domenica 13 novembre 2011

Fine anno con il botto ...

Il coordinamento nazionale del Comitato “No debito” si è riunito nel momento in cui si va definendo nettamente l'ipotesi denunciata chiaramente con l'assemblea del 1° ottobre. L'investitura di Mario Monti come nuovo presidente del consiglio realizza quel “governo unico delle banche” che rappresenta una minaccia dichiarata ai diritti sociali e dei lavoratori e delle condizioni di vita dei settori popolari. E' un governo che godrà in una prima fase di “consenso” sia a livello politico bipartizan (per esplicita responsabilità di Napolitano) sia in vasti ambiti della società che lo interpreterà come il governo che “ha mandato via Berlusconi”. Ciò significa che l'iniziativa della campagna No Debito e sui cinque punti dell'assemblea del 1° ottobre dovrà fare i conti, in una prima fase, con un senso comune divergente e con ostilità crescenti sul piano politico. Si rimane convinti che la posizione indicata in questi mesi – no al debito e no al vincolo europeo – mantenga intatta la sua credibilità e troverà conferma nello sviluppo dei fatti. In tal senso, assume enorme rilievo politico l'assemblea nazionale a Roma del prossimo 17 dicembre convocata dal comitato No Debito, una occasione che rappresenta il primo grande appuntamento di massa dell'opposizione politica e sociale al “governo della Bce” rappresentato da Mario Monti. Tutti coloro che sono contrari a questo governo e alla Bce sono invitati a partecipare a questo appuntamento e tutti coloro che hanno condiviso l'appello “Dobbiamo fermarli” sono invitati a preparare e a far crescere questo appuntamento sia a livello locale che nazionale. Nell'assemblea nazionale del 17 dicembre verrà avanzata la proposta di convocazione di una grande manifestazione nazionale dell'opposizione sociale e politica alle misure del governo Monti per l'inizio del prossimo anno.
La tabella di marcia del Comitato No Debito prevede il lancio dell'obiettivo “Noi vogliamo decidere. Referendum!”. A tale scopo verrà lanciato un appello che chiederà la convocazione di un referendum contro le misure della Bce e – di fronte al prevedibile rifiuto da parte delle istituzioni preposte – avvierà i preparativi di un referendum autogestito inteso come consultazione popolare e democratica di massa contro i diktat dell'Unione Europea. La proposta del referendum è una proposta che il comitato No Debito avanza come terreno di iniziativa unitaria a tutte le forze e i soggetti che ritengono di poter e voler condividere questa battaglia di democrazia.
In secondo luogo assumono un carattere decisivo le assemblee locali e la costituzione dei comitati locali “No debito” possibilmente entro la data dell'assemblea del 17 dicembre. La commissione organizzazione comunica che in calendario sono state già fissate alcune iniziative locali (vedi il calendario pubblicato in homepage). Sono in via di definizione altre assemblee (Bologna, Bari, Trieste, Gorizia, Veneto). E' importante che le assemblee siano pubbliche, rappresentative e inclusive anche dei soggetti sociali e politici che fino ad ora non hanno firmato l'appello “Dobbiamo fermarli”. Il Comitato No Debito porterà il proprio contributo al convegno del Forum Diritti Lavoro che si terrà a Roma il 18 novembre e agli incontri previsti per discutere il referendum contro l'art.8 e la legge 30. Per il 10 dicembre è confermato il primo seminario con gli economisti a Roma mentre un secondo seminario si terrà a gennaio a Milano.
Il Comitato No Debito aderisce e partecipa con un proprio striscione e spezzone unitario alla manifestazione del 26 novembre convocata dal Forum dei comitati per l'acqua pubblica. La commissione comunicazione ha resocontato la propria attività (consapevole ancora dei limiti esistenti e che sono stati sottolineati). In primo luogo indica che l'identità assunta sarà quella di “Comitato No Debito” pur consaspevoli che i cinque punti di programma avanzano obiettivi non legati solo a questa dimensione. E' stato approntato un logo che indica il nesso tra il “Noi” come forma di partecipazione collettiva in prima persona e gli obiettivi che verranno declinati nei vari momenti (NOI No debito, NOI vogliamo decidere, NOI no alla guerra, NOI per i beni comuni, NOI per i diritti dei lavoratori, vedi qui a fianco). 
E' stato aperto un primo gruppo su facebook e adesso verrà attivata anche una pagina Facebook ufficiale del Comitato No Debito. Si stanno centralizzando gli indirizzi dei giornalisti e delle redazioni per favorire una maggiore comunicazione. A breve si risistemerà il sito per renderlo più dinamico e accattivante”.
Da martedi 15 novembre comincerà un appuntamento di comunicazione integrata quindicinale del comitato No Debito che aggiornerà le informazioni, indicazioni e campagne. La trasmissione si terrà negli studi di Radio Città Aperta alle 14.30, verrà trasmessa in diretta in streaming video da Libera Tv e potrà essere embeddada da tutte le pagine web, radio o televisioni che vorranno collegarsi a questa iniziativa. La cosa potrebbe raggiungere migliaia e migliaia di persone.
Roma, 10 novembre

mercoledì 26 ottobre 2011

99%: La rivolta non ha bisogno di guru

Si è manifestato in 82 Paesi, marciando contro i luoghi fisici del potere. Sono state occupate strade e sedi, si è avviata l'impresa dell'insurrezione popolare mondiale. La logica e le manifestazioni del conflitto archiviano definitivamente, dopo il 15 Ottobre, le prassi economiciste delle rivendicazioni materiali e normative e portano ad organizzare in modo neoistituzionale (il contropotere comunitario che conquista spazi e tempi sociali) il potenziale politico eversivo antisistema delle stesse soggettività antagoniste. Le mediazioni politico-sindacali “tradizionali” sopravvissute fino ad oggi nella loro versione degenerata del trade-unionismo "storico" vengono definitivamente meno con il protagonismo sociale del 99% delle classi subalterne - mobilitatesi fin dal 1999 quando a Seattle si pronunciarono contro il WTO - che consolidano successivamente, nelle lotte contro il precariato e la flessibilità globali, la coscienza rivoluzionaria. Un problema di fondo che ha ora il movimento antagonista nel reinterpretare la “global revolution” con lotte unitarie antisistema è la repressione. Il capitale globale ha deciso che l'insurrezione deve essere stroncata sul nascere e paventa punizioni esemplari per i “criminali” che si oppongono alla “modernizzazione del sistema dello sfruttamento”. Perquisizioni, denunce, arresti, licenziamenti, cariche della polizia, attentati di “squadracce” paramilitari sono tutti momenti del piano repressivo degli Stati sotto l'egida del capitalismo multinazionale. La “soluzione cilena” degli aguzzini è giustificata dai milioni d'euro di danni subiti da banche, amministrazioni pubbliche, privati proprietari di beni che ne condividono la responsabilità essendo mandanti privilegiati della repressione. Il potere economico e politico si è dato il compito di schedare chiunque svolga attività politica antisistema di massa perché qualcuno dovrà pagare. Il sistema dei media, compreso il circuito radio-televisivo pubblico, collabora entusiasticamente alla “caccia alle streghe”, prepara l'opinione pubblica con allusioni all'uso delle pallottole, da parte di chi detiene per conto dello Stato il monopolio della forza armata, negli scontri di piazza contro i “violenti”. La partita tra le moltitudini che ritrovano dignità nella radicalità del conflitto sociale e la repressione militare a difesa degli interessi dei pochi potentati non va affatto chiusa e non si chiuderà. La sfida è accettata. La formazione di un'organizzazione politica che incorpori il conflitto nella sua elaborazione programmatica è all'ordine del giorno ed in grado, quindi, di superare l'orizzonte d'una guerriglia metropolitana che sembra “necessitata” ed autoreferenziale. Separare l'elaborazione politica dalla mobilitazione organizzata conflittuale – che alcuni (la cosiddetta “sinistra”) arrivano a demonizzare considerandola qualcosa di “schifoso” - è un errore grave. Certo è che ogni forma di antagonismo duale va ispirato al principio in base al quale deve essere l'elaborazione politica delle contraddizioni sociali a guidare il conflitto; questa sana dialettica va intesa e praticata in un senso preciso e cioè sollecitando in ogni antagonista ed in ogni nucleo organizzato un approfondito chiarimento politico a guida, fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all'occorrenza anche mobilitativo di potenziale contundente, come è accaduto a Roma. Le modalità di lotta rivoluzionaria non si scelgono arbitrariamente o teoricamente, ma assumono spesso la forma dell'azione diretta organizzata conflittualmente poiché lo scontro sociale - nei suoi esiti - è un fatto che non dipende tanto solo dall'azione soggettiva degli antagonisti, quanto dall'organizzazione repressiva dello Stato delle multinazionali che, in qualche modo, impone ed introduce nel conflitto “logiche militari” all'interno dello stesso scontro sociale.

Che l'offensiva antagonista si esprima anche sul piano dell'azione diretta organizzata conflittualmente è una necessità dell'attuale livello dello scontro di classe che non può essere diluito o negato. È legittimo pensare - questo sì - che l'offensiva antagonista - nella sua irreversibile autonomia contro il massacro sociale e la “crisi” - sia oggi estremamente ricca di opzioni praticabili e che tra le molte forme della sua radicale espressione vi sia anche quella dell'azione diretta organizzata sul piano politico e veicolata dal conflitto. Ciò comporta il ripudio programmatico di ogni mediazione. Senza bandiere, che non sia quella rossa del comunismo, nella convinzione di perdere solo le catene e di non avere bisogno di guru. Vanno legate insieme tutte le iniziative che mirano a formare, innovare e potenziare le attività di rinnovamento dei rapporti sociali attraverso percorsi di autonoma ed inventiva ricerca di ulteriori fronti del conflitto, attraverso confronto internazionale e condivisione di esperienze di rivolta, saldando l'analisi teorica e financo le suggestioni dell'immaginazione e della progettazione esistenziale ad una inevitabile comune prassi di contropotere nella quale, solo in essa, incarnare il futuro.

http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/beni-fisici-collettivi-e-cultura-globale
http://th-rough.eu/writers/dursi-ita/emergenza-e-guerra-scelta-politica-della-babele-post-moderna

martedì 6 settembre 2011

Sull'emancipazione sociale

Prospettive dell'emancipazione sociale a partire dal sollevazioni e mobilitazioni di massa nell'area euro-meditterranea - "Quelli che in vengono denominati "movimenti sociali", sono anzitutto azioni collettive improvvise e intermittenti di insubordinazione sociale contro il capitale e le specifiche modalità neoliberiste di dominazione. Volendo distinguere i tratti emancipativi, i limiti e le difficoltà della mobilitazione e delle sollevazioni indigene e popolari nell'area euro-meditteranea nell'ultimo decennio, vanno indagate le potenzialità e difficoltà di fronte alle quali le attuali modalità collettive di intervento e partecipazione antagonistica e/o autogestita nei temi politici e, in generale, nella vita pubblica dei diversi paesi, si trovano di fronte. L'obiettivo è presentare in maniera ordinata una serie di categorie e distinzioni basilari, al fine di rendere intelligibile il conflitto sociale contemporaneo, e affrontare la questione della emancipazione sociale. Questa tematica, sotto la prospettiva dei molteplici movimenti sociali di disobbedienza all'ordine capitalistico nel nostro continente, si caratterizza per due difficoltà principali: 1. il problema della relazione tra la costruzione dell'autonomia locale e l'autogestione di certi ambiti della vita sociale, e il confronto con lo sfruttamento e il dominio del capitale a livello generale -- in ogni singolo paese e nel mondo globalizzato. Cioè, la questione di trovare una soluzione al problema dell'articolazione delle lotte a partire dalla loro autonomia. 2. Il problema del potere, cioè, la questione dei modi più pertinenti di costruire nuove forme di autoregolazione della vita sociale che non si cristallizzino in nuove modalità di dominazione. È possibile presentarecc sette tesi sulla resistenza e la emancipazione possibile e una ipotesi per pensare il cambiamento.

Tesi 1

Quelli che vengono denominati "movimenti sociali", sono anzitutto azioni collettive improvvise e intermittenti di insubordinazione sociale contro il capitale e le specifiche modalità neoliberiste di dominazione consolidatesi in

■modificazioni nell'uso della forza lavoro che apre la porta a nuove e più acute forme di sfruttamento

■il saccheggio e l'espoliazione di beni comuni (acqua, gas, biodiversità, etc.), e lo smantellamento generale di ciò che fu ricchezza e spazio pubblico

■la privatizzazione istituzionalizzata che regolamenta e sanziona i modi di partecipazione alla vita pubblica, criminalizzando qualunque altra forma di intervento sui temi comuni.

Tesi 2

Una determinata forma di insubordinazione sociale sorge quando un eterogeneo conglomerato di persone, collettivi e gruppi si dota di un obiettivo negativo che attacchi aspetti precisi di qualcuna delle tre fondamenta dell'offensiva neoliberista menzionate, e produce una vasta lotta di resistenza che, in genere, straripa oltre l'intreccio istituzionale e normativo dominante e accettato come legittimo in ognuno dei paesi dove ha luogo (il caso delle lotte per l'acqua in Bolivia è paradigmatco di questo tipo di movimenti). Un altro tipo di movimenti ha tratti più stabili, il grado di coesione interna tra i suoi membri è più denso e si propone obiettivi non meramente definiti dalla negatività e l'antagonismo, e può stabilire "idee forza" positive per riconfigurare ambiti più ampi dello spazio sociale (la ribellione delle frammentate comunità metropolitane, è un esempio paradigmatico di questo tipo di movimenti).

Questo tipo di tipologia dei movimenti contemporanei di insubordinazione può costruirsi precisando alcuni tratti che li differenziano, come per esempio la loro "volatilità", cioè, il loro grado di coesione e condensazione interna; se privilegiano o no azioni di confronto con l'ordine del capitale, o la costruzione di autonome relazioni sociali distinte su un determinato territorio, i loro modi di confluenza e interconnessione con altri movimenti, cioè se privilegiano una sintonia temporanea delle proprie azioni collettive o se piuttosto si concentrano sullo stabilire-inventare certe forme di occupazione territoriale definita, etc. Il compito di costruire una tipologia non è una mera oziosità accademica se contribuisce alla comprensione delle diverse meccaniche -- non lineari, in alcun caso -- della resistenza e dell'insubordinazione. Il primo tipo di movimenti, dunque, sono le azioni collettive a più alto grado di volatilità: dense aggregazioni di uomini e donne che dispiegano sullo spazio pubblico -- la strada, i media, le strutture e istituzioni pubbliche -- la loro azione penetrante, simultanea nel tempo sebbene scarsamente coordinata, esibendo una specifica e stridente "capacità di veto" contro determinati aspetti puntuali, locali, nazionali o globali dei progetti capitalistici.

Questo tipo di movimenti consiste anzitutto nel dispiegarsi collettivo di una enorme carica di energia sociale che destruttura le decisioni e le istituzioni dell'ordine neoliberista: Cochabamba contro la privatizzazione dell'acqua nel 2000 e El Alto nel 2003-2005, l'Argentina nel 2001 contro le misure finanziarie di espoliazione massiccia della popolazione, tra le altre; la rivolta civile di Arequipa contro la privatizzazione dell'energia elettrica nel 2001; e inoltre l'opposizione degli abitanti e vicini di Atenco, ai bordi di Città del Messico, per la privatizzazione delle loro terre da destinare alla costruzione di un aeroporto, la lotta degli studenti nel CGH della UNAM contro lo smantellamento dell'educazione pubblica in Messico, la resistenza contro l'esproprio di terre in Tepoztlán, Morelos, Messico, attuata da comuneros e abitanti delle vicinanze, etc., sono esempi di movimenti di insubordinazione di questo tipo.

Tutti essi sono movimenti di insubordinazione improvvisi e, solo a volte, cumulativi, quasi sempre intermittenti e parziali, che contribuiscono soprattutto a modificare la correlazione di forze esistente in ogni paese dove hanno luogo, arrivando occasionalmente a mettere sotto scacco l'andamento normativo e istituzionale del capitale, e quindi il suo ordine.

In certa misura, è in questo tipo di movimenti che affiora in maniera lacerante la contraddizione dell'epoca: quella tra i popoli poveri, sfruttati, disprezzati e derubati delle proprie risorse, presenti nelle diverse nazioni, e il potere delle imprese multinazionali organizzate intorno ai protetti da parte dello stato nordamericano, i cui interessi e visioni del mondo sono veicolati dai distinti governi dei paesi. Questi movimenti delineano una nuova grammatica, cioè nuove regole per i linguaggi della lotta sociale, che non sono facilmente compresi per il loro carattere fondamentalmente destrutturante dell'ordine dominante, oltre che produttori di socialità positiva. In queso senso, sono movimenti di insubordinazione che modificano profondamente e sostanzialmente la correlazione delle forze in un luogo o in una nazione, sebbene lo facciano in genere durante corti intervalli di tempo. D'altro lato, per il modo come tali movimenti privilegiano l'unione orizzontale delle molteplicità sociali, aprendo la via alla cooperazione per la lotta, e in tanto che rendono più complessa la vita politica di ogni paese creando spazi per la partecipazione politica di strutture sociali prima limitate all'ambito della vita privata -- le famiglie, i vicinati, i gruppi sociali, e una gran diversità di collettivi e comunità --, sono movimenti anche gravidi di possibilità emancipative in germe che, a lunga scadenza, possono modificare in maniera decisiva la correlazione delle forze.

Il secondo tipo di movimento di insubordinazione è meno volatile, cioè, più denso, coeso, e stabile; privilegia la lotta di resistenza e la costruzione di autonomia locale, scava in maniera lenta e persistente nelle relazioni di dominio e solo occasionalmente irrompe in maniera dirompente nello spazio pubblico, presentandosi come soggetto critico che sfida i principali supporti dell'ordine del capitale: la struttura della proprietà, le forme liberali -- privatizzate -- della politica, le stratificazioni razziali della società che sostiene il "colonialismo interno". Esempi di questo tipo di movimento sono i MST brasiliani, l'EZLN messicano e, in certa misura, il movimento rurale aymara in Bolivia, il tessuto sindacale-comunitario dei produttori di coca nel Chapare, e l'organizzazione di resistenza, principalmente quechua, in Ecuador. Tutti questi sono movimenti di più lunga data, con una tradizione di lotta e resistenza sedimentata atraverso le loro precedenti azioni di confronto ed autoconfigurazione, con un grado minore di eterogeneità interna e situati, chiaramente, dentro un canone nazionale di azione politica, senza per questo negare le sue possibilità e capacità -- soprattutto nel caso zapatista -- di aprirsi ad altre problematiche, e di relazionarsi con una molteplicità di lotte di resistenza in altri paesi, con un contenuto molto meno "nazionale".

La virtù di questi movimenti, che in certa misura operano per stabilizzare fluttuazioni e rotture sociali precedenti, è che costruiscono ambiti di resistenza collettiva suscettibili di dispiegarsi, anche ad intermittenza, in azioni più dirompenti che tendono a modificare le correlazioni di forze non in forma convulsa e spasmodica, ma a più lunga scadenza. Intanto occupano territori demarcati con nitidezza, e in essi dispiegano energie che strutturano nuove relazioni sociali che, in maniera completa, trasformano, superano e annullano tendenzialmente certe relazioni di dominio e sfruttamento, o le fanno rivivere sotto nuove funzioni.

Tesi 3

Nei movimenti di insubordinazione del primo tipo, i più volatili e incendiari, non è il successo di una finalità prestabilita che permette di valutarli obiettivamente. Piuttosto, se l'intento è intravedere i tratti emancipativi nel dispiegarsi medesimo dell'azione sociale di insubordinazione, è importante comprendere come i molteplici mosaici mobili del conflitto sociale sfuggano ai diagrammi del potere che li hanno costituiti -- o cercato di costituire -- in frammenti controllabili. Come cooperano tra sé per risovere i problemi comuni. Come i collettivi e i gruppi umani disobbedienti inventano linee di fuga e flussi di forza che destabilizzano e pongono in dubbio l'andamento statale vigente nei suoi aspetti nomativi e istituzionali. Come si appropriano di e ricostituiscono spazi pubblici. Questa prospettiva ci permette di leggere nuovi insegnamenti in un'infinità di esperienze particolari di conflitto contro il capitale per scrutare nella grammatica della emancipazione. Cioè, ci permette di apprendere dalla lotta sociale e non assumere una sterile posizione di "valutazione dogmatica" degli evidenti limiti di cui questo tipo di movimenti soffre.

Tesi 4

In alcuni paesi -- a partire dalla espansione e generalizzazione di un conflitto su risorse naturali decisive -- si produce uno sviluppo di contenuti e significati degli obiettivi iniziali della insubordinazione sociale. Il caso del gas boliviano è paradigmatico: da "NO alla vendita del gas" come idea mobilizzatrice da prima del 2003, si è passati all'idea di "riappropriazione sociale delle risorse naturali" e all'impostazione della "nazionalizzazione del gas" e dell'"Assemblea Costituente -- originaria e sovrana". Inoltre, l'esperienza boliviana recente ci colloca nella problematica del transito dall'esistenza di capacità di mobilitazione e intervento collettivo nelle tematiche comuni, sufficienti per bloccare i piani dei governi, uno dopo l'altro, alla questione di come questa "moltitudine in atto" si erige sovrana oltre i limiti del conflitto. Cioè, la questione del potere.

In generale, lo sviluppo degli obiettivi del movimento nella Bolivia di oggi, gira intorno ai vari modi in cui si soddisfano le necessità, aprendo spazi a nuovi conflitti e dando luogo a paradossi. Il caso del gas e dell'acqua in Bolivia è il più chiaro su questa questione. Il paradosso, qui, riguarda il soggetto dell'azione sovrana di recupero di ciò che è stato dato via, cioè, chi è tenuto a nazionalizzare, a riappropriarsi della riccheza comune: è alle popolazioni, alle comuntà locali, ai comuneros, ai lavoratori, ai cittadini politicizzati in senso antiliberista, che corrisponde la prerogativa di far valere la proprietà della ricchezza comune, includendo la potestà di decidere su tutto lo spettro dell' attività produttiva, della sua gestione, destino e usufrutto... o è lo Stato, cioè la rappresentazione illusoria della totalità sociale, che deve esercitare la decisione sovrana sul patrimonio comune lasciando al movimento sociale la pressione perché lo faccia? Qui c'è un limite per il primo tipo di movimenti che, nella Bolivia del 2005, rimane pericolosamente aperto come un vortice che minaccia di aspirare la forza sociale destrutturante sgorgata negli utlimi cinque anni.

Tesi 5

Nei movimenti di insubordinazione del secondo tipo, i più stabili e duraturi, è decisivo il consolidarsi di spazi di autonomia, nella progressiva costruzione, lenta e difficile, di nuove relazioni sociali di "resistenza" che non riproducano nè le gerarchie nè le segmentazioni e divisioni sociali precedentemente esperite, nei molteplici sforzi di sottrarsi ai paradigmi e dispositivi della dominazione e dello sfruttamento.

Tesi 6

Il problema più difficile per questo secondo tipo di movimenti è in primo luogo nel riuscire ad evitare una possibile autarchia che possa condurli all'isolamento e alla minaccia di scomposizione. Cioè: come possono questo tipo di movimenti di insubordinazione, una volta ricomposta una certa stabilità sociale dopo la loro irruzione, dedicarsi a tendere i propri vincoli interni e dotarsi di nuovi obiettivi di confronto con l'ordine del capitale? In secondo luogo, all'interno delle proprie costruzioni autonome c'è anche un possibile paradosso: la riconfigurazione di ordini statali -- cristallizzati -- di dominazione dentro le sue politiche e pratiche quotidiane.

Per questo tipo di movimenti, stabilizzati nel tempo come corpo di relazioni sociali territorialmente localizzato si presenta, inoltre, la questione della difficoltà di trovare alleanze, per stabilire rapporti con altri movimenti e altre lotte: come riesce un gruppo sociale di resistenza già consolidato -- e impegnato nel suo proprio auto-consolidamento -- a stabilire vincoli orizzontali di cooperazione per la lotta con altri conglomerati sociali distinti, come riesce a stabilire relazioni di reciprocità?

Tesi 7

La capacità emancipativa dei movimenti di insubordinazione che tendono a soddisfare le necessità quotidiane in altra maniera, si può misurare a partire dalle loro possibilità di passare con maggiore o minore fluidità dalla autogestione della vita quotidiana all'antagonismo e viceversa.

In generale si è qui presentata una classificazione tra i movimenti di insubordinazione sociale dei due tipi qui distinti: il consolidamento dei progressi in termini di modificazione della relazione generale di forze mediante la costruzione esplicita di relazioni sociali e della gestione degli ambiti di vita a partire dall'autonomia; oppure, privilegio delle azioni e compiti di confronto e di dispiegamento dell'antagonismo, nel mezzo del quale si abilitano forme di coordinamento temporale con altri gruppi, collettivi e settori di lotta e resistenza. In certa misura, questa classificazione fissa il paradigma di una strategia ciclica in due tempi, che si possono chiamare "accerchiare e costruire". La difficoltà consiste nel fatto che, in generale, e nella misura in cui ogni tempo suole presentarsi come opzione escludente e/o complessa e difficilmente concordante con l'altro tempo che configura la coppia "accerchiamento e costruzione"; si è presentata finora una relativa carenza di coordinazione configurante -- nazionale e globale -- dell'insieme dei movimenti di insubordinazione.

I movimenti di insubordinazione che privilegiano il consolidamento autonomo e territoriale di relazioni sociali distinte hanno frequentemente incontrato difficoltà a funzionare come organismi di conflitto e ad unirsi con altri movimenti sociali di insubordinazione, in maniera tale da "cedere" terreno e tempo -- per esprimerci in qualche modo -- a favore di governi, stati e imprese multinazionali che stabilizzeranno le linee della dominazione e dello sfruttamento.

Da parte loro, i movimenti che privilegiano il conflitto, il momento antagonistico ma che nn sono riusciti a consolidare spazi e territori di costruzione e difesa esplicita delle proprie pratiche autonome, quotidiane e politiche, sebbene tracciano le linee e gli spazi delle trasformazioni in una società data, non riescono tuttavia a sedimentare nè dare forma all'energia che generano con le proprie azioni e, in genere, sono riusciti solo ad essere forza destrutturante che la forza dello Stato e del capitale assorbe, introducendola nelle proprie finalità -- in certa misura è ciò che è successo in Ecuador e può ancora succedere in Bolivia.

In base alle idee precedenti, deboli per il loro livello di generalizzazione dei ricchissimi dettagli di ogni singolo evento, forti perché tendono a ridurre la complessità rendendo intellegibili e comparabili fatti diversi, avanzo le seguenti ipotesi:

L'idea di una strategia del "poter fare" dei movimenti sociali passa per l'articolazione e comprensione e il dispiegamento della molteplicità di azioni collettive per l'emancipazione, nei suoi aspetti costruttivi ed antagonistici.

In questo senso, l'emacipazione deve essere vista come una trasformazione di relazioni sociali che si produce a partire dalla disarticolazione dell'ordine del capitale e della sua dominazione. A questo scopo sono ugualmente decisivi sia i movimenti di antagonismo che di consolidamento-costruzione delle relazioni sociali basate sulla reciprocità e il riconoscimento dell'autonomia. Finora, quello che fanno i movimenti di insubordinazione è introdurre energia destabilizzatrice nel sistema dominante, sia costruendo nicchie di autonomia, sia dispiegando azioni di conflitto. A partire da qui, la questione della emancipazione dipende dal nostro dotarci di strumentazione teorica per pensare alle possibilità di un "cambio di stato", per servire simultaneamente al problema di introdurre fluttuazioni e deconfigurare l'ordine dominante, così come il problema di stabilizzare sotto diversi lineamenti e forme sociali l'energia sociale così dispiegata.

Enunciarlo è relativamente semplice, contribuire alla sua realizzazione pratica è una sfida gigantesca."

Link: http://proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=619

martedì 26 luglio 2011

Presentazione pamphlet e pubblico dibattito - 10 Settembre 2011

http://www.tabulaedizioni.com/home.html "Lanciano città libera ? Lavori in corso fino al 2016", Edizioni Tabula, Lanciano (Chieti), Maggio 2011, pagine 48, ISBN 978 88 95639 444, 10€ Abstract Nel pamphlet che affronta la quaestio con approccio storico e socio-antropologico (ovviamente nei limiti del genere letterario privilegiato), si può trovare descritta quella tendenza delle subculture politiche, territorialmente egemoni, ad assomigliarsi. Questa tendenza è in grado di trasformare lo “spirito di servizio” degli amministratori in arroganza del potere ed in “conformismo” operativo. Tali subculture, prive di vision oltreché di competenze, s’affermano grazie alla deculturazione e all’incultura diffuse fra i partiti in lizza e gli stessi “soggetti neocivici”, grazie alla progressiva commistione di interessi privati dei “rappresentanti” politici con l’interesse generale dei cittadini, grazie all’ “ignoranza” televisivamente diretta, diffusa anche tra i giovani ormai prioritaria preda del “mercato”, che si impone nelle menti distorcendone la coscienza etica. Gli autori ritengono che non si possa più tacere ed auspicano un’apertura del dibattito pubblico, con coraggio e speranza, per ora “mettendoci la faccia” ed usando al meglio le loro armi critiche, auspicando d’essere supportati, nel prosieguo della battaglia delle idee, anche da una lungimirante politica ed illuminata, indipendente imprenditoria culturale.
Notizie sugli autori
Graziano D’Angelo, 56enne, è giornalista pubblicista da oltre trent’anni. Ha collaborato con testate quotidiane tra le quali Il Tempo e con numerosi periodici locali tra i quali Il Nuovo. Nel 2002 ha fondato il quindicinale Il Meridiano, periodico quindicinale di politica, cultura e sport che si è distinto per autonomia e per la sua forte presenza critica. Ma l’esperienza de Il Meridiano si è conclusa dopo soli due anni, lasciando una scia di delusione e di rammarico che ha segnato i successivi anni di impegno giornalistico, divenuto sempre più sporadico, ma mai privo di impegno e passione per la comunità locale. E’ autore di alcune specifiche ricerche sulle tradizioni e sul folklore abruzzese con particolare riguardo al contesto sub-provinciale frentano. Coltiva interessi culturali che spaziano dall’antropologia alla storia delle religioni. Vive e Lavora a Lanciano.
Giovanni Dursi, 54enne, è docente M.I.U.R. di Filosofia e Scienze sociali a Bologna. Si occupa di management della formazione nella knowledge society e di “comunicazione pubblica”. Già professore a contratto del corso integrativo di Filosofia dell’educazione presso la Cattedra di Pedagogia dell’Università degli Studi di Urbino, per conto di alcuni Enti pubblici italiani (Regione Emilia Romagna, Centri di formazione professionale, Enti locali) ha realizzato diverse attività tecnico-consulenziali: project work, copywriter, pubbliche relazioni, ricerca e sviluppo, organizzativo-amministrative. Di formazione marxista, partecipa dalla fine degli anni ‘70, al movimento anticapitalista ed alla battaglia delle idee pubblicando saggi ed articoli vari per riviste, periodici e quotidiani, testate locali e nazionali anche on line. È coeditore del periodico bolognese - ora on line http://www.zic.it/ - “Zero in condotta”. Scrive su http://th-rough.eu/. Ha partecipato all’esperienza politica neocivica di “Bologna Città Libera” [http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi]. Uno dei suoi blog per comunicare è: http://giovannidursi.blogspot.com/ La Casa editrice TABULA Srl e l'Associazione culturale “Oriente immagnario” organizzano Venerdì 29 Luglio 2011 – Ore 10:45, presso TABULA Srl, Via Villa Martelli n° 221 - una conferenza / stampa (presenti il Sindaco di Lanciano, Dott. Mario PUPILLO e il Prof. Giovanni DURSI, docente MIUR di Scienze sociali) di presentazione del pubblico dibattito.
« LA CITTÀ COME ECOSISTEMA SOCIALE CHE CAMBIA - CITTADINI E ISTITUZIONI: LAVORI IN CORSO » Sabato 10 Settembre 2011 – Ore 18:45 - Sala conferenze del “Palazzo degli studi” Corso Trento e Trieste, Lanciano
in occasione della presentazione alla cittadinanza del pamphlet
“LANCIANO CITTÀ LIBERA ? Lavori in corso fino al 2016” - Casa editrice TABULA Srl, Maggio 2011, pagine 48, € 10 - Saranno presenti gli autori, Dott. Graziano D'ANGELO e Prof. Giovanni DURSI che discuteranno dei contenuti del pamphlet con il Sindaco di Lanciano, Dott. Mario PUPILLO. Invitati a partecipare: l'Assessore Cultura Turismo Commercio di Lanciano, Dott. Giuseppe VALENTE, il Presidente del Consiglio comunale di Lanciano, Dott. Donato DI FONZO, il candidato alla carica di Sindaco per il PdL, Dott. Ermando BOZZA

Abstract pamphlet: "Nel solco tracciato a suo tempo da Pier Paolo Pasolini con Scritti corsari, il pamphlet che viene presentato è un convinto e sofferto compendio sulla “strategia dell'omologazione politico-culturale” che agli autori pare di cogliere in azione nel “presente” lancianese. L'onere della prova, come ha affermato Pasolini, non è di competenza dell'intellettuale, ma la riflessione disinteressata ed appassionata è un dovere per chi crede nella legalità, all'autentica “libertà democratica” ed all'utilità della conoscenza. La comunità dei lancianesi, agli occhi autorali anche oggi, appare ancora subordinata ad un'antica volontà egemonica - prodotto della cultura politica democristiana, prima, e della nuova destra, attualmente – che si esprime nell’ottusità di poteri reali reazionari, ma anche perché incatenata ad una retorica progressista di certo personale politico (o aspirante tale) figlio degli stessi “vertici” della gerarchia sociale che dominano la città. Nello scritto, che affronta la “quaestio” con approccio storico e socio-antropologico (ovviamente nei limiti del genere letterario privilegiato), si può trovare descritta quella tendenza delle subculture politiche ad assomigliarsi ed alla trasformazione dello “spirito di servizio” degli amministratori in arroganza. Inoltre, si può trovare descritta quella tendenza del conformismo operativo, di chi si trova ad amministrare privo di vision oltreché di competenze, ad affermarsi; quella tendenza alla deculturazione e all’incultura diffuse fra gli esponenti dei partiti in lizza e degli stessi “neocivici”; quella tendenza alla progressiva commistione di interessi privati con l'interesse generale dei cittadini; quella tendenza, infine, all’ “ignoranza” televisivamente diretta e diffusa soprattutto tra i giovani che, pur accostandosi alla “politica”, sono ormai preda del “mercato” lasciandosi imporre nelle menti il linguaggio d'una miope competizione egolatrica. Gli autori ritengono che non si possa più tacere ed auspicano un'apertura del dibattito pubblico nel capoluogo frentano – anche in presenza di una “inversione di tendenza” (piuttosto che un vero e proprio “cambiamento”) che si è avverata in termini elettorali e narrata dai media in modo improprio - che faccia emergere il ruolo della “società civile” nel progettare la città, nel ridisegnare autentica partecipazione civica e, perchè no, nuove istituzioni democratiche. Con coraggio e speranza, per ora “mettendoci la faccia” e le armi della critica, gli autori auspicano di poter contribuire alla “liberazione irreversibile di Lanciano” anche supportati da un determinata politica culturale e da lungimirante strategia editoriale".

http://libri.dvd.it/altri-generi/lanciano-citta-libera-lavori-in-corso-fino-al-2016/dettaglio/id-3387081/

http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/autore-dursi_giovanni_.htm

http://www.libreriauniversitaria.it/lanciano-citta-libera-lavori-corso/libro/9788895639444

lunedì 18 luglio 2011

« LA CITTÀ COME ECOSISTEMA SOCIALE CHE CAMBIA - CITTADINI E ISTITUZIONI: LAVORI IN CORSO » - Presentazione pamphlet e pubblico dibattito

Presentazione pamphlet e pubblico dibattito - « LA CITTÀ COME ECOSISTEMA SOCIALE CHE CAMBIA - CITTADINI E ISTITUZIONI: LAVORI IN CORSO » Sabato 10 Settembre 2011 – Ore 18:45 - Sala conferenze del “Palazzo degli studi” Corso Trento e Trieste, Lanciano - Pubblico dibattito in occasione della presentazione del pamphlet “LANCIANO CITTÀ LIBERA ? Lavori in corso fino al 2016” - Casa editrice TABULA Srl, Maggio 2011, pagine 48, € 10 - Saranno presenti gli autori, Dott. Graziano D'ANGELO e prof. Giovanni DURSI che discuteranno dei contenuti del pamphlet con il Sindaco di Lanciano, Dott. Mario PUPILLO, l'Assessore Cultura Turismo Commercio di Lanciano, Dott. Giuseppe VALENTE, il Presidente del Consiglio comunale di Lanciano, Dott. Donato DI FONZO
Abstract: "Nel solco tracciato a suo tempo da Pier Paolo Pasolini con Scritti corsari, il pamphlet che viene presentato è un convinto e sofferto compendio sulla “strategia dell'omologazione politico-culturale” che agli autori pare di cogliere in azione nel “presente” lancianese. L'onere della prova, come ha affermato Pasolini, non è di competenza dell'intellettuale, ma la riflessione disinteressata ed appassionata è un dovere per chi crede nella legalità, all'autentica “libertà democratica” ed all'utilità della conoscenza. La comunità dei lancianesi, agli occhi autorali anche oggi, appare ancora subordinata ad un'antica volontà egemonica - prodotto della cultura politica democristiana, prima, e della nuova destra, attualmente – che si esprime nell’ottusità di poteri reali reazionari, ma anche perché incatenata ad una retorica progressista di certo personale politico (o aspirante tale) figlio degli stessi “vertici” della gerarchia sociale che dominano la città. Nello scritto, che affronta la “quaestio” con approccio storico e socio-antropologico (ovviamente nei limiti del genere letterario privilegiato), si può trovare descritta quella tendenza delle subculture politiche ad assomigliarsi ed alla trasformazione dello “spirito di servizio” degli amministratori in arroganza. Inoltre, si può trovare descritta quella tendenza del conformismo operativo, di chi si trova ad amministrare privo di vision oltreché di competenze, ad affermarsi; quella tendenza alla deculturazione e all’incultura diffuse fra gli esponenti dei partiti in lizza e degli stessi “neocivici”; quella tendenza alla progressiva commistione di interessi privati con l'interesse generale dei cittadini; quella tendenza, infine, all’ “ignoranza” televisivamente diretta e diffusa soprattutto tra i giovani che, pur accostandosi alla “politica”, sono ormai preda del “mercato” lasciandosi imporre nelle menti il linguaggio d'una miope competizione egolatrica. Gli autori ritengono che non si possa più tacere ed auspicano un'apertura del dibattito pubblico nel capoluogo frentano – anche in presenza di una “inversione di tendenza” (piuttosto che un vero e proprio “cambiamento”) che si è avverata in termini elettorali e narrata dai media in modo improprio - che faccia emergere il ruolo della “società civile” nel progettare la città, nel ridisegnare autentica partecipazione civica e, perchè no, nuove istituzioni democratiche. Con coraggio e speranza, per ora “mettendoci la faccia” e le armi della critica, gli autori auspicano di poter contribuire alla “liberazione irreversibile di Lanciano” anche supportati da un determinata politica culturale e da lungimirante strategia editoriale.”

http://www.tabulaedizioni.​com/home.html

http://www.ibs.it/code/978​8895639444/dangelo-grazian​o/lanciano-citta-libera.ht​ml

http://giovannidursi.blogs​pot.com/2011/07/attacco-al​-cuore-vdel-welfare.html

lunedì 4 luglio 2011

Attacco al cuore del Welfare

L'annunciata cosiddetta “manovra” di 47 mld è spalmata su quattro anni, quando la responsabilità governativa della “macelleria sociale” sarà, nel 2012 o 2013, d'incerta attribuzione all'attuale centro-destra inventato e danarosamente tenuto in vita da Berlusconi. Nel frattempo, l'esito dell'accordo contrattuale raggiunto tra ConfIndustria ed i Sindacati confederali ripropone la strada del “conflitto” quale unico orizzonte di resistenza all'omologazione neo-mercantile delle cosiddette “relazioni industriali”. I “mantra”, megafoni servili del degenerato potere berlusconiano, diffondono la suggestione d'una assicurazione da stipulare individualmente contro ogni evenienza previdenziale, sociale e di accesso ai “servizi” alla persona ed alla comunità erogati dal vigente Welfare, come se fosse possibile permettersela, unitamente ad una costellazione di nuovi “sacrifici” da sostenere necessariamente, in esclusiva riservati ai lavoratori dipendenti, che vanno dall'inaudito aumento dei biglietti per il trasporto (bus, treni) alle polizze auto fuori controllo, dai costi impazziti dei carburanti ai prezzi dei prodotti alimentari, dall'esponenziale indebitamento dei nuclei familiari con le banche alle insostenibili tariffe del gas, elettricità, telefono. Contestualmente – con i bavagli ai giudici e ad alcuni media – l'apparato governativo cerca di non far conoscere le trame reali che riguardano l'affossamento definitivo del residuale assetto “democratico” del sistema politico-istituzionale italiano contaminato, da decenni ed oggi aggiornato, dal progetto eversivo piduista attualizzato con nuovo “personale” dedicato.

Il Presidente Napolitano, assorto e titubante come sempre, incoraggia la “manovra” condividendone la “strategia tremontiana”d'attendere l'effetto che farà sul PIL, nonostante il peso oggettivamente devastante che eserciterà sul corpo sociale, laddove le tasse sul reddito restano e, nel contempo, si smantella il sistema di protezione sociale aumentando ulteriormente a dismisura prestazioni socio-sanitarie (tickets di 46 euro), come si strumentalizza l'incremento di “speranza di vita” condannando donne ed uomini ad un più lungo periodo di lavoro. La “manutenzione” dell'esistenza è ridotta ad una variabile affatto significativa da parte dei farabutti che occupano il loro tempo ad elaborare piani di tagli indiscriminati della spesa sociale mentre cercano di irretire l'opinione pubblica con la paventata tassa sui SUV, certamente sostenibile da chi i SUV gli acquista. È lo stesso inganno della presunta abolizione degli stipendi dei Ministri che – in ogni caso – conservano l'eccessivo introito di 15 mila euro in qualità di parlamentari. I cittadini massacrati da tale “manovra” - ricordiamolo – sono già stati truffati al tempo dell'adozione della moneta unica europea quando, conservando i livelli di tassazione in “lire”, hanno ottenuto un potere d'acquisto dimezzato. Con le banche europee ed internazionali che, di fatto, decidono la stessa sopravvivenza degli Stati europei (Grecia), l'anestesia indotta dall'impero televisivo e mediale alle menti, da oggi, anche nella metropoli italiana, avrà un minor effetto allucinogeno e le piazze vedranno il popolo infiammarsi lacerando ogni conformismo democraticista di massa promosso dal “sistema dei partiti” in declino.

Diversamente antagonisti (rispetto alle forme di maniera del passato), come “nuovi barbari” che invadono e distruggono le “consuetudini del potere” con un'unica meta da perseguire: fuoriuscire dal capitalismo, realizzare il comunismo.

giovedì 23 giugno 2011

La storia . . . di chi “non ha tempo per gli altri”

Vi racconto la storia . . . di chi “non ha tempo per gli altri”.
Il modo d'essere d'una persona rispetto ad un'altra caratterizza le relazioni, interpersonali e/o sociali. Il “mio” modo d'essere ed il “tuo” creano legami, rapporti tra due menti e due corpi. Ci si avventura nella reciproca cognizione che non è affatto solo concettuale. Tutt'altro. Si tratta d'una sorta di permanente riferimento reciproco, un evento sociale che, nella sua espressione più elevata, genera “vita”. Il “modo d'essere” concorre a causare, dunque, legami, vincoli affettivi, amicali, conflittualità, ma anche relazioni economico-sociali, politico-culturali … Anche, più specificamente, legami – per così dire – d'affari, quintessenza della coatta socialità capitalistico-borghese. L'insieme dei rapporti sociali, dei rapporti che instauriamo con altre persone, è contaminato da questa “forma” fondativa – strutturale - dei “modi d'essere” individuali e collettivi nell'attuale formazione capitalistico-globale. Le “pubbliche relazioni” agiscono come una matrice di tutte le altre “forme” di convivenza, inglobate, risucchiate nel contesto di attività tendenti a creare una buona opinione intorno ad una persona, un'istituzione, un'impresa, un'opera di ingegno . . . Tendenzialmente, la commistione che risulta tra diverse modalità relazionali, fa si che le persone coinvolte siano – in ultima istanza – considerate alla stessa stregua di soggetti economici in competizione, accomunati da transazioni economiche profittevoli. In sostanza, il “modo d'essere” si trasforma in un “modo d'avere”, merce o carne umana poco importa. L' "altro", in questa dinamica estraniante, diviene utile o meno, piuttosto che interessante o indifferente … Pur lavorando, pur gestendo l'esistenza nelle sue responsabilità più impegnative (penso alla paternità o maternità), pur partecipando alle lotte sociali, pur rivendicando insieme ad altri il rispetto dei diritti, a me capita di avere del tempo per gli altri, perché intenzionalmente faccio spazio nella mia vita quotidiana agli altri. Il mio ombelico può attendere, come il mio conto in banca.
Mi capita – ciò mi dona gioia – di aprire gli occhi solo quando “guardo” gli altri che mi chiedono “tempo”. Avere tempo per gli altri è essere autenticamente liberi dagli impacci del business. Non avere “tempo” per gli altri, viceversa, denuncia con clamore l'essere remissivi, sottomessi addirittura alla logica del potere che esalta il self made man (o woman), per negare la socialità non avvezza a genuflettersi alla suprema omologante volontà di lucro.
La morale della storia risiede in ciò: non c'è alcun tormento in chi anela al benessere comunitario, alla giustizia sociale che non sono davvero tali se trattasi di benessere solo “mio”, di giustizia "al singolare". Non propugno un neo-francescanesimo che andrebbe perseguito, bensì una reale promozione civile ed un saldo contrasto alle drammaticamente anacronistiche derive di costume di quei tanti, troppi che “non hanno tempo per gli altri”.
Questo mutamento nell'approccio sociale, questa indistinzione tra le originariamente variegate relazioni umane, determinano una diuturna strumentalizzazione, uno sfruttamento continuo, vera e proprio tentativo d'alienazione degli “altri”, distinti e distanti come esseri umani, ma presi in considerazione unicamente come meri “interessi”.
Il linguaggio che usiamo svela l'arcano, quando arriviamo – spesso fagocitati dal “sistema” vigente, in altre circostanze, consapevolmente – ad affermare all'altro “non ho tempo per te”. Non avere tempo è una menzogna e, trincerandosi dietro di essa, si palesa la propria identità. Non avere tempo per gli altri, vuol dire ammettere che si ha “interesse” solo agli affari, al denaro, sancisce il trionfo dell'egolatria materialistica. Non puoi non avere tempo per gli altri senza contestualmente dimostrare l'infimo spessore etico che ti riguarda, l'azzeramento dell'umano in te. “Non ho tempo” per te, dichiarazione inequivocabile di presunto “possesso” personale del tempo rilascita da propagandisti del tempo “proprietario”, “privato”, “solo mio”, come la “roba” che mi circonda, che acquisto, come il lavoro che svolgo eseguendo compiti, come la casa che abito chiudendo la porta blindata, come l'arte che produco e che vendo. “Non ho proprio tempo” è l'epifania di quella “liquidità” della quale qualcuno ha scritto.

giovedì 16 giugno 2011

Commento sull'esito referendario

Provo a ragionare sull’esito referendario. A seggi chiusi, il quorum è superato con un’affluenza alle urne che, negli istant poll, già oscillava addirittura tra il 54,5 e il 59,5% consentendo ai SI di traguardare una percentuale oscillante tra il 93 ed il 97% della scelta espressa dagli elettori. Ora i risultati si sono stabilizzati [http://referendum.interno.it/], ma l’esito politico si conferma come altamente positivo. Comportamenti elettorali, certo, ma adottati in un’allarmante situazione di “crisi a più dimensioni” che continua a devastare la coesione sociale, avvelenata da una incontrollata deriva politico-culturale del “ventennio berlusconiano”. Il successo referendario è l’onda lunga e carsica d’una parte del “corpo sociale” che non si arreso alla ristrutturazione autoritaria del dominio capitalista nella metropoli italiana. La resistenza (operaia, studentesca, dei soggetti antagonisti presenti nella società civile) e la clandestinità comportamentale (incardinata nella palese estraneità ed ostilità verso il “sistema dei partiti” ed i “santuari” del potere), ha reso ai cittadini tutti la consapevolezza della praticabilità di “politiche generative” del “nuovo” di cui una prima manifestazione – dal 2008-2009 al 2011 - sono stati (per quanto variegati e non tutti autentici) i “coriandoli” del “neocivismo”. La marcia nel deserto non è però finita e non si esaurisce nella contraddittoria esperienza del neocivismio. In buona sostanza, c’è altro accanto all’idea di recidere i cordoni ombelicali con le rantolanti “organizzazioni del consenso”, vecchie e nuove, anche della “sinistra” che annovera tra le sue fila tanto Pietro Ichino quanto la FIOM-CGIL. Il dato importante da considerare è questo: nel corpo sociale si è diffuso un coinvolgente ripensamento in atto del “governo dei beni comuni” materiali ed immateriali. Certo, l’acqua, il sole, l’aria pulita e la potenza del vento, ma anche l’istruzione e la salute pubbliche, i diritti al reddito, alle “protezioni sociali” (che ritorni universalistico il Welfare !)ed alla conflittualità, la condivisione delle conoscenze e delle sue veicolazioni tecniche. Il largo fronte delle vertenze sociali ha aperto una stagione politica costituente: c’è chi pensa che il “movimento antagonista” non debba rifluire nella miope e strumentale ricerca di nuovi equilibri sociali ed in nuovi “accordi” interclassisti a garanzia di stabili profitti e status quo; c’è chi propugna, fatta propria la logica antisistema, l’attuazione del progetto d’edificazione di istituzionalità popolari sulla base di nuove forme di cittadinanza attiva che superino le antinomiche espressioni dell’attuale “democrazia reale”. La distanza irreversibile non è tra il Governo in carica ed il Paese, bensì sussiste tra una “moltitudine” (masse popolari senza più gli ancoraggi delle appartenenze politico-sindacali e/ dell’ordinamento sociale e classista tradizionale) e lo Stato. S’assiste al concreto riaffermarsi dell’autonomia politico-organizzativa dell’autentico (a-ideologico) antagonismo che riprende la sua marcia amalgamando, poco a poco, chi lotta, sedimentando “comunità” nei territori. Siamo di fronte alla crisi radicale della “politica alienata ed estraniante della rappresentanza e della delega”. In altri termini, la fenomenologia sociale innescata dalla “crisi” è inequivocabile pronunciamento di soggetti dispersi fuoriusciti dal post-fordismo di maniera, tipico della “piccola trasformazione italiana” (Bonomi), inabissatisi quando si è affermato il “capitalismo molecolare”, successivamente, quello “delle reti e dei flussi” (che ha in Marchionne la migliore tra le truffaldine figure), per riemergere ora come unico, attrezzato argine alla contaminazione e lacerazione dei “populismi armati” (quello di territorio come Lega Nord ed affini; quello dell’individualismo proprietario, tecnocratico, giustizialista; quello “dolce” di un “potere” che ricerca “connessioni” con il popolo …). Dentro una lacerante scomposizione sociale ormai in metastasi, si realizza un’aggregazione di luoghi sociali e territori che reagisce alla subalterna omologazione politico-telecratica, che rifiuta la morte cognitiva, che resetta il blocco implosivo delle rappresentanze (verso il basso, ripensando il “consenso”, verso l’alto, progettando “contropotere”). Le infrastrutture normative, sofisticato risultato del sistematico picconamento al quale è stato sottoposto da decenni lo “Stato di diritto”, messe in opera dall’egolatria insita dal “berlusconismo”, oggi devono fare i conti con autonomi movimenti sociali e di pensiero. Con forza, nuove istituzionalità irrompono sulla scena del conflitto sociale perseguendo la soddisfazione dei “bisogni”, esprimendo responsabilizzazione nella “progettualità sociale”, organizzando la gestione comunitaria delle “conoscenze” e delle I.C.T.. Non si sogna più la “comunità”, la si conquista, valorizzando il “conflitto” piuttosto che accettare la “mediazione” ed unificandosi, superandole la frammentazione originaria, le esperienze di contropotere.

mercoledì 8 giugno 2011

Quello che conta

Quello che conta - di Francesco Marchianò
Il successo della sinistra nelle recenti elezioni amministrative è stato accompagnato, come spesso accade, da numerosi commenti di politici, giornalisti e osservatori. Uno dei refrain più gettonati è stato che la sinistra ha vinto grazie alle primarie e ai leader. Ma è stato davvero così? Dire che sono le primarie a far vincere un sindaco, un presidente di regione o, addirittura, un un presidente del consiglio è di per sé un’affermazione indimostrabile. In diversi Paesi si stanno diffondendo, o sono utilizzate da anni, le primarie e, com’è ovvio che sia, il candidato da essi selezionato può vincere o perdere. Per esempio, lo sfidante di Obama, McCain ha vinto le primarie del Partito Repubblicano, eppure è stato sconfitto. In Europa, sia Walter Veltroni che Ségoléne Royal hanno vinto le primarie, eppure sono stati sconfitti. Pertanto non c’è un nesso che lega le selezione per mezzo delle primarie con la vittoria, anzi, come nel caso delle amministrative di Napoli, esse possono essere la causa di una prematura e mortificante sconfitta. L’elogio delle primarie è accompagnato da un corollario, anch’esso discutibile, quello dell’effetto leader. La vittoria nelle amministrative da molti è stata spiegata con l’apporto del leader. Anche qui però non tutto è lineare. Se nelle recenti amministrative vi è stato effetto leader, questo è avvenuto prevalentemente nella città di Napoli, dove il voto per De Magistris al primo turno ha di gran lunga superato, quasi doppiandolo, quello delle liste che lo appoggiavano. Nel secondo turno vi è stato, sì, un vero e proprio plebiscito, ma senza l’apporto dell’altra coalizione di sinistra e del Terzo polo, questo risultato non si sarebbe raggiunto. Al primo turno, infatti, De Magistris, aveva raccolto 128.303 voti; l’altro sfidante di centrosinistra Morcone, 89.280, e il candidato del Terzo Polo Pasquino, 45.449. Sommando questi tre candidati si arriva a 263.032 voti, ossia qualche centinaio in meno dei 264.730 che De Magitris ha conquistato al ballottaggio. Senza i voti della coalizione sarebbe dura anche per Masaniello. Se, invece, guardiamo al Nord, più che effetto leader, dovremmo parlare di effetto partito. A Torino e Milano, infatti, ciò che ha contribuito alla vittoria è stato l’esito del Partito Democratico che ha conquistato ovunque dei risultati ben più grandi delle previsioni. Si pensi che i sondaggi davano il Pd a Torino al 28%, e invece ha raccolto il 34,5%, e a Milano tra il 21% e il 23%, e invece ha conquistato il 28,6%. I due candidati sindaci, che comunque hanno avuto i loro meriti, hanno raccolto certamente dei voti in più delle liste che li appoggiavano (com’è naturale che sia in elezioni dirette) ma non in maniera rilevante. Pisapia e Fassino presentano entrambi indici di personalizzazione positivi ma contenuti, anzi, stando ai dati, Piero Fassino ha un effetto leader (indice di personalizzazione: 0,128) maggiore di quello di Pisapia (indice di personalizzazione: 0,122). Un vittoria è sempre il frutto di più fattori, ma, in questo caso, il successo del Pd non può passare inosservato, anche perché è la prima volta, da quando è nato, che riesce a vincere. I leader hanno il loro peso e la loro influenza, ma da soli non bastano. Per questo occorre guardare con più realismo all’apporto sostanziale che partiti e coalizioni riescono a dare. Francesco Marchianò - 8 Giugno 2011

http://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article249

sabato 4 giugno 2011

Un Altro Mondo Possibile - Grecia 2011 - Italia 2012 ? Uscire dalla crisi con la decrescita, con il fascismo o con la rivoluzione ?

Oggi i mercati festeggiano il nuovo prestito alla Grecia che porterà nuovi tagli, impoverimento, disoccupazione ... nuovo debito! La società greca continua a scendere in piazza, a contestare il "sistema" ... mentre i nostri media (per evitare di darci "cattivi esempi"?) la ignorano ... senza alcuna eccezione. Non possiamo aspettarci che chi è causa della crisi sia in grado anche solo di pensare a delle soluzioni ... mentre è benissimo in grado di manipolare l'opinione pubblica, reprimere con la forza chi vuole un vero cambio, infiltrare provocatori e fomentare la violenza. La Grecia di oggi è simile all'Argentina del 2001 e potrebbe essere molto simile all'Italia del 2012 (con o senza Berlusconi) .... e allora osserviamo ciò che succede in Grecia, ascoltiamo chi propone soluzioni "rivoluzionarie" e pacifiche per opporsi a soluzioni violente ed autoritarie.
Osserviamo la Grecia di oggi, leggiamo la storia Argentina, Boliviana e Islandese di ieri... e ORGANIZZIAMO la RESISTENZA nelle nostre singole vite, nei nostri nuclei famigliari, nelle nostre città. Cerchiamo di "fare" qualcosa, piuttosto che - solo - in dignarci. Uno degli slogan "NoGlobal" era "un mondo migliore è possibile "... ieri questo slogan non aveva "appeal" perchè in molti eravamo convinti di vivere nel mondo migliore possibile. Oggi ne siamo ancora così convinti? Da megachip.info
La Grecia in cerca di un nuovo agorà di Karin Munck.
Un piccolo gruppo di studiosi e sostenitori della decrescita ha accompagnato Serge Latouche in un giro di conferenze a Creta e ad Atene. L’idea nasce dall’architetto e archeologo di passione Piero Meogrossi di Roma, che da alcuni anni cerca di portare Latouche in Grecia per coinvolgerlo in un affascinante progetto sulla decrescita a Lentas, paesino affacciato su un mare splendido, dimenticato dal mondo.
In fondo si tratta di riportare le idee della decrescita a Creta, dove in qualche modo quei temi hanno avuto origine. La decrescita è infatti da molti considerata come figlia dalla «phronesis», la saggezza greca che, nel corso della storia, è stata violentata dal «logos», cioè dalla razionalità e dal calcolo economico, che ne hanno fatto perdere le radici.
Prima di definire le date del viaggio, riceviamo varie messaggi da parte di Giorgos Kallis [greco, ricercatore all’Università autonoma di Barcellona] e collaboratore di Giorgos Lieros [veterinario, impegnato in vari movimenti ambientalisti ad Atene], che propongono una conferenza sulla decrescita al Politecnico di Atene. Insomma, non solo Creta, ma anche il centro del paese – ci spiegano – cerca soluzioni alla crisi attraverso i temi della decrescita. Un po’ sorpreso da tanta insistenza, Serge Latouche accetta la proposta.
Già all’aeroporto di Atene incontriamo i primi attivisti in compagnia di alcuni giornalisti e fotografi. Vogliono intervistare Latouche, in modo da poter uscire subito con articoli e servizi per far precedere la conferenza al Politecnico con un vasto «tam tam» informativo. Ripartiamo quindi per Heraklion, la capitale di Creta, dove ci aspetta Costas Manidakis con alcuni amici. Volti noti, sorridenti, degni di un film di Pier Paolo Pasolini. A parte il solito «kalimera, kalimera», molti ci dicono qualche parola in italiano. Costas ha studiato geologia a Modena, parla perfettamente italiano ed è da sempre un sostenitore della decrescita. Durante la dittatura dei colonnelli, da giovane si è ritirato in uno dei luoghi più abbandonati di Creta, Lentas. È lui ad aver organizzato con altri gli incontri conviviali con la società civile cretese, la conferenza all’università ! di Heraklion e una passeggiata con esperti di archeologia. La sera siamo invitati a cena con alcuni intellettuali cretesi in una casa tipica della media borghesia europea. Molti parlano italiano, anche loro hanno studiato a Modena, Bologna e Roma e si respira un’atmosfera di «solidarietà mediterranea». Le donne, attivissime, architetti e urbanisti, hanno preparato una cena profumatissima con le specialità dell’isola. Senza tanti preamboli si entra subito nel vivo del tema della serata, che poi sarà il tema centrale di tutti gli incontri pubblici e privati: il debito e il disastro sociale ed economico della Grecia. Un debito complessivo di 110 miliardi di euro: tutti pensano che il governo non abbia saputo difendere il paese dal gioco al massacro imposto da banche, Fondo monetario internazionale e Unione europea. La maggior parte della popolazione valuta la politica economica di Papandreou negativamente e molti sono convinti che il Fondo mone! tario dovrebbe essere cacciato dal paese. Ci dicono che solo un quarto della popolazione vuole ripagare il debito, mentre l’altra parte chiede di ritrattarlo. Quasi tutti sono convinti che la Banca centrale europea abbia molte responsabilità nel disastro economico greco e una parte della popolazione è favorevole alla fuoruscita dall’euro e un ritorno alla Dracme.
Il debito di Islanda e Ungheria
Latouche cita subito l’esempio dell’Islanda, di cui nessuno parla. Spiega come l’Islanda abbia deciso attraverso due referendum popolari di non rimborsare più il suo debito. «Non è vero che il debito deve essere ripagato per forza – dice Latouche – Una politica nuova, che purtroppo spesso viene proposta soltanto dalla destra, come in Ungheria, ha deciso di far pagare il debito alla banche. Non sarà né facile e né indolore, ma rispetto alla barbarie che stanno preparando i nostri governi sarà forse necessaria». Di fronte alla preoccupazione per l’euro, Latouche parla anche dell’Argentina che per superare la crisi ha usato le monete locali, i creditos o patacones, che hanno funzionato per assicurare la sopravivenza attraverso un’economia locale. Qualcuno accenna addirittura della possibilità di una fuoruscita della Grecia dall’Ue. Le analis! i e le parole di Latouche sembrano in qualche modo attese e sperate. Non pagare il debito, no alla austerità imposta, sì alla moneta nazionale e sì all’uscita dall’Ue, sembravano idee troppo radicali, ma alla luce degli ultimi avvenimenti saranno probabilmente le uniche proposte concrete per ritrovare il senso della cittadinanza ed evitare il collasso e la dissoluzione della società. Ci lasciamo quindi incuriositi: quale sarà la reazione del pubblico greco a queste proposte radicali della decrescita? Ci diamo appuntamento con i nostri nuovi amici alla prima conferenza pubblica ad Heraklion.
Noi intanto partiamo per Lentas, il piccolo villaggio di Costas, dalla parte opposta dell’isola. Creta sembra il paradiso terrestre. Una vegetazione rigogliosa, piccoli campi di ortaggi ben curati, vigneti, antichi olivi e nella montagna pecore arrampicate ovunque si confondono con le spoglie rocce. Paesi piccoli un po’ melanconici, nascosti in vallate, abbandonati da uomini e donne, in cerca di «fortuna» altrove. Con Piero, nostro amico archeologo e Costas, visitiamo Cnosso, Festo e Gortyna, tre siti archeologici di un fascino sconvolgente. La passeggiata ci distrae per qualche ora dalla Grecia disastrata e abbandonata dai mercati finanziari internazionali, anche se le rovine degli imperi passati potrebbero essere una bella metafora del crollo del mondo al quale stiamo assistendo.
Latouche è stato invitato ad Heraklion dal rettore Janis Pallikaris, un personaggio unico. È un medico oculista, inventore dell’uso del laser per la correzione della miopia, diffuso oggi in tutto il mondo, un candidato premio Nobel. Dice di essere un grande stimatore delle idee di Latouche ed è felice di introdurlo al pubblico. La sala è gremita: ambientalisti, amministratori pubblici, docenti dell’università, in prima fila anche l’arcivescovo di Creta. Tutti seguono attenti e preoccupati la relazione che comincia con l’analisi della società della crescita, «una società che vive soltanto per la crescita economica», cioè l’aumento del Pil. «La cosa peggiore che possa accadere a questa società è la non crescita, o la crescita negativa, nella quale oggi ci troviamo». La situazione della Grecia è l’ultimo esempio evide! nte. I governi si sono indebitati con le banche straniere per proseguire le loro opere faraoniche e adesso decidono di far pagare al popolo il debito obbedendo alle ingiunzioni dei mercati finanziari internazionali.
Le otto «R» della decrescita
Latouche propone quindi il progetto della decrescita, come via possibile per uscire dalla crisi e per evitare che la società cada nella disperazione e nella dissoluzione. Il progetto della decrescita viene raccontato attraverso le «otto R», tutte ugualmente importanti per entrare in un vero circolo virtuoso di cambiamento. Le tre «R» più strategiche sono quello della «rivalutazione» , la «R» della riduzione e la «R» della «rilocalizazione» [perché riguarda direttamente e da subito la vita quotidiana e il lavoro di milioni di persone]. Latouche dice che la decrescita rinnova la vecchia formula degli ecologisti: pensare globalmente, agire localmente. Se infatti l’utopia della decrescita implica un pensiero globale, la sua realizzazione può essere avviata a livello locale. Il progetto di decrescita locale comprende due elementi interdipendenti: l&rsq! uo;innovazione politica e l’autonomia economica. Tutti intuiscono che la decrescita è si una provocazione, ma anche una trama per una nuova concezione della politica per una società alternativa, la politica dell’«abbondanza frugale» che permette di ricostruire una società fondata sulla riduzione della dipendenza dal mercato.
Latouche alla fine propone anche per la Grecia la reinvenzione dei commons [i beni comuni, spazio comunitario] e dell’autorganizzazione di «bioregioni» o ecoregioni, entità spaziale omogenee che potranno coincidere con le realtà geografiche, sociali e storiche, rurale o urbane. Dalle domande del pubblico e dai tanti dibattiti con persone della società civile, è evidente come anche in Grecia si stia formando una vera propria resistenza di sinistra, che mette insieme trasversalmente movimenti, pezzi dei partiti di sinistra e verdi. Una resistenza che abbraccia gli operai delle fabbriche, le insegnanti delle scuole pubbliche, docenti universitari e dipendenti pubblici, ma anche pensionati e casalinghe: una rete costruita su grande battaglie civili per la difesa del bene comune.
Tutto questo è ancora più evidente ad Atene. Giorgos Lieros, tra i promotori dell’incontro, dice che loro «sono ben consapevoli che in Grecia non si tratta soltanto di una crisi per il debito e di una crisi finanziaria, ma piuttosto del fallimento dell’idea di sviluppo che il paese persegue da trent’ anni. Per questo chiediamo il cambiamento del paradigma economico e sociale». Di certo, sono sempre di più quelli che in Grecia conoscono le idee della decrescita e sono convinti che il paese è maturo per questa sfida.
Atene, tra crisi e decrescita
Ci avviciniamo ad Atene. Dall’alto la città resta bellissima, sembra una grande tovaglia ricamata nei colori della sabbia che si stende sul Mediterraneo, larga, solare, apparentemente tranquilla. A differenza di molte altre città europee, non ci sono i grattacieli delle compagnie petrolifere e delle banche, nulla fa sembrare Atene dall’alto al centro del dibattito mondale per il disastro economico. Ma già all’aeroporto i colori cambiano: veniamo subito accompagnati da un gruppo di militanti verdi che cercano di trasformare il vecchio aeroporto in un bioparco per la popolazione con orti e spazi pubblici verdi, dal momento che Atene è una delle città con meno verde pro capite al mondo. La costruzione del nuovo aeroporto, costruito in occasione delle Olimpiadi del 2004, oltre a essere una delle cause del grande debito pubblico della Grecia, ha lasciato un enorme deserto di cemento qua! si nel centro della città. Si resta davvero shoccati visitando questa immensa area dell’aeroporto abbandonata da quasi dieci anni, in balia dei politici indecisi, che adesso dicono di aspettare i soldi degli emirati Arabi per costruirci il Las Vegas di Atene. Progetti folli, decisi naturalmente sulla testa dei cittadini, nonostante il sindaco di Atene sia stato eletto grazie ai voti delle liste civiche di sinistra. L’area é supersorvegliata, sembra di entrare a Chernobyl, e non appena cerchiamo di fare qualche foto, nonostante fossimo accompagnati anche da un parlamentare, siamo cacciati brutalmente dalla sorveglianza. Nel centro storico si nota la presenza della polizia un po’ ovunque. Giorgos Kallis dice che il debito creato dal governo «giustifica oggi qualsiasi politica di tagli alla cultura, alla sanità e ai servizi sociali». Via libera alla distruzione dei contratti di lavoro, i sindacati e riduzione del salario fino al quaranta percento. Privatizzazione di edifici pubblici e svendita di proprietà dello stato. Aumentano le tariffe dei servizi e dei trasporti. Tagli ai contributi alle famiglie bisognose, taglio agli aiuti ai disoccupati, licenziamenti nella pubblica amministrazione, la disoccupazione reale è già più del venti percento. «Si è ormai entrato in una recessione permanente, una dichiarazione di guerra continua verso gli strati più deboli – aggiunge Giorgos – Il popolo risponde con scioperi e manifestazioni».
Il rischio di una svolta a destra
Secondo Giorgos Kallis e altri oggi il pericolo di una svolta a destra in Grecia è di nuovo presente. Molti gruppi di estrema destra danno la caccia ai migranti. Lo schema è diffuso in tutta Europa. Anche ad Atene lo straniero è il nemico. Si cerca di scatenare la guerra tra poveri per distrarre attenzione «dai veri responsabili, le banche e il governo, incapace e corrotto. Si cerca di denigrare i movimenti della società civile, i verdi e il Partito comunista, che in Grecia hanno ben individuato nel capitalismo globale la prima causa del dissesto sociale ed economico del paese. In futuro la violenza dei fascisti potrà giustificare un colpo di stato, se il parlamento non riuscirà a garantire la convivenza democratica», avverte Giorgos.
Per l’incontro con Latouche presso il mitico Politecnico di Atene [dove cominciò la rivolta nel 14 novembre 1973 contro i colonnelli], ci sono molte persone. Scritte ovunque, qualche bandiera, qualche banchetto di solidarietà con i popoli insorti del Nord Africa. Il Politecnico sembra un grande centro sociale. Una sala a forma di anfiteatro, già gremito di giovani e anziani, seduti su vecchi banchi sgangherati, ormai pronti per nuove rivoluzioni. Ci sentiamo subito a casa.
Prende parola Giorgos Kallis. Improvvisamente una ragazza si alza e se ne va urlando. Dopo ci spiegheranno che aveva proposto lo spostamento dell’assemblea in strada, in solidarietà con un altro ragazzo migrante aggredito nel pomeriggio da un gruppo di fascisti. «La crisi è stata uno shock, ma non è solo finanziaria ed economica – dice Latouche nel suo intervento – Siamo di fronte a una crisi ecologica, sociale, culturale, una vera crisi di civiltà, cominciata in realtà negli anni Settanta. Finirà solo nel 2050, quando avverrà l’esaurimento delle risorse energetiche fossili. Quindi la sola possibilità auspicabile è la costruzione di una società di sobrietà condivisa, di decrescita, che passa attraverso un cambiamento dei paradigmi, una nuova spartizione della ricchezza, insomma per l’uscita dal capitalismo». Per questi motivi, Latou! che dice che la crisi può aiutare anche la Grecia: «L’alternativa esiste già, ma è spesso poco visibile. L’alternativa non è l’austerità né il rilancio tradizionale dell’economia ma l’uscita della società della crescita. Siamo sotto la minaccia di una deflazione mondiale, e la speculazione contro gli stati soffoca continuamente l’emergere di una vera alternativa». In un secondo momento, Latouche descrive una possibile filosofia della decrscita e accenna brevemente ad alcune idee per un programma politico, per soffermarsi su un punto importante, il lavoro. Dice Latouche: «Non è vero che lo sviluppo produce e crea lavoro, anzi la concorrenza e l’automazione distruggono i posti di lavoro. Bisogna trovare una via d’uscita dato che non ci sarà una ripresa del lavoro, diventerà una risorsa scarsa, dobbiamo condividerlo. Lavorare meno per lavorare tutti. Dobbiamo pretendere il reddito di cittadinanza. Bisogna fare pressione sugli stati, attraverso programmi politici. Dobbiamo chiedere anche la riduzione dell’orario di lavoro per dare occupazione a tutti». La proposta di lavorare meno per lavorare tutti e vivere meglio viene accolta con un grande applauso.
Latouche parla anche, brevemente, dell’Europa: «L’euro è pilotato dalla Bce, e non lascia alcuna possibilità per attuare una autonoma politica monetaria e di bilancio. Gli stati europei si sono lanciati in una concorrenza fiscale al ribasso, senza attuare vere riforme e oggi sono vittime dei propri numerosi errori, difficilmente riparabili. L’Europa sta già crollando. I governi si affannano a varare molti piani per salvare i propri paesi ma non esiste un piano per salvare l’Europa». Chiude, infine, proponendo l’idea dell’«abbondanza frugale, l’unica via d’uscita, dato che la nostra società di oggi, non è una società di abbondanza vera, ma soltanto una società di frustrazioni. L’unica possibilità per creare abbondanza vera è la frugalità. Se sappiamo tutti limitare i nostri bisogni allora possiamo s! oddisfarli. Dobbiamo combattere la mercantilizzazione del mondo, l’arricchimento di pochi a spese di milioni di poveri. Il mercato globale non sta distruggendo solo il tessuto sociale ma anche la natura e gli ecosistemi al livello mondiale. La società della crescita nega l’essere umano stesso, la sua condizione umana». Il dibattito prosegue con diverse domande e altri interventi. Quando usciamo dal Politecnico è quasi mezzanotte. Una signora ci lascia un biglietto, in cui si legge: «Grazie per averci portato la Speranza».
Lo sciopero generale dell’11 maggio
Il giorno dopo, l’11 maggio, è in programma il viaggio di ritorno a casa. Siamo dispiaciuti di non poter partecipare al grande sciopero generale nazionale, previsto proprio quel giorno. Ma arriva la buona notizia: la partenza del nostro aereo è rimandata a causa dello sciopero. Decidiamo subito di sostenere i compagni greci del Workers militant front, promotori della sciopero. Il corteo parte proprio nel nostro quartiere di fronte al museo di arte antica. Arrivano decine di miglia di persone con striscioni, di tutti i colori, enormi, in sui si legge: «No al debito! No alla privatizzazione! No alla disoccupazione! Burocrati andate a casa!». «Più servizi sociali!». «No alle misure anti-operaie del governo!». «No all’Unione Europea dei capitalisti! No al Fondo Monetario Internazionale! No alla BCE, la plutocrazia del paese!». «No al terrorismo dei padroni! No al cap! italismo, No all’Imperialismo!». «No alla flessibilità e alla precarietà! No ai sindacati corrotti che trattano con i padroni sulla nostre pelle!». «L’Operaio può fare a meno dei padroni!». «La barbarie non può essere umanizzata! Si alla resistenza! Si alla salute! Si al autonomia! Si alla vita!». «Noi la crisi non la paghiamo!». «Vogliamo una società senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Dopo pochi giorni dalla Grecia ci arriva un messaggio di Giorgos: dice che la giornata dello sciopero generale si è conclusa male per colpa di alcuni infiltrati che hanno provocato l’attacco da parte delle forze speciali della polizia. Ci sono stati molti feriti gravi. Nel centro di Atene ci sono di nuovo i gruppi di fascisti in azione, sono responsabili di veri pogrom, con i quali vengono aggrediti i migranti e chi solidarizza con loro. E dai giornali leggiamo che i progetti di privatizzazione continuano per permettere una ristrutturazione soft della Grecia…

[Karin Munck, «obiettrice della crescita», medico, è stata per molti anni direttrice artistica e scientifica del Prix Leonardo, festival internazionale del film scientifico e ambientale. Dal 2003 accompagna Serge Latouche documentando la nascita del movimento internazionale della decrescita].

Fonte: http://www.carta.org/2011/05/la-grecia-in-cerca-di-un-nuovo-agora/.

"Uomini contro" - Un contributo di idee per "ripensare" il 2 Giugno

C’è un film dell’ormai lontano 1970 intitolato “Uomini contro”, ambientato sulle pietraie del Carso durante il primo conflitto mondiale. È narrata la vicenda dei giovani Tenenti Sassu, Ottolenghi, Santini e Avellini. Per chi non lo ha mai visto, “rovino” subito il finale: moriranno tutti. Uccisi dall’incapacità dei loro superiori, in special modo di quella del Generale Leone, infarcito e traboccante di quella retorica della guerra giusta, vittoriosa, eroica, “sola igiene del mondo” come la definirà qualcuno. È un film contro la guerra. Contro tutte le guerre. E, soprattutto, contro il ben pensare della vittoria del 4 novembre, del Piave e degli eroi morti in trincea. Toccò nel profondo “Uomini contro” e fece storcere il naso alle Forze Armate dell’Ital! ia degli Anni Settanta. Il regista, Francesco Rosi, si documentò a lungo prima di girare il film, riproducendo nei minimi particolari scenari e costumi. Senza addentrarci troppo nella trama, basti sapere che la visione di “Uomini contro” può far rinascere in noi quel senso di attaccamento all’Italia ormai da tempo svanito: non un senso di invasamento o di estremismo, di persone pronte a sacrificarsi per il suolo natio, ma un senso di pietà e d’amore verso quei 650.000 soldati che non fecero più ritorno a casa. Il film ci mostra, infatti, il lato più umano dei soldati, “morti di fame che combattono contro altri morti di fame”, dirà il Tenente Ottolenghi durante un assalto ad una postazione austriaca: giovani contadini strappati alla loro terra, alle loro case e alle loro famiglie e mandati a combattere una guerra per loro sconosciuta. Pochi sapevano chi era l’Arciduca Francesco Ferdin! ando assassinato a Sarajevo il 28 giugno 1914, pochissimi riuscivano a comprendere i delicati equilibri internazionali che tale attentato causò in Europa. Forse non lo sapevano nemmeno i capi di stato e di governo della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa. C’è una scena nel film che colpisce al cuore, che ti porta il groppo alla gola: la decimazione. Soldati che da troppo tempo si trovavano in prima linea verranno fucilati perché chiedevano un periodo di riposo. Mangiavano in gavette arrugginite sotto il fuoco dell’artiglieria, dormivano in mezzo ai pidocchi e ai topi, nel naso l’odore della carne in putrefazione. E i generali seduti comodamente al caldo. Chi non si sarebbe ribellato. Per questo, sono film come “Uomini contro”, che fanno comprendere la nostra storia, spesso dimenticata e ignorata negli archivi di qualche ricercatore. Per questo motivo può unire gli Italiani più un film antimilit! arista come “Uomini contro”, piuttosto che le narrazioni ipocrite di un’ipocrita epopea: un sentimento nazionale non scaturito dalle vittorie e dal passaggio del Piave il 24 maggio, ma dalle vicende umane dei protagonisti del film. Da quei protagonisti della storia che hanno vissuto sulla propria pelle gli assalti alla baionetta, i bombardamenti, le sofferenza della trincea.
Nessuno di loro voleva essere un eroe, dato che gli eroi sono spesso persone morte. E, forse, non lo voleva essere nemmeno Enrico Toti, il bersagliere che scagliò la stampella contro gli Austriaci sul Carso se avesse potuto vedere come sarebbe stata ridotta l’Italia quasi 100 anni più tardi.

venerdì 3 giugno 2011

QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - ASSEMBLEA PUBBLICA NAZIONALE

Si invita a partecipare all'Assemblea pubblica "QUIETE E POI TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO - UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE" per ricordare Oscar Marchisio. Più di un anno fa, Oscar Marchisio se ne andava per sempre. In viaggio lo è sempre stato, quasi per abituarci alla sua assenza e ad imparare a far da soli. Ora sono cambiate le capacità / volontà permanenti del suo ricordo da parte di ciascuno di noi, orgogliosi di averlo conosciuto, frequentato, "usato" intellettualmente e politicamente, capacità / volontà collettive di conservare e far fruttificare i frammenti del suo agire come lasciti individuali da ricomporre. Ricordarlo, dunque, come se dovesse tornare a donarci ancora i "prodotti" della sua mente, gli stimoli "a fare" del suo prezioso operare teorico-politico e culturale. Dal punto di vista politico-programmatico - refrattario alla deriva "commerciale" del sistema dei partiti, sempre più assortito [http://www.socialmente.name/ ] - Oscar Marchisio, anche in occasione delle elezioni amministrative '09, ha guardato con sincero interesse ed "occhio critico" all'esperienza di Bologna Città Libera, constatando la reale "logica concorrenziale" sussistente tra il "mercato mainstream" e post-neo organizzativo delle "sinistre" contrapposto ad "etichette" più o meno "indipendenti" (ad esempio, la tendenza neocivica insita in B.C.L.) e di leadership eterno-emergenti. In mezzo, una marea di "soggetti" che o muoiono dopo le prime "battaglie" pubbliche - avvezzi solo alla virtualità reticolare - o emigrano verso "mercati" che meglio remunerano (sottobosco del mondo sindacale, politico, culturale, mediale). La "TEMPESTA, SOTTO I CIELI DEL MONDO" è - a contrario - una sincera espressione di rifiuto di tali melmosi andazzi. E' una raccolta di energie (donne e uomini liberi che si incontrano nelle autentiche relazioni territoriali e sociali antagonisticamente orientate contro la "società del capitale" e si autodeterminano) che hanno il polso della "situazione" e manifestano la coraggiosa volontà di industriarsi nel costruire un'alternativa forma di vita popolare - umile e forte - dal respiro strategico ed efficace nel risultato, inaridendo definitivamente le visioni e le prassi dei mesterianti ed aspiranti stregoni.
Una "lingua" nuova, per dire ed affermate nuove forme di vita popolare. Questo è lo snodo fondativo ed irreversibile d'una modalità originale di pensiero e di azione che salda l'opera di Oscar Marchisio all'iniziativa politico-programmatica che viene messa in cantiere, nella rilettura doverosamente critica (scienze) e nell'assunzione di responsabilità (coscienze) di un dispositivo collettivo - i costituendi Comitati popolari di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) - da vivere davvero sulla propria pelle, senza vie di fuga, nel fuoco di un cambiamento epocale la cui posta in giuoco è la libertà d'esistere.

DATA IPOTIZZATA: 31 Ottobre 2011, tutto il giorno
Luogo: Città nell'area metropolitana bolognese
Via: Ubicazione in corso di individuazione
Sito web: http://cprca2010.blogspot.com/ - http://cprca2010.ning.com/ -
Telefono: 3393314808 (per primi contatti, preferibili sms di presentazione)
Tipo di evento: Assemblea pubblica
Organizzato da: Giovanni Dursi (costituendo Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva - CPRCA)