 4 quesiti referendari, l’importante è ANDARE A VOTARE per adempiere al proprio DOVERE e per esercitare il proprio DIRITTO.

mercoledì 11 maggio 2011

Emergenza e guerrra: Scelta politica della Babele post-moderna - through europe


http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/emergenza-e-guerra-scelta-politica-della-babele-post-moderna

Giovanni Dursi, 54, has studied and studies Philosophy and Social Sciences and works as a high school teacher in Bologna; He has also been professor of Philosophy of Education at the Department of Education, University of Urbino.
In the late '70s, he joined the anti-capitalist movement and the “ideas' struggle”, by publishing for various magazines, periodicals and newspapers. In particular, he developed the question of Marxism in educational, sociological and linguistic content.
He now deals with management training in the knowledge society and public communication, on behalf of a number of local administrations in Italy.
He is co-editor of the magazine Bologna "Zero in condotta" [http://www.zic.it/] and he took part in the political experience of the new civic organization Bologna Free City [http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi].

venerdì 1 aprile 2011

Roma, il 2 e 3 aprile 2011 - Terza Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti - Centro congressi Cavour - Via Cavour, 50/A


Ben scavato vecchia talpa! Dalla crisi di civiltà del capitalismo una nuova opportunità per i comunisti - 3° Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti
ROMA 2-3 Aprile 2011

http://www.contropiano.org/it/archivio-news/editoriale/item/500-la-3°-assemblea-nazionale-della-rete-dei-comunisti
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/ManifestoPolitico3AssRete.pdf
http://www.contropiano.org/Documenti/2011/Aprile11/3AssembleaNazReteComunisti.pdf

Corpi

Dai fatti drammatici di Tunisia (dal decesso, per le gravissime ustioni riportate, di Mohamed Bouazizi, giovane disoccupato tunisino che per protesta si è dato fuoco, incendiando la rivolta che dalla città di Sidi Bouzib ha contaminato altri Paesi arabi) alle mattanze di Libia e Siria (tributo ad un cambiamento inarrestabile e di lungo periodo perché si appoggia su una maggioranza di giovani che uniscono nella lotta l’esigenza di migliori condizioni materiali di vita con la voglia di libertà e di una nuova identità anche diversa da quella culturale e religiosa), la genericità ed evanescenza di ogni discussione geopoltica e di natura scientifico-sociale si mostrano in tutta evidenza.

Il dato primordiale – al quale necessariamente risalire e sul quale doverosamente riflettere – è il corpo messo a repentaglio, non certo un'ambivalente “rivolta precaria cognitiva” che unificherebbe, con la presunta consapevolezza d'una forte “rappresentazione teorica”, gli ambiti sociali e, di risulta, politici euromediterranei. Come sostenuto da alcuni filosofi (R. Bodei) “... Il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto con il mondo … l’uomo non ha un corpo, ma è un corpo. Seguendo questa concezione, corpo ed anima non sono separati. Pure ammettendo che tale separazione ci sia, il corpo può fungere da veicolo per la crescita e per la grandezza dell’anima ...”. Già F. Nietzsche in ”Ecce homo” affermava “Che si sia imparato a disprezzare gli istinti primari della vita; che si sia finta l'esistenza di un'anima, di uno spirito, per fare andare in rovina il corpo; che si sia imparato a considerare come qualcosa di impuro ciò che è il presupposto della vita, la sessualità”.


Certo è significativo che i sommovimenti gravidi di cambiamenti “reali” accadano dopo l'appropriazione di tecniche e forme universali nella comunicazione sociale in grado di mobilitare le coscienze da parte di popoli oppressi. Ciò che contraddistingue la fenomenologia delle rivolte arabe e ne configura andamenti ed esiti prossimi, non è però la “modalità” aggregativa e potenzialmente rivoluzionaria del presunto valore aggiunto della “conoscenza” incorporato nell'uso proprio – critico, sociale, mobilitativo – delle risorse della “rete”. Viceversa, è la “datità” del corpo messo a repentaglio, è l'esistenza in vita messa in gioco a dare prospettiva, significato, drammatica autenticità ai comportamenti adottati. Forme di lotta radicali, tanto irriducibili ad ogni ipotetico disegno teorico-politico quanto necessarie, per andare oltre gli angusti liberticidi limiti di civiltà: la morte fisica, unica seria posta in gioco. Il presente impone di dotarsi di adeguati strumenti concettuali per affrontare i nuovi ambiti di ristrutturazione sociale che caratterizzano i conflitti emergenti, la storia di chi esce rabbioso da putride stive, i “vissuti” individuali e collettivi dentro la crisi organizzativa del capitale globale. È il sentire corporeo l'elemento comune alla molteplicità dei fenomeni relazionali ed affettivi (passioni, sentimenti, emozioni, stati d’animo) della travagliata contemporaneità. Il corpo è l'elemento mutogeno, ma comune, imprescindibile che non deve “lasciar valere alcuna datità” ulteriore che non permetta di conoscere in modo rigoroso l’esperienza umana, le pratiche agite, i significati attribuiti all’esperienza, le teorie costruite sui vissuti. Significa prestare attenzione ad ogni oggetto non nelle sue qualità ideali, ma nei suoi tratti individuali specifici e questi oggetti non sono altro che i corpi.


Negli ultimi anni l'ICT ha artificializzato non poco le relazioni sociali, se non per tutti, almeno per tanti; aver dato uno sguardo al mondo attraverso la “rete” ed essere usciti da un’ottica ristretta tribale o di comunità locale non corrisponde obbligatoriamente ad una liberazione a portata di mano o ad una auspicata, quanto inconsistente, democratizzazione dei rapporti sociali. Non a caso i “nativi digitali” ed i competenti teorici della cognizione reticolare sembrano trascurare la persistenza dell'esclusione dal “mondo di InterNet” di miliardi di persone dalla fruizione libera e consapevole di informazioni. Il movimento anti digital divide deve essere ancora inventato, non è una priorità da parte di chi cerca intelligentemente di contrastare la dittatura politico-cognitiva dei regimi oligarchici (in occidente quanto altrove insediati) che si traduce, sul versante storico, in brutali repressioni attuate dall’esercito, dall’aviazione e, se del caso, dai mercenari, che hanno già causato migliaia di morti, mutilati, feriti nelle piazze e nelle strade, da decenni, non solo di Bengasi e di Tripoli. Per questi motivi, non si tratta solo di condannare il massacro in corso, assumendo urgentemente tutte le iniziative necessarie a salvaguardare la vita e la sicurezza della popolazione in rivolta e in fuga dai massacri; la pace e la stabilità in tutto il Mediterraneo, si potranno raggiungere solo con l’instaurazione delle democrazia popolari, con il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali che sono alla base di ogni sviluppo sociale e condizione per risolvere anche il problema delle migrazioni senza accoglienza. Essere oggi a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e dei disoccupati che in questi giorni stanno riempiendo le piazze per chiedere democrazia, libertà, dignità e lavoro ovunque nel mondo martoriato dal capitalismo globale che mercifica l'esistenza alla stessa stregua del petrolio, vuol dire assumere la visione integrale del corpo quale unico, ultimo strumento di liberazione effettiva. Corpi nudi, dunque, poiché insofferenti ormai alla morte civile, mentre rischiano la mera persistenza biologica. Gli insorti di Bengasi qualcuno pensa siano strumentalizzati e certamente i servizi segreti occidentali sono nel teatro di guerra; troppe armi per una rivolta la cui forza autentica è nella generalizzazione dell'intifāda come estremo, irrimediabile sacrificio umano per le comunità a venire. Fermare i carri armati, qui vuol dire esserne calpestati. L'estraneità timorosa che provano gli osservatori europei nell'assistere a questi eventi, la loro lontananza determinata dalla non comprensione delle dinamiche interne ai paesi arabi islamici chiusi per le masse ad ogni possibile contatto con altre culture foriere di forme avanzate di partecipazione, sono le spie rivelatrici di uno status che deriva dall'appartenere al cosiddetto mondo “opulento” e “liquido”; questo status non permette più di superare l'omologato istinto di conservazione individuale e collettiva in modo tale da compromettere il senso proprio dell'esistere quali soggetti subalterni. Le rivolte dei corpi morituri per rigenerare “vita” nella metropoli capitalistiche del terzo millennio non si verificano e per quanto pronti le nuove generazioni al gioco della testimonianza critica, della protesta, delle prassi di lotta rivendicativa, della contrarietà alle politiche governative, per quanto alfieri d'una inedita partecipazione da protagonisti ai circuiti globali dell'informazione, non insorgono mostrando impulsi etici, pre-politici assimilabili ai partigiani della metà degli anni '40 del Novecento che guerreggiarono contro il nazi-fascismo. I partigiani hanno avuto lo stesso scatto interiore, la stessa saldezza, la stessa triste gioia di vivere rischiando la morte degli odierni impavidi rivoltosi arabi. Ai morti di allora e di oggi che si deve il ritorno nella storia della speranza. Il debito contratto con quei corpi sepolti è inestimabile. C'è qualcosa che accomuna la Resistenza armata europea scaturita dal secondo conflitto mondiale alla rivolta dei popoli arabi, al di là di ovvie diversità di contesto e di epoca, e non è un'analoga composizione sociale ancora da decodificare né, tantomeno, una comoda immaginazione sociale (produttiva di convegni, conferenze, rassegne telematiche, gruppi di discussione su InterNet, articoli, flash mob) contro la sofferenza che di per sé possono rappresentare la via di uscita dalle plurime forme del dominio capitalista sulla vita di miliardi di uomini. La prossimità sociale delle due coste del mar Mediterraneo non serve più di tanto a far circuitare la ribellione e la rivolta; servono corpi che si scagliano contro, serve immolarsi. Questa realtà atroce e ultima, pur avendo diverse originarie antropologie e datazioni, è sostanzialmente ancora tutta attuale per il tipo di problematica affrontata: quella della liberazione umana. Saper rinunciare alla vita non è la stessa cosa della semplice denuncia dei tentativi di un suo smantellamento economico-sociale, svuotamento spirituale o alienazione perenne. È il vero “processo di costituzione” della socialità. Per chi sopravvive. Grazie a chi non c'è più, a corpi ormai immoti, sublimi e coraggiosi.

giovedì 31 marzo 2011

Comunicazione e lottte

Il linguaggio della guerra

Diventa sempre più difficile oggi parlare di altro che non sia il tema della guerra. Diventa quasi impossibile, ad esempio, parlare di problemi contrattuali e vertenziali, quasi che si possa apparire come degli egoisti che non pensano ad altro che al proprio "meschino particulare". Eppure è proprio vero il contrario, ed è ciò che si deve invece fare, seppure con una necessaria coscienza più allargata, ovvero "di classe" e globale.Il vocabolario della guerra, il suo linguaggio è fatto apposta proprio per coprire la voce e le parole dei lavoratori, perchè sono essi i bersagli di ogni guerra dei padroni. La solita guerra (di classe) che i padroni, incessantemente, rivolgono ai lavoratori cambia talvolta di forma, mai di sostanza.
La politica è guerra senza spargimento di sangue; la guerra è politica con spargimento di sangue. Siamo portati a credere che non esista alcun nesso tra questioni ritenute "sindacali" (come leggi di precarietà, abbassamento di diritti e di salari, licenziamenti e chiusure di fabbriche, etc...) e guerre combattute con ordigni bellici. E' questo, in soldoni, il pensiero dominante in ogni paese. Chi indica in Roma ladrona l'origine delle sue sofferenze, chi negli immigrati, chi negli impiegati pubblici, e chi ancora negli operai improduttivi, mente sapendo di mentire. Costoro sanno che l'origine della povertà, in un mondo ricco di ogni bene di consumo, non è altri che il Capitale e la sua legge del Profitto. E' sempre il Capitale che ordina e riordina, a suo esclusivo vantaggio, le leggi che regolano i diritti (borghesi), i contratti e le stesse gerarchie tra i vari paesi, anche tra quelli imperialisti. Laddove non è sufficiente la mediazione "politica", il Capitale non esita ad adoperare i mezzi bellici, e lo fa indipendentemente dal fatto che il Presidente Supremo (a stelle e strisce) sia un reazionario petroliere texano o un raffinato fighetto democratico di colore. E' sempre il Profitto a dettare le regole, le parole e le azioni. Non comprendere ciò equivale a non vedere la foresta dietro l'albero. La crisi di un modello. Siamo anche portati a credere che non possa esistere altro modello sociale che non sia quello "occidentale e democratico", e che tutto ciò che non vi si conformi sia destinato, prima o poi, a doverlo fare. Siamo portati a credere che ciò avvenga "naturalmente", magari perché ritenuto "vantaggioso" per chiunque, compresi i "buoni selvaggi" che ancora ignorano tanta bontà. Siamo convinti che quel modello sia l'incarnazione della Civiltà e del Progresso quando non anche la Fine della Storia. Invece, in buona parte del pianeta terra, questo modello viene rifiutato esplicitamente o, magari, applicato appena un po' diversamente, ovvero con "correttivi" e varie "interpretazioni" locali. Peccato che oggi, in piena crisi di quel modello di accumulazione capitalistica, anche ogni più piccola "variazione" rappresenti una seria minaccia ad un ordine imperialista che, proprio in virtù di questa crisi, non può che reggersi su una mera supremazia militare (con buona pace della "diplomazia" politica...) e sulla rapina di ogni fonte energetica. Ergo, il warfare state (lo stato di guerra permanente) è il paradigma di ogni ambito civile e sociale del nuovo millennio. Anche nel più misero e ridotto contratto di lavoro.Il battito d'ali di una farfalla in Giappone può produrre una tempesta in Occidente. In Giappone si è avuto il più disastroso evento naturale che la mente umana ricordi (seppure non manchino ipotesi più inquietanti e, per questo, definite "complottiste"...). Un terremoto devastante ed uno tsunami di proporzioni gigantesche ha spazzato buona parte del paese causando molte migliaia di vittime (ancora imprecisate) e danni sicuramente superiori a quelli della Seconda Guerra Mondiale. Eppure il popolo giapponese, uso ad una consolidata tradizione di operosità ed efficienza, è già in grado di rimediare - a tempi da record - a gran parte di questi danni, dimostrandoci che i danni della natura, per quanto tragici, sono comunque arginabili. Dove, purtroppo, non si potrà porre rimedio (non in maniera efficace, almeno...) sarà ai danni causati dalla mano dell'uomo, ovvero al suo delirio nucleare. Sarà questo, infatti, il punto dolente che rimarrà per secoli a venire, avvelenando acque e terre giapponesi, ma non solo giapponesi... I destini di ogni popolo sulla faccia della Terra non sono mai stati così intrecciati come nell'era della moderna "globalizzazione". Non perchè, come su detto, ciò sia avvenuto per un naturale e pacifico sviluppo delle relazioni umane, quanto piuttosto per la violenza delle leggi di un Capitale alla ricerca incessante di nuovi mercati e nuove aree di sfruttamento. Uno sfruttamento che, come si sa, non si limita all'estrazione di plus valore dal lavoro umano, bensì si estende allo sfruttamento selvaggio della natura e si fa beffe di ogni limite ecologico. Ebbene, il nucleare è l'apoteosi del sogno di dominio del Capitale. Una centrale nucleare racchiude in sè il massimo di concentrazione e di intensità di investimento finanziario e tecnologico; il massimo di controllo politico e militare di un apparato, a tutti gli effetti paragonabile ad un'arma di distruzione di massa, gestito da una ristrettissima tecnocrazia a livello mondiale. Una centrale nucleare è il controllo totale di un intero paese e condiziona i destini - ecologici ed economici- di tanti altri paesi, non necessariamente confinanti o vicini. Mutatis mutandis, sono essi i veri e propri "padroni del vapore" del terzo millennio. E sono e saranno sempre più loro a voler dettare le regole, anche se dovessero - temporaneamente, si badi! - mettere nel cassetto ogni ipotesi di nuovi impianti nucleari. Il petrolio. Ricchezza per i paesi imperialisti, disgrazia per chi lo possiede. Seppure sarà l'acqua il liquido sempre più prezioso e futuro bene che scatenerà guerre di conquista, non si esaurisce certo oggi la lotta per il possesso del liquido infiammabile oggi più importante per i cosiddetti "paesi civili", il petrolio. Chi lo possiede, e magari lo gestisce anche a vantaggio del popolo del suo paese, è agli occhi dei paesi occidentali, ovvero delle loro multinazionali petrolifere, un pericoloso dittatore che va eliminato. Lo si fa e lo si farà col pretesto di "aiuti umanitari" e con l'esportazione di tanta "democrazia", ma il conto di tanto aiuto lo si farà pagare con barili di oro nero. Oggi alla Libia, domani probabilmente a Iran e Venezuela. Anche in quei paesi "canaglia", si sa, governano despoti e dittatori...Anche qui, ci scommettiamo fin da adesso, assisteremo al sostegno unanime e trasversale di TUTTI i partiti parlamentari (ma anche ex-parlamentari, come ha già dimostrato Vendola con la sua SEL...) per "armarsi e partire". La "politica" estera, soprattutto quando la dettano gli USa, non ammette defezioni. La "politica" interna, invece, si può benissimo fare anche solo con mignotte, nani e ballerine...Chi ci guadagna? Già la domanda è schifosa nella sua brutale formulazione, tanto è distante da una sia pur minima etica. A nostro avviso, infatti, è già orribile ipotizzare una guerra "per guadagno" ma noi, come sempre, non facciamo testo poichè "utopisti". E allora la facciamo: chi ci guadagna da questa (o anche dalle altre) guerra? Chi di voi, tra chi ci legge, pensa sinceramente di poter trarre qualche profitto da tutto ciò? Noi siamo sicuri solo di pochissime cose, una tra tutte è la convinzione che la guerra fa bene ai padroni, ma la pagano i lavoratori. In denaro ed in sangue. Facciamo sentire la voce di noi lavoratori, nell'esigere contratti dignitosi per salario, diritti e dignità. Per una società dove sia il lavoro ed il benessere di tutti il bene più prezioso. NO alla guerra dei padroni! Ripetiamolo in ogni occasione, in ogni manifestazione, in ogni sciopero a venire! ...e guardiamoci da politicanti e pacifinti. Il loro interesse coincide con la nostra disgrazia. By Proletaria VoxA seguire, sul blog http://blog.libero.it/VoceProletaria
Appuntamenti all'insegna della solidarietà.
Con i lavoratori della Verlicchi. Di VAG 61 - Bologna.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10059022.html
Solidarietà di Ascanio Celestino e Un Ponte Per... Di Un ponte Per...
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056339.htmll

Sindacato e sindacalismo.
Marciare uniti o marcire sul posto? Di Lavoratori Autoconvocati.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056151.html
Piaggio: ora viene il bello! Di Comunisti Uniti - Pisa.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056249.html

Università.
Decleva in minoranza nel suo Senato. Dal Senato Accademico - Università Statale di Milano.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056267.html

La guerra. Di ieri e di oggi, mai passata da ogni presente.
No alla guerra nel mediterraneo. Di "La FLC che Vogliamo".
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056168.html
Iscritti CGIL contro la guerra. Di iscritti CGIL.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10059011.htmll
12^ anniversario dei bombardamenti sulla Yugoslavia. Di Alessandro Di Meo.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041980.html
La guerra in Libia e la fabbrica del falso. Di Marisa...
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10041955.html
La Libia, la sinistra e la guerra imperialista. Di Domenico Moro.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042008.html
La sconfitta dell'Italia in Libia. Di Pietro Ancona.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056301.htm

Le tragedie per mano umana.
Giappone e Libia: due disastri umanitari. Di Kiyul Chung.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10042022.html

La satira.
Il giustiziere della notte. Di Alessandra Daniele.
http://blog.libero.it/VoceProletaria/10056348.htm